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Vincenzo Padula Persone in Calabria IntraText CT - Lettura del testo |
Mettiamo insieme queste tre classi di persone perché precipuamente si trovano nelle maremme. Gli orti, che, dove son presso al domestico si chiamano, da noi, chiuse o visselle, tolgono il nomedi giardini quando sono inarborati d'agrumi. Gli agrumi amano luoghi caldi e solivi, e i pochi, che piú per averne abbellimento che frutto, si coltivano nei terreni valligiani ed alpestri, infogliano e fioriscono bene, ma non legano sempre, e per ammirarli in tutto il loro rigoglio ti è d'uopo cercarli sul Tirreno e sul Jonio. Sul Tirreno la coltura n'è meno estesa, ma si ottengono frutta, piccole sí, ma di sapore piú squisito, e fanno migliore prezzo, atteso il commercio che quelle parti hanno piú animato con Napoli. Le specie di agrumi conosciute da noi sono il limone, il limoncello, la lumia (limuni duci), la lima (piretta), il portogallo, il portogallo sanguigno; il cedrato (citru), la cedratella, il bergamotto, il melangolo, l'arancio, e la bizzarria, il cui frutto ha la buccia della lima, e la polpa del portogallo. I nostri giardinieri hanno un proverbio di somma sapienza, ed applicabile a tutte le vicende della vita umana: Dall'agro il dolce; e fu desunto dal modo che tengono di propagare gli agrumi. Sull'ingresso di maggio sotto le sortite (pedaruli) dei limoni tagliano a guisa di anello la corteccia, non intaccando però il libro; poi pungono in piú punti, ma lievemente e senza offendere il legno, la buccia delle sortite; e quando ciò si è fatto vi si pone sotto un cantarino pieno di concio crivellato e ben smaltito, in guisa però che copra il taglio ed i buchi delle sortite, d'onde queste non vogliono molto a cacciare le loro barbuzze. Si ottengono cosí pianterelle di agri limoni, che coi nesti ordinarii adottano facilmente il dolce portogallo, e le altre ragioni di agrumi. I padroni non fanno coltivare i giardini a loro mano, né andarli a metà: li concedono in fitto, ed i giardinieri oltre al pagamento del prezzo pattuito, si obbligano a fornir loro due volte alla settimana la mancia (tavola), e rinunziano a tutti i casi fortuiti. Questa condizione alimenta mille paure nell'animo del giardiniero, poiché le brinate, (jàstima) le caligini, gli oragani sono frequenti nelle maremme, e quando la Madonna del Carmine sua patrona gli si porge poco propizia, egli vi scapita e ne va col peggio. Di qui indole stizzosa, scortese, inserpentita: il drago degli orti Esperidi rivive in lui sotto altre sembianze, e se il viandante può per tutto entrare sicuramente nei colti, e cogliervi un frutto, spesso restò freddato da un colpo di moschetto a spiccare un'arancia. Il volgo, che dice tutto a suo modo, ha ben detto: Il giardiniere ha sempre un limone in bocca. Nelle annate di modesta abbondanza una pianta di agrume di comune grandezza si corona di mille frutta di sua specie, il cui prezzo è vario secondo le stagioni. Da ottobre a febbraio cinque portogalli, o lumie, e via dicendo, fanno cinque centesimi; poi il prezzo ne monta a poco a poco, tanto che un Portogallo fa un soldo. Si vendono anche in grosso, ma né a carpenti, né a peso, bensí a migliaio, ed un migliaio si dà via a dodici lire e 54 centesimi nei primi tempi, a 50 lire e 28 centesimi negli ultimi ed a prezzo oscillante tra l'une e l'altre in quei di mezzo. Li comprano in grosso i mulattieri, che li someggiano nei paesi alpini e valligiani, e le barche di Taranto e di Reggio. Gli agrumi sono generalmente poco studiati, e dei fiori e delle buccie non si cava verun profitto.
