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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO QUINTO

 

L'INCORONAZIONE

 

Squarciato della notte il fosco velo,

forier di quel gran splendea 'l mattino;

e già, scorrendo per le vie del cielo,

annunziava l'aurora il sol vicino;

e al suo venir si nascondean le stelle

sdegnose d'apparir di lui men belle.

 

E le bande di Corte e i dilettanti,

sparsi sul prato ed alla reggia intorno,

falsi bordon vanno alternando e canti

preparatorj a quel festivo giorno;

e già di Gatti e Can, Lupi, Orsi e Iene

e Porci e Volpi eran le logge piene.

 

Venuti ancor da region lontane

uccelli molti per veder la festa,

di strida e voci dissonanti e strane

riempiono la valle e la foresta.

oche, Piche, Cornacchie e Corvi e Galli

e Gallinacci e Arare e Pappagalli.

 

A grave e lento passo intanto usciva

il corteggio real fuor della Reggia:

Viva il Lion tutti gridaron viva;

E al lieto grido il monte e il piano echeggia.

levansi a vol gli augelli, e in un istante

tutti ingombrar le più vicine piante.

 

L'ispettor di police il treno scorta;

e marcia avanti in abito festivo:

dietro si trae la truppa sua, che porta

un rosso collarin per distintivo;

gatti ancor essi, e tutti grossi e belli,

bianchi, pezzati, bai, bigi e morelli.

 

In bell'ordin seguia, messa in gran gala

l'animalesca nobiltà, che s'era

di già adunata nella vasta sala,

ciascun con vario ornato a sua maniera;

spettacol più bello e più giocondo

erasi visto da che il mondo è mondo.

 

Chi vaghi fiori di color diverso

adatta sulla testa e sulla groppa,

chi annoda in trecce il lungo pel disperso,

chi in vari ciuffi lo raccoglie e aggroppa,

chi d'edera tessuta ha la gualdrappa,

e chi in foglie larghissime s'accappa.

 

In gran pompa le cariche maggiori

seguono a passi gravi e sostenuti,

e i cortigian primari e i barbassori;

e i più superbi sono i più cornuti.

Ma il maggiordomo sopra tutti loro

primier si distinguea vo' dire il Toro.

 

Dalle corna pendean lucide conche,

e gocciole d'umore azzurro e giallo,

che stillò nelle gelide spelonche,

e condensato poi si fe' cristallo:

brillano in faccia al sole, e gettan fuore

riverberi di tremolo splendore.

 

E siccome il parer, non l'esser colti,

fu ognor la passion degli Animali,

l'ignaro Toro avea diversi e molti

rari fossili indosso e minerali;

onde di storia natural lo credi

ambulante museo, se andar lo vedi.

 

Stan costor del Lione al carro intorno.

da sei guarnite Mule è tratto il cocchio,

di frondi e fior pomposamente adorno.

non ha ornato il Lion che abbagli l'occhio;

la maestà del venerato aspetto

più che la pompa, impone altrui rispetto.

 

Su bacin di pur'ambra un Dromedario

porta le due corone innanzi al carro.

Non vi starò a parlar del suo vestiario,

ch'era caratteristico e bizzarro.

che se tutto descrivervi volessi,

seccherei me e seccherei voi stessi.

 

Del Lion la corona era a due piani,

di palme l'un, l'altro di verde alloro,

premio di re, d'eroi, di capitani,

e altri grandi animai simili a loro

(Che d'animali io parlo solo); e quella

della regina è fatta di mortella.

 

Sul carro, in piè (che in piè gli Eroi star denno)

stassi il Lione; e mentre il carro passa,

del Bertuccion cirimoniero a un cenno,

curva la schiena ognuno e il capo abbassa.

Quei maestosamente il guardo gira,

e sol col guardo riverenza inspira.

 

Segue il corteggio poi della regina,

e fra lor l'etichetta è più severa:

delle dame minori e da dozzina

apria la marcia, e precedea, la schiera;

Coccole attorno al collo e pennacchiere

in testa avean di piume bianche e nere.

 

Ma le gran dame, che hanno alla sovrana

l'accesso ulterior, messe alla moda,

di purpurei corimbi han la collana,

e il privilegio del fiocco alla coda;

e gruppi in testa di natio corallo,

e piume di pavon, di pappagallo.

