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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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PREFAZIONE DELL'AUTORE

 

Fin da' tempi più remoti l'ingenuo scrittore e il franco filosofo si sono assai sovente trovati in caso di dover involgere nel velo dell'allegoria certe ardite verità che i riguardi adottati dalla molle società qualificano per dure e pungenti, e che l'intolleranza dell'arbitrario potere perigliose rende a quei che hanno il coraggio di proferirle apertamente. Quindi fra i popoli orientali, sopra de' quali si è maggiormente in ogni tempo aggravato il peso dei dispotici governi, talmente comuni divennero le parabole, gli apologhi e generalmente l'uso delle allegorie, che formò, per così dire, il gusto e il carattere del loro linguaggio.

Famosissimo sopra tutti i loro scrittori in questo genere fu Esopo di Frigia che, coll'acutezza dell'ingegno e colla sagacità dello spirito, potè vantaggiosamente compensare la deformità della figura e le avversità della sorte; poichè seppe egli con allegorici racconti, semplicissimi e alla portata di tutti, e colla forza de' favolosi esempi tratti dalla natura, spargere fra i rozzi popoli utili insegnamenti di sensata morale, e che di rimbalzo andavano a colpire il vizio, per vie facili e insinuanti, instillando la persuasione del vero e del giusto e l'amor della virtù negli animi che sembrar potevano i meno atti a ricevere istruzione e molto meno a profittarne. Per tal ragione viene egli meritamente considerato come original modello di tutti gli scrittori che dopo di lui composero favole, che da lui perciò esopiche furono denominate, e che per la maggior parte altro non sono che traduzioni o imitazioni di quelle del celebre favolista frigio. E quel Locman, fra gli Arabirinomato, anche a giudizio de' più accurati critici, diverso esser non sembra da Esopo.

Or, siccome l'ignara e indolente moltitudine suole ordinariamente prendere maggior piacere e più facilmente riman persuasa dalla semplicità dell'apologo che dalla nuda esposizione di rigide verità e dai filosofici ragionamenti, perciò più volte uomini anche gravissimi, trattando di pubblici affari e nelle più serie ed importanti occasioni, lo impiegarono come efficace modo di persuasione. E certamente non isdegnò Demostene di valersene per richiamare all'attenzione i suoi leggieri e distratti uditori; e coll'apologo delle parti del corpo fra di loro discordi, riuscì pur anche a Menenio di calmare il corruccio della plebe romana che, malcontenta dei patrizi, ritirata si era sul Monte Sacro.

Peraltro, finchè esistè la romana repubblica, a nessun romano scrittore, come giustamente osserva Seneca, cadde in pensiero di por mano a siffatta maniera di scrivere; ma tosto che Roma libera dovette piegare il collo sotto il giogo dei suoi tiranni, che imperiosamente incepparono la libertà della voce, della parola e, per quanto possibil era, perfin del pensiero, convenne agli autori di vestir la verità colle forme prese in prestito alla favola. Questo stratagemma non fu però bastante a sottrarre Fedro dall'indignazione e dalle persecuzioni dell'ambizioso Seiano. Ma qual meraviglia che i Seiani e coloro che lor rassomigliano infieriscano contro quei che attaccano, anche copertamente, i vizi di cui essi si sentono infetti, stimandosi presi di mira dalla censura che fassi de' vizi medesimi? Non già di tal carattere era il probo e virtuoso Tito il quale, o non curava le censure che a lui si facevano, se false erano e calunniose, come lui non riguardassero, o profittavane, se vere e giuste in qualche parte trovate le avesse. Ma frequentissimi sono, per disgrazia nostra, i Seiani, e rarissimi sono i Titi. Ond'è che la censura del vizio viene generalmente negli autori dai viziosi potenti perseguitata, e non mai favorevolmente accolta.

Non mancarono poi nelle moderne nazioni eleganti e piacevoli scrittori che, sotto il manto della favola e dell'apologo, coprirono savi ammaestramenti e morali verità. Fra questi, famoso nome meritamente acquisitossi l'aureo La Fontaine, il quale scrisse favole con tanta grazia e leggiadria. Egli e altri molti giudiziosi scrittori di tal genere non pare che altro abbiano avuto in vista che il domestico costume, l'uso famigliare e la privata morale in tanti staccati poemetti; e se talvolta hanno arrischiata censura o critica osservazione sopra alcun pubblico oggetto, non lo hanno fatto che isolatamente e come di passaggio.

