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Enrico Castelnuovo
Il fallo d'una donna onesta

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XVII.

 

Non c'era rimedio; ella doveva morire. Ma come? ma quando? Non in quella triste camera d'albergo, non fuori della sua città, non fuori della sua casa, non senza aver disposto prima di ciò che possedeva. Eredi necessari ella non ne aveva; fra i suoi parenti ce ne erano di ricchi e di meno agiati; non era giusto che la sua successione andasse distribuita fra tutti in egual misura. E oltre ai parenti non aveva ella qualche persona amica da ricordare, qualche persona amica da beneficare? La bontà, ch'era il fondo del suo carattere, le faceva, nello stato angoscioso del suo animo, trovare un conforto al pensiero di coloro che per effetto della sua morte avrebbero migliorato alquanto le proprie condizioni. Questi almeno avrebbero detto: - Povera Teresa!

E per lui, per l'uomo al quale, in una incomprensibile sorpresa dei sensi, ell'aveva sacrificato il suo pudore e il suo orgoglio, per lui non avrebbe lasciato una memoria, un saluto, un rimprovero? La notizia che la Teresa Valdengo era morta doveva giungergli laggiù nei mari lontani senza una parola di lei, senz'altre spiegazioni, senz'altri commenti, tranne quelli delle gazzette? Ma, scrivendogli, che avrebbe potuto dirgli?... Gli avrebbe detto tutto?... Anche il segreto ch'ella voleva portar nella tomba?... A che prò? Per avvelenargli l'anima con un rimorso più grande? Non era già espiazione maggiore della colpa ch'egli la credesse morta per cagion sua?... Perchè la colpa di Guido di Reana era lieve, era pari a quella di cento, di mille giovani della sua età che cercano il piacere dove lo trovano. Ella sola non aveva scusa, ella che aveva l'obbligo di sapere e di prevenire.

E Mario Vergalli, l'amico leale, il vero, l'unico amico, non lo avrebb'ella aspettato prima di porre ad effetto il suo divisamento? Poichè gli preparava un così acerbo dolore non gli avrebbe dato il conforto di dirgli ch'era pentita di non aver, già da tempo, accolta la sua onesta profferta?... Sì, ma che necessità c'era di dirglielo a voce? Non era meglio scriverglielo insieme alla piena confessione de' suoi traviamenti? Perchè mostrarsi a lui così diversa da quella ch'egli aveva lasciata, così scaduta, almeno le pareva, anche fisicamente, e forse coi segni sul viso di ciò che a lui pure ella voleva nascondere?

Ella rammentò l'ultima lettera di Mario. Egli fissava circa pel 20 del mese la data del suo ritorno. E non era adesso che il 7. Ella non aveva bisogno di decidersi così presto... Già ella non voleva uscir dalla vita come un codardo che fugge, ma come un forte che sente vana la lotta e piega il capo al destino.

Sempre assorta in un pensiero che le si affacciava sotto cento forme diverse, ella badava appena a quello che succedeva intorno a lei. In quella cupa giornata di novembre la notte era discesa precipitosa; poco dopo le cinque la cameriera dell'albergo era entrata ad accendere il lume, a chiuder le imposte, a domandare alla misteriosa forestiera che cosa desiderasse da pranzo e a che ora volesse esser servita. E, senza dubbio, la Teresa aveva detto: - Alle sette - ; senza dubbio ell'aveva ordinato una tazza di brodo ristretto, un'ala di pollo, un frutto, un dito di vino; perchè alle sette in punto la cameriera era ricomparsa portando seco sopra un vassoio l'ala di pollo, la frutta, la tazza di brodo, il quinto di vino.

- Non mangia nulla la signora! Sta poco bene? - Queste parole erano state sicuramente dirette alla Valdengo, che non si ricordava se avesse risposto e che avesse risposto...

Alle sette e mezzo della tavola improvvisata non restava traccia alcuna; però qualche cosa la Teresa doveva aver preso; glielo dicevano le nausee rivelatrici, sempre più violente dopo ogni boccone mangiato. Con la testa arrovesciata sul canapè, con gli occhi semichiusi, perchè così aveva l'illusione di soffrir meno, ella cercava d'ingannare il tempo, il tempo che non passava mai, cercava di far arrivare un'ora ragionevole per coricarsi.

In certi momenti le sembrava che tutto dovess'essere un sogno; un sogno il suo viaggio a Milano, un sogno la sua visita al medico, un sogno la sua presenza in quella camera d'albergo. La donna abbandonata sul canapè in preda a strazi fisici e morali era un'altra, una dalle tante martoriate del mondo; era un'altra la donna risoluta a morire. Ell'aveva bensì commesso un fallo, ma il suo fallo non aveva conseguenze; con gli anni ell'avrebbe potuto dimenticarlo.

