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Vincenzo Padula
Persone in Calabria

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III. — I MEZZADRI

Quando i bisogni domestici e il mancato ricolto costringono il massarotto a disfarsi dei buoi, e sgocciolano la borsa del fittaiuolo l'uno e l'altro non hanno altro partito per vivere che di diventare mezzadri, o coloni. Il colono diventa tale per bisogno; il ricolto o fu scarso, o consumato, l'inverno con le sue brevi, inerti e fameliche giornate è vicino, ed egli entrando nella mezzadria comincia a porre per primo patto, che il proprietario gli faccia un mutuo, gli dia una scorta in sementi, ed in bestiame, e questi ed altri debiti si pagheranno in agosto. Stante la distanza dei fondi, la mancanza delle strade delle quali pochissime ed a stento sono cavalcabili, e la paura dei briganti, che ci fa impallidire di tutte le stagioni, il fondo dato a mezzadria rende interamente al colono, e quasi nulla al proprietario, che non può sorvegliare i lavori, assistere alla mietitura, e alle fatiche dell'aia, e deve in tutto e per tutto rimettersi alla buona fede ed all'onestà del colono, che non ha nessuna di quelle due virtú. Egli lo froda nella foglia, di cui si fa la stima troppo tardi, e della quale già si è giovato fino alla prima dormita dei bachi. Lo froda nella fruttaglia, della quale vende, o serba per sé le migliori specie. Lo froda nella quantità del grano, che confida ai solchi, e che ne ritrae. Entrato nel fondo per bisogno, ed intendendo di rimanervi finché duri il bisogno non vi piglia amore, e trascura la coltivazione, perché sa che il prodotto servirà per intero ad estinguere i debiti da lui contratti in anticipazione col padrone. E se trova lavoro presso il vicino, egli allettato dalla mercede corre a coltivare il fondo altrui, negligendo il proprio. E nondimeno il colono ha molti vantaggi: altro non divide col proprietario che il frumento, i legumi, il frumentone, e la fruttaglia; l'ortaglia è tutta sua, e solo in taluni paesi usa di portargli due volte la settimana la mancia dei cavoli, dei fagiuoli in baccelli, dei petronciani, ed infine poche reste di aglio o di cipolla. Se nel fondo vi sono terreni novali, gli se ne accorda la coltivazione per cinque annate gratuitamente; ma pochi li coltivano, perché, ripeto, i nostri coloni son poveri. Il padrone gli pure una scorta o di porcelle o di porcastri, e il frutto delle prime si divide, e si divide la carne dei secondi a Carnevale. Ma il maggiore di questi vantaggi, benché immorale, e vergognoso, è il seguente. Noi altri galantuomini calabresi, qual piú, qual meno, abbiamo tutti del Don Rodrigo, e ci rechiamo ad onore di proteggere i ladri, gli assassini, i truffaiuoli. Il colono diventa tale per sfuggire alla persecuzione dei suoi creditori: entrato nel mio fondo, quando questi al tempo del ricolto vengono a sequestrarglielo, io salto su, e dico: «Il mio credito è privilegiato», ed affaccio un titolo falso. E cosí noi invece di educare il popolo contadino al bene, gli diamo l'esempio funesto della frode, e gli tenghiamo mano nella truffa. Ma spesso l'inganno ricade sull'ingannatore, e il colono, dopo di essersi gravato di molti debiti con me, ecco un bel mi pianta il fondo, e va colono con altri. Nei poderi, che, stante la loro poca distanza dal dimestico, possono essere visitati sicuramente dal proprietario, i coloni son piú docili, i terreni meglio coltivati, i padroni puntualmente soddisfatti a metà di ogni sorte prodotti. E quindi la coltura degli alberi a frutti è piú copiosa e studiata, mentre a tre miglia dal paese le terre o son nude, o coverte di querce, di scope e di ginestre. Dalla varia forma, onde si costruiscono i nidi, si scerne la varia specie e il vario costume degli uccelli, e dal vario modo onde si coltivano le terre si deduce il grado delle guarentigie sociali in una contrada. In tutta la Calabria il fico, la vite, l'olivo, il castagno son coltivati ad un trar di pietra dal paese; e ciò dimostra che gli avi nostri vissero, al par di noi, in mezzo a ladri ed a briganti, e vollero avere sott'occhio quei frutti che facilmente e subito poteano essere involati, e quelle colture che richiedevano almeno una visita al giorno. Discorremmo altrove dell'inerzia dei nostri proprietarii in opera di agricoltura, e ne indicammo le radicali cagioni; ma quella sparirebbe in parte tosto che il giro in contado si rendesse sicuro. Come volete che i proprietarii piglino amore ai campi, se per andarvi debbono spendere in armigeri e guardiani quanto pagherebbero per condursi in Napoli? Noi ne sappiamo molti che non conoscono neppure di veduta le loro terre: le lasciano in piena balía dei coloni, i quali facendo profitto della loro paura mettono in giro le piú strane novelle di briganti nel tempo appunto del ricolto; e quei briganti talora non esistono, ed eglino a nome loro chiedono denaro od altro al padrone, e talora esistono, e se il padrone va al podere, il colono non aborre dall'essere manutengolo di quelli. E questa maledetta condizione di cose, non di oggi, ma di ieri, ma che dura da secoli rende giusti i lamenti dei nostri proprietarii che dicono al governo: «Tu mi aggravi di continui balzelli; ma rendimi almeno sicura la proprietà: tu mi spremi in un torchio, il brigante in un altro; che partito ho da prendere?». E noi rispondiamo loro: «Pazienza! Il denaro vostro è dal governo impiegato appunto a distruggere il brigantaggio, e a darvi le strade che vi mancano, e gli esempii vi stanno sott'occhio: diamo tempo al governo, e non siamo cosí ingiusti da addebitare a lui uno stato di cose creato dalla signoría borbonica, che la signoría borbonica non poté o non volle distruggere, ch'era piú terribile stando quella sul trono, e del quale neppure avevamo la soddisfazione di far libero lamento».

