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Vincenzo Padula
Persone in Calabria

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IL BRIGANTAGGIO

Perché i lettori possano tener dietro all'operazioni, alle quali si accinge il generale Pallavicini per ditruggere il brigantaggio, crediamo bene accennare — a che stato si trovi questo tra noi.

Il solo circondario di Cosenza non ha attualmente nessuna comitiva di briganti; quello di Castrovillari ne ha due, quello di Rossano ne ha tre, e quello di Paola, ne ha, e non ne ha.

Quello di Castrovillari ne ha due, e solo l'una di Carlo De Napoli, e l'altra di Antonio De Franco. Carlo De Napoli è nativo di Saracena, ed i suoi compagni son cinque, tutti nativi anche di Saracena, paese sospeso alle falde del Pollino come un nido di avvoltoi, e dove tutti gli abitanti, come diceva Fumel, sono briganti, parte in atto, e parte in potenza. Antonio De Franco poi ed i suoi compagni sono tutti di Basilicata, e fanno un via vai dalla loro alla nostra provincia.

Il circondario di Rossano ne ha tre, quella di Domenico Strafate Palma, nativo di Longobucco, la quale bazzica nel Bosco Pesco, nella valle di Sant'Onofrio, nel Patire e nei pressi di Paludi e Longobucco; quella di Domenico Sapia Brutto, composta di un cinque o sei individui, che ronza continuamente nel territorio di Mandatoriccio, e quella di Nicola Capalbo. Il Capalbo veramente può dire come quel diavolo, che domandato da Cristo come si chiamasse rispose: Io mi chiamo legione. Il Capalbo incede solo, ma egli solo è una banda. Di queste comitive la piú importante è quella di Palma: conta da 12 individui, e chi sia Palma, e chi siano i suoi compagni, i lettori lo conosceranno dalla seguente lettera, che quel capobrigante indirizzava nel passato mese agli abitanti di Rossano:

 

Ogne cosa alla fine vena (viene) in piano; ogne cosa secreta vena richiarata. Li tradituri sunu canusciuti; Rossanesi si sunu richiarati. Tra loru unu consiglio anu faciuto: — Si cacciamu (diamo la caccia) a Palma, nua simo sarvati. Palma lu seppi e si fui na risata. Iu su gnu Palma e sacciu certu ca mi penne (pende) la capu. Mi puozzu chiamari Re de la campagna, limusinante dei povarielli: a chine (chi) fazzu (faccio) le scarpe, a chine lu mantu, a chine comprimientu (regalo) lu cappiellu. Aju rurici (dodici) cumpagni buoni armati, e balerusi, e mi   amanu cumu tanti frati. C'era Labonia, ch'era statu rispettato, e ci ha misu nu tagliune (taglia); e mo ca sto fatto eri richiaratu, no li riguardo  chiú li Russanisi, chi mi sunu nimici richiarati. — Sa chi vi rito a vue, Russanisi? No rapportati (non riferite), ca vi rovinati. Stu guappu ch'è a Russano, e chi si chiama Pietro Vullivulli cu la vucca sua s'è avantatu ca mi taglia la capu; ma poco struscio (scroscio) ne sientu de sii paroli. Cu la capu de sto guappune (bravaccio) quattro spassi mi vuogliu pigliari; e mi viestu de vero pellegrino; dintra Russano lu viegnu ammazzaci.

 

Questa lettera è un capolavoro, e vi s'incontrano dei versi interi, perché la Siena della Calabria, dove il nostro dialetto si parla con grazia, ed i contadini sono naturalmente poeti, è appunto Longobucco.

Nel circondario di Paola dicemmo poi che i briganti vi sono, e non vi sono: e questo è verissimo. Gli abitanti di quei luoghi sono pezzenti ed imbelli; manca loro l'ardire di avventurarsi alla vita brigantesca, ed, avendone anche la voglia, mancano loro l'estese foreste, dove possano a lungo annidarsi. Colà dunque vi furono, vi sono, e vi saranno sempre ladri, ma briganti non mai; ed i ladri sono due o tre male armati, che quando sanno che un nostro mulattiere siasi condotto in Paola a comprare derrate, gli escono avanti sulla montagna e lo spogliano. E sempre si è parlato di furti colà avvenuti, di armati colà apparsi, ma raro o non mai si è saputo chi fossero. Sono uomini pacifici, ch'escono la mattina dal paese, e vi tornano la sera; e il rinvenirli è opera piú di polizia, che di altro. Il giorno 7 di questo mese un tal Domenico Marchianò, mulattiere al servizio del Perrotta da Sammarco Argentano, tornava da Paola sulla montagna all'Acqua del Sambuco gli escono innanzi due persone: l'uno aveva un fucile rugginoso, l'altro una accetta; gli si accostano, e gli rubano dieci rotoli di confetti, nove di piombo, tre paia di scarpe nuove, ed una libbra di semi di cavolo-verza! Questo fatto un'idea di ciò che siano i ladri del circondario di Paola: bisogna dar loro la caccia non fuori l'abitato, ma dentro. Quanto agli altri, non speriamo molto dall'opera del Pallavicino; e se fossimo uomini da dargli un consiglio, l'esorteremmo a valersi delle forze indigene, e di quegli uomini arditi, di cui non è penuria nei nostri paesi. Per esempio, in Campana vi hanno i fratelli De Martino, brava ed ardita gente, esperta dell'armi, e dei luoghi; ed essi, o soli, o con una piccola puntaglia di militi, basterebbero, ove se ne compensassero le fatiche, a tor di mezzo il Capalbo; e diciamo ciò perché quanto i De Martino hanno fatto ci è arra di quello che farebbero.

11 maggio 1865.




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