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Vincenzo Padula Persone in Calabria IntraText CT - Lettura del testo |
Quanti forestieri vengono tra noi non fanno altro che ripetere: Cosenza è il paese delle pallide terzane, delle febbri perniciose, della peste, che assale al presente, ed assalí tutti al passato, anche Maria del Pilerio; e queste male voci ci privano nei due ultimi mesi di està ed in tutto l'autunno di una metà della popolazione, la quale corre in campagna, e nei paesi nativi con danno infinito dei cittadini, e sono state in molte occasioni un pretesto specioso per toglierci or l'una or l'altra amministrazione, e quella dei Telegrafi è tra i molti un esempio. Egli è certo che in està tacciono le campane, e che il caldo migliora la salute: le malattie cominciano dopo la caduta delle prime acque sul finire dell'està, ed ecco ciò che ci offrono i registri mortuarii. In agosto i defunti sono stati 127, in settembre 137, in ottobre 140, in novembre 138, in dicembre 135, in gennaro 146, in febbraio 102, in marzo 85, in aprile 91, in maggio 67, cioè 1168 morti in dieci mesi, il che dà circa un quattro morti ogni giorno. Questo fatto in un paese come Cosenza di 18 mila abitanti è veramente spaventevole, e quando si pensa che la Morte viene ogni dí sotto monte Chirico a far colazione e pranzo, merenda e cena con quattro cadaveri, l'uomo piú ardito si sente i brividi addosso. Noi però non ci occupiamo di brividi, né dell'esplicazione delle cause, che fanno sí che i casi di morte crescano fino a gennaio, e diminuiscano dopo; ma domandiamo solamente: dove si sono mai seppelliti in dieci mesi questi 1168 morti? E quando ci sarà risposto di essersi sotterrati nelle Chiese, noi chiediamo di nuovo: — È forse maligna forza di cielo, di aria, di Sole, di acqua, e del genio del luogo che offre tante vittime alla morte, o non piuttosto il puzzo di tanti cadaveri? L'aumento della mortalità da novembre a gennaio è dai medici comunemente recato al freddo che prostra i corpi, che già si trovano sfiniti dalle recidive sofferte in settembre ed ottobre, alla scarsezza della nutrizione, a cui la mancanza di lavoro e la penuria dei viveri condanna il nostro popolo, e a quello, come diceva Ippocrate, aliquid divinum aeris, onde dicembre e gennaio furono chiamati mesi climaterici. Ma queste ragioni valgono per tutti i luoghi, e per spiegare la mortalità di Cosenza bisogna invocare un altro fattore, ed è questo: all'appressarsi della pioggia le latrine puzzano e le tombe anche puzzano. Il «Bruzio» abitando a trenta passi dal Cimitero di S. Caterina ha osservato che il fetore dei cadaveri cresce secondo i gradi di umidità, minimo nelle giornate asciutte, massimo nelle piovose; e però è evidente che il soggiorno di Cosenza non è né brutto né pericoloso nei mesi estivi, ma sí bene in quelli che cadono l'acque, ottobre, novembre, dicembre, gennaio e febbraio. In questi mesi Cosenza è una cloaca aperta; il possesso d'un buon naso diventa una sventura; l'acido carbonico, che si eleva poco, offende meno gli alti, e piú gli uomini di bassa statura: a medicare tale pestilenza si grida contro i porci, si perseguitano i cani, si chiama l'opra degli spazzini, e non si vuol capire ancora che quel puzzo scappa dalle sepolture, che i morti uccidono i vivi, e che sarebbe miglior senno agli spazzini sostituire i beccamorti.
