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Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
A un regio principin, che della madre
dal seno porta un dritto ereditario,
per cui succeder dee nel regno al padre,
d'un generante, cui natura diè
virtù esclusiva di produrre i re,
vizio, virtù, stupidità, talenti,
ignoranza, saper, demenza o senno,
son qualità del tutto indifferenti:
a lui popoli intieri obbedir denno;
qualunque sieno o buone o ree le tempre
che a lui natura diè, regnar dee sempre.
Onde parria che istruzion per lui
necessaria non sia punto nè poco;
valersi e profittar dell'opra altrui
ei puote, e star tranquillo in ozio e in gioco;
se si può non far nulla ed aver tutto,
perchè cercar dalla fatica il frutto?
Pur praticar formalità si vede,
e le corti si degnano osservarla,
di dar d'istruzione al regio erede
alcuna tinta o almen parer di darla;
perciò la Lionessa a dar s'impegna
al figlio istruzion d'un prence degna.
Con molte specie d'animai diversi
spesso dovendo un re animal trattare,
abile convenia maestro aversi,
che più linguaggi intendere e parlare
sapesse, onde formar re poliglotto,
vo' dir in varie lingue esperto e dotto.
Ma l'Asino s'oppose; e fe' riflettere
che con soverchio studio assiduamente
al principin non si dovea permettere
su tanti oggetti affaticar la mente:
lo che potrebbe (il ciel non voglia) il sagro
suo corpicin rendere smunto e magro.
Che ingegno, abilità, talenti e senno
cose a' principi analoghe non sono:
sol divertirsi e comandar sol denno,
ed occupar machinalmente il trono,
e fra le noje di servili studi
il suddito lasciar che agghiacchi e sudi.
Onde, pieno di zel, consiglio dette,
doversi far un'ordinanza espressa,
che sian tutte a parlar le bestie astrette,
o la sappiano o no, la lingua stessa;
e che la Lionina in sull'istante
divenga lingua universal regnante.
Che studi il servo del padrone in vece,
parve natural cosa e assai plausibile;
ma il Can, ch'era presente, osservar fece
che, quantunque a un sovran nulla è impossibile,
pur ardita talor difficoltà
Che a tutti la medesima natura
e indole non avea concessa il cielo,
e organi di medesima struttura;
onde, malgrado l'Asinino zelo,
tutte aver non potean l'alto vantaggio
di favellar nel Lionin linguaggio.
Ma esservi animal che si distingue
per la facilità straordinaria
d'apprendere e parlar diverse lingue,
degno animal di Corte, per la varia
pompa di piume onde ha coperto il dosso,
di color verde, giallo, azzurro e rosso;
Chiamarsi Pappagallo; e la straniera
volatil specie a lui d'essere eletto
sostenne il Can che ostacolo non era;
perchè anche nel Castor, regio architetto,
s'era veduto esempio di tal sorte,
che, benchè amfibio, fu impiegato in Corte.
Approvarono tutti un tal ripiego,
e fu deciso che più proprio e adatto
non v'era altro animal per quell'impiego;
e a pieni voti il Pappagallo a un tratto
di lingue precettor privilegiato
del regio Lioncin fu dichiarato.
Si sparse tosto un cortigian novello
esser giunto, chiamato Pappagallo;
corser tutti a veder lo strano uccello
di color rosso, verde, azzurro e giallo;
ne osservaron le zampe e l'ali e il rostro:
Bel mostro poi dicevano bel mostro!
Ma quell'eloquentissimo animale
ad instruire imprese il suo scolare
con tale impegno e con successo tale,
che ogni qualvolta quei s'udia parlare
in qualunque linguaggio o dialetto,
parlare un Pappagallo avriasi detto.
Voleasi inoltre aver qualche famoso
grave animal che, sperto in medicina,
vegli sui giorni ognor del prezioso
rampollo della stirpe lionina,
e vegeto conservi il regio figlio
coi salubri precetti e col consiglio.
L'Ippopotamo altri proposto avieno,
che fra le bestie si decanta e predica
d'un Ippocrate al paro e d'un Galeno,
perito in facoltà fisico-medica,
e il sangue trae, fregandosi la cute
incontro a' sterpi ed alle canne acute.
Ma la Reggente e i consiglier più scaltri
temer che un qualche dì l'Ippopotamo,
medico sol per se, boja per gli altri,
Non ingoi quel bestiol; perchè sappiamo
che medici e sovrani impunemente
posson storpiare ed ammazzar la gente.
