Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
APOLOGO IV.
Era una volta una famosa Gatta
Oltre ogni dir lussuriosa e ghiotta,
Che sopra tutta la gattesca schiatta
La carne cruda amò più che la cotta;
Nè da lei ne' pollai, nelle cucine
I piccioni eran salvi e le galline.
Coi Galli che venivan d'ogn'intorno
Facea un bordello, un chiasso indiavolato
Sui letti e le soffitte e notte e giorno,
Tenendo inquieto tutto il vicinato;
Or pentole rompeva ed or tegami,
Or salsiccie rubava ora salami.
Un domestico can strozzò di netto
Per pappargli la carne e la minestra;
E per ragion di non so qual zampetto
Fe' un Gatto tombolar dalla finestra.
Parea che in casa esser volesse sola,
E tutto riserbar per la sua gola.
Ma quantunque facesse un sì gran male,
Che, tutti se ne avevano a dolere;
Pur sendo ella un bellissimo animale,
Di bianco pel sparso di macchie nere,
Sommamente scherzevole e buffona,
Ogni mal'opra le menavan buona.
Sul canapè sdrajavasi supina,
Chiudeva gli occhi e respirava appena;
E quando qualchedun se le avvicina
O la pancia lisciandole o la schiena,
Ella con varie smorfie aveva in uso
Lieve la coda strofinar sul muso.
Ma siccome ciascun (sia uom, sia bestia)
Ha qualche gusto suo più o meno strano,
Quel che alla Gatta dava più molestia
Era quel del formaggio lodigiano;
Per quello ita saria dentro la fiamma,
Per quel strozzata avvia per lui la mamma.
Vide un giorno un facchin che sulla testa
Portava una bellissima ed immensa
Forma di Lodigian dentro una cesta,
Andandola a ripor nella dispensa.
La Gatta a quel dolcissimo spettacolo
Se non cadde in deliquio, fu un miracolo.
Montandole l'odor ch'indi esalava
Su per le nari, impression sì viva
Le facea nel cervel, che masticava
Come l'avesse in bocca ed inghiottiva.
In circostanza tal facea pietà.
Uscendo intanto colla vuota sporta
Il facchin chiuse l'uscio a chiavistello.
La Gatta visitò finestra e porta,
Dicendo, oh se trovassi uno sportello
O un buco per ficcarvi il capo dentro!
Che se ci ficco il capo, io tutta c'entro.
Esaminando va con occhi d'Argo
Tutta la stanza attorno e sotto e sopra;
Col guardo la misura in lungo e in largo,
Per veder se v'è luogo ove discopra
Qualche picciol passaggio o qualche buca
O fessura per cui ci s'introduca.
Nè diligenze fe' minor di quelle
Che faccia il capitan che s'affatica
Per sorprender, se può, le sentinelle
E penetrar nella città nemica;
Che una volta vorria, vinto dal tedio,
Con un colpo di man finir l'assedio.
Ma tutto invan, che il dispensier sagace,
Acciò a mangiar le robe ivi riposte
Non entri sorcio o altro animal vorace,
Fatto avea rinnovar toppe ed imposte;
Sicchè neppure un moscerin vi passa,
Non che una Gatta sì paffuta e grassa.
Ma come al par di lei non v'era un'altra
In tutta quanta la genia gattesca
Sì feconda in ripieghi astuta e scaltra
Un bello stratagemma immaginò,
E così a ragionare incominciò:
Nell'ardua impresa io riuscir non posso
Sola e da me; dunque si cerchi ajuto.
Spesse volte sul tetto un Topo grosso
Passeggiar fra le tegole ho veduto,
Che quando vede me scappa e sparisce
E la mia buona intenzion tradisce.
Hanno denti costor sì acuti e duri
Che proprio al caso mio pajono fatti;
Nè il legno sol, ma roderiano i muri;
Grazia che il ciel non ha concessa ai gatti.
