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Vincenzo Padula Persone in Calabria IntraText CT - Lettura del testo |
Tra i nostri proverbi calabresi ne abbiamo uno, che comprende in sé un intero trattato di economia politica. Esso dice: Il giudizio è dell'uomo, perché la fatica è dell'asino, e con ciò vuol darci ad intendere che il lavoro conveniente a colui, che fu creato ad immagine di Dio, sia quello dell'intelletto, e non già del corpo. La piú grande conquista che abbia fatto l'uomo avvenne il giorno ch'egli disse all'asino, al mulo, al cavallo e al bue: — Voi mi presterete le vostre forze; e tu, pacifica pecorella, e tu, sdegnosa capretta, mi seguirete nei campi, perché diano erbe a voi e frutta a me. Ma un immegliamento ne chiama un altro, e bentosto la Scienza guardando il bue insanguinato dalla ralla del bifolco agitare affannando la lunga pagliolaia, l'asino, il mulo, il cavallo incimurriti e coverti da guidaleschi e da mosche cader giú spallati e piegare le gambe mazzuole sotto il randello dell'agricoltore, gridò commossa: — E perché il dolore non potrà separarsi dalla fatica? E la fatica, la quale è cosa santa e benedetta, perché dev'essere per l'uomo esercizio e scuola di crudeltà? E qual dritto abbiamo noi di strappare un grido di dolore dal petto degli animali, che sono o aborto dell'uomo, o embrione dell'uomo? Fin da quel momento ell'emulò l'industria, e se questa avea sostituito le forze irragionevoli alle ragionevoli, ella fece un passo di piú, ed alle forze irragionevoli sostituí le inanimate. Il fuoco, l'acqua, l'aria, il vapore, l'elettrico perdettero l'indipendenza: la Scienza li disarmò, li domò, li rendette intelligenti, e, monumento dell'audacia e del genio dell'uomo, nacquero le machine. Il mondo è la machina di Dio, il corpo è la machina dell'anima, ed i corpi inanimati sono e debbono essere machine del corpo nostro; in modo che conseguenza del precetto siate perfetti e simili a Dio sia quella di fare d'ogni obbietto una machina. Quando questo avverrà, e l'uomo dedicandosi alla sola nobilissima fatica dell'intelletto lascerà alla natura l'incarico di trasformare se stessa per essere produttiva, allora e solo allora ei potrà dire: — Ho ripreso il mio scettro, e sono re del creato.
L'agricoltura tra noi procede languidamente senza il sussidio delle machine, ed è mestieri che le abbia. Con l'introdurle non si rende inutile, come potrebbe parere a prima giunta, la classe dei braccianti; ma se ne fa continuo e meglio pagato il lavoro. Non è continuo ora, perché l'agricoltura non è in fiore, non si paga bene ora, perché l'agricoltura poco rende. Vi vogliono molti animali, molti uomini, emolto tempo per far fruttuoso un terreno; e ciò che si spende per la coltura è necessario che si frodi ai mezzi produttivi. Ci mancano forse terre? Vaste distese invocano il culto di Cerere, e non l'hanno; perché qui riescono difficili, colà costosi, altrove assai lunghi i lavori; e, stante la deficienza degli stromenti, e le male ed inveterate abitudini dei nostri coltivatori, il terreno non si scassa profondamente, le mal'erbe e le radici non si sbarbano dai luoghi infeltriti e sterpigni, l'aria, che le nutre, e la luce, che le confetta, non gioca liberamente tra le zolle sollevate: queste non si dirompono bene, il piú della semente soffocato dal loro peso non mette; e tali ed altre cagioni fanno che dei terreni, molti si abbandonino come lavoratíi, e quindi diventino lame e motacci, ed i pochi che si lavorano gittano cosí scarso, che il proprietario è costretto il meglio che può a scemare il salario del bracciante. Considerate poi i suoi palpiti quando le biade pigliano ad essere da mietere, quando già son mietute, quando le gregne sono abbicate. Come teme un subito acquazzone, come desidera una finestrata di Sole, un soffio di vento che sollevi la pula! Questi timori e queste speranze non lo agiterebbero certo se avesse machine per mietere e per trebbiare, che fanno presto e bene, e non lasciano all'arbitrio di un'ora di tempo piú o meno favorevole le fatiche d'un anno. In queste condizioni della nostra agricoltura sarebbe assai sciocco chi dicesse ai proprietarii: — Crescete il salario ai braccianti —. E chi di loro non riconosce e non geme della scarsezza di quel salario? L'economia politica ha le sue leggi inflessibili come quelle della fisica, né vi può autorità governativa, o religiosa; ed una di sue leggi è questa: Il salario cresce secondo che il lavoro è piú richiesto e produttivo; sicché a migliorare la sorte dei braccianti è mestieri di aumentare le opere agricole, e renderle giú fruttuose, non già predicare principii di morale e di religione, per intendere il cui linguaggio l'economia politica non ebbe mai orecchie. Unica via a conseguire lo scopo, cui miriamo, è d'introdurre le machine: con esse si rendono di facile coltura terreni, che ora si lasciano inculti, e quindi i braccianti avranno continuo lavoro: con esse si ha economia di tempo, di opere, e di animali, e maggiore sicurezza di raccolto, e ciò che in queste cose si risparmia si accresce al salario dei braccianti. Né vale la vecchia obiezione che con le machine si scemi il numero dei braccianti necessario a fornire un'opera; perché se ora io proprietario senza machine coltivo una moggiata di terreno con cinque villani, avrò, è vero, quando sarò fornito di machine, bisogno di un solo bracciante; ma in questo caso, stante l'economia delle spese rurali, e il prodotto maggiore, io coltiverò ogni anno non piú una moggiata, ma cento, ch'ora si lasciano inculte, e cosí darò da vivere non a cinque braccianti, ma ad un centinaio.