E come avean trovato infra gli uccelli
il Pappagallo professor di lingue,
voller medico ancor sceglier tra quelli,
in cui sì grand'acume si distingue:
Rigettando però medici amfibi,
medico uccel del principin fer l'Ibi.
Che quell'uccel nel medico mestiere
par da natura istrutto a segno tale,
che da se stesso mettesi il cristere,
d'alcun liquido suo medicinale
empiendo qual siringa il lungo becco,
se il ventre ha duro o se il budello ha secco.
Inoltre convenia pel regio infante
tosto trovar qualche animal di merito,
capace d'istruirlo e porgli avante
tutta la prospettiva del preterito;
in somma abile e sperto istoriografo,
e critico, cronologo, geografo.
Poichè la storia è del regnar la scuola;
come sorse ogn'impero, e come cadde,
solo ella insegna, ella insegnar può sola
ciò che accader dovrà da quel che accadde;
sempre del mondo nuovo il mondo vecchio
è al savio osservator modello e specchio.
Ma per quanto adoprassersi a cercarlo,
per quanto lambiccassersi il cervello,
non poter fra i quadrupedi trovarlo;
e convenne anche allor scerre un uccello,
può dirsi un scampolin d'eternità.
Questo famoso uccel, detto Fenice,
del mondo ancora infante è coetaneo,
onde di quanto egli racconta e dice
può chiamarsi scrittor contemporaneo:
contemporaneo e testimon di vista,
uno scrittor, quanto più fede acquista!
Narra battaglie atroci e guerre orribili?
Questo ei può dire avvenne a tempo mio:
Narra diavolerie, cose incredibili?
Ei risponder vi può: le ho vedut'io;
E di tanti scrittor non ha la pecca,
che altri citano ognor: chi cita, secca.
La Fenice, oltre a ciò, se d'esser vecchia
dopo secoli e secoli s'accorge,
il rogo da se stessa s'apparecchia,
arde, e dal cener suo giovin risorge:
qual si copre di seta il bacherozzolo,
e cangiato in farfalla esce dal bozzolo.
Pur, donne mie, se d'invecchiar v'incresce,
la Fenice imitar non vi consiglio,
che, a vero dir, non ad ognun riesce
nel fuoco ingiovinir, e v'è periglio:
sperimentar potria costarvi caro,
perchè della Fenice il caso è raro.
Ma quantunque ne corse, e allora e poi,
vaga tradizion di bocca in bocca
per l'oriente, e d'oriente a noi,
nessun l'avea nè vista mai nè tocca:
pur credevasi allor, si crede anch'oggi,
che la Fenice nell'Arabia alloggi.
Fu deputazion perciò spedita
alla Fenice, acciò che venga tosto;
che la Corte quadrupede l'invita
luminoso a occupar distinto posto,
del Lioncin fra i precettori regi,
gradi offrendole, onori e privilegi.
Composta di due Cervi e un Dromedario
la deputazion colà si rese;
e preparato pria l'itinerario
scorse d'Arabia l'arido paese,
la Petrea, la Deserta e la Felice;
nè trovar si potè mai la Fenice.
Chieser di quell'augello agli abitanti
quadrupedi, volatili ed umani,
o assisi stien di palme all'ombra, o erranti
vadan su gli arenosi adusti piani;
ciascun parlarne udito avea, creduto
v'avea ciascun, nessun l'avea veduto.
Fatte tante ricerche inutilmente,
tornaro indietro e s'incontraro a sorte
coll'Ibi, a cui notificar qualmente
stato era eletto medico di Corte;
e l'Ibi allor, de' Lionini messi
all'invito gentil, s'unì con essi.
Venne la Corte incontro al Dromedario,
e lusingossi, in suo pensier contenta,
di veder quell'uccel straordinario;
ma quegli invece il medico presenta,
con dir che quei che si volea per storico,
forse era ente ideale o metaforico.
E ciò provò che le famose penne,
che penne di Fenice eran credute,
e che in gran gala o funzion solenne
la Lionessa in dosso avea, vendute
fur d'alcun Ciarlatan, che intorno a' prenci
suol venir spesso, e con profitto vienci.
il cortigian vedendo in cotal guisa,
resta collo stupor pinto sul muso;
ma il principin smascellasi di risa,
scherza con beffe d'aria derisoria,
nè sa nulla d'istorici e di storia.
