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Vincenzo Padula
Persone in Calabria

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II. — VARIETÀ DEL MASSARO

Il numero dei massari, onde facemmo la descrizione, cominciò a scemare sullo scorcio del secolo precedente, ed ora è ridotto a ben piccola cosa. Con le leggi eversive della feudalità sparirono gli usi civici, i beni ecclesiastici divennero allodiali di pochi, crebbero i fitti delle terre, montarono i prezzi dei pascoli, ed i massari fallirono l'uno dopo l'altro. Aggiungasi a ciò la febbre ambiziosa che invase tutti gli animi, il desiderio di uscire dalla propria classe, e l'amore del lusso, cose tutte sconosciute prima della invasione francese, e per le quali avvenne che il massaro vendé i buoi e l'aratro, il piccolo podere e la capanna per dare al figlio un'arte, od una professione. Una turba di preti, di medici, e di avvocati, di sarti e di calzolai succedette agli antichi massari, la quale se non ebbe addosso la sordida giubba del padre, e l'uosa di cuoio bovino al piede, non s'ebbe neppure né l'indipendenza d'indole, né la vita agiata e sicura, né la tranquilla e venerata vecchiaia. Tolti i pochi nobili preesistenti alla Rivoluzione francese, tutti gli altri nostri galantuomini attuali sono figli di massari che al 1789 solcavano la terra. E fin d'allora prese a scemare l'amore per l'agricoltura, e il numero degli agricoltori, e quello crescere invece degli artigiani, degli avvocati, dei medici e dei preti, con danno della pubblica quiete e della pubblica morale. Coloro che attualmente si contano in maggior numero sono i massarotti, e vanno divisi in quattro classi.

La prima classe è di quelli a cui il galantuomo proprietario uno, due, o tre paia di buoi. La spesa pel loro nutrimento e per l'aratro, pel carro e per gli attrezzi e gli accessorii di entrambi si dividono ugualmente tra il massarotto e il proprietario, e si divide del pari il guadagno. E questo secondo le annate è ragionevole. Nell'autunno per la semina del grano e in està per la piantagione del grano turco il massarotto loca l'opera sua. Ogni campo tra noi chiede tre arature, che diconsi rottura, alzatura e seminatura, ed ogni bifolca si paga tre lire e 39 centesimi, sia che si faccia per scassare, solcare, o costeggiare le porche, sia che si adoperi per trebbiare. Ed oltracciò il massarotto riceve dal padrone del campo non pane, non vino, ma il solo companatico. E poiché i mesi della semina sono varii secondo che i nostri paesi sono in valle, in monte, o a mare, il massarotto, compiuti i lavori in un paese, emigra in un altro. Nei paesi freddi si arano i terreni dopo la caduta delle prime acque, e si terminano le opere ad ottobre; da questo mese poi alla vigilia di Natale il massarotto lavora nei paesi valligiani e marittimi, e tutto quel tempo dicesi della guadagna. E la guadagna finisce con l'antivigilia di Natale, giorno solenne che il massarotto torna a casa sua col borsellino pieno, per sedersi al focolare innanzi al ceppo ardente dell'olivo, e tenere, secondo le nostre antiche costumanze, il manico della padella, mentre la moglie vi versa a friggere nell'olio le diverse ragioni di pasto, che si adoperano in quella festa. Uscito il tempo della semina, l'aratro si ripone in un canto della stalla, e si attaccano i buoi al carro: e il nolo che se ne paga è diverso secondo le distanze ed i patti. Egli è perciò che questa prima classe di massarotti è agiata nei paesi, che hanno vie carreggiabili, e miserabile in quelli che ne son privi. In questi i massarotti non trovano lavoro che in due sole stagioni dell'anno, nell'altre stentano la vita, né possono ad altro adoperare utilmente i buoi che al trasporto di legname. Il che, a tacere dei bisogni dell'industria, deve essere motivo che basti a persuadere i nostri comuni a moltiplicare il numero delle strade, che ricevono i carri.