Finché Cosenza non avrà un Camposanto, ogni compenso per migliorarne l'aria torna inutile. Le Chiese dove si sotterrano i 1168 cadaveri in dieci mesi sono nel centro della città, ed a breve distanza tra loro, ed in alcune, come in quella di S. Caterina, i morti non che sotterrarsi sotto un buon cofano di calce, si lasciano disseccare col metodo adoperato pel baccalà, e vedere quegli scheletri ritti e coverti tuttavia di pelle e di muscoli forma in ogni novembre uno strano divertimento pei Cosentini. Tra quegli scheletri ve ne ha uno con la bandiera in mano, che il volgo chiama il Re Marco e che forse appartiene alla dinastia borbonica: or finché Re Marco sta in mezzo a noi è impossibile che l'aria di Cosenza si migliori. Ad osteggiare il pensiero di formare un Camposanto decente, o di usare quello che abbiamo presso la Riforma, si armò sempre la nobiltà e la plebe, l'uno che non vuol rinunciare alle sepolture delle sue Cappelle gentilizie, e l'altra che crede di non potere andare in cielo se non si riempie di vermi sotto gli occhi del Padre Eterno, e non riposa in terreno benedetto. E i Parrochi, i Priori, ed i Direttori delle Confraternite, invece di far guerra a questo pregiudizio, lo secondano per non perdere il lucro che percepiscono dal seppellire i morti nelle loro chiese. L'uomo specula su di tutto, anche sulla morte, ed il contadino invano risparmia, e lavora per accumulare denaro; la società lo guarda con viso di compassione, e gli dice: Fa pure a tuo senno; un giorno mi capiterai sotto l'ugne, ed io ti aspetto al varco. E il varco dove il poveruomo viene atteso è la morte: allora parrochi, preti, frati, sacrestani, priori e mille diavoli gli danno addosso; ed i massimi guai di nostra vita cominciano un'ora dopo ch'è cessata la vita. Ancora il nostro popolo non sa che, come dice la Scrittura, tutta la terra è di Dio e tutta la terra è benedetta, e che si riposa meglio in campagna, e sotto un albero, o lungo la strada maestra (come usavano i nostri antichi) che nel recinto d'una Chiesa. I preti non vogliono perdere i diritti della stola nera, i priori quelli della bara, e il popolo paga, ed enormemente. Gli stupidi sono necessarii in questo mondo, altrimenti nessuno vivrebbe, e il popolo è condannato ad essere stupido. Egli sa i mille imbarazzi che seguono la sua morte, e vi pensa mentre è vivo, e quindi si ascrive ad una Congregazione o confraternita per avere assicurata la sepoltura, il facchino che lo trasporta, il becchino che lo sotterra, il prete che lo innaffia. In Cosenza il numero delle Congregazioni è soverchio, ed ecco la rendita che percepiscono per l'annue prestazioni dei Fratelli e Sorelle:
La Morte. Fratelli 210, Sorelle 80, a due carlini per testa dànno |
D. |
88,00 |
S. Giov. Battista. Fratelli 284, che pagano due carlini, e Sorelle 108, che pagano quindici grana, dànno annualmente |
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73,00 |
L'Annunciata. Fratelli 151 che pagano sei carlini e Sorelle 22 che ne pagano tre dànno |
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97,20 |
L'Assunta. Fratelli 81 che pagano 52 grana, e Sorelle 112 che ne pagano trenta dànno |
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78,80 |
Il Soccorso. Fratelli 121 che pagano 48 grana, e Sorelle 25 che ne pagano trenta dànno |
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65,58 |
La Consolazione. Fratelli 165 che pagano 5 carlini, e Sorelle 126 che ne pagano ventotto dànno |
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117,70 |
Il Rosario. Fratelli 528 che pagano 75 grana, e Sorelle 528 che ne pagano trenta dànno |
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554,40 |
S. Caterina. Fratelli 176 che pagano 48 grana, e Sorelle 204 che ne pagano trenta dànno |
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145,20 |
Suffragio. Fratelli 660 che pagano sei carlini, e Sorelle 661 che ne pagano tre dànno » |
