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Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
In quei tempi alla Corte del Lione
videsi a un tratto comparir, per fare
al Pappagallo visita, il Pavone,
antico amico suo particolare;
per le dorate piume insigne augello
e per l'occhiuta coda altero e bello.
Lieto l'accolse il Pappagallo, e usogli
cortesie, gentilezze d'ogni sorte;
gli fe' gran trattamento, e procurogli
presso al quartiero suo, quartiero a Corte;
e i cortigiani il nuovo forestiere
tutti quanti affollaronsi a vedere.
La Corte il riguardò come attenente
a una potenza amica ed alleata,
onde trattollo assai distintamente;
e fu per alto onor libera entrata
nei regj appartamenti a lui concessa
del Lioncino e della Lionessa.
La coda soprattutto ella ne loda,
che in materia di code ha gusto assai;
e dichiarossi che più bella coda
in vita sua non avea vista mai;
onde più non udiasi altro sermone
che della bella coda del Pavone.
Sazi alfin di parlar delle sue piume,
del piè, del becco e della coda occhiuta,
cominciar, giusta il solito costume,
a indagar la ragion di sua venuta;
credendo indubitato e manifesto
la visita non esser che un pretesto.
Generalmente si volea che avesse
spedito per gravissimo interesse
e ciascun la discorre in sua maniera
sul vero oggetto e sulla ragion vera.
Quei che credean che generato fosse
dal Lione e dall'Aquila il Grifone,
come vi dissi già che sospettosse,
venuto esser dicean colà il Pavone
a stabilire un patto di famiglia
che a conjugio politico somiglia.
Ma color che sapeano il Lioncino
non esser atto al coniugal mestiere,
dicean, la mission dell'aquilino
ambasciador non altro oggetto avere
che di fissar dell'alleanza i patti
per reciproco ben chiari ed esatti.
Tutta l'aristocratica famiglia
di Corte e delle prossime foreste,
/che dalla Corte ognor l'esempio piglia)
a dargli s'accingea conviti e feste,
cene, accademie, come solit'era
farsi a distinta bestia forestiera.
Ma il Gran Cerimonier pria consultaro,
se a un nobile quadrupede convenga
di trattar col Pavon di paro a paro:
Giust'è che ognun nel grado suo si tenga,
quei rispose e gli augelli in verità
tutti i quarti non han di nobiltà.
In grazia nondimen dell'accoglienza
che le maestà loro hannogli fatta,
siccome a membro d'amica potenza
con cui stretta alleanza abbiam contratta,
potransegli accordar gli stessi onori
che competono ai nostri gran signori.
Questo però considerar dovrassi
per grazia rara e per favor distinto,
e che in esempio in avvenir non passi,
e acciò il mondo animal resti convinto
dei nostri dritti araldici esclusivi,
registrato verrà ne' regj archivi.
Onde per tal cagion da quelle feste
escluso fu tanto il Castor che l'Ibi,
questi perchè l'aeree piume veste,
quegli come un degli animali amfibi;
e il Pappagallo, il Pappagallo stesso,
per cui venne il Pavon, non fuvvi ammesso.
Talor fra me cercando, perchè mai
la quadrupede razza si credesse
più nobil degli augei, mi figurai,
nel numer delle gambe riponesse
di nobiltà le pretendenze sue;
perchè essi quattro ne han, gli augelli due.
Quantunque tali idee pajano strambe,
in quanto a me non le ritrovo tali;
perchè mai nobiltà men nelle gambe
che nel sangue riporre e nei natali?
Molto obbiettar contro il natal si può;
e si vedon le gambe, e il sangue no.
Anzi quasi sarei d'opinione
che oggi l'esame rigido dei quarti
s'esige da ciascun, pria che il blasone
lo nobiliti in tutte le sue parti,
perchè le bestie della antica età
traean dai quattro piè la nobiltà.
Quindi se grazia a un grande o a un re tu chiedi,
o se omaggio gli presti, o in altri casi,
porsi, gettarsi ai piè, baciare i piedi,
ripeti sempre, e simiglianti frasi;
quantunque i piè, di bestia o d'uom, la cosa
più pulita non sian nè più odorosa.
