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Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
Canto gli usi, i costumi, le vicende
e l'ire animalesche, e di nemiche
brutali schiere le battaglie orrende
che furo al tempo che le bestie antiche
possedean la ragione e la loquela,
cose che a noi dei tempi il buio cela.
Parlerò di materia affatto ignota,
da cui forse trarrem qualche profitto.
La politica umana a tutti è nota,
nè dell'animalesca alcuno ha scritto;
che se passabilmente io vi riesco,
mi dican pur Poeta animalesco.
Te, che il corso del sol reggi e governi,
o celeste Zodiaco, te invoco,
a te, che i bruti cangi in astri eterni,
consacro i versi miei; tu del tuo foco
un raggio animator dall'alto invia,
che infiammi al gran lavor la mente mia.
I membri più distinti e accreditati
d'ogni specie quadrupede di bruti,
de' pubblici interessi incaricati,
eransi uniti, e s'eran già seduti
in una solennissima adunanza
per affari dell'ultima importanza.
Fissar dovean, dopo maturo esame,
di governo legittimo la forma
che convenir potesse a quel bestiame,
prendendo i culti popoli per norma,
un argin per opporre all'anarchia,
che gran progressi ognor facendo gia.
Sapean che l'anarchia, come di fatto
negli stati accader vedean sovente,
rompe di società qualunque patto,
e seco porta inevitabilmente
conseguenze gravissime e funeste,
e de' corpi politici è la peste.
L'anarchia degli umor nel corpo umano
come mortal considerar si dee;
e non è che un frenetico, un insano
colui che ha in testa un'anarchia d'idee.
Di venti opposti l'anarchia produce
tempesta in mar che a naufragar conduce.
Insomma l'anarchia è d'ogni eccesso,
d'ogni calamità germe diabolico;
e l'inferno perfin, l'inferno istesso,
secondo il più ortodosso e il più cattolico
parer degli antichissimi nostri avoli,
altro non è che un'anarchia di diavoli.
Perciò quei prudentissimi animali,
legislator, filosofi, politici,
per porre alcun riparo a tanti mali,
esami fean sintetici e analitici
di qualunque governo, o buono o tristo,
repubblican, monarchico oppur misto.
Se udiam gli aristocrati, il democratico
egli è dell'anarchia fratel minore;
se i democrati udiam, l'aristocratico
egli è d'oligarchia fratel maggiore;
che di giustizia e di ragion non è
trascurar mille e favorirne tre.
Il misto è un certo amalgama posticcio,
un non so che d'amfibio o ermafrodito,
e specie di politico pasticcio
d'agri e di dolci intingoli condito,
che, avvicinar volendo e unir gli estremi,
di sua distruzion racchiude i semi.
In ciaschedun di lor trovi difetto,
che unità manca in tutte e tre le forme;
ove regna unità tutto è perfetto,
e senza l'unità tutto è difforme.
Moltiplice complesso ognor cadrà,
e l'anima di tutto è l'unità.
Fra molti governanti è ognor discordia;
sempre guerra perciò gli uomin si fero;
che fra gli stessi dei stabil concordia
esser mai non potè, l'attesta Omero.
E bestie avvezze a oprar come lor piace,
viver dovrian concordemente in pace?
Ciò ben sapean quell'erudite bestie
che unite eran colà solennemente
per sottrarsi alle anarchiche molestie;
ed erano convinte intimamente
che il governo monarchico è sol quello
che dir si può governo buono e bello.
E invero, a esaminar la cosa a fondo,
in monarchia s'unisce e si concentra
quanto di buon, quanto di bello è al mondo.
Onde fortunatissimo è chi c'entra,
e lo sfortunatissimo che n'esce
debbe languir come fuor d'acqua il pesce.
In monarchia si spira aura felice
che a ciascuno è di vita e sugo e germe.
Nella beata monarchia ti lice
dì tranquilli menar sicuro inerme;
possiede ognun sicuramente il suo,
e quel ch'è tuo sicuramente è tuo.
Viene la carestia? Vien la gragnuola?
Chi vive in monarchia non muor d'inedia.
Vengono guai? La monarchia consola.
Manca danar? La monarchia rimedia.
Dal ciel sono i monarchi prediletti;
ei ne dirige opre, pensieri e detti.
