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Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
Non v'è chi possa, ed io lo so per prova,
di ciò che gli avverrà farsi un'idea:
spesso, malgrado suo, talun si trova
astretto a far ciò che men far volea;
e non occorre dir: non lo farò;
che dal destin v'è tratto, o voglia o no.
Io che ognor, per esempio, ho in me provati
d'innata aversion forti ribrezzi
i popoli in veder autorizzati
a storpiarsi, a scannarsi, a farsi in pezzi;
io che ognor da spettacolo sì fiero
torsi, quanto potei, l'occhio e il pensiero;
e benchè vegga ben, benchè sent'io
tutta l'atrocità di cose tali,
ecco che deggio a voi, malgrado mio,
le battaglie narrar degli animali;
ma il galantuom crepa piuttosto e schiatta
pria di mancare alla promessa fatta.
E alfin non parlerò che del furore
della brutal genia; e forse voi,
che siete dolci e teneri di core,
avrete almen pietà de' mali suoi;
più forse che feroci animi insani
non ne han per li frequenti eccidi umani.
Io dicea dunque che la regia armata
contro l'oste nemica erasi mossa
che in forte sito stavasi accampata;
e l'uno e l'altro esercito s'ingrossa,
e grandi e decisivi avvenimenti
erano inevitabili e imminenti.
Giunto che fu l'esercito reale
il campo avverso a discoprir, fece alto;
ma siccome postato in guisa tale
lo ritrovò da non temer l'assalto,
sovra il partito a prendersi, solenne
consiglio avanti al Principin si tenne.
Richiesto a esporre il suo parer, l'espose
primo il Cavallo: ad ascoltarlo intento
ciascun si stette, ed egli allor propose
di bloccare il nemico accampamento,
e senza avventurar dubbie battaglie,
togliergli e intercettar le vettovaglie.
ch'essi, padron di tutti quei contorni,
nè penuria soffrir potean, nè fame;
ma che stretto dal blocco, in pochi giorni
il ribelle quadrupede bestiame
a mal partito ed a mancar di tutto.
E dar dovrassi (nè andrà molto in lunga)
alla discrezion del vincitore:
che se l'intento ad ottener si giunga,
incruenta vittoria è ognor migliore;
e a ciò una truppa numerosa adatta
esser potea, benchè a pugnar non atta:
che, se spinger si vuol contro il nemico
moltitudin sol buona a far schiamazzo,
la moltitudin ei non stima un fico,
poichè, più che d'ajuto, è d'imbarazzo;
e impiegar convenia quella marmaglia
in cose in cui giovar ella almen vaglia.
Il parer del Cavallo a quel consesso
parve di ragion pieno e di buon senso;
e il Capitan Rinoceronte istesso
al voto cavallin prestò l'assenso;
e il Bufalo, animale inerte e sciocco,
Anch'io soggiunse opino anch'io pel blocco.
Ma il fiero Astor, che degli augei conduce
il volante drappel amico e sozio,
proferì voto sanguinario e truce:
Qui non siam disse per istare in ozio;
dalle istruzioni mie non mi diparto:
venimmo per pugnar: si pugni, o parto.
Così colui diceva, e la Pantera
con militar fierezza il guardo fisse
al Condottier della volatil schiera:
L'impaziente ardor calma poi disse;
tosto, sì, tosto, o valoroso Uccello,
ci batterem contro lo stuol rubello.
I tuoi pensier e i pensier miei son figli
di quel valor che in noi non torpe e langue;
nel sangue ostil inzupperem gli artigli;
guerra non faccia, chi sparmiar vuol sangue;
strage, distruzion, questo è il desio,
quest'è il voler dei miei sovrani e il mio.
Chi carbon tratta, da carbone è tinto;
ch'in mar nota, o si salva o il mar l'ingoja;
guerrier sul campo, o vince o cade estinto;
spesso a ciascun il suo mestiero è boja.
Poscia si volge al sovranello scemo
per ricever da lui l'ordin supremo.
