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Enrico Castelnuovo Il fallo d'una donna onesta IntraText CT - Lettura del testo |
XV.
Ma la sera del terzo giorno, sentendosi più inquieta del solito, la Teresa decise di romper gl'indugi e disse alla Luisa: - Preparerai subito la mia sacca da viaggio, quella piccola, mettendovi lo stretto necessario per un'assenza brevissima.
La cameriera la guardò attonita.
- Parte?
- Sì, domattina presto... Verrai a chiamarmi alle sei e mezzo... E che per le otto ci sia il brougham.
- Va a Venezia?
- No, faccio una corsa a Milano... Voglio intendermi con la mia sarta che non può venir lei... Sarò di ritorno per la fine della settimana.
- E... parte sola?
La domanda, fatta senz'ombra di malizia, parve indiscreta alla Teresa che aggrottò le ciglia e disse brevemente:
- Sì. Perchè?
- Perchè... non essendo stata bene...
- Sto bene ora... Dunque, bada d'esser esatta... Alle sei e mezzo. E la sacchetta, mi raccomando.
La Luisa chinò il capo e non soggiunse altro.
Alle sette della mattina la Teresa era già nel salotto terreno ad attender la carrozza.
- È poi abbastanza coperta? - chiese la cameriera mentre le infilava l'impermeabile.
- Sì, sì, oltre al bisogno... Non vado mica in Siberia...
- È un aria umida, fredda...
- Siamo ai cinque di novembre, ragazza mia - notò la Teresa accostandosi alla portiera e guardando in alto.
Il cielo era grigio; pareva quasi notte. Infatti sulla tavola del salotto ardeva ancora una candela.
Incoraggiata dai modi affabili della signora, la Luisa disse:
- Come l'avrei accompagnata volentieri a Milano!
- Grazie. Sarà per la prossima volta.
Il brougham venne a fermarsi davanti alla scalinata. La cuoca e l'ortolano erano lì a salutar la padrona. Andrea, il giardiniere, salì a cassetta.
- Buon viaggio, buon viaggio.
- Scriverò o telegraferò per avvertir dell'ora del mio ritorno - disse la Teresa ricambiando i saluti.
Il treno giunse alla stazione in orario. Ella entrò in uno scompartimento di prima classe ove non c'era che un signore vecchio, sonnecchiante in un angolo.
A Mestre salì sul diretto Venezia-Milano. Ella tremava all'idea di trovar qualche conoscente che percorresse la medesima linea e la importunasse con la sua conversazione o con le sue offerte di servigi; per fortuna non ebbe a compagni dal principio alla fine che due Inglesi, marito e moglie, immersi nel loro Baedeker: Northern Italy. Solo una volta, verso Peschiera, la signora si rivolse dalla parte della Valdengo e mostrando col dito una striscia azzurra di là dal finestrino disse in tuono interrogativo: - Garda?
La Teresa accennò di sì col capo. Parlava correntemente l'inglese, ma non era in vena di attaccar dialogo nè in quella lingua, nè in altra, e preferì lasciar credere ch'ella non sapesse neanche dir yes. E non si mosse mai dal suo posto, non lesse un libro; stette per lo più col velo calato, con gli occhi socchiusi, cercando di dormire, lottando col malessere che la riprendeva di quando in quando e che aveva sempre gli stessi caratteri.
A Brescia sentì il giornalaio che gridava: La Perseveranza, Il Secolo, Il Corriere. Affacciatasi al finestrino, si fece dar Il Corriere, lo aperse, guardò nelle inserzioni a pagamento. L'avviso in terza pagina, che da due giorni mancava, oggi c'era: Il dottore Ermete Boni, chirurgo ostetrico, riceve, ecc.
La Teresa Valdengo scese a Milano in un albergo ch'ella sapeva goder buona riputazione, La bella Venezia. Richiesta del nome, trasalì, e poichè, contro ogni sua abitudine, ella era entrata nella via delle finzioni scrisse sul libro, anzichè il proprio, il nome di una zia materna, vedova di un Francese, morta anni addietro senza lasciar discendenti, madame Gilbert. Si fece portar in camera una tazza di brodo ristretto con un rosso d'ovo e dicendosi lievemente indisposta non uscì in tutto il restante della giornata e si coricò prestissimo. Dormì forse un paio d'ore di un sonno agitato, e svegliatasi in sussulto credendo che fosse quasi il mattino accese il lume e con sgomento si accorse che non era ancor mezzanotte. Tentò di riaddormentarsi e fu vano; aperse un libro e non le venne fatto di leggere due righe di seguito. Rimase lì immobile, supina, con gli occhi sbarrati, con la mente fissa in un pensiero. Nell'andito, nelle stanze vicine si udivano suoni e bisbigli; stropiccio di piedi e fruscio di vesti; voci sommesse di forestieri discreti e voci tonanti di forestieri maleducati che senza riguardo dell'ora chiamavano dall'alto al basso della scala; usci che si aprivano e si chiudevano; campanelli elettrici che tintinnavano. O era finito allora qualche teatro, o era arrivata una corsa. Alla lunga i romori cessarono; solo ogni tanto il silenzio era rotto dallo strepito di un veicolo che traversava piazza San Fedele o dai rintocchi di un orologio. La Teresa contò successivamente l'una, le due, le tre. Oh la tristezza d'una notte insonne d'albergo ove l'orecchio non coglie un romore domestico nè l'occhio si riposa sopra un oggetto familiare; oh il senso di solitudine, d'abbandono, d'angoscia all'idea che tutto quanto ne circonda ci è estraneo e che noi siamo estranei a tutto; alla camera che ci accoglie, al letto su cui giacciamo, alla gente che divisa da una sottile parete, russa accanto a noi, e che è venuta oggi non si sa di dove e andrà domani non si sa dove! Oh il desiderio affannoso del sole, del sole mite e benefico, che dissipa l'ombre, che calma i terrori, che mette un po' di pace nei nervi agitati!