Queste considerazioni mi portarono a riflettere, se per avventura non convenisse di fare una specie di grande apologo in più parti diviso e che formasse un poema seguito in cui, introducendo per attori delle bestie parlanti, si esponesse un'intera storia politica rilevando i vizi e i difetti dei politici sistemi e il ridicolo di molti usi introdotti in tali oggetti; come appunto i vizi e i difetti sociali si espongono sui teatri alla pubblica derisione, sovente più efficace del tuono filosofico della ragione, facendosi nel tempo stesso scrupolosamente astrazione da qualunque applicazione a particolar governo e generalmente da ogni indiretta censura, il cui interesse esser non può generale lungamente durevole. E nel vero a me sembra che un autore che si occupi di sì fatte meschinità volontariamente rinunzi alla dolce lusinga di sopravvivere nelle sue opere; lusinga che a ciascheduno scrittore più o meno ispira il suo amor proprio, che è il più forte stimolo ai talenti per intraprendere sovente e condurre a compimento cose che senza di esso intraprese mai non avrebbero. E in fatti qual peso presso la posterità aver potrebbero alcune ristrette individuali allusioni, alle quali non è unito che un interesse temporale e passeggiero, e che necessariamente cessar debbe tosto, o poco dopo che se ne sono perduti di vista gli oggetti descritti?

Ma formandosi un quadro generale delle costumanze, delle opinioni e dei pregiudizi dal pubblico adottati riguardo al governo, all'amministrazione ed alla politica degli stati, come delle passioni dominanti di coloro che in certe eminenti e pubbliche situazioni collocati si trovano, colorandolo con tinte forti e alquanto caricate, le quali facilmente ne rilevino l'espressione, il che molto più facilmente è permesso a colui che non parla che di bestie, un quadro in somma della cosa e non delle persone, ella è opera assai più degna d'essere da un autore al pubblico presentata, e quasi unica, per quanto è a mia notizia, in questo genere. Imperciocchè il satirico poema tedesco della Volpe del secolo XVI e qualchedun'altra poesia di simil genere non hanno altro di comune con questo poema che di fare alle bestie parlare il linguaggio delle Muse. Una tal pittura, qualora acconciamente venga eseguita, può, anzi deve produrre un effetto generale e costante anche dopo secoli, se tanta vita ella sperar potesse; poichè le passioni e le inclinazioni umane, delle quali in essa rivestite si suppongono le bestie, sono sempre nella sostanza le stesse, e soggette solo ad alcune gradazioni, e suscettive di maggiore o minore attività, secondo la forza delle molle che le muovono e le circostanze che le fanno nascere e che le alimentano. Or, siccome in ogni tempo trovansi alcuni caratteri forti o straordinari che si distinguono dal comune, come quei corpi che sporgono e si elevano sopra una piana superficie, questi si rendono a qualunque epoca osservabili, e ad essi facilmente riportarsi potranno sempre alcuni tratti più arditi senza andar studiosamente ricercando appigliamenti per trarveli a forza.

Avendo pertanto maturamente meditato su questo piano, ed essendomi sembrato che utile riuscir ne potrebbe l'esecuzione e dilettevole la lettura, ebbi il coraggio di pormi all'opera. L'approvazione ed il gradimento che riscossero i pochi apologhi isolati che preventivamente io aveva composti, e che si trovano alla fine di questo poema, m'incoraggiò e mi confermò in quest'idea. La molta lettura da me fatta su tale materia, la lunga esperienza che ho avuto tutto l'agio d'acquistare, le ripetute osservazioni che, nel genere di vita da me tenuto, ho avuto campo di fare in tutte le parti dell'Europa, mi offerirono sì gran copia d'idee, di pensieri e di riflessioni, che più difficile mi è stato di restringermi nel componimento di quest'opera, che di dilatarmi, onde posso con ogni ragione dire che, attesa la mia ottogenaria età, non ho avuto tempo di esser breve. Ho peraltro lasciato molta libertà agli slanci dell'immaginazione ed al fuoco della poesia, avendo ciononostante sempre in mira lo scopo che mi era prefisso. Libero da ogni rapporto che suole imporre una certa riserva e che, se non soffocare l'intimo sentimento, suole almen prescrivere il silenzio sopra alcune verità dettate dalla ragione, proclamate dalla sana filosofia, e situato in un soggiorno esente da tali vincoli, perchè dovrei assoggettare la penna ai timidi e servili riguardi, indegni di un ingenuo scrittore animato dall'amore del giusto e del vero? E tanto più quando nessun grande individuo, nessun particolare governo sia tolto di mira? Credo pertanto che utile, non che dilettevole al pubblico, riuscir potrebbe una tale impresa, se eseguita ella fosse con superiori talenti e con forze adeguate all'impegno. Comunque sia però, spero che il lettore accorderà all'autore buona fede di lodevole scopo, desiderio del bene e rettitudine d'intenzioni.

 

 

GLI ANIMALI PARLANTI

 




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