Cugin della Cicogna e della Grue,
attentamente allor rivolge l'Ibi
a pro del principin le cure sue:
la quantità, la qualità dei cibi
sceglie, esamina, pesa, ordina e vieta;
la temperanza inculca e la dieta.
Nè potendo impedir colla sua cura
che soverchia e insalubre esca non gli entre
lo stomaco a infarcir, almen procura
tenergli con cristei lubrico il ventre;
che, al dir dell'Ibi e di chi l'Ibi imita,
messo a tempo, un crister salva la vita.
Così, poichè difficoltà non s'ebbe
volatili ed amfibi aver tra loro,
d'estranei professori il numer crebbe
col Pappagal, coll'Ibi e col Castoro;
anzi credetter nel volatil regno
sottil talento ed elevato ingegno.
D'osservar per parentesi vi prego
che nessun accademico di Corte
capace fu di letterario impiego;
cure volgar son queste, onde assai Corte
fur le dottrine lor; e i professori
dovean perciò farsi venir di fuori.
Volle invan l'Asinil spilorceria
sol doversi di Corte al soldo ammettere
professor di quadrupede genia;
che nell'arti leggiadre e nelle lettere
instrutta bestia mai non ritrovosse
che volatile o amfibia ella non fosse.
Solo fra i cortigian fu l'Orso eletto
ad erudir ne' moti e nella danza
le zampe del reale animaletto:
e se non ha di ballerin sembianza,
l'Orso per ballerin passava allora;
gusto per tal mestier conserva ancora.
La Scimmia più dell'Orso, a dir il vero,
credito avea di danzatrice esperta;
ma già in Corte di Gran Cerimoniero
carica assai maggior, come ognun sa;
e due cariche insiem... come si fa?
Onde, per quanto fosse agile e destra,
non potea, con impiego di tal sorte,
di ballo a un tempo stesso esser maestra;
ma i spettacoli pubblici e di Corte,
con tutte quante le incumbenze annesse,
musica, danza e comica diresse.
Fe' nella danza il principin portenti,
massimamente nella pantomima;
che spiegati per quella avea talenti
maravigliosi dall'infanzia prima,
or col corpo atteggiando, ed or col volto:
cose in ver che in un prence importan molto.
Di regio precettor l'onore ascrivere
so che talun vuole anche alla Gallina,
come insegnasse al principino a scrivere;
ma che acquistasse mai tanta dottrina
il nostro animalin non v'è memoria;
e tace in tal proposito la storia.
Di più, inspirare a un principin già adulto
pei dogmi, per li riti e per lo culto
che insegna la brutal teologia;
che la forza più o men di tali idee
in tutto ciò che vive influir dee.
Dubbio non v'è che impiego tal non tocchi
al grave Allocco; chè di tal dottrina
depositari erano allor gli allocchi;
come all'India, al Tibet ed alla Cina
bonzi, Lama, Bramin lo furon poi,
dervis fra i Turchi, e Monaci fra noi.
Di ciò parlar dovrovvi a tempo e loco:
per or sol vi dirò che a Corte venne
il reverendo Allocco; e appoco appoco
ivi venerazion sì grande ottenne,
tanta influenza e autorità vi prese,
che di Corte l'oracolo si rese.
V'è poi di precettor turba scolastica,
che ha il titol dell'impiego e non la pratica,
di tattica maestri e di ginnastica,
di chimica, d'idraulica, di statica,
d'algebra professor, d'astrologia,
e ancor d'alchimia e di negromazia.
Inver tutti costor perfettamente
ignoravano ogni arte, ogni scienza;
ciò per altro era affatto indifferente;
mostravan la real magnificenza,
e facean corpo, e godean vari onori,
in qualità di regi precettori.
E infatti in certi dì venian soltanto
a far la loro Corte al Lioncino,
a intrattenerlo e baloccarlo alquanto;
e finalmente, fattogli un inchino,
per la formalità, per lo decoro,
se n'andavano poi pei fatti loro.
Per altro, a vero dir, da' cortigiani
non erano tenuti in alcun pregio;
anzi da tutti gli aulici baggiani,
per insultante scherno e per dispregio,
quel rispettabil corpo letterato
l'assemblea dei buffoni era chiamato.