 

Poi la regina vien, carca di perle

e di piume dell'araba Fenice,

rarissime, bellissime a vederle,

che altrove mai che qui veder non lice:

tutte per ben disporle e in bella vista,

molto ebbe a far la Martora modista.

 

Più ancor lo spettator ammira e loda

il lavorio di vaghi fior contesti,

che ornamento real fanno alla coda.

E acciò in andar non la ritardi e arresti,

due paggi la sostengono, cioè

Monsieur Zibetto e l'Armellin Giakè.

 

Il Gran Zampier, che porgerle la zampa

per etichetta in quel gran non debbe,

tien l'ombrellin, senza di che la vampa

del sol a lei molesta esser potrebbe;

e altera, al fianco della Lionessa,

marcia la Tigre, in ricca gala anch'essa.

 

Quella dama fierissima e gagliarda,

di gelosia, d'orgoglio e d'astio pregna,

con lividi occhi la sovrana guarda,

e ad ogni atto servil scender disdegna.

Difficile è amicar quelle signore:

sdegna una il grado ugual, l'altra il minore.

 

D'erbe palustri e alghe marine adorno

viensene il capitan Rinoceronte

col poderoso formidabil corno,

onde quel guardacorpo arma la fronte,6

e appresso a lui la truppa sua, composta

di bestie grandi e grosse, scelte a posta.

 

Giunti al luogo ove fu gran mole eretta

ad uopo tal, d'eccelso trono in forma,

ciascun, giusta il rigor dell'etichetta,

in ordinato circolo si forma.

Ogni trasgression fora delitto

contro il più sacro inviolabil dritto.

 

Il re Lione allor dal carro scende,

e dal Cerimoniero accompagnato,

su pei gradin dell'alto soglio ascende,

e ponsi sotto al baldacchin formato

di foglie arcigrandissime, e di quelle

che in America servono d'ombrelle.

 

Sul trono stesso, e uno scalin più basso,

ponsi la Lionessa a mano manca.

Stassi al suo posto immobile qual sasso,

il Can Barbone, e al suo dover non manca;

e più di lui non v'è chi l'importanza

senta della real rappresentanza.

 

A mantener la calma ed il buon ordine

salta il Gatto qua e vigile e furbo,

e attento che non nasca alcun disordine

che a quella funzion rechi disturbo;

la truppa sua l'ampia platea circonda

e gira intorno a' palchi e fa la ronda.

 

S'impon silenzio; e in quella turba folta

non moto, non istrepito, non crocchio,

non respiro, non alito s'ascolta;

non vedi gesto far, non batter occhio:

tace la garrula aura e, rispettosa,

la lieve fronda scuotere non osa.

 

Allor montò su pulpito eminente

il Can, di cui non v'è da Tile a Battro

orator più famoso e più eloquente;

e provò, come due e due fan quattro,

che assoluto dispotico governo

è buono per l'estate e per l'inverno.

 

Poscia il gran cor lodò, lodò l'immensa

pietà del buon sovran, dal ciel lor dato;

ciò ch'ei dice lodò, ch'ei fa, ch'ei pensa

la notte, il giorno, in pubblico e in privato;

dolce il suo fiel chiamò, benigni i denti,

il fremito gentil, l'ugne clementi.

 

E fece alfin fervidi voti al cielo,

che dal torrido cerchio al freddo polo

rampolli ognor dal lionino stelo

di successivi prenci un regio stuolo

che regni, e leggi all'universo dia,

mille secoli e mille; e così sia.

 

Allora la corona, ivi già pronta

il Toro prende; e dietro al Bertuccione

con gran formalità sul trono monta,

e sulla testa del Lion la pone;

con cerimonia ugual la Lionessa,

dopo il Lion, fu coronata anch'essa.

 

Tosto, per natural moto istantaneo,

alzan l'acclamator grido concorde,

ed assordano il ciel con simultaneo

di mille voci strepito discorde,

gli aligeri-volatili-pennuti,

e i pelosi-quadrupedi-cornuti.

 

Nel tempo stesso udivasi il latrato,

lo strido, il ragghio, il sibilo, il ruggito,

il fremito, il miao, l'urlo, il boato,

il grugnito, il garrito ed il muggito.

Figuratevi un po' che bagatella,

e che casa del diavolo era quella.

 

Staffette allor partirono e corrieri,

che avean la gamba più spedita e snella,

per le contrade d'ambo gli emisferi

colla strepitosissima novella,

che il re Lione in quella gran giornata

divenut'era bestia coronata.