E quei così parlò: voglio e non voglio,
nè del volere o non voler m'impaccio;
lascio di far quando nel far m'imbroglio;
parlo e non parlo, e se non parlo, taccio:
la regia udisti volontà suprema;
e poi, s'hai voglia di tremar, tu trema.
Il prudente Caval, per ricoprire
sciocchezze tai più che possibil fosse,
interrompendol, cominciò a nitrire,
e fe' del chiasso, e finse aver la tosse:
ma tutti al Lioncin fer complimento
pe' suoi bei motti e pel sottil talento.
Tutti quelli per altro eran discorsi
onde far credere ch'eravi un Consiglio,
che a volontà della Reggente porsi
dovette per decoro appresso al figlio;
ma non eran che chiacchiere e fandonie;
forme apparenti e mere cerimonie.
Che la Pantera dalla Volpe avute
segrete instruzioni, a nome avea
del consiglio di pubblica salute;
che arbitra del Consiglio decidea
tutto la Volpe ed ordinava come
a lei piacea, di quel Consiglio a nome.
Giusta gli ordin sovrani o, a meglio dire,
secondo quei che dalla Volpe ella ebbe,
combatter la Pantera ed assalire
e dar battaglia onninamente debbe;
battersi insomma, e battersi a ogni costo,
era il solo dover che a lei fu imposto.
Poichè il superbo, imperioso orgoglio
di chi comanda e in man tutto ha il potere,
crede che basti sol di dire, io voglio,
acciò tutto si pieghi al suo volere;
e infatti tutti allor concordemente
prepararsi a pugnar pel dì seguente.
Surta l'alba era appena, e la Pantera
per assalir l'esercito avversario
la regia dispiegava immensa schiera:
quand'ecco un Caribù47 parlamentario,
che ha sull'orecchio un candido pennacchio
e batte sopra un cembalo un batacchio.
Come il Cervier dagli avanzati posti
il messaggier vide venir da lungi,
incontro andogli, ed allorchè discosti
furon di poco, a che gridò qua giungi?
Cosa vuol dir cotesto tuo rombazzo?
Olà, chi sei? Che vuoi? Parla o t'ammazzo.
Cui l'araldo: ammazzar! vo' veder questa;
tu non t'intendi di diplomazia,
se non sai che solenne e manifesta
del jus dei bruti infrazion saria:
rispetta il mio caratter, ti prevengo
che ambasciador straordinario io vengo.
Ebben la Lince replicò che chiedi?
E l'Araldo: a trattar di grandi affari
a subalterni pari tuoi tu credi
spediti sian gli ambasciador miei pari?
L'invitta Tigre (inchinati) mi manda
per grand'oggetto a chi fra voi comanda.
Certo, il Cervier soggiunse, a te l'orgoglio
d'ambasciador non manca; e allor compose
festoncin di gramigna e di trifoglio,
e avanti gli occhi al messaggier lo pose.
Che diavol fai? gridava quei m'accieco;
ed il Cervier: non mi seccar, vien meco.
E poichè a un piè con un lacciuol legollo,
galoppa avanti e sel trascina dreto.
Va' più adagin, vuoi ch'io mi rompa il collo?
colui grida; e il Cervier: siegui e sta cheto.
E quando dentro alla sovrana tenda
l'ebbe introdotto, gli levò la benda.
Libero allor quei volge il guardo e mira
il Principin ch'era coll'Orso in ballo,
e un coro d'Orsacchin che in cerchio gira
del Bufalo in presenza e del Cavallo,
che lor malgrado assister denno ai pazzi
d'indocil prence insipidi sollazzi.
Un bendato in veder che là si reca,
che giuocar si volesse a mosca cieca,
danzar volea col messaggier bendato;
ma il prudente Caval fegli avvertire,
sì fatte inezie a un pari suo disdire.
Disse l'araldo allor: dassi fra voi
permission di libere parole?