Ma il volgo animalesco in lor vedea
di dotti e di filosofi una classe;
e un attraente il principin credea,
che in due o tre sorsi da color succhiasse
ogni scienza, ogni arte, ogni dottrina,
come suol l'acque attrar tromba marina.
Ma ciò l'oggetto essenzial, primario
di regia educazion non adempiva;
e indispensabil era e necessario,
per principe di tanta aspettativa,
che s'occupasse in più importanti e serie
degne d'un pari suo, gravi materie.
Onde, oltre a questi esterni adornamenti,
doveasi almen, per far tacer la critica
e per turar la bocca ai maldicenti,
quel bestiuolo instruir nella politica:
e dal Gatto e dall'Asino proposta,
la furba Volpe a impiego tal fu posta.
Che la Volpe, in astuzie esperta e dotta,
in principj e in sistema avea ridotta,
nota era; ond'ella in quell'età brutali
fu come il Machiavel degli animali.
Pertanto in general piacque il pensiero;
grande onor fe' alla Corte e al ministero;
ed una testa sì feconda e svelta
del gabinetto Lionin la gloria.
Come primi principj avea piantate
certe massime sue particolari,
sull'indole e il carattere fondate
di quei con cui s'hanno negozi e affari,
e ridotte a palpabile evidenza
dalla lunga, costante esperienza.
Parte di quelle l'Asin per viltà
già poste avea naturalmente in pratica,
ma poi la Volpe, per malvagità,
formonne una scienza cattedratica,
ed un sublime corso di politica
Risultava da quei principj sui
che ogni prence, ogni stato, ogni governo,
che, indipendente dal volere altrui
ed all'altrui poter non subalterno,
sovranamente altri governa e regge,
è sovra ogni dover, sovra ogni legge;
e che per quei che son veri sovrani,
siccome il fatto e la ragion lo prova,
giustizia e fede son titoli vani,
e giusto e buono è solo ciò che giova;
ch'essi son di natura i primitivi
liberi figli, d'ogni vincol privi.
Che probità, virtù, pubblico bene
son chimere ridicole infantili;
ma che però farle adorar conviene
dalla massa dell'anime servili;
e coll'idee d'onore e di virtù,
tenerle incatenate e in schiavitù.
Che il volgo crede ciò che se gli dice,
e che perciò un sovran sempre dee dare
di ben pubblico titolo e vernice
all'interesse suo particolare:
pubblico ben, se l'util non include
per lo sovran, saggio sovran l'esclude.
Che disputar sui mezzi è una minuzia
della sovranità del tutto indegna:
l'aperta forza e la dolosa astuzia
è indifferente per colui che regna;
e debbe in tutte l'opre aver per duce
ciò che l'intento ad ottener conduce.
Che l'impotente, il debole, l'imbelle
per legge natural cibo è del forte:
importuno riguardo oltre la pelle
passar non dee nel ministero e in Corte;
la turba vil sol d'apparenze è vaga,
e dell'aspetto esterior s'appaga.
E che perciò lingua esser mai non dee
dei secreti del cor rivelatrice
e d'arcano pensier, d'occulte idee;
ma ch'eloquenza sol trionfatrice
quella è che dialettica ritrova
da far credere altrui ciò che a noi giova.
Questo era il dritto e la dottrina strana
di quel furbo animal, questa la scaltra
dei gabinetti animaleschi arcana
politica volpina; e qualunque altra
filosofia, secondo lei, non era
ch'errore, illusion, follia, chimera.
Onde, se cuor v'era insensibil, duro,
se ingegno astuto e fertile in ripieghi,
se caratter versatile ed oscuro,
inesorabil ai lamenti, ai prieghi,
che, indifferente al mal, non conoscesse
altr'idolo, altro dio che l'interesse;
tosto a gelose cariche chiamato
dalla fiducia e dal favor sovrano,
eran gli affar politici e di stato
e del soglio l'onor posti in sua mano;
E per lui fe, virtù, di senso vote
eran voci ed idee del tutto ignote.
Vivan pure i politici moderni,
che capi e direttor dei ministeri,
a gloria e onor degli Europei governi,
stansi al timon dei regni e degl'imperi,
e purgan da sì fatte porcherie
i gabinetti e le cancellerie.