Un passaggio per far giusta il mio scopo,
Collegarsi convien con questo Topo.
Forse sospetterà di qualche insidia,
Perchè di mala fe mi taccia a torto
Qualche goffo animal che con invidia
Riguarda il mio talento astuto e accorto;
Ma il fine a conseguir che si desia,
Mai non mancano i mezzi a una par mia.
E fatto il buco ov'ei creda opportuno,
D'accordo ambo entrerem nella dispensa;
Là scialerem; di me sospetto alcuno
Più non avrà; ma quando men sel pensa,
In sul più bel del pasto a un tratto chiappo
Il mio caro alleato e me lo pappo.
E così prevalendomi di lui,
Quando ogni diffidenza avrogli tolta
Nè più bisogno avrò de' fatti sui,
Zaffe, fo due bei colpi in una volta.
Del mondo arbitra ognor fu la politica:
Chi l'ha, l'adopra, e chi non l'ha, la critica,
Ciò detto in quattro salti dritta dritta
Sen corse a ritrovar l'amico sorcio;
E appunto lo trovò sulla soffitta,
Che rannicchiato stavasi in iscorcio
In vecchia trave dentro una fessura
Posa il cul sopra un coppo, e si sostiene
Dritta sui piè d'avanti uniti e tesi,
Ed al Topo che in guardia ognor si tiene
Fa smorfie e inchini e cento atti cortesi;
Poi con dolce aria ed amichevol fisse
Lo sguardo in lui teneramente, e disse:
Egli è gran tempo, o caro Topo mio,
Che pur volea con te far conoscenza;
Che consultarti in cert'affar degg'io,
Affar serio e di somma conseguenza:
D'interesse comune oggi si tratta,
Quantunque tu sii Topo ed io sia Gatta.
Il Topo che sapea con chi parlava,
Senza sbucar dal nido suo, riprende:
So che tu sei Gatta onorata e brava;
Ma pur di te, dell'opre tue stupende
Troppo fra noi grande è la fama e il grido;
Perciò scusar mi dei, se non mi fido.
Fra noi dunque, la Gatta allor riprese,
Sempre guerra dovrem mantener viva?
Ne fu meglio obliando alfin le offese,
Far lega difensiva ed offensiva,
E prender le misure atte e opportune
D'ambo le specie per il ben comune?
Non ti vengo a propor men che il partaggio
D'un tesor di grandissimo valore,
D'un enorme volume di formaggio
Di cui non ebbe mai Lodi il migliore
Per affar di sì grave alta importanza
Val la pena di fare un'alleanza.
E se unita ti son, chi tanto matto
Sarà che ardisca mai darti imbarazzo?
Venga, si mostri sol, sia can, sia gatto,
In due colpi lo strangolo e l'ammazzo.
Se nemica son io, son formidabile;
Se amica, son fedel costante e amabile.
O sia che la gattesca arte oratoria
Il buon Topo bel bel persuadesse,
O d'alleanza tal la vanagloria;
O sia (come cred'io) ch'ei non avesse
Fermezza di resistere e coraggio
Alla tentazion di quel partaggio;
Uscì dal buco, e fattosi più avanti,
Disse (e fece alla Gatta un bell'inchino)
Se sincera tu sei come ti vanti,
Eccoli i denti miei, ecco il codino;
Tu disponi di me, ch'io sottoscrivo
Al trattato offensivo e difensivo.
Tosto il zampin la Gatta al Topo porse,
E al collega spiegò tutto il suo piano,
Pregandolo di tosto all'opra porse
Per quanto amor portasse al Lodigiano;
E il Topo scelse come il più sicuro
Un certo sito fra la trave e il muro.
Si giuran fede, e pongon mano all'opra.
Lavora questi; e quella fa la ronda,
Il Topo affretta, e spesso va di sopra
Per veder se la buca è ancor profonda;
Ma benchè giorno e notte il Topo roda,
Troppo era dura la materia e soda.