Che se ragioni tai creder vorresti
false, o troppo sofistiche e sottili,
atti di schiavitù sarian cotesti
indegni troppo, obbrobriosi e vili,
prove del più spregievole e più strano
degradamento dello spirto umano.
Venner però principalmente ammessi
color cui dal quadrupede monarca
o di regio favor distinta marca,
e in cui di qualche antica bestia il merito
tutto compensa il personal demerito.
Inoltre il Pappagal, l'Ibi, il Castoro,
e tutte in general le specie alate,
delle bestie erudite e letterate,
e conseguentemente in una classe
di bestie inferior, di bestie basse.
doversi a bestie tai dar di che vivere,
e assegnar loro provvision bastante
per farle all'occorrenza oprare e scrivere,
ma non doversi all'assemblee di Corte
ammetter bestie mai di cotal sorte.
Anzi, poichè, qual si potè, s'è tratto
util dall'opra lor, nè più ella è buona,
e uso di lor, qual si volea, s'è fatto,
e a carico divien la lor persona,
non convien differir neppure un giorno
a levarsele subito d'intorno.
Poich'ella è una genia presuntuosa,
che colle sue chimeriche ragioni
alla quiete pubblica è dannosa,
e con dottrine e assurde opinioni
abborre per sistema e per mestiere
l'arbitrario, dispotico potere:
che l'indiscreta pone aspra censura
sfrontatamente in ciò che scrive o dice,
e il dispiacevol ver neppur procura
inorpellar d'esterior vernice;
che officiosa urbanità rampogna
e i blandi elogi e la gentil menzogna:
e che dura e incivil, sotto l'aspetto
d'una virtude astratta e immaginaria,
il preteso rivela altrui difetto,
ed osa por la gloria letteraria
di sopra a quella delle bestie grosse
alle primarie cariche promosse;
che protettrice ognor dei subalterni,
crede la servitù cosa nefanda,
e non vuol mai capir che ne' governi
l'interesse di chi guida e comanda,
non di chi serve e di chi il carro tira,
dee, per ben dello stato, aversi in mira.
Circa all'Allocco era diverso il caso;
ciascun sommo rispetto avea per lui,
ciascuno era convinto e persuaso
ch'ei potea, coi possenti offici sui,
chiamar sulle quadrupedi tribù
il supremo favor del Gran Cucù.
Onde, credendol veneranda bestia,
qualunque ingresso non gli avrebber chiuso;
quegli però, per ostentar modestia
e per esiger più rispetto, er'uso
di star nel suo petron; raro ne uscia,
nè a profane adunanze intervenia.
Dopo disgression sì necessaria,
per mostrar qual la Corte opinione
ebbe allor della classe letteraria,
conchiudo che nessun fuor del Pavone,
rettile, amfibio od animal da penne,
alle feste di Corte ammesso venne.
D'una cotal presuntuosa idea
il superbo Pavon tosto s'accorse,
che assai di lor più nobil si credea,
ben persuaso che in confronto porse
la nobiltà di bestie a quattro piè.
Onde punto restonne estremamente;
e siccome in pensieri, opre e parole,
non meno che orgoglioso, era imprudente,
come esser sempre l'orgoglioso suole,
incominciò a sparlar contro di loro,
e apertamente ne intaccò il decoro.
E con termini asprissimi e piccanti
grossolani, sciocchissimi, pesanti;
e che l'aerea agilità dell'ali
dall'alto al basso la terrestre e tarda
torpidezza quadrupede riguarda.
Nel lungo conversar col Pappagallo,
udendo quel volatile linguaggio,
in Corte omai chi più chi meno sallo;
o, per dir meglio, una tintura, un saggio
n'avean, se non intelligenza esatta,
per intender almen di che si tratta.
Onde il Pavon dal cortigian, che teso
l'occhio e l'orecchio ha ognor ai fatti altrui,
fu spesso udito, e spesso ancor compreso
l'ardimentoso tuon de' detti sui;
con che si concitò l'antipatia
di tutta la quadrupede genia.
Ma il politico fin della sovrana,
e di Corte il buon tuon, la gentilezza,
cui chiamar finzion la grossolana
turba incivil comunemente è avvezza,
sotto vel d'amorevole apparenza
celar seppe il rancor, la diffidenza.