Dessi, il Caval rispose, e parlar puoi.
E quei: la Tigre, che gli eccidi vuole
prevenir quanto può, pria che si spanda
di tante bestie il sangue, a voi mi manda.
E formalmente a singolar battaglia
per mezzo mio la Lionessa sfida;
onde si vegga chi di lor più vaglia,
e la gran lite un sol duel decida;
e a un sol tratto sia tolta e terminata
l'inimicizia pubblica e privata.
Tace, ciò detto, e la risposta aspetta;
parlar volle il Caval, ma il Lioncino:
Di risponder gridò solo a me spetta;
io successor, erede e principino,
io dar risposta deggio, ed io vo' darla;
Poi si volse all'araldo, e così parla:
Compresi, o ambasciador, di che si tratta,
compresi, sì; ma se altro a dir non hai,
torna alla Tigre tua, dille ch'è matta;
ma s'ella incoccia e va cercando guai,
se d'esser ammazzata ha volontà,
venga pur, mamma mia l'ammazzerà.
Furtivo il messaggier si mise a ridere;
ma il Bufalo e il Caval furon d'accordo,
che a capriccio così voler decidere
sull'altrui volontà, è da balordo;
che informarne perciò la Lionessa
doveasi e udir sur tal affar lei stessa.
E son'io dunque un cavolo, un tartufo?
ripiglia il Lioncin, facendo i bronci;
Di far così da principin son stufo;
e per l'orecchio con crucciosi sconci
modi l'Orso chiappò, ch'eragli allato,
e disse: ti rinunzio il principato.
Eh via, giudizio, maestà, giudizio
sclama allor il Caval con nobil sdegno;
così il padre guardian sgrida il novizio,
se con obblio del monacal contegno
talor furtivamente un lascivetto
sguardo lanciò su periglioso oggetto.
Desiste a tai rimprocci, e non indugia
a ricomporsi il Lioncin pentito;
frattanto, dopo quella tafferugia,
fu in diligenza il messaggier spedito
col Cerviero alla reggia, ed in solenne
forma introdotto alla Regina venne.
Qui di sua mission l'oggetto espone
l'araldo alla Reggente assisa in soglio,
e il cartel di disfida a lei propone.
A sì insolente ed inudito orgoglio
dei cortigian l'astante ampia famiglia
stralunò gli occhi ed inarcò le ciglia.
Ma la Regina, che intimar s'intese
il temerario annunzio in tuon sì altiero,
ruggì per rabbia e di furor s'accese
e d'uno slancio impetuoso e fiero
balzò dal trono, e ad affrontar la rea
nemica sua, la sua rival correa.
Asin, Mulo, Barbon, Gatto e Bertuccia,
e tutti i primi cardini del regno,
la sovrana in veder che si corruccia
di così generoso e nobil sdegno,
gettansi avanti a lei, per impedire
ch'ella ponga ad effetto il bel desire.
Ma di teneritudine asinina
pieno il Zampiero e d'asinino zelo:
l'Asin mira a' tuoi piedi: ah, tolga il cielo,
ch'io t'abbandoni a frenesia sì ardita;
prima al fido Asin tuo torrai la vita.
La Volpe allor più vigorosa e soda
il magnanimo tratto esalta e loda,
ma per distorla altre ragioni impiega,
ragion che allignan d'un ministro in seno
come cicute in frigido terreno.
So ben dicea che pugnar vorrai,
so ben (chi dubbio averne sol potrebbe?)
che della tua rival trionferai;
ma qual util da ciò risulterebbe,
se anche sul soglio assisa ognor tu puoi
esterminar tutti i nemici tuoi?
S'espongan pur, battansi quegli a cui
dritto non diè sovra la vita altrui;
ma, scusa, folle è ben chi a suo piacere
sparger può l'altrui sangue, e rischia il suo;
e questo, o maestà! è il caso tuo.
la Volpe adula; e militare e caldo
diè allor suffragio il Mulo presidente,
che far in pezzi debbasi l'Araldo;
No disse il Gatto, io son d'opinione,
che si leghi e ritengasi prigione.