Prendi uom rozzo e comun, fanne un monarca,
tosto il favor del ciel sopra gli piove;
tosto divien di sapienza un'arca;
nella testa di lui s'alloggia Giove.
Decide, ordina, giudica; un oracolo
tutto a un tratto divien; pare un miracolo.
E perciò con ragion trasecolati
restan quei Savi che un destin felice
al fianco d'un monarca ha collocati,
scorgendo in tutto quel ch'ei pensa e dice
sublimi idee, pensier profondi e nuovi,
nè sanno dove diavolo li trovi.
In qualunque assemblea repubblicana,
e sia pur di Licurghi e di Soloni,
scuote la face ognor discordia insana,
e attizza odio, livor, dissensioni.
Assai si ciarla e si contrasta assai;
nulla di buon non si conclude mai.
Chi da un lato la tira, e chi dall'altro:
e raro la ragione e la giustizia,
ma sol dell'eloquente e dello scaltro
l'interesse trionfa o la malizia;
perciò ben dice un certo libro anonimo:
repubblica e disordine è sinonimo.
Divisa autorità che si distende
su teste democratiche o patricie,
è qual materia elettrica che prende
l'estension di vasta superficie:
più che ampiamente è l'una e l'altra estensa,
tanto divien men vigorosa e intensa.
Se però quell'elettrico vapore
si condensa, s'agglomera, s'ammassa,
fulmin divien, che con alto fragore
scoppia, e fa gran ruina ovunque passa;
così il poter con più vigore agisce,
se in un sol si concentra e riunisce.
Parla un sovrano? È come parli un Nume:
ode ciascun, pronto obbedisce e tace;
nè contradir, nè replicar presume;
è legge universal ciò che a lui piace;
e par che accomunato abbia con lui
lo stesso Onnipotente i dritti sui.
Che più? L'estro gli vien, mi crea ministro,
e sia pur io bestia ignorante e sciocca,
tutta la monarchia reggo e amministro;
ho scienza nel cervel, sentenze in bocca.
Tolta da me la balordaggin prima,
par ch'altro conio il mio padron m'imprima.
Ciò prova che il monarchico governo
è d'ogni altro governo il più perfetto,
e all'immortal somiglia ordine eterno,
onde veggiam che l'Universo è retto:
ogni bene in se stesso aduna e accoglie,
e ogni qualunque mal slontana e toglie.
Queste son verità chiare e palpabili,
che in oggi, a vero dir, nessuno ignora;
ma non meno di noi perite ed abili,
le bestie le sapeano infin d'allora;
perciò fisso era in quel gran concistoro
di stabilir la monarchia fra loro.
Sol discuter dovean se convenisse
re creare assoluto, o patto o legge,
e alcune stabilir regole fisse,
per cui vietato fosse a quei che regge
d'oltrepassare i limiti prescritti
contro gli altrui riconosciuti dritti.
onde a' propri interessi ei non potesse,
siccome fare il più de' re fur visti,
sacrificare il pubblico interesse;
insomma un re crear che i pubblicisti,
giusta il tecnico lor vocabolario,
soglion chiamar costituzionario.
Volendo inoltre quell'augusto stuolo
la forma di governo stabilire,
posto si voglia a un animale solo
la potestà suprema attribuire,
esaminar dovea se conveniva
ch'ereditaria fosse od elettiva.
Che ambo i sistemi in uso sono, ed hanno
ambo i vantaggi loro, i lor difetti.
Da una parte si rischia ad un tiranno,
dall'altra a un imbecille esser soggetti;
perciò spettava al savio lor consiglio
di bilanciare l'util col periglio.
Gli animali più forti e più potenti,
che un'aristocrazia avrian voluto,
conseguir non potendo i loro intenti,
ammetter non volean un re assoluto,
che ogni privato dritto avrebbe escluso,
e a suo capriccio del poter fatto uso.
Volean però, per contenere i regi,
che l'oro non confondano col fango,
e i giusti e meritati privilegi
conservino a ciascun e il proprio rango,
dividere in due camere e in due classi
gli alti animali e gli animali bassi.
Rege elettivo inoltre aver piuttosto
volean, che ognun di lor più che altri degno
credeasi d'occupar quell'alto posto:
nè dubbio avean che in conferire il regno,
dagli elettori non si fosse fatta
giustizia allo splendor della lor schiatta.