Poichè di simular l'arte sublime
giunta era in quella Corte al più alto segno:
di simular le idee, le norme prime
ivi nacquero e crebbero; nè degno
era d'aver di cortigian l'onore
chi il labro non avea contrario al core.
Perciò con singolar fine malizia,
e proteste di stima e d'amicizia
si profondean sovente; e chi venia
festeggiato oltre l'uso e favorito,
era sicuro allor d'esser tradito.
Io vo' sperar che fra gl'illustri e scaltri
eroi di Corte oggi mestier sì egregio
perduto ancor non sia come tant'altri
che negli antichi tempi erano in pregio:
se arte tal si perdesse e se in obblio
andasse in Corte, o care Corti, addio.
Onde a spese di Corte un gran banchetto
diegli la Volpe ed una festa esimia,
ove l'Asin cantò un bel mottetto,
e fero un pas de deux l'Orso e la Scimia;
nè altrove mai si vide, a parlar giusto,
tanto brillar la splendidezza e il gusto.
Prova di quanto ivi brillar dovea
la splendidezza, il gusto e l'eleganza,
è la felice e l'ingegnosa idea
d'una certa quadriglia o contradanza,
di cui si debbe il bel ritrovamento
della Scimia al coreutico talento.
Tra i quadrupedi allor d'entrambi i sessi
nacquero impegni ed etichette e gare,
poichè esser tutti alla quadriglia ammessi
pretesero, e ne fero un serio affare;
ma alfin la Scimia, per real sentenza,
di combinar le coppie ebbe incumbenza.
Della più illustre animalesca turba
ella spiò le simpatie, gli amori,
ed accoppiò, da cortigiana furba,
le danzatrici acconce ai danzatori;
e come anche oggi è sempre l'uso in Corte,
si fe' creder che usciti erano a sorte.
Pos'ella il capitan Rinoceronte
per capoballo assiem colla Giraffa,
e mise lor la Cerva e il Toro a fronte;
fan la Mula e il Camel la coppia caffa;
Bufalo e Renna fan la quarta coppia
che sta lor dirimpetto e li raddoppia.
Al batter di conchiglia su conchiglia,
e di nacchere e ordigni boscherecci,
muovesi la quadrupede quadriglia
in vari giri e concertati intrecci;
tutta allor la foltissima adunanza
applaude alla superba contradanza.
La Scimia, i moti dirigendo, osserva
le mosse a tempo e le figure accenna;
danza con grazia e agilità la Cerva;
passo non falla e attenta sta la Renna;
e dignitosamente e con decoro
sostien suo grado anche danzando il Toro.
Ma Bufalo, Cammel, Rinoceronte,
che gravi e lenti son di lor natura,
non han come color le zampe pronte,
nè in cadenza mai trovansi e in misura;
e Scimia e Cerva e Renna invan s'adirano,
li pressano, li spingono, li tirano;
se del Rinoceronte ha il corno incontro,
spaventasi, e sollecita rincula,
e di quell'animal fugge lo scontro,
e del ballo scompon l'ordine in guisa
che tutti si smascellan dalle risa;
Drizza l'altera testa, e il guardo gira,
l'altissima Giraffa intorno al ballo,
qual chi da eccelsa torre al basso mira;
e se talun vede da lungi in fallo,
curva il gran collo, e benchè assai discosto,
l'urta col muso e lo rimette in posto.
Ora, siccome ogni animal danzante
in larghissime foglie era accappato
specie di danza tal da quell'istante
fu detta in Corte ballo imbacuccato:
nelle moderne corti abbiam perciò
quello che diciam ballo in Dominò.
Felice idea dell'imbacuccamento,
tanto alle belle e a' loro amanti amico,
per te di gelosia fugge l'attento
sguardo il capriccio e l'amoroso intrico;
tu ad amor presti il manto, oh idea felice,
e Venere è di te la protettrice!
Tutti avean gli occhi fissi a quella danza;
quando a un tratto una coppia imbacuccata
vedesi comparir nell'adunanza,
senza saper di dove fosse entrata;
e al portamento e alla figura altera
sembravan bestie della prima sfera.
