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Enrico Castelnuovo
Il fallo d'una donna onesta

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XXVIII.

 

Mario Vergalli giunse un po' prima dell'una, pallido, stravolto.

- Mi duole che non m'abbiate trovata in casa questa mattina - ella disse. - La Giulia Orfei ha voluto a tutti i costi trascinarmi a far quattro passi... Ma che avete?... Siete turbato!... Via, accomodatevi, parlate.

- Oh sì, molto turbato - egli rispose afferrandole la mano. - Teresa, Teresa, perchè tanti sotterfugi con me?

Ella impallidì.

- Quali sotterfugi?

- Voi foste a Milano - riprese Vergalli. - C'eravate nel giorno che ci fui io di passaggio... Vi hanno vista in un fiacre. E poichè quella sera la stessa persona deve aver visto me, si è creduto che fossimo insieme... Voi sapete pure che non eravamo insieme... Con chi eravate?

L'insinuazione contenuta in questa domanda fece salire una fiamma al viso della Valdengo. Pur si frenò. Non erano più i tempi in cui ella poteva fulminare col suo disprezzo chi dubitava di lei.

- Hanno ardito sostenere ch'io ero con qualcheduno? - ella  chiese.

- No... almeno non credo... Ma è vero dunque che voi foste a Milano?

- È vero.

- E perchè tacerlo?

- Non si presentò l'occasione di discorrerne.

- Come? La mattina che venni da voi vi avevo detto che arrivavo da Milano, appunto allora. Voi eravate giunta con una corsa prima, e non vi pare che fosse naturale il discorrerne?

- Dovreste ricordarvelo, amico mio - replicò la Teresa - il nostro colloquio di quella mattina. C'era qualche cosa di più importante e più grave che la combinazione d'essere stati tutti e due a Milano con poche ore d'intervallo.

- Non lo nego... ma...

La Teresa continuò:

- E non fui schietta, non fui leale con voi quella mattina? Confessandovi le mie debolezze, rivelandovi, a costo di farvi tanto soffrire, ciò che una donna è così restia a rivelare, non vi ho dato la miglior prova della mia sincerità?

- Ebbene... in tal caso dev'esservi facile spiegarmi quella vostra gita.

Bisognava mentire, e la Teresa ripetè a Vergalli la storia della sarta.

- Per questo siete andata a Milano? - proruppe il conte Mario.

- Sì, qual meraviglia? Non lo sapevate che una parte de' miei vestiti li ordino a Milano?... Per solito la sarta vien lei un paio di volte all'anno  a Venezia; quest'autunno non poteva venire; sono andata io.... Ecco, anche per la toilette sono come le altre donne.

Vergalli tentennò la testa con aria scettica.

- Vi siete messa in viaggio sola, senza nemmeno la vostra cameriera... mentre stavate già poco bene?... No, no, Teresa, dite ch'io non ho il diritto d'interrogarvi, dite che siete padrona assoluta di voi stessa, ch'io non sono nè vostro marito, nè vostro padre, nè vostro fratello, nè vostro amante; ma non mi trattate come un bambino al quale si dà a credere quello che piace.

Egli chinò la testa sul petto, schiacciato sotto un peso intollerabile.

- In nome del cielo - esclamò la Valdengo - che supponete? Ch'io fossi a Milano con un uomo, con un amante... un secondo amante... perchè il primo era ormai...?

Fece con la mano quel gesto che si fa per accennare a cosa molto lontana. E seguitò con amarezza: - A qualche giorno di distanza sarei passata dalle braccia dell'uno alle braccia dell'altro?....

Vergalli le troncò le parole a mezzo. - No, Teresa, non mi attribuite questo pensiero... Mai, mai esso mi è balenato nella mente.

- E allora?

- Allora... non so... che volete?... Sono un pazzo, sono un visionario... Perdonatemi, Teresa, perdonatemi... Era proprio partito, colui?

- S'era partito? Ne dubitate? Non è ufficiale del Cristoforo Colombo? Non deve seguire il suo bastimento?... Procuratevi i giornali, confrontate le date, e vedrete crollare il vostro castello di carte.

- Però di Reana poteva aver ottenuto il permesso di raggiungere la nave più tardi...

- Ed essere intanto a Milano con me?.... O perchè non sarebbe rimasto a Venezia?

Vergalli trasse un profondo sospiro dal petto. - Sì, sì, avete ragione... Ma in ogni caso, se pur i miei dubbi fossero fondati, di che avrei a lagnarmi? Che ci sarebbe di peggio di quello che è stato?

