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Vincenzo Padula Persone in Calabria IntraText CT - Lettura del testo |
La vita, e la morte della nostra provincia dipende dal modo onde sarà risoluta la questione Silana. Il brigantaggio sarà eterno tra noi? Cesserà o no la emigrazione, unico partito di salute a cui si appiglia ogni anno un terzo della nostra popolazione? Vedremo, sbandita la miseria, rifiorire una bella volta il commercio e l'industria? A queste domande farà risposta il modo, ripeto, onde sarà risoluta la questione della Sila. Noi ne toccammo qualche cosa due volte, e benché il facessimo con tutti i riguardi possibili, e senza nominare nessuno o dei reali o dei supposti usurpatori, che noi protestammo di non conoscere, pure le nostre parole produssero un'irritazione, che credevamo impossibile ad aver luogo in tempi che la pubblica opinione ha tanta forza sugli animi bennati, e che i principii di onestà sono, se non in opre, confessati universalmente in parola. Il Prefetto Guicciardi propose di aggiustare la vertenza con una transazione; né miglior proposta potea farsi, chi ricordi che in tutti gli affari, e massime nel caso nostro, il summum jus diventa summa injuria. Ma la proposta fu respinta, si domandarono gl'incartamenti depositati dai proprietarii presso l'abolito Commissario Civile, e che piú non si ritrovano, e si gridò ladro il governo, che avesse involato i documenti. L'accusa era bastantemente ridicola: i fatti parlano da sé, ed i commenti sono inutili. Parte degli incartamenti è stata involata, ma quando nell'incartamento si trovava un documento favorevole agli usurpatori, quel documento si è staccato ed è rimasto. Questo è un fatto. Il governo chiede a Napoli niente meno che quaranta volumi di carte relative alla Sila Greca; ed i quaranta volumi spariscono misteriosamente; non si trovano piú né in Napoli, d'onde sono partiti, né in Torino, dove non sono arrivati. E questo è un secondo fatto. Il governo vuole che la quistione Silana sia finalmente decisa; si domandano a Barletta i documenti da lui raccolti e si pubblicano, e si sceglie il deputato Scialoja all'ufficio di relatore. Ora sapete, o lettori, che sia avvenuto? Lo Scialoja ha procurato una seconda edizione dei documenti del Barletta, e molti ne ha tolto e molti ne ha mutilato. E questo è il terzo fatto. Per trovare l'attributo che conviene a questi tre fatti non ci vuole molto ingegno, e per indovinare per cura di quali persone quei tre fatti avvenissero non ce ne vuole né molto, né poco. Il giornale «La Farfalla», che viene fuori in Torino, ha preso a trattare questo benedetto affare della Sila. Ma ciò ch'esso disse ne parve cosí nuovo, cosí incredibile, che non ci parve bene di riprodurre né il suo primo, né il secondo articolo; ma ora il terzo formola cosí bene le accuse, e scende a particolari cosí minuti, che noi ne crediamo la riproduzione nel nostro giornale cosa richiesta dall'interesse pubblico. Ecco dunque le parole del periodico torinese, parole, che per l'onore del paese vorremmo fossero false, perché il rubare, il falsare, il mutilare le pubbliche carte è fatto cosí profondamente immorale, che ogni onesto ne freme.
Per procedere in questi nostri studii ed in queste ricerche con ordine e con chiarezza, anziché noi esponiamo le cagioni che indussero il Senatore Scialoja a sottrarre ed a mutilare alcuni documenti che erano stati per uso del Parlamento con tanta cura raccolti ed ordinati, dal cav. Pasquale Barletta, egli è mestieri di dire quali sono i documenti tolti e mutilati.
Nulla ha toccato lo Scialoja della prima parte, che contiene le leggi ed i documenti anteriori all'anno 1806; ma nella seconda parte ha incominciato a togliere per intiero il documento n. 60 (da pag. 200 a 209), che contiene «la relazione del Commissario civile della Sila relativa ai demanî ceduti nel 1825 a Barbaia, in cui si dimostra l'intrigo usato per frodare duc. annui 800 circa al tesoro, e sí priva la giustizia dell'azione di preferenza promossa dai contadini usuari contro i successori di Barbaia (che fra gli altri sono a Baracco e Campagna), essendovi in essa la storia del fatto che ha relazione col documento n. 62».