Di palma e d'aloè ricco tabarro
portan di singolar gusto barocco,
cui soprapposto è un lavorio bizzarro
di fior diversi; e foglie ampie di cocco
forman loro una specie di gualdrappa
in cui la coda e il deretan s'incappa.
Tutti volgonsi i sguardi a quegl'ignoti
ospiti imbacuccati, e ognun procura
conoscerli, scoprirli, e gli atti e i moti
n'esamina, e la forma e la statura;
ma quelli, fatto intorno al ballo un giro,
si mischiar tra la folla e dispariro.
Fu creduto, e a ragion, la Lionessa
una esser di quei due: che chi potrebbe
per segreti passaggi entrar fuor d'essa?
E più creduto fu dappoichè s'ebbe
da molti di color contezza certa
che l'Asino n'era ito alla scoperta.
L'Asino, per la sua carica d'Ajo
posto avendo a giacere il Lioncino
sopra pelli di Martora e di Vajo,
ancor egli venuto era al festino;
conciosiacchè solea quel giovin sire
dodici ore di seguito dormire.
E quei che tutto osservan, osservaro
ch'uno di quella coppia imbacuccata,
destramente accostatosi al Somaro,
diegli, in passando, una gentil zampata;
prendersi col Zampier tal libertà
chi osato avria, se non Sua Maestà?
E ciascheduno in suo pensier combina
per qual motivo mai, per qual ragione
colà comparsa fosse la regina:
chi sostenea che in grazia del Pavone,
chi della Volpe, chi del Pappagallo,
degnata s'era intervenire al ballo.
Più assai difficil era il poter dire
chi fosse l'animal ch'era con lei;
ma quei che si piccavan di scoprire
le trasformazion dei cicisbei,
scommiser, come certi del guadagno,
ch'era il general Mulo il suo compagno.
Poichè, per quanto impieghi ingegno ed arte
per celarsi animal che va in bautta,
v'è sempre orecchio o zampa o collo o parte
che sporge e che non può celarsi tutta;
nè a divinarlo uopo era essere sì scaltri,
non vedendosi il Mulo ivi fra gli altri.
E inver, senza volersi incaponire
a sempre malignar su chicchesia,
della regina non v'è da stupire
se col vice-Zampier colà venia;
clemenza distinguea quell'animale.
Non s'ingannaron dunque, e della cosa
al chiaro pienamente alfin si venne,
e vie più da quell'epoca famosa
quel general le regie grazie ottenne;
perchè il merito in Corte, o presto o tardi,
sempre riscote i debiti riguardi.
E sapendo ella ben che i maldicenti
su quel suo parto ambiguo e feto ancipite
avean fatto gran chiacchiere e comenti,
i sospetti a troncar fin dallo stipite,
dal suo Vice-Zampier si fe' servire
su cui si sa che non v'è nulla a dire.
Fu certa pantomima indi eseguita,
e vi brillar come primari attori
l'Orso, la Scimmia e il Gatto, ed applaudita
estremamente fu da' spettatori;
e un barboncin pur'anche in quella farsa
fece onorevolissima comparsa.
Talor, pensando a quella pantomima,
tutto chiaro mi mostra e creder fammi
che traesser di là l'origin prima
e Tragedie e Commedie, Opere e Drammi:
onde di splendidezza a sì alto punto
il teatral spettacolo è poi giunto.
Tutti occupati essendo in quei balocchi,
appartati dagli altri in un cantone
diversi si vedean piccoli crocchi,
sparsi qua e là, di due o tre persone,
d'ogn'intorno guardar se alcun li osserva,
e parlar sottovoce e con riserva.
Entusiasti son d'affar politici,
e amator di politiche novelle,
che ai rigorosi loro esami critici
assoggettan perfin le bagattelle,
del governo a indagar le mire intenti,
e a scrutinar e a presagir gli eventi.
Ma materie esse son che alli profani
tener convien gelosamente ascose,
che politica è ognor d'oscuri arcani
fonte perenne e di secrete cose;
onde qualor s'incontrano costoro,
s'abbordano e s'aggruppano fra loro.