Arbitrj alcun di lor non si permette,
o furtivo interesse o intrico oscuro:
han sincero il parlar, le mani nette,
retta l'intenzione, il core puro;
e se v'è a caso chi talor prevarica,
ciò colpa sua non è, ma della carica.
E se immoral sofista, a' nostri tempi,
a' suoi scritti il venefico comparte
sugo di dogmi abominati ed empi,
proscritto vien fra le dannate carte,
acciocchè non corrompa e non infetti
l'illibato candor dei gabinetti.
In quei, cui, grazie al ciel, la terra serve,
regna giustizia ed incorrotta fede,
e del pubblico ben lo zelo ferve;
legga gli editti lor, chi ciò non crede,
n'oda lo stil che umanità consola,
e succhi il mel che da' lor labbri cola.
Ma in quell'antica età la furba Volpe
di politiche massime il veleno,
fatal semenza di funeste colpe,
iva istillando al Lioncino in seno.
ma per quanto ella fe', non riuscille
d'imbeverne il discepolo imbecille.
Poichè egli ad operar sempre era spinto
con stravaganza e con scempiezza estrema
da forza d'abitudine e d'istinto,
non da riflession, non da sistema;
e l'influsso asinil fe' in lui più effetto
che il volpino politico precetto.
Anzi, a dir vero, quel real fanciullo
la Volpe non amò: soffrilla forse,
per quel caratter scimunito e nullo
onde alla madre non ardia d'opporse.
L'Orso e la Scimmia i cari suoi campioni
erano sol, perchè eran due buffoni.
Ma la Reggente Lionessa madre,
che a quelle lezioni assister volle,
trovandole simpatiche e leggiadre,
se le fissò per norma, ed adottolle:
e di sostituir formò il pensiero
la cara Volpe al Can nel ministero.
Pur ribrezzo sentia d'usare un tratto
sì ingrato verso quel ministro antico.
la Volpe allora si servì del Gatto,
che ben sapea del Cane esser nemico:
egli, a suo tempo e luogo, in favor d'essa
saprà determinar la Lionessa.
L'impegno assume il Gatto; e il punto coglie
che si compiace la Reggente e ride
a suoi rapporti; i scrupoli le toglie,
e in favor della Volpe la decide.
Che non ottien chi sa di zel coperte
tesser calunnie, ed il sovran diverte?
E infatti n'emanò l'ordine regio;
e al Can, di gradimento in contrassegno,
di portare accordossi in privilegio
appeso al collo un pezzettin di legno;
e il ministro fedel con quella marca
premiato fu dal bestiolin monarca.
Il supremo voler notificato
all'ex-ministro Can fu per viglietto
della real segreteria di stato;
e siccome il regnante animaletto
nè legger sa, nè scrivere, munillo
la Reggente del solito sigillo.
Il viglietto dicea: che le sovrane
beneficenze di Lion Secondo,
volendo i grandi meriti del Cane
premiar solennemente in faccia al mondo,
e il ciondol più distinto e decoroso.
che dei segnalatissimi servigi
alla famiglia dei Lion prestati
resteran gl'indelebili vestigi
fissi nei cuori lor memori e grati.
e che il Can potrà sempre, all'occorrenza,
contar sulla real riconoscenza.
Di quelle antiche animalesche corti
era quello lo stil, quello il linguaggio;
al merito facendo insigni torti,
con belle frasi colorian l'oltraggio,
e aggiungean, per sciocchezza e per malizia,
derision e insulto all'ingiustizia.
Il Can rimansi attonito, quand'ode
annunzio tal, ma simula; e il rancore
che internamente lo tormenta e rode
celar procura più che può nel core;
e di vendetta la speranza sola
rattien lo sdegno e il suo dolor consola.
Eppur lo zel, la fedeltà canina
portò al Lion la dignità primaria,
che da lui nella stirpe Lionina
fu resa successiva e ereditaria;
e perciò s'ella alle genie sovrane
venne aggregata, lo dovette al Cane.
Eppur d'istruzion segnò la via,
di studi promotor, e a lui si debbe
archivio ed accademia e libreria;
ed i difetti suoi, poichè ei pur n'ebbe,
son lievi in paragon della maligna
indole rea che nella Volpe alligna.
Or va', t'affanna ed il cervel ti stilla,
spargi sangue e sudor, soffri molestie,
l'alma non abbi mai cheta e tranquilla
le ingrate per servir superbe bestie:
del Can mira l'esempio: indi concludine
se puoi sperar da lor mai gratitudine.