Il documento n. 61 (da pag. 210 a 215) che «conteneva la relazione del Commissario Civile approvata dal Ministero delle finanze del Borbone, in cui si dimostrano gli abusi commessi nella vendita degli alberi e nell'assegno dei faggi, dando le norme per la regolarità del servizio forestale, e si chiarisce la rendita che il demanio avrebbe percepito» è stato pure trafugato in una all'altro sotto il n. 63 (da pag. 220 a 222) contenente il rescritto sovrano che contro gli avvisi della Giunta della Sila da sottoporsi alla sovrana approvazione non compete gravame alla Consulta di Stato». È stato pure tolto nella sua interezza il documento n. 64 (da pag. 223 a 235 affare di dodici paginette!), in cui era la «decisione della Giunta contro un tale Boscarelli, che confermava quella del Commissario Civile, e che conteneva ragionamenti contrarii agli usurpatori». Né sappiamo tampoco ove sia stato posto il documento n. 65 (da pag. 236 a 248: altre dodici paginette), che conteneva «il R. Decreto che ordinava la direzione della Sila, in relazione alle vistose rendite che si ricavano da quel demanio».
Per quanto abbiamo cercato nell'edizione fatta ad uso del Parlamento non abbiam neppure potuto rinvenire il documento n. 66 (da pag. 249 a 253) ove era la «decisione della «Giunta rigettante l'eccezione di prescrizione Laratta, perché secondo il documento n. 75 la causa stava pendente presso la Corte di Catanzaro».
Vorremmo, finalmente che ci dicesse l'onorevole Senatore Scialoja ove ha nascosto il documento n. 69 (da pag. 272 a 306)., ov'era il «ragionato parere giudiziario pubblicato dal Commissario civile per ordine del Consiglio di Stato, che dimostrava ingiusta la pretesa del Barone Cozzolini sulla contrada Frisone, e quanto fosse capriccioso ed abusivo il Decreto del Governatore Donato Morelli che forma il documento n. 74».
Dopo aver detto dei sette documenti sottratti, diremo ora brevemente dei tre mutilati.
Il primo fra questi è il documento n. 62, a cui si è tolta una pagina (216); che «conteneva la ministeriale che autorizzava il giudizio contro i successori di Barbaia, e destinava l'avvocato che dovea sostenere le ragioni delle popolazioni»; l'altro è il documento n. 67, a cui si sono sottratti due brani, l'uno da pag. 254 a 260, e l'altro da pag. 263 a 267, in cui sono «esposti il fatto e le conclusioni con le quali i Baracco pretendevano s'applicasse ad essi la grazia del 18 luglio 1894 (vedi, decreto di Ferdinando II di questo giorno) fatta dal Barbone in occasione dell'arresto dei Fratelli Bandiera», ed il «ragionamento sopra due quistioni» (2a e 5a); il terzo finalmente è quello sotto il n. 68 da cui a pag. 268 si è tolto il periodo che dimostrava che «la relazione dell'Agente del contenzioso era stata richiesta dal Ministero delle Finanze, ed a pag. 27 l'ultimo periodo, in cui era stato detto doversi la Giunta occupare solamente di quanto era stato deciso dal Commissario Civile, non essendo la Giunta giudice del merito, ma solo chiamata a dare il suo parere su quanto era stato deciso dal Commissario Civile, non essendo la Giunta giudice del merito, ma solo chiamata a dare il suo parere su quanto era stato dal Commissario giudicato».
Denunciando noi questi fatti gravissimi alle due Camere del Parlamento, alla nazione, al tribunale della moralità pubblica, chi ci vieterà di chiedere ragione di queste sottrazioni e di tali mutilamenti?
Forse il senatore Scialoja vorrebbe risponderci: i documenti sottratti e le parti mutilate esser superflui. Passando ora buona questa risposta, che a suo tempo confuteremo, perché, noi chiediamo allo onorevole senatore Scialoja, allorché fu compiuta inavvertentemente la prima edizione della raccolta di tutti questi preziosi documenti, avvedutosi egli il senatore Scialoja quali fatti per essi sarebber posti alla luce, volle che se ne fosse fatta una seconda, raddoppiando quasi le spese, ad uso del Parlamento con quelle sottrazioni, mutilazioni ed alterazioni di cui abbiam fatto cenno? Chiediamo, per Dio! che su questi fatti si faccia pienissima la luce. Noi intanto non resteremo dallo incalzare la nostra argomentazione, procedendo in queste ricerche, sulle quali richiamiamo non tanto la seria considerazione dei lettori saggi, quanto degli onesti.
E che non dovremo noi venire disotterrando inoltrandoci nei nostri studii...! Forse dovremo fare risorgere nuovi Susani, nuovi Bastogi, che non otterranno piú, per Dio! verun attestato di probità esemplare da qualsiasi, per quanto probo e forte si possa esser barone.
