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Enrico Castelnuovo Il fallo d'una donna onesta IntraText CT - Lettura del testo |
VIII.
Nella camera quasi buia, ritta davanti allo specchio, la Teresa Valdengo finiva di ravviarsi i capelli.
Due volte Guido le aveva offerto di alzare un po' la tendina: ella aveva sempre risposto di no.
- Come puoi vederci?
- Ci vedo, ci vedo...
E a lui che le ronzava attorno non sazio ancora di carezze, non atto a persuadersi che potesse mai venire il momento dell'ultimo bacio, diceva supplichevole: - Sta tranquillo, te ne prego... Mettiti a sedere.
Egli si lamentava. - Dio mio!... Sembri già un'altra donna... Sei pentita?
Ella voltò lentamente il capo. - Tardi sarebbe.
- E allora!
- Allora che cosa, tormentatore?
- Perchè sei così fredda?... Perchè mi tieni lontano? Ci sarò lontano, domani, a quest'ora...
Nonostante il divieto, le si riavvicinò pian pianino e le susurrò nell'orecchio:
- Col corpo, non con lo spirito... Nell'ampio mare non vedrò che la tua immagine, non sentirò che la tua voce, non ricorderò che questi giorni di paradiso... Penserai a me?
Le labbra di lei si aprirono faticosamente per lasciar cadere un monosillabo: - Sì.
Nel modo in cui quel sì era pronunziato c'era come l'affermazione d'una cosa inesorabile e triste. Sì, penserò a te, ma quanto pagherei a poter non pensarci, a poter cancellare dalla memoria questo episodio doloroso della mia vita!
Parve ch'egli le leggesse nell'anima. - In che maniera lo dici!... Ecco, io lo capisco, io lo sento, tu non mi perdoni... tu mi detesti.
La Teresa trasalì. Aveva anch'egli i suoi istanti di chiaroveggenza, anch'egli intuiva la contraddizione fatale che c'è nell'amore, onde sembra ch'esso lasci dietro di sè un lievito d'odio?
Ma la gentilezza della sua natura equilibrata riprese tosto il disopra, e la vinse di nuovo un senso di compassione, di tenerezza per quel fanciullo a cui la voluttà si mutava in pianto e ch'era sincero oggi nel suo dolore come sarebbe stato sincero domani nel facile oblío.
- Scegli male il momento per dire ch'io ti detesto - ella notò con dolcezza, abbandonandogli la mano ch'egli afferrò e coperse di baci.
- Hai ragione, sempre ragione - egli singhiozzava. - Così sciocco devi trovarmi... così inferiore a te...
- Zitto, Guido, sii buono - ella riprese con quel tuono materno che inconsciamente adottava talvolta parlandogli - aiutami piuttosto a veder se ho dimenticato qualche cosa... No, che fai?
- Se devo guardare, bisogna pure ch'io sollevi alquanto la tenda... Io... così... non ci vedo.
Ella che aveva già il cappellino in testa si tirò indietro vivamente.
- Ma se dirimpetto non c'è che un muro sgretolato! - disse l'ufficiale mentre perlustrava ogni angolo della stanza.
Era vero; la casa che sorgeva dall'altro lato della calle non aveva, in quella parte, nessuna finestra. Tuttavia, ora che la luce era penetrata nella camera e ne metteva in mostra il disordine rivelatore, la Teresa vi si trovava a disagio.
- Non cercar più oltre... non ci sarà più niente.
- C'è una forcina dorata - disse Guido - questa la tengo io.
- Tienla pure,
- Grazie - egli rispose, riponendo il prezioso oggetto nel portafogli. - Hai tutto?
- Tutto, fuor che l'ombrellino che dev'esser rimasto di là... Ebbene, Guido, mi apri l'uscio?
- Dove vai?
- A casa mia. Lo sai che son quasi le quattro e mezzo? Lo sai che son qui dalle undici?
- Un lampo.
- Per noi, forse; non per la giornata che volge al suo termine... Alle sette e mezzo ci rivediamo... Sei a pranzo da me.
Egli non si rassegnava a lasciarla. - Aspetta un poco... Oppure...
Congiungendo le palme in atto di suprema preghiera, Guido continuò:
- Oppure... permettimi d'accompagnarti.
- Ma no, Guido... Perchè mi chiedi questo?
- È una grazia che ti domando l'ultimo giorno che resto qui.
- Ma no, ma no...
- O senti invece - ripigliò di Reana. - Tu mi precedi di due minuti percorrendo la calle dei Fabbri, dirigendoti al Molo attraverso la Piazza... Cammini adagio... io ti raggiungo.
- Oh meno che mai! - ella rispose con piglio risoluto. I sotterfugi le ripugnavano. - Piuttosto... tanto fa... usciamo insieme.
L'ufficiale non credeva a sè stesso.
- Dici davvero?
- Sì.
Raggiante di gioia, egli la baciò sopra il velo ch'ell'aveva già calato sul viso.
- Grazie, amore.
Passarono pel salottino ove sulla tavola non ancora sparecchiata c'erano gli avanzi della loro colazione. In mezzo alla tavola, in una coppa piena d'acqua, alcune rose bellissime spargevano intorno una soave fragranza.
Guido ne porse una alla Teresa; un'altra ne prese per sè, e l'infilò nell'occhiello del soprabito. Aperse con cautela l'uscio che metteva nell'andito, cacciò la testa per lo spiraglio.