 

fur di Delfo il tripode o di Delo,

il Palladio e la quercia di Dodona,

il sacro Ancile che cadde dal cielo,

portentosi, come la corona

che in testa a un animal, benchè baseo,

poneasi, e dir parea: io re ti creo.

 

Le virtù, le scienze e le dottrine,

e l'infuso saper de' Salomoni,

e l'intelletto più sublime e fine,

son bagattelle in paragon dei doni

che una real corona infonde a josa

dentro la testa sopra cui si posa.

 

Poichè la funzion fu terminata,

allo speco real fece ritorno

il tren della quadrupede brigata;

nitidissimo il sol, placido il giorno,

l'aer tranquillo e la stagion gioconda,

tutto la lor bestialità seconda.

 

Ritornati al salvatico palagio

con tutto il lor corteggio i regj sposi,

pel sofferto calor, per lo disagio,

sentiansi alquanto stanchi, e bisognosi

di riposarsi nella fresca grotta;

che calda è la stagione e il sole scotta.

 

Alla delicatissima sovrana

di molle sudoretto il pelo stilla:

si ritirò perciò nella sua tana,

per starsene un momento ivi tranquilla.

Nella sala maggior fermossi il re

coi cortigiani suoi d'intorni a se;

 

e mostrando, umanissimo e benigno,

ai circostanti il lionino aspetto,

a chi un gentil sorriso, a chi un sogghigno,

a chi un scherzo comparte ed a chi un detto;

con tai lazzi quei mimici sovrani

solean felicitare i cortigiani.

 

Quell'aulica chimerica famiglia

quei lazzi ricevea, quelle moine

a bocca aperta, come la conchiglia

riceve le rugiade matutine:

onde motteggiatori arguti e pronti,

per vezzo, li dicean Camaleonti.

 

Di nettare per lor, d'ambrosia pregna

è l'atmosfera che il padron circonda.

Il nome solo d'un padron che regna

par che nei cori lor delizia infonda.

Padron! soave suon più che mel dolce,

dilettosa armonia che i sensi molce.

 

Sia benedetta pur l'età moderna,

in cui ben altrimenti opera e pensa

chiunque regni e popoli governa,

e al vero merto sol favor dispensa:

Fra i cortigiani odierni il caso varia;

han grande il core e non si pascon d'aria.

 

Ma pur per etichetta alla sua Corte

quel re del tempo e del calor dovea

e di cose parlar di simil sorte:

Bella giornata il ciel ci diè dicea.

Giornata bella! la turba adunata

gia ripetendo allor, bella giornata.

 

Credo ben soggiungea che pel viaggio

affaticati alquanto esser dovrete,

marciato avendo esposti al caldo raggio;

Alquanto affaticati ognun ripete;

sua Real Maestà dice d'incanto:

Affaticati, affaticati alquanto.

 

Qual in concava valle o in cupo speco,

in estiva talor tacita notte,

odesi da lontan ripeter l'eco

voci confuse o articolate o rotte;

tal rimbombar s'udia per tutti i lati:

bella... alquanto... giornata... affaticati.

 

Poi la bestia real di cose varie,

cose premeditate a bella posta,

parlava colle cariche primarie,

e d'alcun mai non attendea risposta;

e avendo alfin preso in disparte il Gatto,

gli parlò sotto voce e di soppiatto:

 

Lodo dicea lo zelo onde il buon ordine

sai sì ben mantenere; e lodo quella

destrezza onde impedisci ogni disordine;

ma se aneddoto alcun, se coserella

discopri, esercitando il tuo mestiere,

non mancar mai di farmelo sapere.

 

Ringraziollo umilmente il Gatto, e disse,

che tumulto alcun, impertinenza,

in tempo della funzion, risse

turbata avean la pubblica decenza;

solo il Micco un momento... ma non nacque

inconveniente alcun; e qui si tacque.

 

E il Lione: Ah, ah! il Micco, oh! sarà bella;

Ebben, che fe' colui? che far pretese?

Son curiosi i micchi: or via, favella.

E il Gatto: scusa.... Ma il Lion riprese:

Di scrupoli sai ben ch'io non mi picco,

franco narrar mi puoi l'affar del Micco.

 

E il Gatto incominciò: sul palco stesso,

la festa per veder questa mattina,

essendo il Micco ad una cagna appresso,

si pose a vezzeggiar la sua vicina,

facendo or colla zampa ed or col muso

della cagnesca compiacenza abuso.