E di già contro il povero messaggio
eseguir si volea l'empio decreto,
ma il Toro, ch'era il cortigian più saggio,
e perciò spettator tranquillo e cheto
stat'era fin'allor, pria s'eseguisse
l'atto crudel, ruppe il silenzio e disse:
Quando ir contro a chi offenderla presume
volle la Lionessa, io men compiacqui;
e quando sparger poi di sangue un fiume
si volle pria d'esporla al rischio, io tacqui;
poichè debbe ciascun tacer piuttosto
che approvar ciò a' che suoi principj è opposto.
Ma d'uopo è ancor che nella stessa reggia,
contro il dritto antichissimo dei bruti,
fin cogli araldi incrudelir vi veggia,
sulla pubblica fe tra noi venuti?
Cui la Volpe: Ognor tu freddo decoro
alle forti misure opponi, o Toro.
Più mi sorprende ancor l'idea tua strana,
che mentre in ozio placido ti resti,
d'una ribelle a fronte una sovrana
a singolar tenzone espor vorresti.
Credette il Toro allor che della Volpe
il motteggiar di codardia l'incolpe;
e sul punto d'onor poco indulgente,
col piè percosse il suol, l'aer col corno:
Vado disse sdegnoso alla Reggente
cadrò sul campo, o vincitor ritorno;
s'ha solo idea d'onor, lo stesso faccia
chiunque è il vil che di viltà mi taccia.
Parte precipitoso in così dire,
nè v'è chi opporgli ostacol possa o inciampo.
Lasciam ch'ei vada pur, poichè vuol ire
dicea la Volpe; e intanto ei corre al campo
coll'elevata cornatura altiera,
e si offrì volontario alla Pantera.
Poichè Toro e Caval partir di Corte,
non vi restar che i più malvagi e vili;
così però da carcere e da morte
scampò l'araldo che, con modi ostili
bendato e avvinto, dal Cervier fin sotto
al nemico quartier fu ricondotto.
Dacchè il campo ei lasciò degli avversari,
finchè colà di nuovo poi si rese,
d'ambe le parti fur le militari
operazion, com'è di stil, sospese:
della disfida alfin rotto ogn'impegno,
diè la Pantera dell'assalto il segno.
Ma pria vo' far, di proseguire invece,
breve digression, ma breve assai:
io son d'accordo che la Tigre fece
cosa che tigre non ha fatta mai:
ma se servir d'esempio e di modello
dovesse, il mondo allor saria pur bello!
Se a due potenti ambiziosi, altieri,
in capo vien di divenir nemici,
si straziano fra lor popoli interi,
stati e regni divengono infelici:
e la ragion, ciò che più bello è ancora,
non preme, non si esamina o s'ignora.
Or, s'una qualche autorità dicesse:
Signori miei, battetevi fra voi,
che ciò non è di pubblico interesse,
diverrebber più savi ed essi e noi;
se a corpo a corpo i prenci della terra
dovran pugnar, non vi sarà più guerra.
Ma finchè al mondo vi sarà taluno
che vittime a migliaja e il sangue altrui
possa immolar senza suo rischio alcuno,
e come, e quando, e quanto aggrada a lui,
non ti doler della barbarie sua,
o schiava umanità, la colpa è tua.
Ma è fuor di dubbio omai che il germe umano
ha per la schiavitù gran simpatia;
dunque perchè sprecar il fiato invano?
Se starsi egli ama in schiavitù, vi stia;
altro non resta a dir, cari ascoltanti;
la parentesi chiudo, e tiro avanti.
Allo spuntar del dì contro i rubelli
mossero i regi con clamori immensi:
intrepidi l'assalto attendon quelli,
stretti far lor militarmente e densi;
e le Ceraste e i Draghi e i Basilischi
drizzar le teste con acuti fischi.