- Non c'è anima viva.
Giunta sulla soglia, la Teresa si voltò un momento indietro. Mai più ell'avrebbe riviste quelle stanze, ove, nel tramonto della sua giovinezza, ella, la donna austera ed irreprensibile, aveva immolato il suo pudore e il suo orgoglio. Domani il quartierino di Guido di Reana sarebbe occupato da ospiti nuovi. Guido stesso le aveva detto che dovevano venirvi due sottotenenti di vascello, amici suoi... E gli ospiti nuovi vi avrebbero portate le loro belle.... fioraie, sartine, cantanti d'operette... e peggio... Ma non solo dopo di lei altre femmine avrebbero in quel luogo servito al piacere di altri uomini; chi sa quante prima di lei s'erano sedute a quella tavola, s'erano abbandonate in quell'alcova?...
Di Reana, supponendo ch'ella esitasse pel timore d'incontrar gente, le ripetè:
- Non c'è nessuno.
Ella si scosse, e con passo fermo percorse l'andito, scese le scale. Svoltata la calletta deserta, si trovarono su una delle strade che da San Luca conducono in Piazza. Camminavano a fianco in silenzio; ella con un abito di lana allacciato sul davanti da bottoni di velluto cremisi, stretto alla vita da una cintura di cuoio di Russia, con un cappellino nero guarnito anch'esso di velluto del colore dei bottoni dell'abito; egli vestito in borghese con signorile semplicità. Erano due belle persone; egli alto, bruno, agile e forte; ella di statura giusta, di forme nè esuberanti nè scarse, i lucidi capelli castani raccolti dietro la nuca, la piccola testa superbamente eretta sul collo bianco e sottile.
Le strade anguste per cui essi passavano erano quasi nell'ombra, e il sole appena illuminava il sommo delle case più alte; ma quando dall'arcata delle Procuratie sboccarono in Piazza San Marco fu come se un'altra ora del giorno brillasse sul loro capo. Bench'ella avesse sempre abitato a Venezia ed egli vi fosse già da oltre un mese, s'arrestarono tutti e due maravigliati, rapiti. Il cielo aveva il color della perla, l'aria era luce e tepore. Ma la cattedrale bisantina, palpitante sotto i baci del sole, ardeva dai marmi, scintillava dalle vetrate, dai mosaici, dai bronzi, dagli ori, con le mille vibrazioni d'un corpo che vive, che sente, che ama.
Senza parlarsi, i due s'avviarono lentamente verso la Piazzetta. Seduti sui gradini d'uno degli stendardi alcuni forestieri davano da mangiare ai colombi; altri ritti davanti alla chiesa ammiravano.
Guido di Reana toccò il braccio alla Teresa, e le susurrò:
- Non è tuo zio quello, là presso il campanile?
Era lui appunto, con un giovine, certo il conte di Schaumburg.
- Desideri tornare indietro?
- No.
Ella non tentò nascondersi; anzi con una mossa altera sollevò il velo.
Il barone Venosti Flavi vide la coppia che gli passava accanto, ma finse di non conoscerla.
- Sciocco! - borbottò fra i denti la Teresa, Poi affascinata dallo spettacolo che si offriva ai suoi occhi, disse all'amante: - Non ci badare... Guarda, piuttosto, che magnificenza!
Di mano in mano che procedevano verso la Piazzetta tra il Palazzo dei Dogi e la Biblioteca Sansoviniana, la scena si svolgeva più ampia, più varia. Di fronte, di là dal bacino di San Marco, l'isola di San Giorgio sfolgoreggiava anch'essa nel sole con la sua chiesa palladiana dalla bianca facciata, con lo svelto campanile rosso, con l'antico cenobio benedettino oggi mutato in caserma. A destra la punta della Dogana e la mole imponente della salute, e il sole, sempre il sole che, sfavillante, si calava dietro la cupola eccelsa. In fondo, e visibile soltanto in parte, la lunga striscia della Giudecca, vigilata, protetta dalla chiesa del Redentore. A sinistra, come un braccio che mollemente s'incurva, tutta la Riva degli Schiavoni arcuata da sud-est a sud-ovest, e la gran macchia verde dei Giardini pubblici, e, in una lontananza più grande, il Lido. Da quel lato l'azzurro del cielo moriva in un tenue colore di viola. Ma sulla spalletta dei Giardini, sui fabbricati di Santa Elisabetta del Lido, sulle ultime case della Riva prospettanti verso occidente, il sole, ormai basso, dardeggiava i suoi raggi, mandava bagliori d'incendio. Immobili sullo specchio dell'acqua tranquilla sorgevano qua e là bastimenti a vela e piroscafi; un vapore austriaco, un vapore inglese, un yacht americano, una corvetta greca giunta in porto quella mattina. Il Colombo, nella sua tinta bianca, aveva il solito aspetto di fantasma. Guido e la Teresa ne ritorsero istintivamente lo sguardo.
Erano fermi l'uno presso all'altra, fra le due colonne di Marco e Todero, con gli occhi rivolti dalla parte della Salute. Sembravano una coppia di sposi, una delle tante coppie che vengono qui a passar la luna di miele.
Dal Molo i barcaiuoli gridavano: - Gondola, gondola?... La gondole!