Benchè la Teresa dovess'esser contenta che i sospetti di lui si sviassero dietro una falsa traccia, ella non potè trattenersi dal protestare energicamente.

- Sarà verissimo; quel viaggio galante non avrebbe reso nè più grave, nè più lieve il mio fallo... Ma non fu così.

- Poichè lo assicurate voi... - fece Mario con piglio rassegnato.

- Dubitate sempre, lo vedo - diss'ella - dubitate che Guido di Reana sia rimasto in Italia, ch'egli abbia chiesto un congedo, che la nostra tresca non sia interrotta che momentaneamente.

- No, no.

La lettera di Porto Said che la Teresa aveva collocata sotto un calcafogli esalava il suo profumo di muschio.

- Vi occorre una prova autentica, irrecusabile - ripigliò la Valdengo.

- Quale prova?

- Eccola.

La Teresa mostrò la lettera a Vergalli.

Egli comprese. - È di lui?

- Da Porto Said... È arrivata questa mattina... Verificate il bollo postale.

- Vi ha scritto? - balbettò il conte.

- Vi mostrerò anche la data, anche la firma, se sarà necessario - insistè la Valdengo.

- Perchè mi torturate così? Perchè?

- Dio mio! Siete voi che mi tirate per i capelli.

- Vi ha scritto! - ripetè Vergalli con voce sorda. - Naturalmente gli scriverete anche voi.

Senza rispondere, ella lo pregò di dar un'occhiata alla stufa.

Vergalli esitava, non intendendo a che cosa ella mirasse.

La Teresa rinnovò la preghiera: - Usatemi la cortesia di guardare se c'è foco.

Egli si chinò e aperse lo sportello. - C'è un po' di brace.

- Allora prendete questa lettera e bruciatela voi.

- Io?

- Sì... voi... Prendete... L'odore mi fa male.

- Che significa ciò?

- Significa che fra me e di Reana è finito tutto... M'avete pur creduta quando vi confessai il mio fallo; credetemi anche adesso... Coraggio, prendete questa lettera e bruciatela.

Vergalli si decise finalmente a ubbidire. Strinse fra le dita tremanti la busta lucida, profumata, e dopo aver consultato ancora una volta con lo sguardo la Teresa, la gettò nella stufa. La carta s'arricciò, si contorse, s'ingiallì, si carbonizzò a poco a poco senza dar fiamma.

- Oh - disse la Teresa - non è già ch'io presuma distruggere il passato. Le lettere si possono distruggere, non i fatti.

Il conte Mario, che s'era rimesso a sedere, con gli occhi ostinatamente fissi al suolo, alzò il viso trasfigurato. Aveva l'aspetto dell'uomo che ha fermato la mente in un'eroica risoluzione.

- È vero, Teresa, i fatti non si distruggono. Ma a quelli che ci addolorano e ci avviliscono altri se ne possono sovrapporre che scancellino le impressioni dei primi.

Ella accennava di no col capo.

- Sì, amica mia, da noi dipende... Pur di non irrigidirci nel nostro orgoglio, pur di non respinger sdegnosamente l'aiuto che ci si offre... L'orgoglio, ecco l'avversario implacabile... Anch'io ho lottato con esso, ma ora, grazie al cielo, ho vinto.

La Teresa sentì gelarsi il sangue. Che voleva egli dire con queste parole?

- Nella vostra vita bella, nobile, pura - egli proseguì - vi fu un giorno di debolezza e d'oblio... Può quel giorno annullar tutto il resto? Può rendervi men degna dell'affetto, della stima dei buoni, della stima di voi stessa?... Vile chi l'ha pensato!... E se l'ho pensato io, mille volte più vile degli altri!... Ma io non l'ho pensato, io ho ceduto ad un impeto di gelosia, perchè vi amavo, perchè vi amo.

- Per carità! - interruppe la Teresa. - Non parlate d'amore.

- Del mio amore ho diritto di parlarvi... Non vi domando il vostro... Ma se in quest'ora di supremo sconforto voi provate il bisogno d'un braccio che vi difenda, d'un petto su cui riposarvi, se una dolorosa esperienza vi avvertì dei danni, dei pericoli della solitudine, accettate, Teresa, accettate quello ch'io v'offro... la mia mano, il mio nome.

Ella fece un gesto per trattenerlo.

Mario non le diede retta, trascinato dall'onda della passione.