Di quei clamor lo spaventevol rombo
di tema i petti empì più coraggiosi;
mugghiò il concavo mar per lo rimbombo,
e i pesci si tuffar nei fondi algosi;
strinsero i figli al sen le madri pavide,
e tutte si sconciar le bestie gravide.
Erano i regj inver più numerosi,
ma d'ogni specie e d'ogni età raccolti,
nè tutti atti alla guerra e vigorosi,
perocchè senza scelta e a forza tolti;
e compost'era l'armata avversaria
di gioventù robusta e volontaria.
Il titol specioso assumon quelli
dan per obbrobrio agli avversari loro;
ma chi in sonori sol titoli sfoggia,
sue pretendenze a fragil base appoggia.
Convien per altro ch'io convenga e accordi
ch'erano i malcontenti (in ch'io li biasmo)
poco subordinati e men concordi,
ma solean con quel primo entusiasmo
ai difetti e al disordine supplire;
onde d'ambe le parti eravi a dire.
Non io se cento bocche e lingue cento,
e ferreo petto avessi e ferrea voce,
narrar potrei di quel combattimento
la rabbia ostinatissima e feroce,
che assai più sterminò della metà
di quella marzial bestialità.
Ma lingua, no, non v'è, nè voce umana
i vari casi a raccontar bastante
di quella pugna spaventosa e strana
che bestie estinse sì diverse e tante;
erano le armi lor ben differenti
da quelle usate in guerra ai dì presenti.
In quell'orrenda animalesca pugna
l'armi s'adoperar che fe' natura,
l'artiglio, il rostro, il corno, il dente e l'ugna;
l'arte col tempo assunse poi la cura
di fornir l'armi all'uom, sciabla, alabarda,
baionetta, cannon, schioppo, spingarda;
e si comprese ancor che un re non dee,
suo dritto in sostener, o vero o falso,
impiegar di ragion l'armi plebee,
di cui tuttor il pubblico s'è valso;
arma solo del suddito è ragione,
e son ragion d'un re schioppo e cannone;
e si spera che un dì l'arte inventrice
dei bellici mortiferi strumenti
divenga sì ingegnosa e sì felice
per lo total sterminio dei viventi,
che facilmente in una sola guerra
d'una metà spopolerà la terra.
Il nemico assalir con gran vigore
i regj, e con intrepido coraggio
quegli sostenne l'urto assalitore;
nè questi o quei deciso ebber vantaggio,
e in un gli assalitori e gli assaliti
a migliaja cadean morti e feriti.
Pongon l'unghia, la zanna e il corno in opra
i quadrupedi, e fan guasti e scompigli;
ma coi vanni gli augei gli urtan di sopra,
e li feron coi rostri e cogli artigli;
e fra lor frammischiandosi i serpenti,
vibran le lingue e i velenosi denti.
Qua e là la Tigre rapida si lancia,
e al nemico con rabbia e con furore
o svelle il cor dal petto, o dalla pancia
trae con le branche le budella fuore;
e con la cruda insanguinata zanna
lo lacera, lo strangola, lo scanna.
Vide da lungi la terribil fera
sovra i guerrier più poderosi ed alti
la Giraffa elevar la testa altera;
colà rapida corre a lanci, a salti,
e furiosa contro lei s'avventa,
che imperterrita attende e non paventa.
Qui fra le due gran bestie uopo è che orrenda
pugna della vittoria omai decida;
nella ferocia sua, nella stupenda
di cui maraviglioso uso far suole;
l'altra in sua robustezza e nella mole.
Al cominciar della spietata zuffa
fa luogo ogni altra bestia e si ritira;
la furibonda Tigre infuria e sbuffa,
e i feroci suoi sguardi avvampan d'ira;
e di sua massa il grand'animalone
l'insuperabil resistenza oppone.
La Tigre d'abbrancarla invan procura,
e or per fianco, or di fronte invan l'assale,
troppo la cute al graffio e al morso è dura;
tenta l'altra ghermir la sua rivale,
che se ponsela sotto e la soggioga,
col gran peso la schiaccia e la soffoga.
