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Vincenzo Padula Persone in Calabria IntraText CT - Lettura del testo |
Finché nelle famiglie dei nostri ricchi non cesserà l'uso immorale e barbaro di dar moglie ad un solo, e costringere gli altri figli a menar una vita o abbietta o a fianco di una druda, o minacciata da mille pericoli tra le insidie dell'altrui talamo, il numero dei trovatelli crescerà. E crescerà il numero dei trovatelli finché l'attività del commercio e dell'industria manifatturiera non darà agli uomini e alle donne del nostro popolo tali mezzi da guadagnarsi la vita, che li persuadano a conciliare mercé il matrimonio l'esigenza dei sensi con quelle della prudenza e del dovere. I matrimoni in Calabria son pochi, tenuta ragione del numero degli abitanti: gli estremi che si toccano partoriscono i medesimi effetti, e la smodata ricchezza e la smodata miseria allontanano gli uomini dal matrimonio. Per noi sta, che scopo della società sia quello non solo di garentire i dritti, che vengono enumerati dal codice, ma di assicurare l'esercizio d'un dritto di cui il codice non parla, il dritto di poter divenire padre. Dio che disse ai primi uomini crescete e moltiplicate non solo annunciò lo scopo finale della società sulla terra, ma ci diede un criterio per giudicare se sia bene o malamente organata. Noi non condanniamo il celibato volontario; gli altari del vero Dio e delle Muse lo richieggono; ma diciamo che solo allora la società sia ben costituita e ben fatta quando essa all'ultimo dei cittadini assicurerà la vita in modo, che questi sia in condizione di dire: Non prendo una sposa, non perché non posso, ma perché non voglio. Il celibato imposto e fatale è una schiavitú, è la peggiore delle schiavitú, e nel veder modo di farla sparire sta tutto il problema dell'odierna civiltà. Ma finché siffatto problerna non verrà risoluto, è giusto e santo dovere che la società paghi il fio dei suoi vizii, e raccolga da terra ed allevi i peccati che vagiscono, le immondezze che pensano, e che scivolano giú dal suo seno corrotto. I peccati che vagiscono sono i trovatelli, e le trovatelle. La nostra madre Provincia sentí questo dovere, ma le donne hanno e debbono avere la dritta, e le trovatelle ottennero da guari tempo quella compassione, che invano domandavano i trovatelli. Bisognava per ottenerla che venisse un terremoto, e il terremoto venne.
Quello del 1854, che percorse polveroso tutti i nostri paesi; lasciò vedovi di genitori ed in balía dell'evento una moltitudine di fanciulli, e il loro aspetto spaventato suggerí il pensiero di fondare un Ospizio per gli Orfani e Trovatelli col residuo della colletta bandita a pro dei danneggiati dal terremoto. Di quella colletta, è vero, profittarono parecchi che non erano trovatelli, ma ne avanzò tanto da potersi comprare sul Gran Libro la rendita iscritta di L. 1075,22 la quale cresciuta, per decreto dei Borboni delle quote da prelevarsi dai monti frumentarii, alla fine del 1861 era di L. 7544,11. Poi altra rendita iscritta di L. 110 si acquistava l'anno vegnente, poi la Deputazione provinciale (e qui merita gli elogi di tutti i buoni) mirando a migliorarne sempre le condizioni comprava al 1863 altra rendita di L. 1905, ed altra di 130; stanziava a peso dell'Opere Pie un sussidio di L. 5949,85, ed a quella della Provincia un altro di L. 5099,87: e cosí assicurava all'ospizio l'annua rendita (per dir a modo nostro e popolare) di 4 mila 878 docati, e 89 grana.
E l'Ospizio? E l'Ospizio intanto esisteva nelle nuvole. Luogo a metterlo su si era pensato il Carmine; ma quando, forniti i ristauri da ciò, quel vecchio monastero era pronto a ricevere i peccati che vagiscono, i Carabinieri si piantano dentro, né vi ebbe verso a sloggiarli. La deputazione provinciale non si scora, ma mentre fa assegnamento sull'antico Convento di. S. Teresa, ecco che questo ancora viene occupato militarmente dalla truppa. L'occupazione era necessaria, ma il modo dispiacque. E cosí gli è un vero peccato che con un fondo cospicuo di rendita l'Ospizio dei Trovatelli sia tuttavia un desiderio, e che quei poverini non abbian trovato grazia né con la Madonna del Carmine, né con Santa Teresa.
Il bravo giovane signor Zumbini ha pubblicato un suo bel discorso sull'Asilo infantile; ma questo è istituto di beneficenza, laddove l'Ospizio dei Trovatelli è istituto di giustizia; e però preghiamo tutti i buoni che s'interessano come dieci pel primo, ad interessarsi come venti pel secondo. La Deputazione provinciale ha fatto, e ben fatto il suo dovere, ed ora tocca alla Prefettura di proseguire e raddoppiare le sue istanze al Ministero, perché disponga o di altro locale per la truppa, o di altro locale pei Trovatelli. — Quest'affare è di massimo interesse. La nostra poesia popolare ha una bella canzone pel Trovatello. Essa dice cosí:
Ahi! quannu nascivi iu lu sbenturato,
Tuttu lu munnu trívuli (tríboli) facia.
Nascivi senza Mamma e senza tata,
Nascivi dalli petri de la via.
U fasciaturi duvi fui infasciatu
Era nu strazzu vecchiu, e mi pungia:
Jivi (andai) chiangiennu ad esseri vattiatu (battezzato),
Mòrezi (morí) lu cumpari pe' la via.
Un trovatello, bolla d'acqua senza nome che si disperde nell'oceano della vita, fe' questa canzone: ma chi fu quel trovatello? Egli nato tra il pianto della natura, egli nato dalle viscere delle pietre che si calpestano, va per essere battezzato, e il padrino muore per la strada. Dobbiamo temere che, pria che si apra e si battezzi l'Ospizio dei Trovatelli, passi tanto tempo, che muoia la Deputazione provinciale che tanto ha fatto per esso?