- Se vorrete, non sarò vostro marito che in faccia alla legge, che in faccia al mondo... Sarò per voi un amico come prima... Studieremo insieme... viaggeremo insieme... Ma io vi avrò presso di me... sempre... sempre... perchè, vedete, a tante cose posso rassegnarmi... non a esser diviso da voi...

Egli era caduto a' suoi piedi, cercava le sue mani, baciava l'orlo della sua veste.

Che strazio, che supplizio per lei, e com'ella avrebbe voluto esser già morta e sepolta!... È vero, sarebbe morta domani, poteva finger oggi d'acconsentire... Ma no, nelle condizioni in cui ella si trovava, anche il finger l'assenso le pareva codardo.

- Alzatevi, Mario - ella supplicò. E per dargli l'esempio si alzò ella stessa, svincolandosi dolcemente. - Voi siete nobile e buono, Mario.

Egli pestò il piede con impazienza. - Non voglio lodi.

- Meritereste d'essere, non che amato, adorato in ginocchio - continuò la Teresa.

- Non vi chiedo nè adorazione, nè amore - ribattè Mario Vergalli. - Vi chiedo d'esser la compagna della mia vita... Ho fede in voi... A occhi chiusi vi darei da custodire il mio onore. Nulla vi domanderei del passato, di quel breve passato che fu come una nube improvvisa e fuggevole in un cielo sereno... E vi cingerei di tante cure, che, se non l'amore, l'affetto vostro saprei conquistarmelo.

- Non si conquista quello che si ha - ella rispose. - Voi l'avete da anni il mio affetto. Ma in nome di questo affetto, vi scongiuro, Mario, abbandonate la vostra idea.

- No, dunque? Voi dite no?

La voce del conte s'era fatta dura e cupa; la sua fisonomia esprimeva una sofferenza atroce.

La Teresa gli posò una mano sulla spalla. - Mario...

Egli la respinse. - Non perifrasi... Sì o no?

- Ascoltatemi, Mario - ella cominciò con dolcezza. Ma che poteva dire? Che le restavano poche ore da vivere e che tutto era vano? O doveva spogliarsi dei suoi ultimi pudori, rivelargli il suo stato?... O, infine, doveva, per guadagnar tempo, accatastar nuove menzogne?

- Lo vedete - egli proruppe - il vostro labbro non riesce a trovar scuse all'incomprensibile rifiuto... O se vi sono motivi seri, son tali che non osate manifestarli.

Ella taceva.

Vergalli l'afferrò per un braccio. - Ma parlate, per Dio... Dite una ragione... una ragione che abbia almeno un'apparenza di fondamento, e vi prometto che vi lascerò in pace oggi e per sempre... che partirò stasera...

- No... non stasera.

- Ch'io non parta?... Badate, Teresa, s'io rimango non sarà che per scoprire ciò che vi ostinate a nascondermi... E lo scoprirò, ve lo giuro.

- Un inquisitore, voi?... Non vi riconosco più, Mario - ella disse con mite rimprovero.

- Di chi la colpa?... Siete tanto mutata voi... E come non capite che il vostro silenzio autorizza qualunque sospetto?

Le dita di Mario Vergalli stringevano l'esile polso di lei come in una morsa d'acciaio.

Ella cercò di liberarsi. - Mi fate male, Mario.

Senza lasciarla, egli allentò alquanto la stretta, - Parlate. Perchè avete respinta la mia offerta, perchè?... È forse l'idea del matrimonio che vi ripugna così?

- Ecco - ella rispose aggrappandosi a questa tavola di salvamento. - Può darsi che abbiate indovinato. Vi basta adesso?

Ma la fronte di Vergalli non si rischiarò e e le sue labbra si atteggiarono a un amaro sarcasmo.

- Una volta poteva bastarmi - egli disse. - Quando credevo che a nessun altro deste più di quello che davate a me, allora poteva bastarmi... Oggi no... È troppo crudele il torto che mi avete fatto, il torto che mi fate... Come?... Avete consentito d'esser l'amante d'un libertino qualunque e ricusate d'esser mia moglie?... E vi amo da anni, e voi da anni accettate questo culto come una Madonna inaccessibile nel suo tabernacolo... Ora l'altare è vuoto... Voi ne siete discesa... Non avete più il diritto di esigere un'adorazione mistica... Io, io ho il diritto di dirvi: Che idea vi fate di me? Perchè ho la barba e i capelli grigi, perchè la mia giovinezza è tramontata da un pezzo, voi mi credete decrepito addirittura, voi credete che tutti i miei sensi sian morti, anche quello della mia dignità? V'ingannate, Teresa... Non sono nè così vecchio nè così santo da aver cessato d'essere un uomo...