Sì improvvisa la Tigre alla Giraffa
salta alfin per di dietro in sulla schiena,
e il lungo collo e l'alta testa aggraffa,
che l'avversaria se ne avvide appena,
e colla branca, d'atro sangue sozza,
la gola straziandole, la sgozza.
Versa ella il sangue a trosce, ed il gran collo
giù penzolon trabocca e il capo rotto;
cade, e dà nel cader sì gran tracollo,
che molti infranti le rimaser sotto.
Così fan torre i minator cadere
per ischiacciarvi le nemiche schiere.
Dalla vittoria allor resa più ardita,
quanto avanti le vien sbrana e distrugge
l'atroce Tigre; e timida e smarrita
l'oste nemica il fiero incontro sfugge,
e più lungi che può da lei sen corre;
ma a rincorarla allor la Iena accorre.
Mille dier di fierezza orrende prove
la Iena, il Leopardo e la Pantera:
sì fatti esempi, e mai non visti altrove,
di crudeltà sì dispietata e fiera
se narra lingua o se pensier rammenta,
l'alma si raccapriccia e si sgomenta.
Scagliansi in mezzo all'inimiche torme,
ove maggior la moltitudin sembra,
e fan macello spaventoso, enorme,
e in brani, oh atrocità! squarcian le membra,
e han la bocca, la lingua, il muso e il gozzo
d'osceno sangue ognor grondante e sozzo.
E se estinto sul colpo alcun non resta,
mandando fuor terribili ululati,
con rotte spalle e con infranta testa
nemici attacca, e amici ed alleati;
e i feriti s'ammassan sugli estinti,
e a cader vanno i vincitor sui vinti.
Scorrendo la Pantera, il sanguinoso
conflitto accaloria, quando di faccia
l'Ippelafo le vien, che frettoloso
iva pel campo della Tigre in traccia,
come in Corte era solito di fare.
E queste e altre ragion provar vi denno
che, come i pari suoi fur sempre e ovunque,
egli era un damerin di poco senno:
fra l'armi cortesia!... Ignorò dunque
che in feroce guerrier brutale e zotico,
cortesia, gentilezza è frutto esotico?
Del non curato amor l'onta e il rifiuto
torna in mente all'altiera, e d'ira insana
rende un ghigno amarissimo al saluto;
se gli avventa, lo lacera, lo sbrana;
quei, palpitando, cade e geme e langue,
e giacque sull'arena immoto, esangue.
S'arresta a vista tal l'atroce amante,
e in cor, malgrado la natia fierezza,
moto dubbio e leggier per breve istante
risente di pietà, di tenerezza;
sdegnosa il soffogò, com'onta n'abbia,
e corre altrove ad isfogar la rabbia.
Goder dei doni dell'amica sorte
potea, e frenesia bizzarra e nuova
lo spinse in guerra ad incontrar la morte;
il favor della Tigre or che gli giova?
Meglio non era conservar la pelle,
fare il galante e vezzeggiar le belle?
Lungi intanto di là le corna altiere
eleva, e con magnanimo coraggio
trascorre il Toro fra le folte schiere,
e a grand'urti, a gran colpi apre il passaggio;
e vuol mostrar che valoroso e forte
esser puossi egualmente in campo e in corte.
Lo scrignuto salvatico Bisonte
vede da lungi, e sopra lui si scaglia;
quei fermo attende, e cozzan fronte a fronte;
dei colpi orrendi in quella lor battaglia
al rimbombo, al fragor trema la terra;
ma il Toro alfin il suo rivale atterra.
Il Can ministro e duce allor di grossi
arditi Can contro gli spinge un pajo:
l'uno è di quei che noi chiamiam Molossi,
l'altro è un can ch'or diciam di macellajo;
alle orecchie del Toro ambo s'avventano,
e l'un di qua, l'altro di là l'addentano.