Dove provano gli aranci, provano pure gli olivi. Terreni ulivati trovi alle pendici ed al piemonte della Sila, ma pochi. Sono gli olivi sparsi per le vigne, e come le loro coccole pigliano a vaiare si raccattano, perché non siano o involate dagli uomini, o dagli animali, che, come abbiamo detto, s'immettono alla libera nei nostri terreni. Le donne montano sull'albero con un paniero infilato al braccio, e dove la mano non giunge si tocca con la bacchiola; e per questo modo s'impiagano malamente le piante, e si hanno olive immature, delle quali non è ancora uso di cavare l'olio onfacino, ma le si ripongono a dimora nel granaio, finché stagionino, e siano al caso di essere portate al trappeto. Nei terreni valligiani gli olivi sono piú frequenti. Tu ne trovi inarborate vaste pianure, che si coltivano anche a grano, a frumentone, ed ortaggi; e le olive, o si raccolgono dal padrone a suo conto, e se ne fa la stima mentre son pendenti, o si danno alle popolane che, riconoscono il proprietario o con denaro, o con olio. Esse vendono le bianche, e massime gli olivoni e gli orboli (tummarelle), che s'indolciscono a tenerli nel ranno, nella calce, poi in acqua frequentemente rinnovata; e cinquantacinque litri di questa sorta olive fanno sei lire e settantotto centesimi. Le moraiuole, che maturano prima delle rosselline, sono piacevole mangiare, quando abbattute dal vento son rimaste a far le grinze per terra. Si raccattano, e parte s'insalano, parte lievemente scottate (sqalate) si condiscono nelle terzaruole con sale, finocchi, ed origano e vengono a desco alla chiamata di olive origanate. I fattoi sono per tutto dentro l'abitato. Nessun nostro galantuomo si crede proprietario davvero quando non abbia un trappeto, e tutti i trappeti sono fatti ad un modo. La pila (fonte) è un piatto circolare di pietra a fondo piano, sulla quale ruota la macine, mossa per mezzo d'una stanga, che vi è attaccata, o da un mulo, o da un bue, o da una brenna, a cui si mettono i paraocchi (panarelle). I fattoiani son sempre tre, l'oliandolo (agliere), l'attizzatore (tizzuni) e il saccardo o vetturino che tien mente alla bestia. A destra in fondo è il torchio, a sinistra il focolare, con una caldaia sul fuoco. La popolana vi porta la sua sacca dí olive, una somella di legna, l'acqua per la caldaia, e la minestra di fave, o fagiuoli, e pane, formaggio, e salame per spesare i fattoiani. Si versano le olive nella pila, e il lavoro incomincia. Ad ogni giro della macine l'attizzatore con una pala gliene rammassa di sotto. La macine non è solcata, e polpe e nocciuoli s'infrangono insieme con grande nocumento alla bontà dell'olio. Quando la pasta è fatta, la si caccia a mano dentro le bruscole o gabbie (fischiuli), le quali son tessute di giunco. Poi le gabbie cosí piene s'incastellano sullo strettoio, vi si pongono sopra troccoli circolari di legno, e quando l'acqua leva le bolle ed i sonagli il saccardo ve la versa, l'oliandolo gira la manovella del torchio, e l'olio fila giú in un tino sottoposto, collocato in fondo ad un pozzo. E prima stringono le olive, poi la sanza (rifatto), poi il sanzino, e ad ogni volta le bruscole si rigovernano con acqua bollente. Olio vergine, olio spremuto a freddo non si fabbrica che nei luoghi, i quali vicinano il mare, e neppure dalle olive, ma dalle bacche degli oleastri, onde spesso colà ti abbatti a vedere intere boscaglie. È sommamente prelibato, ma i proprietari non lo mettono in commercio, ma lo serbano a loro delizia. Quando finito si è di stringere il torchio, l'oliandolo si sbraccia, cala giú nel pozzo con una mezzina di creta e cappia l'olio dalla tina. Ciò si dice crescere, che per un'antifrase, che ricorda il mactare dei latini significa finire; e mentre si cresce serbasi profondo silenzio, l'uscio di via si rabatte, si toglie l'ingresso al frate che vi viene per la questua, e si crede che l'occhio fascinatore di lui, e il far rumore impediscano l'entrata all'invisibile San Martino, la cui invisibile presenza nel trappeto si stima necessaria ad aumentare il prodotto delle olive. E se altra donna passando per strada faccia capolino dallo uscio e domandi alla popolana nostra: «Comare, hai cresciuto?» si ha in conto di augurio cattivo, e non le si rende risposta.