Poichè esse avran da te spremuto il suco,
come fassi d'un cedro e d'un arancio,
poichè reso t'avranno smunto e bruco,
ti getteranno, inutil frutto e rancio,
oppur daran titol di premio e peso
a un pezzettin di legno al collo appeso.
Il Cane inoltre il ministero ottenne
non per grazia o favor, ma per contratto:
ma contratto che val sacro e solenne?
Che giova sacro inviolabil patto?
Poichè l'intento ottien quella genia,
e le promesse e il benefizio obblia.
Parlo delle selvagge, ingrate e strambe
brute sovranità, parlo di quelle
che han le corna, han criniera, han quattro gambe,
e irsuta e setolosa hanno la pelle,
e in cui la lunga coda colla nappa
giuoca sul tergo e il deretano tappa.
Chi attentamente esaminar volesse
sovra autentici fatti e noti esempi
ciò che or succede e ciò che allor successe,
di quei rimoti animaleschi tempi
non trovando fra noi vestigio ed orma,
data al mondo diria novella forma.
Il chirografo allor spedito fu
di tal tenore: Noi Lion Secondo,
per grazia special del Gran Cucù
re di tutti i quadrupedi del mondo,
per l'assoluta potestà che abbiamo
in autentica forma dichiariamo:
che nella vastità dei nostri stati
il merto della Volpe essendo noto,
onde i riguardi nostri ha meritati,
determinato abbiam di proprio moto
di darlene una prova manifesta,
del minister ponendola alla testa:
e acciò sia come tal riconosciuto
quest'animal dal suddito bestiame
di tutto il felicissimo reame,
vogliamo ed ordiniamo che il presente
letto ed affisso sia pubblicamente.
Poichè fra l'ombre dileguossi il giorno,
solo, mesto e pensoso all'aria bruna
vanne il Cane ex-ministro errando intorno;
ed abbaiando al raggio della luna,
cerca l'interno affanno e i mal celati
sdegni sfogar coi liberi latrati.
Belva così dal cacciator ferita
empie d'urli le valli e la foresta;
togliersi tenta invan dall'innasprita
piaga lo stral che fitto ognor vi resta;
e quella espansion di violenta
smania nutre il dolor, non lo rallenta.
Non appar l'alba e non per anche aggiorna,
quando, dal lungo errar languido e stanco,
a muso basso al suo quartier ritorna:
ivi posò l'affaticato fianco;
e, qual le cure sue permetter ponno,
prese interrotto ed inquieto sonno.
che di già le pupille sonnolente
il raggio gli feria del luminoso
pianeta che sorgea dall'Oriente:
fiso per ascoltar l'orecchie stende,
nè moto alcun, nè alcun susurro intende.
Strana inver novità! le altre mattine
le bestie in folla e i cortigian primari
per chieder grazie, o per trattar d'affari,
o per propor d'economia progetti,
direttori sperando essern'eletti.
ma in numero maggior gli adulatori
colà fin dall'aurora a far la Corte
al ministro, brigando impieghi e onori,
assidui stansi; e di qualunque sorte
impiegar le bassezze e la servile
sommission non si prendeano a vile.
In piè si leva; e, fattosi più innanzi
ove per lunga ognor consuetudine
un folto stuol trovar solea poc'anzi,
non trova che silenzio e solitudine.
Ben d'uopo gli è che in quella circostanza
s'armi di filosofica costanza.
E tutto immerso in un pensier profondo,
riflession facea morali e serie
sulle vicissitudini del mondo,
e sulle corti e simili materie;
quando un brusco forier che presentosse,
da quel suo cupo meditar lo scosse:
Che di Corte sollecito tu sloggi
d'ordin sovran dicea ti deggio imporre,
poichè si vuol del tuo quartier dentr'oggi,
per quei che a te succeder dee, disporre.
E il Can: Dunque la Volpe... Ed ei: Non darti
altro pensier di ciò; sbrigati e parti.
A quell'imperioso, aspro discorso
arse il Cane di sdegno: e mancò poco
che non desse al forier rabbioso morso;
ma si contenne e al successor diè loco:
sloggiato il Can, tosto colà si rese
la Volpe e del quartier possesso prese.