Dopo tre settimane alfin fu fatta
Fessura tal ch'entrovvi il Topo drento,
Siam vincitor, gridando, e allor la Gatta
Ancor essa v'entrò, ma con più stento,
Dier l'assalto al formaggio, e in un baleno
Ne divorar tre o quattro libbre almeno.
E per più dì seguendo a far lo stesso,
A vista d'occhio ognor scema il formaggio;
L'ingresso riuscia come il regresso
Facile al Topo pel novel passaggio;
V'entra anch'essa a digiuno, ma a pancia piena
La Gatta nell'uscir vi passa appena.
Vero è però che quante avria volute
Pappate non può far, perchè una zecca,
La qual se l'era fitta nella cute,
E la punge e la morsica e la secca;
Ma tanto s'adoprò, tanto agitossi,
Che la zecca di dosso alfin levossi.
Il nostro Topo intanto avea con quelle
Reso lucido il pel, tesa la pelle;
Onde la Gatta, ad incentivi tali,
Credè che omai per terminar la lega
Tempo era di papparsi anche il collega.
Un dì standosi intorno a quel lor cacio,
Ella dopo una dolce avida occhiata,
Se gli accostò, come per dargli un bacio,
Ma dar voleagli la fatal zampata;
Quand'ecco l'uscio aprir e farvi ingresso
Il garzon di cucina e un Cane appresso.
La coppia commensale a tal sorpresa
Chi qua chi là sen fugge e si sparpaglia;
Ma il Can, ch'era un can corso, un can di presa
Contro la gatta subito si scaglia;
E il Topo arrampicandosi sul muro
Cercò tosto di mettersi al sicuro.
E giunto al buco era di già, ma mentre
Insinuarsi vuol nella fessura,
Trovò che troppo pieno aveva il ventre,
Ed (o fosse lo sforzo o la paura)
Nel trarsi fuor da quel critico stato,
Il cacio evacuò ch'avea mangiato.
E nondimen per lui gran sorte fu
Che finisse così quell'alleanza,
Che se tardava un tantinello più
Il garzone col Cane a entrare in stanza,
Stato sarebbe per giudizio poco
Dell'ingordigia altrui vittima e gioco.
Ringhiando e digrignando il Cane Corso
Intanto colla Gatta ha gran baruffa,
E guai se a modo suo le appicca un morso!
Si difende la Gatta, e soffia e sbuffa,
E lancia sgraffi agli occhi, e spicca salti
Oltre ogni creder portentosi ed alti.
Cacio, uova, burro spandesi per terra,
Pentole in pezzi van, vasi e terrine.
Ma vedendo il garzon che quella guerra
Di piglio all'asta diè con cui s'attacca
La carne agli alti graffi e indi si stacca.
E a questo e a quella con quell'asta lunga
Mena colpi sul capo e sulla groppa;
E se una volta appieno uno ne giunga,
Lo sfracella, lo stritola, l'accoppa:
Escono quelli, ognor col dente e l'ugna
Continuando infra di lor la pugna.
Di lor non so che avvenne poi; ma l'uso
Qual sia ben lo sappiam: fracasso, botte,
Morsi, contusion, sgraffi sul muso,
E robe sparse rovesciate e rotte;
Né altra memoria poi n'è rimasa,
Che i danni fatti alli padron di casa.
Sappiam di più che, nonostante i patti
E leghe ed alleanze e garanzie,
Sempre ove saran Topi e Cani e Gatti,
Vi saran diffidenze e gelosie;
Si batteran, si romperanno il capo;
Cesseran poi, poi torneran da capo.
In essi tali altro far non veggio
Che l'esempio seguir di quel garzone,
Cioè spartirli e prevenire il peggio,
Adoprando se occorre anche il bastone:
Onde siegua da tal diavoleria
Il minor male che possibil sia.