 

E co' suoi movimenti e colle molte

sue smorfie infastidia gli spettatori,

che perciò seco brontolar più volte;

Ma quei, nulla curando i lor clamori,

al pubblico mancando di rispetto,

s'accinse a un atto un po' licenziosetto.

 

Allor sul palco sollevossi un chiasso,

e tutti a un tempo fur al Micco addosso,

e tanto fer che lo gittaro al basso;

onde, cadendo, dislogossi un osso.

Perciò l'affar non ebbe conseguenza,

bisogno vi fu di mia presenza.

 

Sorridendo il Lion dicea: Mi spiace

per quel povero diavolo; ma impari

a esser men libertino e men salace,

poichè i vizietti suoi gli costan cari:

ma se altro tale avvien, tu, caro Micio,

vieni il rapporto a farmene ex-officio.

 

E il Gatto: Inverlievi affar non mertano.

E il Lion: Tu eseguisci i miei comandi,

d'altro t'impacciar; purchè divertano,

anche i piccoli affar per me son grandi;

del piccolo e del grande non vogl'io

altra misura aver che il piacer mio.

 

Il furbo Gatto, a tal discorso e invito,

previde sin d'allor ch'egli sarebbe

del padron confidente e favorito,

ed un'interna compiacenza n'ebbe;

onde, fatta profonda riverenza,

prese congedo, e fe' da lui partenza.

 

cabala, amoretto o affar piccino,

intrigo poi, gelosia, impegno,

pueril vi fu, femminino

pettegolezzo in tutto quanto il regno

(Poichè si fu del regio gusto accorto),

ch'ei non andasse a fargliene rapporto.

 

E volendo con lui farsene onore,

se fatti gli mancarono, li finse;

o almen, per compiacere il suo signore,

con tai color gli aneddoti dipinse,

come foss'ei d'ogni minuzia istrutto,

che sfigurolli e gli alterò del tutto.

 

Che cale se il pudor, se l'innocenza,

o l'altrui delicato onor ne soffra,

purchè pascolo alcun di compiacenza

al pettegolo prence appresti ed offra?

Virtù s'asconda, e il mondo inter si pregi

di secondar le passion dei regi.

 

E' par destin che, se onest'uom la carica

che allora il Gatto ottenne in oggi ottiene,

spesso dal buon sentier travia, prevarica,

duro, crudel, calunniator diviene;

raro è che del dover le leggi osservi,

raro è che l'onesta indole conservi.

 

Forse quel ch'ei contrasse uso frequente,

della carica sua nell'esercizio,

col reo, col delator, col delinquente,

sovra gli attrae l'infezion del vizio;

onde abitudin dal delitto prende

che a lui bel bel familiar si rende.

 

Del Gatto almen l'esempio ad evidenza

una tal verità prova col fatto;

poichè, pria di ottener quell'incumbenza,

savio era, amabil, dolce, alfin buon Gatto.

Ma poi divenne un animal cattivo,

contento sol quand'era altrui nocivo.

 

S'era il Lion a grandi cure intento,

se anche a grave colloquio avea taluno,

presentavasi il Gatto? in sul momento

facealo entrar, ricevea più alcuno.

E se il primo ministro, il Cane istesso,

venia per serio affar, non era ammesso.

 

Abitudine tal di donnicciuole

nutra il garrir, ma di gran prence è indegna;

alla calunnia occasion dar suole,

e la denunzia incoraggisce e insegna;

di pravo cor, di picciol'alma indizio,

e che gode alle imagini del vizio.

 

Pur, come in tutti i luoghi, in tutti i tempi

vediam che l'uom non men che il bruto è avvezzo

a imitare e seguire i grandi esempi;

il frivolo perciò pettegolezzo

spesso, d'allora in poi, grande e solenne

dei gran sovran la passion divenne.

 

Ma ciò destò nel Can pensier sinistri,

sospetto, gelosia che in cuor mal serra;

e d'allor cominciò fra i due ministri

aperta inimicizia, aperta guerra;

e per questa ragion, costanti e strani,

duran gli odj oggi ancor fra gatti e cani.

 

Quante ignorate origini dubbiose

di pratiche, costumi, usi introdotti,

di mode e di tant'altre belle cose,

si saprebber dai critici e dai dotti,

se un po' meglio volessero gli annali

e le storie studiar degli animali.

