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Enrico Castelnuovo
Il fallo d'una donna onesta

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XIV.

 

- Disturbo?

Era Sauri, il dottore, che s'era fermato, col cappello in mano, a pochi passi dalla Teresa.

Ella dissimulò a fatica la sua noia. Pur troppo ell'avrebbe dovuto interrogare un medico. Non avrebbe però interrogato Sauri, altri ch'ella conoscesse... Sauri, a ogni modo, meno di tutti.

- Avanti pure - ella rispose. - E si copra, chè non fa mica caldo.

- Ho sentito - ripigliò il dottore - ch'ell'era  in giardino e mi son immaginato che sarebbe stata qui nel suo posto prediletto... Ma badi ch'è un posto umido, e se non istà perfettamente...

- O perchè vuole ch'io non stia perfettamente? - replicò la Teresa colorandosi in viso,

- Non so... Or ora era pallida... E qualche parola della cameriera...

- Pettegola!... O dica la verità... È stata lei a farlo venire?

- No, da galantuomo... Era una visita che le facevo io spontaneamente... E dal momento che son qui...

La Teresa capì che non sarebbe stato opportuno il voler nasconder tutto, e soggiunse: - Ho avuto iersera un disturbo di stomaco... Questa è la gran malattia.

- Mi vuol mostrar la lingua?

- Non ho più nulla!

- Via - insistè Sauri, - lasci vedere.

- Oh che noioso... Ecco la lingua... È contento?

- È bianca... sporca...

- Tornerà pulita.

- Non c'è dubbio... Ma prenda due polverine di Seidlitz.

- Domani... se ne avrò bisogno... le prenderò.

- E il polso?... Mi dia il polso.

- O Sauri... non la finiamo?

- Il polso poi... Che cos'è un medico che non tasta il polso?

La Teresa dovette rassegnarsi.

- Un po' frequente... un po' agitato - disse Sauri, - Ma non c'è febbre... Credo che una purgatina basterà... Però io la consiglierei di aversi qualche riguardo... O che bisogno ha di venir qui in riva al lago?

- Non son mica le paludi pontine... E se crede ch'io sia disposta a rimaner tappata in casa...

- No... Ma per un paio di giorni potrebbe contentarsi di star sul davanti ove c'è più sole...

- Ce n'è anche qui del sole...

- Ce n'è meno... E poi c'è l'acqua e ci son troppi alberi... Non convien dimenticarsi che siamo al 2 di novembre.

- Il giorno dei morti.

- Già, quest'anno è caduto di domenica.

- È vero, è domenica... Essendo stata festa ieri mi confondevo... credevo fosse lunedì.

Il dottore parlò alquanto delle corse di Treviso, dello spettacolo d'opera al Teatro Sociale. Ella non ci andava?

- Se sono un'invalida! - disse la Teresa sorridendo.

- Oh per sabato prossimo che c'è la corsa grande sarà perfettamente guarita... Intanto, badi a me, venga via di qua...

E per darle il buon esempio si alzò.

La Teresa si strinse nelle spalle. Tuttavia ella consentì ad avviarsi verso casa in compagnia del dottore, chiacchierando di cose indifferenti.

- Passerò domattina - disse Sauri accommiatandosi.

Ella si chinò su un cespo di rose. - Arrivederci.

Oh come gli sarebbe stata riconoscente s'egli le avesse scoperto il principio d'una grave infermità; d'una buona tifoidea, d'una polmonite doppia, d'una congestione cerebrale o di qualche cosa di simile! Come si sarebbe messa a letto docile e rassegnata, rassegnata a morire se la Provvidenza voleva così, rassegnata a guarire se, guarendo, ella non avesse più sentito la spina acutissima che ora le trafiggeva le carni. Per un istante ell'ebbe l'idea di tornarsene laggiù, appunto perchè Sauri le aveva detto che non era senza pericolo il rimanervi. Sì, ma era poi certa di pigliarsi una malattia mortale? E che ci avrebbe guadagnato a esser côlta da una febbre che la tenesse prigioniera in camera per due o tre settimane? Forse che il nuovo germe morboso da lei assorbito avrebbe distrutto la causa preesistente del suo malessere? O non l'avrebbe invece svelata più presto? Ma intanto come saper la verità, temuta e pur necessaria? Sicuro; aspettando ella l'avrebbe saputa... nello stesso tempo degli altri... e questo no, ella non voleva a niun patto, decisa com'era a portar nella tomba l'umiliante segreto.