Per ogni macinata, la quale è di uno ettolitro e trentotto litri, i fattoiani ricevono a mercede due chilogrammi e ventidue grammi di olio, dei quali si fanno tre parti eguali, una per l'oliandolo e l'attizzatore, una pel saccardo, ed una pel padrone del trappeto, il quale prende pure la parte che tocca al saccardo, quando la bestia che muove la macina è sua ed il saccardo n'è il garzone. L'olio poi che sgrondando a poco a poco dal torchio e dalle doghe della tina si rigaglia la dimane nel fondo di questa si dice la pezzente, e cosíffatta pezzenteria di olio cade per intero a beneficio dei fattoiani. Passa ogni credenza la quantità squarciata di olio che ingoiano costoro; la favata, che dalla popolana viene apparecchiata per essi, deve nuotare nell'olio, e poiché in un giorno fanno la macinata ad una, a due ed a tre popolane, è chiaro che in un solo giorno sventrano tre volte. Fanno dunque cotenna, fanno, come diciam noi, coppa da frate, e il colore del loro viso pende in quello dell'olio.
Questa cuccagna nei paesi alpini non va oltre i due mesi, ma tiene otto e dieci nelle maremme. Colà, piú che in veruna altra parte, grazie all'aere felice gli olivi adeguano le piú alte querce; il loro glauco colore si mesce a quello del mare, e si armonizza con esso, perché le stesse cause atmosferiche, che danno all'onde una tinta cenerognola, arrovesciano dalla parte, ch'è bianca, le fronde degli ulivi. Ivi, come in tutti gli altri paesi, gli olivi si propagano per talee (martella); se ne fa posticcio, ed i piantoni, che se ne levano per essere venduti, fanno una lira l'uno. Ed i terreni ulivati sono estesissimi, e gittano una rendita cosí squarciata, che i signori di quei luoghi sono i soli in Calabria, che menino davvero una vita signorile. I terreni si lasciano sodi un anno sí, ed uno no, e si pongono alternativamente ora ad orzo, ed ora ad avena, a grano mai. Gli olivi restano ignari di scure per tre anni; al quarto si potano, si mondano, si schiariscono, ed a condurre quest'opera vengono tra noi i Pugliesi; ma la dibruscatura (spúlica) si fa ogni anno. La porta del Casino è nel mezzo dell'Oliveto: le stanze a terreno servono ad uso di magazzeni, di coppai, di cammini, di trappeti, e di alloggio ai fattoiani. Attorno attorno una serie di casotte ad un palco, con soglia liscia, e dove albergano le donne chiamate a rassettare l'olive. I proprietarii si tolgono alla città sulla fine di ottobre e il capo di novembre, e scendono a svernare nei casini, ed assistere ai fondi; perché stante il proverbio loro l'oliva piú pende piú rende, la si raccatta per terra, né si abbacchia, né si coglie sull'albero, e tra per questo, e tra per la vastità degli oliveti la raccolta delle olive va da novembre a tutto aprile. Il piú delle raccattatrici è di montanine: il proprietario dà loro innanzi qualche moneta a buon conto, ed elleno, ricevuta la buon'andata dei loro vecchi che dicono ad esse, sospirando: «Guardatevi l'onore», si tolgono con piacere al fumo, al fango, al freddo dei monti natali, corrono a folte allegre schiere alle maremme, e vi travasano con essoloro il gallo e la gallina e il porcello. Il piú vago spettacolo è d'inverno nella marina del Jonio: giovinette di tutti i tipi, che vestono di tutti i colori, che cantano in tutti i tuoni, ora sole, ora a gruppi, ora ritte, ora piegate sotto l'ombra degli ulivi.. Un mesano (misaruolu) che tira una lira al giorno è il loro soprintendente. Le chiama appena giorno al lavoro, le sgrida per poco che si disaffatigano, le codía perché sotto i cespugli non nascondano qualche monzicchio di olive, e quando, posto il sole, le sciopera, caccia loro le mani addosso (e questo atto villano noi vedemmo con gli occhi) frugandole nel petto e nelle tasche della sottana. Alle poverine è fatta facoltà di mangiare l'olive passe (morte) chetrovano per terra, ma non quella di portarsene a casa. Non tirano piú di 34 centesimi al giorno: tutti i loro dí son di maghero; agli, cipolle, olive, e pane vecciato è il loro cibo; né mangiano mai cucina, se non quando abbattendosi in qualche cicoria o ramolaccio (laprista) ne fanno minestra, ed ottengono per condirla un filo di olio dal padrone. Questi, e se non questi, i figliuoli e gli amici di lui aliano attorno a quelle giovanette, facendo gli occhi dolci, ed elleno che sono astute la lor parte fanno ad essi un milione di forche e di moine. Molte ed assai molte immemori dell'avvertimento paterno vi perdono l'onore; molte sono piú avventurate, e prima divengono concubine, poi mogli di alcuno dei loro padroni. Gli esempii ne abbondano, e questi esempii hanno nociuto alla moralità delle nostre montanine, che corrono alle maremme in cerca di buone avventure. La sera alloggiano nelle casette che, come dicemmo, circondano il casino, e filano, e conversano fino a due ore di notte; la sera sopra domenica si danno all'allegria, e cantano e ballano facendo castagnette con le dita, e suonano i loro cembali nelle ricche stanze dei padroni che amano godere della voce, e delle grazie di quelle poverelle, alle quali danno 34 centesimi al giorno per disonorarle. Noi raccogliemmo alcune loro canzoni, e le riportiamo, perché i lettori veggano quanta gentilezza di fantasia sia nelle nostre ardite montanine. Ponghiamo dunque che il padrone sia un Barone; gli sono a fianco i figli e le figlie, la nuora, ed ecco le canzoni che si cantano:
O giovaniellu carricu de cima 18
Ti edi esciuta n favuri na sintenza 19;
Ca lu Suli nun esci la matina,
Si de la vucca (bocca) tua nun ha licenza:
Chianu chianellu spunta, e pua s'incrina 20,
Vanti (davanti) li piedi ti fa riverenza.