Ma quando, a giorno fatto, la povera donna si alzò, non brillava il sole. Dal cielo grigio di novembre scendeva un'acquerugiola fina, di quelle che minacciano di durar per un pezzo. Dalla finestra che dava sulla piazza di San Fedele la Teresa vedeva i fiacres gocciolanti immobili sotto la pioggia, coi cocchieri avviluppati nell'impermeabile e i cavalli coperti il dorso da una tela cerata. In mezzo alla piazza la statua in bronzo di Alessandro Manzoni acquistava in quell'umidità una lucentezza insolita; i pedoni passavano silenziosi sotto gli ombrelli, evitando le larghe pozze sparse qua e là.
La Valdengo ordinò la colazione in stanza per le undici e mezzo e un fiacre per l'una in punto.
- Devo aspettare a far la camera allora? - chiese la donna dell'albergo.
- No, no - rispose la Teresa. - Fate come s'io non ci fossi... O piuttosto sbrigate ciò ch'è più necessario, e finirete quando non ci sarò.
Alla richiesta se si tratteneva la notte ella ebbe un momento di esitazione; poi rispose di sì. L'era duro il passare un'altra notte all'albergo, ma non sarebbe potuta partire che alle undici di sera, e a quell'ora, così sola, non le piaceva.
La fantesca andava, veniva, portava gli asciugamani puliti, rifaceva il letto, spolverava i mobili, guardando di sottecchi quella signora dall'aspetto sofferente che sedeva nell'angolo del canapè, tutta imbacuccata nello scialle per ripararsi dall'aria umida che entrava per la finestra aperta. Aveva voluto lei che si spalancassero i vetri, per ventilare la camera, e anzichè scendere nella sala di lettura era rimasta lì a prendersi il freddo. E sì ch'era una dama. Lo si capiva dalla fisonomia, dal vestito, dai modi, dal portamento; era una dama e non doveva essere avvezza ai disagi. Ed era maritata; aveva l'anello al dito. O perchè non aveva portato seco la cameriera? Perchè schivava la gente? Aspettava qualcheduno? O doveva lei andare a cercar qualcheduno con quel fiacre che aveva ordinato pel tocco? Non c'era verso d'attaccar discorso. La Teresa pareva una statua. Non che fosse superba o sprezzante; che anzi se diceva qualche parola, la diceva con una voce dolce, con un tono affabile, come di persona che si raccomanda: ma era chiaro che aveva di gran pensieri pel capo e che desiderava esser lasciata tranquilla.
Alla fine la donna richiuse la finestra e piantandosi dinanzi alla Teresa: - Ha bisogno d'altro? - le domandò.
- No, grazie - rispose l'interrogata,
Appena fu sola, la prese una delle sue nausee violente, ed ella dovè portarsi il fazzoletto alla bocca... Ahimè, quei sintomi che si ripetevano ostinatamente, uniti ad altri indizi non dubbi, quasi rendevano superfluo il consulto. Che male poteva essere il suo, se non era il male che tante spose invocano come pegno di gioie soavi e ineffabili?
Comunque sia, se il suo non era che un sospetto, ella voleva mutarlo in certezza; s'era già una certezza, ella voleva avere una certezza più grande. L'orologio segnava le dieci e un quarto. Ancora tre ore, ancora tre ore e mezzo prima di poter recarsi dal dottor Boni. E s'egli non fosse in città? Se impegni precedenti gli avessero impedito di riceverla? Che avrebbe ella fatto? A chi si sarebbe rivolta, ella che non conosceva nessuno?
Pur l'animo della Teresa Valdengo era così pieno d'angoscia che non le restava posto da accoglier questa nuova ragione d'ansietà, ed ella cacciò da sè il dubbio che il dottor Boni non si trovasse in paese o fosse impedito. E intanto, ritta dietro i vetri, ella assisteva distratta allo sfilar delle carrozze che a tre, a quattro, a cinque, sboccando da Santa Radegonda, da piazza della Scala, da via dell'Agnello, portavano al municipio i corteggi nuziali, e si fermavano sotto la pioggia, davanti al palazzo Marino, di fronte all'albergo. Scendeva dal primo legno la sposa, per lo più con un mazzo di fiori in mano; scendeva protetta dall'ombrello del compare, vigilata teneramente dai parenti; poi con passo ora tardo e vacillante, ora svelto e sicuro, saliva la piccola scalinata, ed entrava nel portone del palazzo di cui gli uscieri municipali tenevano aperti i battenti. Seguiva la seconda vettura con lo sposo e altri congiunti più stretti, fratelli, sorelle, testimoni; quindi, nei legni successivi, venivano gli amici e i semplici conoscenti. Le carrozze, deposto il loro carico, lasciavano il posto ad un altro corteggio e andavano a schierarsi in un angolo della piazza, o intorno alla statua del Manzoni, il vecchio arguto e immortale, che dal suo piedistallo di marmo pareva sorridere all'amore e alle nozze. Di tratto in tratto, dal portone del Palazzo civico, un usciere faceva un segno. E un gruppo di vetture si muoveva, tornava a fermarsi davanti alla scalinata, ove, dopo il sì irrevocabile, s'affacciavano sposi quelli ch'erano saliti fidanzati. Gli sportelli si aprivano e si richiudevano, i cocchieri toccavano le redini o agitavano la frusta, e via tra il fango e la pioggia... Che destino attendeva le nuove famiglie?... Che gioie, che dolori, che disinganni?