Fu per qualche ora inquieta, irascibile; sgridò la cameriera ostinandosi a credere che fosse stata lei ad avvertire il dottore Sauri e a farla passar per malata, e dicendo che non permetteva alla sua servitù di tenerla sotto tutela. Era lei la padrona di casa, se lo ricordassero bene. E per cominciare, rinnovava, nel modo più categorico, l'ordine di non ricever nessuno.

Poi, sola nel suo salotto terreno, sprofondata in una poltrona, ella cadde in un assopimento doloroso. Si scosse ch'era già vicina la notte, balzò in piedi, sonò il campanello. La Luisa le portò il lume, le portò due o tre carte da visita ch'eran state lasciate per lei e un paio di giornali giunti per la posta.

- Comanda altro?

- Sì... allontana quelle rose. Mandano un odore troppo acuto.

- Devo riaccendere il foco in salotto da pranzo?

- Riaccendi... Non fa freddo, ma è umido...

La Luisa s'indugiava; pareva aver un'interrogazione sulla punta della lingua.

- Va, va - le disse la signora.

- Le rose le metto in sala? - chiese la cameriera.

- Sì, sì, dove vuoi - replicò la Teresa, - Spicciati.

Ella amava tanto le rose una volta. Perchè le ripugnavano adesso? Era un sintomo anche questo?

Guardò appena le carte da visita. Che le importava de' suoi visitatori? Che le importava di alcuna cosa al mondo, se ciò ch'ella temeva era vero?

Dei due giornali che la posta le aveva recati ella ne aperse distrattamente uno a cui era abbuonata da un pezzo, il Corriere della Sera di Milano. Lo spiegò, e scorrendone la terza pagina, l'occhio le cadde sopra un annunzio che certo doveva esservi comparso altre volte, ma che l'era sempre sfuggito o sul quale ella non aveva fermato mai l'attenzione. L'annunzio, stampato in caratteri piccoli, era il seguente: Il dottore Ermete Boni, chirurgo ostetrico, riceve ogni giorno dall'una alle tre. Piazza Beccaria, n. 5.

Strana combinazione! Il nome di questo dottor Boni, menzionato nella lettera recente della sua sarta con l'appellativo di celebre ostetrico, le ricompariva dinanzi a così breve intervallo e proprio nel momento in cui ella aveva il bisogno di consultare un medico, uno specialista che dimorasse in altra città e che non la conoscesse. La Teresa Valdengo non era superstiziosa, non credeva agli avvertimenti soprannaturali; pur quella coincidenza non poteva a meno di colpirla, di suggerirle un'idea molto semplice ed ovvia. O perchè non sarebbe andata a Milano, perchè non avrebbe consultato il dottor Boni? Ora, dai fondi oscuri della memoria, sorgeva in lei la vaga reminiscenza di un discorso udito tempo addietro in un crocchio di signore, non ricordava bene il dove, il quando, un discorso nel quale alcuno aveva accennato a questo dottor Boni, milanese, come a un ginecologo insigne, uno dei migliori d'Italia. Forse non era, forse si trattava di un altro. Ma invero, nel caso di lei, non occorreva affatto un medico insigne. Bastava uno al quale ella potesse aprirsi con minore vergogna.

Quando l'animo è agitato dalle tempeste, ogni risoluzione, anche d'indole secondaria, pur qualche istante di calma. Così la Teresa Valdengo, di mano in mano ch'ella si raffermava nel proponimento di ricorrere al dottor Boni, si sentiva più tranquilla, più forte, più padrona di . E nel resto di quel giorno e nei due successivi ella seppe adattarsi al viso la maschera dell'impassibilità, seppe celar ai familiari e agli estranei la cura assidua, affannosa ond'ella studiava stessa, intenta a cogliere ogni segno, ogni indizio che avvalorasse o affievolisse i suoi crudeli sospetti. Al medico ella dichiarò ch'era perfettamente guarita.

- Guarita senza bisogno delle due polveri di Seidlitz - ella disse. E poich'egli stentava a persuadersene e la trovava giù di cera, - Oh, la cera - ella ribattè - non significa nulla. Non sono stata mai color di rosa, e adesso sarò in un cattivo momento. S'invecchia, caro Sauri, e le donne che hanno resistito più a lungo danno un crollo più rapido... Convien rassegnarsi.


 

 

 




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