Oltracciò il governo non potrà mai badare alla costruzione delle strade campestri: è dovere dei proprietarii il costruirle a spese comuni; ma questo amore di associazione non è ancora nato tra noi, e ciascuno dice: «Io vado al mio fondo come posso, gli altri vi vadano come vogliono». Ed esempio di sícodardo egoismo ce lo porge Cosenza, dove non manca qualche generoso che vorrebbe incanalare le acque del Busento dal punto dove animano i molini, e condurle ad irrigare gli asciutti terreni del Vallo con immenso beneficio dell'agricoltura; e nondimeno i proprietarii non vogliono saperne.

Facciam fine a quest'articolo sui coloni avvertendo che il loro numero è straordinariamente cresciuto da cinquanta anni a questa parte. E di tal fatto la ragione è da recarsi non solo, come dicemmo, alla vendita dei beni di mano morta, alla soppressione della feudalità, e degli usi civici avvenute nell'invasione francese, ma eziandio alla popolare miseria aumentata. I nostri contadini possedevano le loro casette nel paese: moveano pei campi, se vicini, al mattino e ne tornavano la sera; se lontani, il lunedí e n'erano reduci la sera del sabato. E il sabato spira una fragranza poetica in tutte le canzoni popolari:

 

Sira passannu lu sàpatu iu

Vidivi due bardasci ragiunari 10,

 

e la bardascia aspettava il suo marito contadino sulla soglia della casetta con in mano la rocca bene inconocchiata. Poi la miseria crebbe, non ebbe piú olio per far le fritture solite e festeggiare il ritorno del consorte e vendé la padella, poi vendé la casa, e i nostri redivivi Adamo ed Eva andarono coloni per avere un tetto, dove riposare lo stanco capo. Ogni fondo infatti che si a mezzadria ha una casa rustica detta torre, e di qui il nome di torrieri dato ai coloni. E le nostre campagne si popolarono di torri e di torrieri, i quali col vivere segregati da un anno ad un altro, col non venire nel paese che rare volte, ignari di scrivere e di leggere, e privi d'istruzione religiosa vivono in uno stato che confina con quello del bruto. Ed altro male che ne nacque fu la cresciuta difficoltà di distruggere il brigantaggio, giacché il brigante trova sempre in ogni punto della campagna un covo che lo accoglie.

29 giugno 1864.




10 «La sera di sabato, passando, io vidi due ragazzi ragionare».






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