 

Ma intanto il Can, che ciò vedea con pena,

a distaccar il re Lion dal Gatto

pur alfin giunge, e in biblioteca il mena

per osservar quanto colà si è fatto,

ed i volumi ch'eransi raccolti,

e che per bestie si potean dir molti:

 

Poichè le più erudite e più zelanti

spontaneamente offrir vari lor codici;

e il Cane, che n'avea molti e importanti,

ei sol ne regalò ducento-dodici;

pertanto il re Lion con lui si reca

a visitar la nuova biblioteca.

 

Dall'atrio esterior in sull'ingresso

il monumento ad osservar s'arresta

fatto eriger colà dal Cane istesso.

In piè mirasi il Can, che sulla testa

al quadrupede re pon la corona:

gruppo in abete sculto alla carlona.

 

Ordin di vote nicchie intorno intorno,

e ovati si vedean più o meno angusti,

e destinati a collocarvi un giorno

animalesche statue, e teste e busti

di bestie benemerite ed industri,

nelle utili arti e in guerra e in pace illustri.

 

Quei primi il re lodò bozzi d'ingegno

nell'informe lavor, ma a lui non piacque

che talun creda che corona e regno

ad altri ei debba e non a se, ma tacque.

Gratitudin per quei che in alto è asceso

dolce non è sensazion, ma peso.

 

E l'orgoglio non men piccò d'alcune

della Corte brutal bestie primarie,

che la prerogativa altrui comune

s'appropriasse il Can, fra le varie

accuse che gli fer l'astio e il livore

questa, per vero dir, fu la minore.

 

Di dator di corone il privilegio

come dicean come arrogarsi ei puote

e con insultantissimo dispregio

per grazia a noi lasciar le nicchie vote?

E invero un tratto tal di vanagloria

degrada un pochettin del Can la storia.

 

Ma chi non sa che ambizione insana

per frivola sovente e intempestiva

ostentazion, per compiacenza vana,

d'un vero ben, d'un ben real si priva?

I parlanti animali allor gli stessi

difetti che or abbiamo, aveano anch'essi.

 

Poichè il Sorcio avvisar che il re venia

quel dotto a visitar stabilimento,

itogli incontro fuor di Libreria,

estemporaneamente un complimento

sparogli in versi, e l'introdusse poi:

di grazia, accompagnamolo anche noi.

 

Pronto ad udir le volontà sovrane

lor si presenta il Sorcio; e il re diè lode

all'attività sua; e allora il Cane

disse al vigilantissimo custode

che in succinto al Lion dar si dovea

dei più famosi codici un'idea.

 

E il Sorcio prese a dir. Grand'opra e seria

vedi in quei cento codici; contrasta

il breve titol suo colla materia.

Il titol breve, e la materia è vasta,

e contien le dottrine essenziali

fisiche, metafisiche e morali.

 

Se il titol chiedi, ella ha per titol Io.

Io! ripiglia il Lion certo è gran cosa.

E il Sorcio allor: L'uomo, la bestia e Dio

dell'Io senton la forza portentosa;

riceve solo da quell'Io le attive

sue facoltà quanto si muove e vive.

 

L'opra che poscia vedi in vicinanza

il Sorcio proseguia tratta ampiamente

della necessità dell'ignoranza,

opra d'antico autor forte e possente,

che credesi usurpasse un vasto impero

di dal mar, di dall'emisfero.

 

Massime tai nei secoli passati

i despoti asiatici tiranni

le feron promulgar nei loro stati;

s'obliar poi; ma coll'andar degli anni

i prencipi trovar la via sicura

d'abbandonarne ai preti lor la cura.

 

Meditando costor su questo tema,

per renderlo più grato a chi comanda

e analogo al dispotico sistema,

imaginaro un pian di propaganda

su fondamentiinconcussi e dotti,

che possibil non è che non si adotti.

 

Poichè il saper di chi ragiona e pensa,

quantunque idee fornisca e sentimenti,

e il buono e il giusto e il ver segni all'immensa

universalità delli viventi,

pur col poter dispotico contrasta;

e per doverlo detestar ciò basta.

 

Ed in ver cos'è il mondo e cosa sono

dell'universo i popoli, in confronto

di quei pochi che siedono sul trono?

Fra gli enti, in quanto a me, neppur li conto.

E perchè tal dottrina ai prenci giova,

so che la vostra maestà l'approva.