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588,30 |
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1778,30 |
I buoni cittadini che vollero iniziare in quest'ultimo mese le Società Operaie non riflettettero che le Società Operaie preesistevano tra noi sotto il nome di confraternite. I vecchi priori dissero agli avi nostri: «Voi mi darete sei carlini, ed io curerò la vostra sepoltura; vi darò la cera, e la bara, ed una coverta per covrirvi; poi vi farò intuonare un officio dai fratelli con accompagnamento di organi, e di campane, e voi andrete gloriosamente in paradiso». Se gli avi nostri avessero avuto giudizio, ciascuno avrebbe risposto: «Priore garbatissimo, della cera poco mi preme, perché allora sarò tale che non potrò distinguere la notte dal giorno, e per trovare la porta dell'eternità non è mestieri di candele, essendo che quella porta non si sbaglia. Della coverta poco mi cale, perché allora fortunatamente non andrò soggetto a reuma. D'officio poi non voglio saperne: me lo reciterò io anticipatamente, e il mio vale quanto quello dei preti. Campane poi no, organi neppure; perché non voglio che altri infastidito dalle 155 campane di Cosenza dica: — È morto, e neppure ha cessato di molestarci! Darvi sei carlini è troppo. Ho venti anni, e calcolando che io muoia a sessanta, verrò a darvi in tutto venti piastre, che ad industriarle mi si raddoppieranno in mano. Facciamo dunque cosí. Il denaro dei fratelli s'impieghi utilmente, e si formi una Cassa di mutuo soccorso che ci aiuti mentre siam vivi, e ci seppellisca quando saremo morti». Ma gli avi nostri non ebbero questo giudizio, e le Confraternite trascorsero in turpi guadagni per pochi accorti speculatori. All'elezione d'un nuovo priore tutta Cosenza è in moto; pare che debba scegliere un re. L'ambizione è adonestata col nome di zelo religioso, di devozione, di amore pel bene pubblico, e tutte queste belle parole saranno vere, ma noi ne dubitiamo. Nel cosí detto Libro di Banca i priori notano quel che vogliono, e nel Bilancio si segna la media delle prestazioni dei fratelli, e dell'elemosine il prodotto, presunto. Bisognerebbe che la Deputazione provinciale verificasse ogni anno il Libro di Banca; perché il denaro dei fratelli sparisce misteriosamente. I priori (ed è ben inteso che parliamo in generale) hanno i loro adepti, e la loro camorra formata dalle persone piú intelligenti, alle quali sanno di dover chiudere la bocca con un osso; e alla fine dell'anno, o nella festa del Patrono dànno un banchetto. Si mangia, si beve, si tripudia, la Chiesa si muta per un giorno in taverna, e gli occhi si chiudono sopra i conti a gloria di Dio, e ad edificazione del prossimo. Bisogna dunque cambiare le confraternite in Società Operaie, o regolarne altrimenti il governo; e finché ciò non si faccia noi pensiamo che a mettere da parte per tre anni il prodotto attuale delle confraternite si avrebbe la somma di cinque mila 334 docati e nove carlini; somma sufficiente a fare un Camposanto. E da questo verrebbe abbellimento alla città, miglioramento alla pubblica salute, e risparmio (e ciò è piú importante) delle spese funerarie, le quali sono cosí enormi presso di noi, che tre casi di morte in un anno bastano a rovinare ogni ricca famiglia. Poiché, fatto il Camposanto, il Municipio organerebbe un servizio pubblico di seppellitori, il quale, dietro domanda delle parti interessate, curerebbe l'esequie del defunto in modo eguale e gratuito per tutti, lasciando però la facoltà di pagarle a chi le volesse fatte con maggior pompa. Questo nostro pensiero merita di essere eseguito: abbiamo indicato (e ciò era il piú difficile) il fondo, da cui potrà cavarsi il denaro per l'erezione del Camposanto, e l'utilità che ne verrebbe; resta solo che sorga un generoso che ne pigli l'impresa. I priori strilleranno, i preti faranno eco: ma senza strilli non si va avanti, e quando le ruote cigolano gli è segno che il carro cammina.