Invan la testa il Toro agita e scuote,
che afferrato color tengonlo in guisa
che di dosso staccarseli non puote;
ma sorvien la Pantera, ed improvvisa
salta di slancio in sul Molosso, e il collo
per di dietro abbrancandogli, sbranollo.
Poichè il Toro da un can libero fu,
con più vigor l'altro a balzar pervenne
alto così, che ricadendo in giù,
sul corno ei stesso ad infilzar si venne,
che penetrogli tutto entro la pancia;
e il Toro allor lungi da se lo slancia.
Indi avanti trascorse... Ohimè, t'arresta:
misero! ah tu non sai qual ti prepara
l'avverso tuo destin sorte funesta;
ma niun dai colpi della parca avara
scampa per previdenza o per consiglio,
sicchè evitar possa il fatal periglio.
Lo smisurato Boa venirgli incontro
vede, che la voragine spalanca
delle profonde fauci, ond'ei lo scontro
con agil salto di schivar non manca:
quei ver lui si ripiega, ed in quel mentre
s'appressa il Toro, e gli trafora il ventre;
fischiando allor se gli attorciglia e il cinge,
e nelle spire sue con somma possa
il gigantesco rettile lo stringe,
e infrante sotto a lui scricchiolan l'ossa:
per un par suo, vedete ben che quella
situazion non era punto bella.
Colà il Rinoceronte intanto giunge,
possente, formidabile, feroce,
e il Toro, appena videlo da lunge:
Aita grida in lamentevol voce
aita, amico, che questa bestiaccia
mi sganghera, mi stritola, mi schiaccia.
Colui, per aitarlo, il corso affretta,
ma tutto invan, che troppo tardi arriva,
nè altro a far gli riman se non vendetta;
che il crudel Boa fin del respir lo priva;
mugghia, urla pel dolor, e alfin dall'epa
gli schizzan fuori le budella, e crepa.
Allor la bocca apre il grand'angue, e s'erge
contro il Rinoceronte, e questi in gola
il corno potentissimo gl'immerge,
e gli tronca la vita e la parola;
sangue eruttando, allor lo smisurato
Boa rovesciò sul Maggiordom crepato.
Altrove intanto la feroce Iena
scorre col grifo d'atro sangue intriso,
strazia, lacera, sbrana e stragi mena;
per lei rimase il Capibara ucciso,
e lo Zebù dall'eminente gobba48
che alta torreggia e lo schienal gli addobba.
Poi si avventa al Tapir, che grida: Aspetta;
sappi pria che, se tu mi fai strapazzo,
ne farà l'Elefante alta vendetta.
Cui la Iena: alma vil, per or t'ammazzo;
e venga poscia il protettor che vanti;
tu muori intanto, e non pensar più avanti.
Disse, e in due colpi al suol morto lo stese,
poichè il Tapir contro il suo fier nemico
oppor non seppe, o non potè, difese;
quando n'avrà la nuova il grosso amico,
oh qual ne proverà crudel dolore!
Ma quegli è lungi, ed il Tapiro muore.
Folle! incontro a nemico altier potente
come sperar potè scampar da morte
per la protezion d'amico assente?
E ignorò che vie più s'irrita il forte
contro il debole, amico o ausiliario
d'alcun suo formidabile avversario?
Alla Iena fischiando allor s'avventa
col crotalo sonante il Boachira;
non s'arretra la fera e non paventa,
ma valle incontro ed a sbranarla aspira;
quei la morde alla lingua, e ivi potente
spreme velen dall'uncinato dente.
Come d'apoplessia da colpo tocca,
colei riversa al suol cade di botto:
s'enfia qual otre il corpo, e dalla bocca
esce fluore fetido e corrotto;49
e con tremiti orribili la Iena
incancrenita giacque in sull'arena.
L'ausiliario Condor, che da lontano
morta a un tratto cader la Iena scorse,
benchè il soccorso suo sia tardo e vano,
ratto sul Boachira il volo torse,
salvar non può, vuol vendicarla almeno.