 

Accennò poscia altro volume e disse:

Quegli tratta del dritto della bestia;

e chiaro appar che bestia fu chi scrisse,

che ogni eguaglianza odiò, poichè molestia

impunemente al debole il robusto,

secondo lui, dar può, il trova ingiusto.

 

Perciò quell'altro autor che lo confuta,

prova o che dritto non esiste alcuno,

o, se alcun dritto esiste e si valuta,

debbe suo proprio dritto aver ciascuno.

Ciascun difender puote i dritti sui,

può esister mai dritto a danno altrui.

 

Eccoti ignoto codice: s'appella

nuovo spedal dei spiriti ammalati;

sopra antico bisogno opra novella.

Dall'anime brutali in quei trattati

s'insegna ad estirpar radicalmente

le malattie del core e della mente.

 

Farmachi di consiglio e di ragione

e altri calmanti tai l'autore esclude;

del tutto opposti metodi propone

di più vigor; doversi alfin, conclude

curar morbi d'un anima brutale

con rimedi più forti ancor del male.

 

L'altro codice insegna arcano metro

da far retrogradar gli anni e la vita,

forzando a ritornar natura indietro

per quella via che prima avea seguita;

onde, dopo lung'ordine di giorni,

di bel nuovo all'infanzia alfin si torni.

 

E ridur la natura a quei sistemi

che osservan le stagioni e il cielo e il mare

che giunti nel lor corso ai punti estremi

soglion, ricominciando, ire e tornare,

e le fasi rinnovano coi noti

progressivi e retrogradi lor moti.

 

Quella è una storia universal, che a tutte

le animalesche dinastie rimonta;

e le vicende, e come fur distrutte

da dispotismo o da languor, racconta.

Sogli e corone, che non fur disfatte

da esterna forza, interno vizio abbatte.

 

Incontrastabilmente si dimostra

con tai ragion, con documenti tali,

che, sebben la real maestà vostra

si dica il primo re degli animali,

pur, giusta la brutal cronologia,

altri pria di voi furo e anche altri pria.

 

E provar si potria, con tali esempi,

l'indefinita antichità del mondo:

e che col lungo volgere de' tempi

spesse volte dalla cima al fondo

la faccia ne scompose o l'acqua o il foco,

che, s'eterno non è, ci manca poco.

 

Di prenci dissoluti e violenti

e imbecilli e dispotici discorre,

cui visser schiavi i stolidi viventi

e ira ultrice distrusse e fama abborre.

Altri vi son che gloria anche oggi onora,

e vostra maestà vi conto ancora.

 

Di repubbliche parlasi pur anche,

allor che schiave bestie il giogo scossero

dal dispotismo affaticate e stanche;

ma non perciò l'antico mal rimossero;

che anzi cadder, mal caute, in guai peggiori

fra civili discordie e stragi e orrori.

 

Mira colà di codici una fila

che ingombra poco men di due scanzie;

costituzioni son circa duemila

per repubbliche ovver per monarchie,

opra di pochi : da quei barlumi

tardo legislator trarrà gran lumi.

 

L'altro è autor teologico, e de' culti

l'immensa moltitudine descrive,

che dalle prime età con dogmi occulti

tormentan l'alme timorose e schive;

mille Dei strani annovera l'autore,

figli di fantasia e di terrore.

 

Difficil cosa è a dir gl'infandi eccidi

e la crudel carnificina insana,

che cagionaron dispute e dissidi

d'oscura idea o di parola vana.

Sire, ah non fia che il labbro mio con questi

racconti atroci il tuo pensier funesti!

 

Tutti son didascalici scrittori

quelli onde pieni son gli altri due piani;

l'uno insegna a slungar le corna ai tori

e l'altro a raddrizzar le gambe ai cani;

chi a ingentilir agli asini gli orecchi,

ed altri ed altri metodi parecchi.

 

Il re l'istruzion, l'eccelso ingegno

commendò del real Bibliotecario

e lo nomò, di gradimento in segno,

intimo Consigliere e Secretario;

e inver, se altri hanno una tintura esterna,

il Sorcio ne' volumi entra e s'interna.

 

Tutto anelante il Gran Cerimoniere

allor sen venne al re, per render conto

di sue gran cure e fare a lui sapere

per la gran funzion tutto esser pronto.

E il re fra il Cane e il Bertuccion si rende

alla gran sala ove la folla attende.

 

 

 




6 Qui per fronte il Poeta intende la parte anteriore dell'animale, perchè si sa che il Rinoceronte ha propriamente il corno sul naso e non sulla fronte.






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