E queste sono le prime avvisaglie nostre.
Quando il «Corriere di Calabria» prese a trattare della Quistione Silana, e c'invitò cortesemente a discuterla, noi ci rifiutammo, e facemmo bene. Le son questioni da tribunali, non da effemeridi; e quando anche fossero da ciò, vi ha sempre il pericolo di ferire alcune convenienze, che ogni uomo educato rispetta, e di venire ad alcune personalità dispiacevoli. E ciò che noi tememmo è avvenuto. La «Farfalla» di Torino prese a parlare di quello argomento, e noi ne riferimmo il primo articolo, che versandosi intorno a sottrazioni e mutilazioni di documenti ne parve fatto assai grave, e grave tanto che se n'era discorso nella Camera; ma quando la «Farfalla» scese ad imputazioni ingiuriose a persone, che qui in Calabria ottengono la nostra stima, ch'è poca cosa, e quella dell'universale, ch'è molta, noi facemmo alto, e non pubblicammo piú nulla della «Farfalla», neppure la risposta cortesissima che la fece all'articolo del nostro onorevole sig. Laratta, e che noi avevamo riportato nel «Bruzio». La nostra condotta non fu seguita né dalla «Unità Italiana», né dal «Popolo d'Italia», né dal «Cittadino Calabrese», giornale di Catanzaro; e quindi n'è venuta una tempesta di contumelie da una parte e dall'altra, le quali, torniamo a ripetere, dispiacciono a tutti gli onesti. La «Farfalla» ha querelato per diffamazione la «Stampa», il «Cittadino Calabrese» ha querelato per diffamazione il barone Guzzolini, e il deputato Morelli intende querelare il «Cittadino Calabrese».
In tutto questo pettegolezzo a noi dispiace sommamente che il deputato Morelli sia stato tirato pel collo. La «Farfalla», e quanti giornali hanno ripetuto la medesima accusa, hanno avuto il grave torto di attribuire il fatto del prodittatore Morelli ad un patto nuziale che fu stabilito e solennizzato non nel 1860, ma nel '62. Di questa asserzione chi conosce casa Morelli fa una solenne risata; ma se ne indegna, e fortemente e giustamente se ne indegna, chi ricorda quanto il nostro risorgimento debba a quella famiglia. Donato Morelli, ed altri pochi magnanimi hanno tra noi, avventurando sangue e sostanze, contribuito al presente ordine di cose; ed è veramente una deplorabile ingratitudine che la libertà dí stampa, beneficio del presente ordine di cose, si rivolga nei suoi primi passi contro Donato Morelli. Accusare questo uomo (a cui vorremmo un simile in ciascun nostro paese) di aver ceduto una sola volta in vita sua a basse vedute d'interesse, è agli occhi di quanti Calabresi il conoscono, un'infamia pretta e buona. E noi non diremmo queste parole, se parlassimo alla sola nostra provincia, nella quale il Morelli non ha certo bisogno che altri difenda il suo onore: ma le diciamo alla «Farfalla» 'ed al «Cittadino Calabrese», che certo non per izza, ma per ignoranza di taluni fatti, sono discesi ad alcune considerazioni, delle quali avrebbero fatto molto bene ad astenersi.
Ora il deputato Signor Morelli, esporrà accusa contro il «Cittadino Calabrese», e ci scrive che ne piaccia d'inserire nelle nostre colonne una sua risposta. Noi lo contentiamo, benché, giova ripeterlo, egli sia tale uomo, e sí altamente e meritamente locato nella stima del nostro paese, da non aver mestieri di discolpe. Protestiamo però di non volere veruna responsabilità per quelle tra le sue parole, che potessero sembrare ingiuriose alla «Farfalla» ed al «Cittadino Calabrese».
I fatti avvenuti in Calabria Ultra II nella città di Cotrone ci danno una prova dell'inerzia del governo, che in sei anni non ha fatto nulla per quelle province, ed è una tra le molte ragioni onde ci viene spiegato il favore ch'ebbero nell'urne elettorali i deputati dell'opposizione.
Gaetano Cosentini, giovane di poca o nessuna fortuna, ma colto, onesto e liberale era competitore in quel collegio col barone Barracco. N'è venuto un tafferuglio, e il popolo caccia in fuga il Barracco, ne assedia il baronale palagio, gli rompe con una grandinata di pietre i vetri delle finestre, grida: — Abbasso il Barracco! — ed invoca la «divisione delle terre».