Fugaci allucinazioni dei sensi! Era lei che soffriva, era lei che espiava!

Andò a letto alle nove. La boccetta del cloralio era sul comodino. Ma nell'atto di vuotarla nel bicchiere parve alla Teresa che alcuno le fermasse la mano. Un lampo sinistro aveva attraversato la sua anima. Se il poco liquido chiuso nella piccola ampolla le assicurava il riposo d'una notte, non avrebbero potuto più dosi accumulate darle un ben altro riposo? O come mai l'era sfuggito dalla mente un fatto accaduto anni addietro a Venezia, d'una signora che aveva voluto morire così? S'era addormentata per non svegliarsi. Oh il dolce suicidio, senza spasimi, senza contrazioni, senza dolori!

Fino allora la Teresa aveva detto soltanto:

- Bisogna morire.

Ma restavano i due grandi problemi: - Come? Quando?  - Ed ecco che a una delle due interrogazioni ella trovava risposta. Al pari della signora di cui non le risovveniva più il nome, avrebbe accumulate le dosi del cloralio sin da averne raccolto la quantità che sarebbe bastata ad ucciderla.

Passò una notte insonne, non però troppo agitata. Forse le aveva giovato il calmante ordinatole dal dottor Boni e preso sul far della sera; forse della morte, non lontana ma non imminente, ella pregustava la pace senza provarne ancora i terrori. E anche i suoi vicini di camera erano meno inquieti quella notte: quando il tintinnio dei primi campanelli eccheggiò negli anditi era già l'alba.

- Fa bel tempo oggi - disse la cameriera dell'albergo entrando nella stanza.

E aprì la finestra. Dirimpetto, la facciata del Palazzo Marino era illuminata dal sole.

La Teresa si alzò, avvertì che sarebbe partita col diretto dell'una, mandò alla farmacia con la ricetta del cloralio perchè le rinnovassero la pozione, e poich'ebbe avuta la boccettina la ripose gelosamente nella sacca da viaggio insieme all'altra ch'era rimasta intatta. Quella sera stessa, a Venezia, ne avrebbe versato il contenuto in una bottiglia più grande, e così avrebbe fatto nelle sere successive per una, per due settimane... Pur l'angustiava un dubbio... Quante dosi le sarebbero occorse per ottenere l'effetto? Non troppe a ogni modo, se i medici somministravano il rimedio con una tal quale ripugnanza e solo in dosi minuscole. - Io non ho simpatia per questi veleni - s'era lasciato scappar di bocca il dottor Boni, non supponendo di che pensieri quella frase gittata a caso avrebbe deposto il germe nella sua ascoltatrice.

E anche oggi, come ieri, dopo le dieci del mattino la piazza di San Fedele cominciò ad animarsi per l'arrivo dei corteggi nuziali che si recavano al Municipio. Ma ieri quegli sposi, quei parenti, quei testimoni che scendevano dalle vetture rattrappiti sotto gli ombrelli e coi piedi nel fango avevano un aspetto grottesco; oggi le nuove maritate, riaffacciandosi dopo il sì irrevocabile al portone del palazzo, entravano baldanzose nel sole. - Per qualcheduno la vita è bella - sospirava la Teresa. Ella doveva morire... Non per il suo fallo (quanti suicidi ci sarebbero al mondo!), non per la vergogna, non per lo scandalo, ch'ell'avrebbe accettati se non avessero colpito che lei; doveva morire per risparmiare il dono fatale dell'esistenza a una creatura innocente a cui gli ipocriti e i vili avrebbero rinfacciato l'irregolarità della nascita e che forse un giorno ne avrebbe chiesto conto a sua madre, che forse, anche amandola, non l'avrebbe stimata, che certo non avrebbe mai potuto perdonare a un'altra persona... se pur ne avesse sempre ignorato il nome... Ed era presumibile che l'ignorasse?... No, no; c'era un'unica uscita; la morte.

Verso mezzogiorno il direttore dell'albergo picchiò all'uscio.

- Desidera approfittar del nostro omnibus, o preferisce che chiamiamo una vettura - egli domandò alla Teresa.

- Chiamino la vettura - ella disse - e la mettano nel conto.

- E il biglietto della ferrovia lo ha?

- No.

- Se vuole, poichè c'è tempo, possiamo mandar subito a prenderglielo in Galleria.

- Grazie.

- Un primo per Venezia, non è vero?

- Sì... Non so quanto costi precisamente.

- Trentatre lire giuste... Ma non si confonda. Mettiamo nel conto anche queste.

- E mi raccomando di non farmi perder la corsa.

- Si figuri!

Alle dodici e mezzo, tra i profondi inchini della servitù a cui era stata larga di mancie, la Teresa Valdengo montava nel fiacre... Addio, Milano!... Ella sapeva bene che non vi sarebbe tornata mai più.


 

 

 




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