Chi assicura moltissimi animali
poc'anzi a' malcontenti essersi uniti,
ma che per anche ei non sapea dir quali;
chi sostien vari incontri esser seguiti,
che di tener celati aveasi impegno;
e talun soggiungea: cattivo segno.
Sottovoce e guardingo altri dicea,
Quant'ora accade, io l'ho predetto ognora,
ma tutto invan; e un altro predicea:
Se ne vedran delle più belle ancora,
per me parlato ho sempre aperto e franco,
e di fare il profeta omai son stanco.
Altri ripiglia allor esservi un piano
di pacificazione in sul tappeto,
e che l'Asino aveavi avuta mano,
ma che teneasi infin allor secreto,
poichè sì grave affar non era stato
alla Volpe finor comunicato.
Ciascuno di costor del proprio acume
persuaso, e di sua gran perspicacia,
di se medesmo in guisa tal presume
che se avesse talun la folle audacia
di dirgli in dolce tuon: Tu sbagli amico,
diverria tosto suo mortal nemico.
Fingendo intanto altrove esser distratti,
spie di governo, imbacuccati spesso,
furtivi a orecchie tese, un par di gatti
van ronzando a color d'intorno e appresso,
per intender se motto si pronunzia
da farsene sollecita denunzia.
Che in quell'età tenuta in tant'onore
fu la denunzia e la spioneria,
che anche di Corte più d'un gran signore
all'illustre attendea mestier di spia,
perchè i supposti allor reati altrui
fosser puniti ed impuniti i sui.
Pur, per l'urtar e riurtar frequente,
separar quei politici si denno;
e in separarsi vicendevolmente
si guatano sott'occhio, e si fan cenno
di non parlare, e di tenere in petto
quanto con gelosia fra lor s'è detto.
Dai staffieri di Corte allor la mensa
con pompa e con real fasto imbandita,
al convitato stuol fu copia immensa
di cibi squisitissimi servita;
eran circa trecento i commensali,
tutti distinti e nobili animali.
D'arguti sali e di gaiezza amena,
e bevendo in gran conche a spessi sorsi,
al Pavone, alla Corte, al ministero
estemporanei brindisi si fero.
Su tutto con unanime esultanza
da ciaschedun con ripetuti evviva,
applaudita a coro pien veniva:
diessen lode alla Volpe, e di sicuri
successi si traean felici auguri.
Senza punto badare a' detti loro,
le sue porzioni e le porzioni altrui
e sparian le vivande avanti a lui:
onde vario si fea motteggiamento
su quel suo parassitico talento.
Ei col vorace allor gozzo infarcito
d'ingesto cibo a favellar si prova:
A chi non è (dicea) buon parassito,
provvisionier di Corte esser che giova?
Gli altrui talenti rispettar vogl'io,
se mi si lascia almen libero il mio
Ma perchè mai maravigliarsi tanto,
che chi ha più fame anche più cibo ingoi?
Se aveste pur l'abilità ch'io vanto,
di grazia, men divorereste voi?
Non già la volontà, ma l'impotenza
costringe i meno edaci a più astinenza.
Conobber ben quei commensali allora
che san filosofar anche i ghiottoni;
e qualor vuol giustificarsi, ognora
trovar sa il vizio ancor le sue ragioni;
e lasciar che ciascun di quel convito
mangiasse a proporzion dell'appetito.
Da politiche bestie ivi presenti
egli è ben natural che si parlasse
e della guerra e degli affar correnti;
e richiesto il Pavon che ne pensasse,
cose diss'ei vere non men che ardite,
che non son volentier sovente udite.
Disse ch'entrar ei non volea a decidere
della lor scission sulle ragioni;
che se l'un l'altro straziar, se uccidere,
se sterminarsi alfin volean; padroni:
tal facoltà torsi a verun non de',
poichè rimedio alla pazzia non v'è.
Ma che ben strano e incomprensibil era
che al titol d'alleanza o di sussidio,
o altra ragion del tutto a lui straniera,
prender parte al comun barbaro eccidio
talun dovesse; e pel capriccio altrui
Se rovinasse e gl'interessi sui.
Esservi in verità nell'aquilina
Corte augei sanguinari, augei grifagni
che si pascon di sangue e di rapina,
ma che i simili suoi, li suoi compagni,
che l'indole non han fiera e rapace,
aman viver tranquilli e starsi in pace.