Tu l'addummanni:— Duvi voi puniri 21
— Duvi cummanna la vostr'Accillenza.
Il baroncino dunque è cosí bello, che il tribunale di Dio ha sentenziato che il sole non possa levarsi senza il permesso di lui? Il Sole gli s'inchina ai piedi, lo riverisce e gli domanda: — Dove volete che io tramonti? — O baroncini, deh! non gittate la corruzione nell'anima di queste contadinelle, che hanno tanta poesia nel cuore.
Brunetta, ch'ammagasti lu Signuri
Chi tanta bella ti facisti fari,
Tu hai arrubbatu li sferi allu Suli,
A luna pizzutella la fa' stari,
Tu commanni li stilli ad una ad una;
Si li cummanni, li sa' cummanari,
E si cummanni a mia, su' (son) servituri,
E ti servéra cu na parma nmanu.
La baronessina è una bronzotta, e le si dice: — Tu affascinasti Dio, e lo costringesti a farti sí bella: tu hai rubato la sfera al Sole, la luna fa bocchino (pizzutella) e si aggronda perché ti vede piú bella di sé: tu comandi alle stelle, e le stelle ti obbediscono: e se comandi a me, io tua povera fanticella ti servirò con una palma in mano. O baronessine bronzotte, non sprezzate le nostre contadinelle, che concepiscono pensieri, ai quali l'aristocratica vostra mente non si è levata mai.
O signurinu cu si (queste) scarpi a ponti,
Si' pittirillu, e pari nu gegante.
Nmienzu lu piettu tua ci sta na fonti,
U papa ci dispensa l'acqua santa,
Viatu chi ni piglia de sa fonti,
Ca va alli paravisu cu li santi;
Che ugne notte si n'inghi na langella..
Il signorino ha dunque nel petto una fonte di amore, una pila d'acqua benedetta dal papa; è beato chi ne beve, perché va in paradiso, ma è piú beata la sposa giovanettina che ogni notte se n'empie una brocca. O Signorini, che siete piccoli, e sembrate giganti, non versate l'acqua torbida del disonore su le figlie del popolo!
Io rido tuttora quando ricordo una donna grassa e grossa che con l'accento del Jonio cantava:
M'è venuto a muzzicà.
E cosí continuava, dicendo che al levarsi dal letto, sia che mettesse la camicia e il giubbone, sia le calze e la gonna, vi era sempre un pulce che andava a morderla, e quel pulce era un pulce del Barone. E il Barone rideva, e noi pure.
Spesso però il proprietario non vuol saperne delle sue olive, ma le dà per una quantità determinata di olio ad un imprenditore che noi diciamo gabellotto; e sotto un gabellotto le nostre montanine son trattate peggio. L'olio nelle maremme si spreme a freddo; ma riesce di cattiva qualità. Le olive si ammassano nei camini (olivari), e là riscaldano, fermentano, imputridiscono, diventano un pastume, tanto che la pala dell'attizzatore lo spicca a grosse falde. I coppai sono in campagna nel Casino, e presso al mare, l'olio si chiude in grandi giare di creta, che si rincalzano con la sanza, perché cosí si crede che l'olio si purghi. Si vende a salme; ogni salma è di 141 chilogrammi, e 470 grammi, e il suo prezzo oscilla tra le 118 e le 119 lire.