Questa è la notizia piú spiccia; ci si parla di fucilate, di feriti, di morti, di milizie colà accorse dalla vicina Catanzaro, ma non siamo sicuri della verità delle notizie e ignoriamo ancora quale dei competitori abbia riportato vittoria.
Appoggiandosi alle grida di «divisione delle terre», non è mancato chi, travisando per mestiere la vera indole dei fatti, abbia vituperato quel popolo calabrese per essere tuttavia cosí barbaro e selvaggio da volere una legge agraria.
Esaminiamo i fatti come realmente stanno. Il Barracco appartiene a distinta, ricchissima e potentissima famiglia, la quale ha il grave torto, imperdonabile in Calabria, di «essere» o di «parere» usurpatrice in massima parte dei terreni della Sila.
Non sappiamo se motivi personali abbiano spinto il popolo cotronese al grave insulto fatto all'abitazione di lui; ma la potentissima ragione ha da essere quella per noi accennata, poiché nessuna questione, quanto la silana, è cosí vitale per quei popoli.
La Sila è un immenso acrocoro, che occupa il miluogo della Calabria Citra e della Calabria Ultra II alle cui pendici sono accasati tutti i villaggi calabri. Inalberata di pini, ricchissima di acqua, copiosa di pascoli, è la sola contrada che dà a quelle popolazioni segale, orzo, patate, fieno, legname da costruzione e da fuoco, lino di pregevolissima qualità, e che alimenta la pastorizia sí di capi minuti, che di grossi.
Un tempo era comune a tutti quei popoli, finché furono liberi: ma dai Normanni introdotto il feudalismo in quelle regioni, cominciarono le usurpazioni baronali. I luoghi chiusi si chiamarono «difese», e lo spazio libero agli usi e all'industria delle popolazioni andò via via scemando.
Si ebbe ricorso ai re della prima dinastia, e questi fecero come gli antichi giudici dei tempi esopici diedero torto alle due parti litiganti, e dissero: — La Sila è nostra, la Sila è demanio.
E le popolazioni, ed i signori delle difese furono costretti a pagare imposizioni, che prima non aveano.
Cosí fin d'allora cominciò una guerra, che non è ancora cessata: guerra ai poveri per parte dei ricchi, che ogni anno estendono le loro difese; guerra ai ricchi per parte dei poveri, che diventano briganti, e depredano le terre mal tolte; e guerra a ricchi e poveri per parte del governo, che non legittima il possesso degli uni con un giudizio regolare o con una transazione, e non contenta i voti giusti degli altri, cui manca il suolo, dove posare il piede.
Chi voglia sapere la storia di tanta lite legga le memorie del signor Barletta. Il signor Barletta era uno dei piú dotti, piú operosi ed integri magistrati sotto il Borbone; e quando il Barbone, a rendersi bene affetti i Calabresi che gli metteano tanta paura, pensò di soddisfarli, affidò a lui l'incarico di verificare le usurpazioni, e dividere le terre libere ai comuni.
Il Barletta fe' la divisione: quelle popolazioni furono contente; ma venuto il 1860, le operazioni del Barletta rimasero incompiute, parecchi proprietarii ripigliarono i terreni, ond'erano stati privati, e la triplice guerra cominciò da capo.
La Sila attualmente è un vasto insieme di latifondi, abbandonati alla pastorizia nomade, e che non dà ai suoi proprietari ed alle popolazioni tutto il frutto che potrebbe. Nelle sue vaste solitudini non sorge verun villaggio, e sono perciò asilo inviolabile ai briganti. E cosí avviene un caso singolare, che la questione della Sila fa nascere i briganti, e quando i briganti son nati è la Sila che li protegge nelle sue immense foreste.
Né paia strano questo dire che facciamo, essere cioè la questione Silana l'origine del brigantaggio. Il popolo calabrese è agricolo, né può essere altro che agricolo: farsi manifatturiero non può, perché tutto riceve da Napoli; ed anche a dargli mille fabbriche non saprebbe che farne, vivendo in parte dove non potrebbe vendere i suoi prodotti. Quando dunque gli mancano le terre, tre partiti gli restano o emigrare, o irrompere violentemente nella Sila coi suoi strumenti rurali, o irrompervi coi suoi strumenti da brigante.
E questo è quello che avviene, e questo è quello che spiega le grida dei cotronesi; non già che fossero cosí pazzi da domandare la legge agraria. Or il Governo in sei anni nulla ha fatto per terminare la questione silana che interessa due province, e tiene disgustati ugualmente i proprietari, che vogliono una volta per sempre uscire da tanto pianto e purgarsi d'una taccia che in gran parte non meritano.
(dal «Diritto» di Firenze, 21 marzo 1867).