Con sì fatti argomenti ed altri assai,
odio eccitar contro color procura,
che avean gl'inermi augei posto in quei guai,
contro il buon senso e contro la natura;
e avea ragion per la sua mala sorte,
che ragione è delitto incontro al forte.
Sdegnoso moto a quel parlar si scorse
tra i commensali, e un sussurrar confuso;
il Ministro però che se ne accorse,
girò d'attorno gentilmente il muso;
e fatti ch'ebbe i complimenti sui,
levossi, e tutti si levar con lui.
Soffrir non può che nel real soggiorno
si permetta al Pavon sì fatto ardire,
e a più d'un di color ch'erangli intorno,
Un Cagnazzo è colui imprese a dire
egli è un Cagnazzo, udito or voi l'avete.
Cagnazzo, sì, Cagnazzo ognun ripete.
Convien saper che se talun sospetto
era al ministro e al minister talora,
o non ligio alla Corte e ben affetto,
venia col titol di Cagnazzo ognora
notato dalle bestie cortigiane,
cioè fautore e partigian del Cane.
Cagnazzo è quei che della furba Volpe
la falsità conosce e gli artifizi,
Cagnazzo è quei che smaschera le colpe
de' cortigiani, e della Corte i vizi;
e quei che sa che un imbecille e un pazzo
è il Lioncino principe, è Cagnazzo.
Cagnazzo è chi le stragi aborre e danna,
nè del governo i falli enormi approva;
Cagnazzo è chi l'oppression tiranna
e l'arbitrio dispotico riprova;
Cagnazzo è chi, per l'energia dell'alma,
il duro giogo non sopporta in calma.
Se infausta nuova di rovescio porte
bollettin, foglio pubblico o corriero,
e crederlo oserai pria che la Corte
non si contenti che sia stato vero,
se ascolti sol ciò che non piace a lei,
per te non v'è pietà, Cagnazzo sei.
E se in grazia del pazzo orgoglio altrui
sacrificio non fai di tua ragione,
e se i pensieri ed i giudizi tui
non soggetti all'altrui prevenzione,
sei di plebea Cagnazzeria notato,
e alla sovrana esecrazion dannato.
Sol di Cagnazzi favellar s'udia
ed era di Cagnazzi il mondo pieno;
quind'invidia, calunnia, ipocrisia
spargean contro innocenza il lor veleno;
il savio, il giusto, l'animal dabbene,
Cagnazzo se gli dica, e reo diviene.
Per non esser Cagnazzo usar bisogna
l'ossequio vil, la compiacenza molle,
venerar l'ignoranza e la menzogna,
soffrir gl'insulti dell'orgoglio folle,
al potente oppressor far plauso indegno,
e spander laude a chi di biasmo è degno.
per mezzo de' venali schiavi loro,
quante nel mondo son sventure e danni,
tutti esser de' Cagnazzi opra e lavoro,
tuttor nel volgo sparger si facea;
e l'imbecille volgo lo credea.
Poco mancò che turbini e tempeste,
incendi, alluvioni e terremoti,
la siccità, la carestia, la peste,
e li disastri più comuni e noti,
a' Cagnazzi non fossero imputati,
quai d'ogni male autor privilegiati.
Oh chiunque sei tu, cui ferve in petto
inestinguibil di giustizia amore,
d'aborrimento invan renderti oggetto
tenta il potente imperioso errore;
s'hai la virtù, s'hai la ragion per guida,
sprezza dell'impostor l'odio e le grida.
Ma il Pavon, ch'era pien di ghiribizzi,
gli orgogliosi quadrupedi a piccare
continuò co' suoi motteggi e frizzi;
lo che per altro io non gli so approvare;
che le soverchierie non istan bene,
nè insolentire in casa altrui conviene;
e infatti per Cagnazzo era tenuto,
e il guardava ciascun con occhio bieco;
e cauto sommamente e ritenuto
a favellar e a intrattenersi seco
mostravasi ciascun, per non parere
intelligenza con Cagnazzi avere.
Onde, vedendo ei stesso apertamente
che far colà più lunga permanenza
non era omai per lui cosa prudente,
fece insalutato hospite partenza,
acciò qualche malanno o guaio grosso
non gli venisse all'improvviso addosso.