La seconda classe è di quelli che prendono dal galantuomo proprietario uno, due, tre paia di buoi a pedàtico, specie di contratto del seguente tenore. Si fa la stima d'un paio di buoi (che valgono presso noi un 424 lire); il massarotto ne assicura la proprietà, e si obbliga pel tempo pattuito di dare ogni anno al proprietario tre ettolitri e 33 litri, cioè come diciam noi, sei tomoli di grano. Questo contratto è immorale, perché il proprietario non rischia nulla; il suo capitale in bovi è sempre sicuro, e poiché il prezzo medio tra noi di ogni 55 litri e 54 centesimi di frumento è di lire 10 e 18 centesimi, è chiaro ch'egli impiega il suo denaro alla ragione del 14 per cento.

Il massarotto della terza classe è il mezzaiuolo di Toscana. Il proprietario gli dice: «Tu hai i bovi, io ho la terra: io ti la terra, e ti anticipo le sementi. Le terre sono di dieci moggiate, ti dieci moggi di grano, e tu lo seminerai. Alla trebbiatura io mi preleverò dalla massa i dieci moggi di grano, che ti ho anticipato; piú, dieci quarti come frutto dell'anticipazione, piú trenta moggi come terratico, e il resto si dividerà». Questo contratto è immoralissimo, e nei paesi dove i galantuomini non divertiti da studi letterarii attendono ai campestri è cagione d'immedicabile miseria. Perché in tutto il Vallo di Cosenza le terre rendono il sei, negli altri paesi il dieci nelle migliori annate; sicché su per giú la media del prodotto è di otto per ogni moggio. Levatene tre di terranico, uno ed un quarto di semente, dividete a due i tre ed un quarto che rimangono, e vedrete che per un anno di fatica personale, e per frutto di quella dei buoi il massarotto non ha piú d'un moggio e tre quarti! Questa misera condizione di cose ha dato origine al proverbio: Il povero s'affatica pel ricco.

La quarta classe dei massarotti è quella dei fittuari. Avendo bovi e poche vacche, prendono a fitto terreni dove possano seminare e pascere insiememente. Nel Vallo i terreni non riposano; dopo la mietitura del grano si debbiano immediatamente, si arano, e si pianta il grano turco, e il fittaiuolo al proprietario due moggi di frumento ed altrettanti di grano turco per ogni moggio di terra. Se il terreno è irrigabile, lo coltiva a poponaie, e di questa coltura non niun merito al padrone, il quale si crede abbastanza compensato pel miglioramento che ricevono le terre dal concime voluto dalle poponaie. Negli altri luoghi vale il principio che il fittuario, deve al padrone pagare un dippiú per ogni altra cosa che semini oltre del frumento e del grano turco. 1 frutti degli alberi non entrano nel prezzo di fitto. Gli alberi comuni tra noi sono i fichi, gli olivi, i castagni, ed i gelsi. Se il fittuario ne vuol i frutti e le frondi, se ne fa la stima; altrimenti il padrone li vende altrui; per la compra della fronda del gelso il fittuario è preferito; e prima d'introdursi la seta organzina, pagava per ogni quintale di fronda quattr'once di seta cirella; ora paga otto libbre di bozzoli; e il caro dei prezzi, e la malattia dei bachi han fatto che l'industria serica va scadendo l'un piú che l'altro. Al momento che scrivo i gelsi del Vallo nostro verdeggiano di frondi, che nessuno raccoglie; ed i proprietarii invece di scemare l'enorme prezzo, che finora han richiesto, durano saldi a ritenerlo. Vero è bensi che da 15 anni a questa parte non si è fatto altro che piantare gelsi: ma l'industria serica non è cresciuta, ed i gelsi cresciuti devono ora tagliarsi.

Insomma: l'industria serica è tra noi esercitata dalle donne dei massari, dei massarotti, e degli altri contadini; ed esse la trascurano, perché spaventate dall'enorme prezzo della fronda han detto al pari dei loro mariti: Il povero si affatica pel ricco. I massarotti, di cui siamo a discorrere, mandano a male i terreni che tolgono a fitto dal ricco; giacché non avendo l'abitudine di chiudere nelle stalle i buoi rovinano tutta l'alberatura del fondo; il che fa che non trovino facilmente chi fitti loro le terre. E però dove mancano terreni comunali questi ultimi massarotti, di cui parliamo, sono assai pochi.

La sparizione della classe dei massari, e la diminuzione crescente dei massarotti sono due piaghe dell'ordine sociale tra noi. Il nostro popolo è quasi tutto attualmente di coloni e di braccianti.

25 giugno 1864.




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