Di nuovo ella sentì stringersi il polso; sentì ch'egli tentava di attirarla a sè, gli vide una strana fiamma nella pupilla, e n'ebbe terrore. Le tornò alla mente il ricordo d'un'altra violenza patita, e quell'altra violenza le parve meno ignobile di questa che l'era minacciata: men vile le parve il giovinetto lontano, cagione d'ogni sua sventura, men vile dell'amico rivelantesi d'improvviso tanto diverso dal solito. Colui soccombeva a una forza cieca della natura; in Mario c'era un'eccitazione artificiale premeditata, alimentata dalla fantasia e dal ragionamento.

Ella si svincolò con uno strappo, e ritta, addossata al tavolino, con un'espressione di ribrezzo, di sdegno, di dolore nello sguardo, con le labbra livide, esangui, balbettò: - Voi, Mario... voi mi costringereste a chiamare la mia cameriera?

Simile a un ubbriaco sul cui capo si rovescia una secchia d'acqua gelata, Vergalli si ridestò alla coscienza della brutalità commessa. Un rossore intenso gli salì al viso; le braccia gli ricaddero inerti lungo i fianchi. - Perdonate - egli bisbigliò in un soffio.

Alzò lento lento gli occhi verso di lei... Oh com'ell'era pallida, come ansava! - Teresa - egli soggiunse con voce affannosa - ma voi soffrite...

- Un poco.

Egli si voltò verso l'uscio.

- No - ella disse vivamente, lasciandosi ricader sulla sedia - non voglio nessuno... non ho bisogno di nulla... Ossia... datemi un gocciolo di cognac... il servizio dei liquori è lì sulla mensola... Una volta non ne bevevo mai... vi ricordate?... Appena di quando in quando un dito di curaçao.

Celiava, mossa a pietà di lui, desiderosa di cancellar l'impressione delle parole dettegli pur dianzi.

Beato di servirla, egli le mescette il cognac e glielo porse. La sua mano tremava.

Ella accostò il bicchierino alla bocca, ma non potè trangugiar che poche stille. Socchiuse gli occhi, arrovesciò la testa sulla spalliera della seggiola.

- Teresa! Teresa! - gridò Vergalli raccogliendo il bicchierino che le scivolava tra le dita, mentre il liquore le si spargeva sulla vestaglia.

Indi corse alla finestra e l'aprì, corse al campanello elettrico e ne premette con forza e ripetutamente il bottone.

Vennero in due, la cameriera e la cuoca, attratte dalla violenza della scampanellata.

- Presto, presto - disse il conte - la signora è caduta in deliquio.

E quasi volesse giustificarsi, soggiunse: - L'è  capitato così da un punto all'altro... mentre si discorreva... Aveva desiderato lei una goccia di cognac.

- Eh, non istà bene la mia signora - ~ sospirò  la Luisa.

- Ma che cos'ha, in nome del cielo?

La Luisa si limitò a tentennare il capo; poi si rivolse alla cuoca. - Senta, Edvige, la regga lei un momento finch'io vado di là a prendere una boccetta di sali.

Entrò nella camera da letto e ne uscì tosto con la boccetta che fece fiutare alla sua padrona. Questa ritorse il viso con una smorfia.

- Ecco... rinviene...

- Pare... sì...

La Teresa mosse le braccia, sollevò alquanto le palpebre e girò intorno le pupille incantate.

- Potrei andar per un medico - disse piano Vergalli.

La cuoca, che fino allora non aveva aperto bocca, fece una spallucciata, e non badando agli occhiacci della Luisa, borbottò con un pronunciato accento tedesco: - Importa molto il medico per questi mali!

- Insomma, che mali sono? Che mistero c'è? - esclamò il conte Mario. E mentre formulava la domanda, rapida come il tuono che succede al lampo, gli s'affacciava un'idea terribile, dolorosa, umiliante, e pur naturale... così naturale che lo stupiva il non averci pensato prima.

- Roba da nulla.... nervi.... - rispose la Luisa. - Signora, signora, come sta?

- Meglio - susurrò la Teresa con un filo di voce. - Perchè siete qui voialtre?... Chi vi ha chiamate?... Non c'era il conte?

- Ci ha chiamate lui - replicò la cameriera. E si voltò per cercarlo. Ma il conte s'era dileguato.


 

 

 




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