Ma l'angue allor, che del Condor s'accorge,
a capo ritto in guardia ben si tenne,
e vibra il dente; e quei volteggia, e porge
quei le morde, e il velen perde e consuma
col colpo van sull'insensibil piuma.
Il Condor qual paleo s'aggira, e afferra
col forte rostro al Boachira il collo,
e con tanto vigor gliel preme e serra,
che alla fin, soffocandolo, schiacciollo;
l'artiglio intanto nel mortifer angue
immerge, e quei versa il veleno e il sangue.
cotal strazio il Condor vittorioso,
e del periglio suo non s'avvedea,
che angue non men feroce e velenoso,
tacita, fra sterpami e sassi ascosta,
la Naja insidiosa a lui s'accosta.
Lasciar non volle il Boachira inulto;
e pria che quei non si sollevi in alto,
spera punir il temerario insulto
e riportar con improvviso assalto
sul Condor memorabile vittoria
e di sua specie riparar la gloria.
Tesa in prima, e rasente al suol si sdraja,
poi sul dorso inarcandosi rimbalza,
e sul flessibil corpo allor la Naja
la piatta testa e l'ampio collo innalza;
rapida sul Condor un lancio spicca,
e il dente sull'occipite gli appicca.
Quei, come da letal saetta punto
verticalmente alto volando ascese,
e alla più eccelsa elevatezza giunto,
piombò morto sul campo ad ali tese;
onde bestie vi fur che una pennuta
cometa lo credean dal ciel caduta.
Vedi intanto d'intorno un tremolio
d'insetti innumerabili e minuti,
che col perpetuo ed importun ronzio
e cogli aculei lor pungenti acuti
in mezzo a quegli universali eccidi
non recano ai guerrier lievi fastidi.
I capitani allor degl'insorgenti,
diverse evoluzioni e movimenti
ben intesi e fra lor pria concertati,
tutti a un tratto piombar per vario calle
sui fianchi del nemico ed alle spalle.
Più allora incrudelì la zuffa orrenda;
ciascun partito, d'egal rabbia acceso,
l'un con l'altro distruggesi a vicenda,
e l'esito parea dubbio e sospeso:
ordin di pugna invan cercar qui vuoi;
carnificina sol trovar vi puoi.
s'agita in mille guise orribilmente,
qual bolle umor sulfureo in bulicame,
o vomita vulcano acqua fervente;
e si sollevan nuvoli di polve,
che in neri globi i combattenti involve.
Onde sol brulicar l'occhio dall'alto
vede code, ali, teste e zampe e lingue,
vede l'urto, lo slancio, il colpo, il salto,
tutto in confuso; e nulla appien distingue
se non spavento, orror, sterminio e sangue,
gemiti di chi muore e di chi langue.
E nel furor di quell'orribil mischia,
chi soffia e sbuffa, e chi urla e stride e rugghia,
chi fremita, chi mugola, chi fischia,
chi cigola, chi miagola, chi mugghia;
e da lunge il rombar di quei clamori
gli animi impaurisce e agghiaccia i cori.
Tumido mar, che scogli e massi e rupi
impetuosamente urta e percuote,
vento che chiuso freme in antri cupi,
tremuoto50 che la terra agita e scuote,
fulmin che scoppia e le alti torri abbatte,
idee non sono al gran confronto adatte.
Par che l'ordin si rompa e si confonda
onde esiston le cose ed i viventi,
e dal Caos primier nella profonda
voragine la terra e gli elementi
rientrin dissolvendosi, e gli abissi
s'aprano, e cadan gli astri, e il ciel subissi.
Ma respirar m'è d'uopo, acciò maggiore
forza il canto51 riprenda, e maggior lena;
che sì tetri pensier stringono il core,
e inaridiscon l'apollinea vena:
e fatto poi tranquillamente il chilo,
riprenderò della mia storia il filo.