Il Can d'oltraggio tal pubblicamente
reclamar volle, e presentarsi ei stesso
per espor sue lagnanze alla Reggente,
ma ognor vietato gliene fu l'accesso:
schivan gl'ingrati di color la faccia
che lor l'ingratitudine rinfaccia.
Da quel tratto insultante il cor ferito,
s'ange e s'agita il Cane; e più non dette
triegua o riposo all'animo inasprito,
ruminator di sdegni e di vendette;
e or in se si raggruppa e si ravvolge,
or supino la pancia al ciel rivolge.
La confidenza ed il parzial favore
che alla Volpe e all'Allocco s'accordava,
nel critico maligno osservatore
il sospetto vieppiù fortificava
che avessero color contribuito
a liberar la moglie dal marito.
Mal per lui, se un sovran presso i suoi servi
d'immascherato malfattor è in vista,
come mai fia che il loro amor conservi?
E perduto ch'ei l'ha, come il racquista?
E per quanto dir possa e possa fare,
potrà farsi temer, ma non amare.
All'odio dal timor breve è il passaggio,
e l'odio cova ognor disegni bui:
finto l'amor, forzato è allor l'omaggio;
e ben tosto il timor che inspira altrui
l'aborrito sovran, prova in se stesso,
ed astretto è a tremar sul trono istesso.
Per tal ragion la Lionessa in prima,
come a ogni prence avvenir suol, de' suoi
amatissimi sudditi la stima,
non che l'amor riscosso avea, ma poi...
Ma quel che avvenne poi voi l'udirete,
se dar ascolto al canto mio vorrete.
Dunque, siccome udiste, allor tal era
una Reggente imperiosa e fiera,
e il più sciocco bestiuol della sua spezie,
principe immerso in infantili inezie.
Dal Pappagallo alcuni motti avea,
e dal cerimoniere alcuni inchini
appresi sol da usarne in assemblea,
come soglion fantocci e burattini.
dispotica padrona è la Reggente,
sola, vera, assoluta, onnipotente.
Finchè vivea Lion Primier, sua moglie
osservò certi esterior riguardi;
e l'indole crudel, le impure voglie
cercò celar del pubblico agli sguardi;
ma appena estinto ei fu, sdegnò celarse,
e tal qual era apertamente apparse.
Sicura omai credendosi del soglio
e del potere illimitato e pieno,
i vizi suoi, l'ambizion, l'orgoglio
più non conobber limiti, nè freno;
fra gli altri e se pose intervallo immenso,
e al voler suo ragion cesse e buon senso.
E conculcando allor leggi e doveri,
e intenta solo a sodisfar le prave
sue passioni e i pravi suoi voleri,
tutt'alla Volpe abbandonò la grave
politica ingerenza, e i molti e i vari
interessi di stato, e i grandi affari.
Godeano poscia il principal favore
l'Asino vile e l'orgoglioso Toro,
la furba Volpe e il Gatto esploratore
e il buffon Bertuccione; e da costoro
il destin dipendea di quel reame,
e di tutto il quadrupede bestiame.
L'Allocco, oltre di ciò, sovra ogni sorte,
di gravi affar piena influenza ottenne;
e inquisitor, teologo di Corte,
di coscienze direttor divenne;
e assai sovente coll'iniqua Volpe
accomunava gli utili e le colpe.
Ahi stolta Corte, e qual funesto errore
ti pone in sen l'insidiosa serpe,
che l'occulto velen t'insinua in core,
e il germe di ragion ne svelle e sterpe?
E prestar puoi con pregiudizio sciocco
sì cieca fede a un impostore Allocco?
Non era il capitan Rinoceronte
in cabale di Corte esperto e scaltro;
stassene in guardia col suo corno in fronte,
e dorme e mangia e bee, nè bada ad altro.
A tutti il Can Barbon facea buon viso,
grand'egoista e cortigian deciso;
inoltre un'alma avea versatil, fiacca,
e per lui lo stesso era o figlio o padre,
Can, Volpe, Asino, Scimmia, o Toro, o Vacca;
e stette ben colla regina madre,
con Lion Primo e con Lion Secondo;
insomma stava ben con tutto il mondo.
Or qual giudizio far di monarchia
che tai prenci e ministri ha per sostegni?
Qual da tai fonti provenir potria
felicità pei popoli e pei regni?
Qualunque sian color cui siam soggetti,
guai se malvagi, e peggio ancor se inetti.