Si fer mille discorsi e dicerie
su quella del Pavon fuga improvvisa,
e si dissero tante scioccherie
che ad ascoltarle era un morir di risa;
ciascun sotto la fuga del Pavone
qualche mistero ascondersi suppone.
E il Pappagallo, poco circospetto
nel favellare anch'egli, anch'egli uccello,
e amico del Pavon, cadde in sospetto,
e il Gatto attentamente osservar fello;
sicchè, annojato dalle seccature,
di Corte un dì sparve improvviso ei pure.
Che a ingrato indugio mai non s'assoggetta
e se regina lor l'Aquila è detta,
gode sol titol regio e regj onori;
che si diria da un pubblicista esatto,
di nome monarchia, più che di fatto.
Ma il debole governo, o tradimento
sospetta, o trama; e vario fea comento
sul Pappagallo e sul Pavon scappato:
governo sospettoso e diffidente
la debolezza sua confessa e sente.
Timidezza sul trono è ognor tiranna,
esploratori a suo sostegno adopra;
l'ombra per realtà prende, e s'affanna
che coraggiosa lingua il ver non scopra;
ed inquieta al più leggier bisbiglio
s'ange, e dove non è vede il periglio.
La Police volea scacciar dal regno
gli augei, gli amfibi e gli stranieri tutti,
sospetti d'aver spirito ed ingegno,
e inoltre rei d'esser di lor più instrutti,
e perciò perigliosi in tutti i stati:
ma temetter d'offender gli alleati.
Tanto più che fra quegli e fra gli amfibi
eranvi molti nel servigio regio,
per esempio il Castor, l'Allocco e l'Ibi,
bestie di sommo merto e d'alto pregio,
le più utili bestie della terra
per l'anima, pel corpo e per la guerra.
Ma riguardo alle bestie forestiere
della real Police uscì un editto:
che ciaschedun di lor dovesse avere
passaporto firmato e sottoscritto
dalla zampa medesima del Gatto;
o dai felici stati avria lo sfratto.
Che indagar si dovrà come i stranieri
pensano ed han pensato e penseranno;
e se in minima parte i lor pensieri
differenti da quei si troveranno
della Volpe, dell'Asino e del Gatto,
dalli felici stati avrian lo sfratto.
Che ogni straniera o di stranier parente
bestia, al cader del sol sarà obbligata,
della Police avanti a qualche agente,
dichiarar ciò che in tutta la giornata
ha udito, ha letto, ha visto, ha detto, ha fatto,
o dai felici stati avrà lo sfratto.
Che se alcun ne' confini entrar vorrà
spettanti alla quadrupede corona,
scrollar, rimuginar se gli dovrà
ogni penna, ogni pel della persona,
tasteggiar ogni parte o floscia o soda,
e frugargli ben ben sotto alla coda.
Ma color, non potendo omai soffrire
la durezza di quella inquisizione,
l'esempio non tardarono a seguire
del nostro Pappagallo e del Pavone;
e fuor di quei che al soldo eran di Corte,
non più apparve stranier d'alcuna sorte.
Di quegli augei la fuga, che tai cose
con acrimonia esageraron forse,
i due alleati in diffidenza pose;
onde fra lor, d'allora in poi, si scorse
una freddezza ed una tal riserva,
che l'alleanze intorbidisce e snerva.
Nè le cose ivan più come ivan pria,
per lentezza e indolenza, o per mancanza
di concerto e riciproca armonia.
Tal fu sempre il destin d'ogni alleanza
e il carattere suo che la distingue:
stancasi o presto o tardi, e alfin s'estingue.
E per ravvicinar le somiglianze,
non vediam tutto dì anche le umane
quadruplici o quintuplici alleanze,
ciò che forse ignorò la Volpe e il Cane,
non furon mai concordi operatrici,
e gli alleati rendono inimici?
Erra chiunque il ben pubblico crede
dei potenti trovar nell'unione:
sempre al privato il ben pubblico cede,
quando al privato il pubblico s'oppone,
e cade ogni alleanza da se stessa,
se util particolar o manca o cessa.