Con tutta dunque la forza che può venirci dall'amore, che sentiamo vivissimo pel bene della povera gente, per la ricchezza pubblica del paese, per l'onore della provincia noi gridiamo che si istituisca in Cosenza un podere modello, e s'introducano le machine. Ma a noi manca la volontà di iniziare: noi siamo simili ai pulcini, che han bisogno che la chioccia vada loro innanzi razzolando e beccando, perché imparino a razzolare ed a beccare. È mestieri che il governo della provincia dica ai nostri proprietarii e braccianti: — Ecco! io son divenuto agricoltore; venite e vedete l'opere mie —. I terreni bagnati dal Busento, collocati nel Carmine, e sotto la mano della città sono i soli che sieno opportuni per un podere modello. Proprietà una volta delle monache, ed ora della Cassa ecclesiastica potrebbero ottenersi in dono dal governo centrale, ove il Consiglio provinciale ne facesse calda e ragionata domanda, e il Prefetto l'avvalorasse. Per l'acquisto delle machine abbiamo fondi bastanti: in Napoli ne vedemmo parecchie nell'opificio di Henry e Macry, ed il prezzo n'e mitissimo. Un aratro alla Ridolfi, alla Lambruschini, alla Van Maèle costa 120 lire; 350 uno spianatoio alla Croskill; 100 il seminatoio di Hugues per lo spargimento delle sementi a volata, e 400 quello di Garrett per la semina in linea; 600 la machina da mietere alla Mac-Cormick, e 1300 la machina trebbiatrice sul sistema Pinet che dà ad ora 40 ettolitri di grano. La spesa dunque totale per queste machine sarebbe di 675 dotati, e la Provincia che ne paga 710 per le due nostre accademie non dovrà spaventarsene. La sola loro veduta, ed una sola esperienza dell'uso che se ne fa e della utilità che se ne ricava porterebbe una subita rivoluzione tra noi. I proprietarii se ne invaghirebbero; ne farebbero acquisto prima due, poi tre, poi tutti; crescerebbe l'amore per l'agricoltura, ne diverrebbero continui i lavori, piú sicuri e abbondanti i prodotti, e conseguenza di tutto ciò sarebbe l'aumento del salario ai braccianti e il loro miglioramento morale. È per questo ultimo vantaggio che noi insistiamo principalmente per l'introduzione delle machine. Il nostro popolo è bruto, perché esercita i muscoli e non i nervi, perché conversa con la terra, e con le pietre, le quali non parlano né pensano, e il rendono muto ed irragionevole al par di loro, perché travagliandosi da mane a sera non ha d'avanzo un ritaglio di tempo per istruirsi, ed esercitare la facoltà della mente. Si grida: Introduciamo le scuole serali, o almeno le scuole nei giorni festivi; e non si riflette che un poveruomo che ha le reni rotte per un lavoro di dieci ore d'inverno e di sedici di està ha ben altro a volere che le nozioni di geografia e di storia patria. Vuole il letto, vuole il sonno, vuole la scodella piena di patate. Ma introducete le machine, e questo sconcio sparirà. La machina è l'opera dell'intelligenza, è l'istromento dell'intelligenza; e il contadino per trattarla dev'esercitare la sua; e poi, il lavoro con le machine non è continuo, ed a lui rimane sempre tempo per vivere scioperato. E ricordiamoci bene che il progresso della civiltà ad altro non tende che a scemare il lavoro, a crescere l'ozio, perché in economia politica ozio è sinonimo di ricchezza. Dopo di ciò ci sarà permesso di esprimere un altro desiderio, e potremo dire ai Sindaci: — Siate benemeriti della patria, ed istituite nei vostri comuni un piccolo orto agrario ed una scuola di agricoltura! — Mezzo ettaro di terreno irrigabile vicino al paese basta a ciò, bastano venti lire per libri, bastano altrettante per l'acquisto delle piante piú necessarie. Torneremo in seguito su questo argomento; e mettiamo fine col dire che se il governo ha fatto il dover suo quotizzando ai proletarii i terreni comunali, è necessario che noi facciamo anche il nostro. E quale esso sia il dicemmo altrove. Svegliamoci dunque dall'inerzia in cui viviamo: tutti noi desideriamo considerazione e rispetto del nostro popolo, e finora (Galantuomini di Calabria, permettete che ve lo dica) l'abbiamo cercato ed ottenuto a forza di opprimerlo, di minacciarlo, di percuoterlo, di disonorarlo. Ne abbiam voluto il timore, non l'amore, la servilità, non il rispetto, ed a nessuno di noi venne in cuore il generoso pensiero di dire: — Voglio essere rispettato a forza di beneficii —. È tempo che questo pensiero nasca; è tempo che facciamo ministri di civiltà, e di morale; è tempo che la provincia da una parte, e noi dall'altra concorriamo a redimere dalla miseria, dall'ignoranza, e dalla viltà in cui vive codesta moltitudine di Cristi ignudi, che ci dicono: «Non abbiamo altro che le braccia, e noi siamo nati da un afflitto legno». E l'afflitto legno onde son nati, è la Croce di quel Dio, che gli ha redenti.