La gran pluralità però dei bruti,
contro quei forti e quei potenti istessi,
dall'orgoglio de' quali eran tenuti
in servil dipendenza, abietti, oppressi,
trovar sperava, in re assoluto e puro,
stabil sostegno e difensor sicuro.
Poichè a tutti coloro era ben noto
che re puro, assoluto, indipendente
altro al fin non vuol dir che re dispoto;
nè regnar da dispoto impunemente
gran tempo ei può, se strettamente unito
non tiensi al democratico partito.
Di costoro alla testa era un Can grosso,
arrogante, ardentissimo e feroce;
lungo pel, muso nero ed occhio rosso;
e di petto instancabile e di voce.
Ringhia con tutti ognor, brontola e sbuffa,
pronto con tutti ad attaccar baruffa.
Avea per altro il don della parola,
e gli uscian bei periodi di bocca;
e per molti anni essendo stato a scuola,
un saggio di politica barocca
composto avea, che in quell'età lontane
fu detta la politica del Cane.
Tali fur dunque allor fra gli animali
le politiche idee, qual'io d'esporle
ebbi l'onor; e il Can d'idee cotali
profitto trarre, e non cangiarle o torle
procurò destramente, e questo è quello
che in tai casi si fa da chi ha cervello.
Onde in quell'assemblea volle a ogni costo
primeggiare ed aver distinto luogo;
nè osando d'affettare il regio posto,
capo popol si fece, e demagogo;
più il regno non ambì, cangiò registro,
e aspirò a divenir primo ministro.
Un re fra se dicea, nè aveva torto
a forza di regnar spesso si secca;
se dalle cure lo distrae l'accorto
ministro, e a tempo il liscia, adula e lecca,
come costante esperienza insegna,
il re obbedisce, ed il ministro regna.
Della plebe quadrupede l'amica
aura godea, ed era ai grandi in odio,
come i tribuni già di Roma antica,
i Gracchi, i Saturnini, e Rullo, e Clodio.
Quando a parlar costui si fece avanti,
tutti applaudiro i democrati astanti.
E fino a quando inutili parole
farem dicea cercando il quando, il come?
Alte e potenti bestie, un re si vuole;
ma un re di fatti e non un re di nome;
un re che il giusto e il debole difenda
contro chiunque a soverchiarlo imprenda.
Non curiam di gran prence i fregi esterni,
la pompa, il fasto e l'apparato vano;
savio prence vogliam che ci governi,
che abbia il poter, che abbia la forza in mano;
nè per altra ragione a conferenza
convocati qui siam: grand'è l'urgenza.
Della baldanza altrui dura e proterva
gli aspri non soffrirem modi oltraggianti;
giacchè servir si debbe, a un sol si serva,
nè il supremo potere usurpin tanti.
Legittimo padrone io non ricuso;
serva chi vuol usurpatore intruso.
Leggi a chi regna impor, seco far patti,
scusa vi chiedo, o bestie alte e potenti,
vi proverò ch'egli è un pensar da matti,
e chimerici son regolamenti.
Non parlo invan, millanterie non trincio:
ragiono da filosofo, e incomincio.
Spurgò, ciò detto, e fece alquanto pausa,
l'occhio girando intorno all'uditorio,
per osservar l'impression che causa
il suo fervor politico oratorio:
che fatto fin allor non altro avea
che gli animi tentar dell'assemblea.
Altri, per indolenza e per pigrizia,
al Can si riportaro interamente;
altri, per balordaggine e imperizia,
a quella acconsentir bestia eloquente;
che chi di spirto e di talenti è pieno,
domina ognor su quei che n'hanno meno.
Pochi, ma pochi assai, v'eran di cui
erasi il Cane assicurato pria:
ch'ei non solea troppo fidarsi altrui,
sapendo che il fidarsi è scioccheria.
Chi distratto a quel dir le attente orecchia
non presta, e chi sbadiglia, e chi sonnecchia.
Ma non dorme la Volpe: e non trascura
un sì importante e critico momento,
ch'anzi in opera por tutto procura
il più fino e sagace accorgimento,
sendo il furbo animal ben persuaso
che il Can non opra mai nè parla a caso.
Onde stassene attenta e vigilante
qual piega ad osservar prendean le cose;
che dichiararsi ella non vuol, se innante
non scopre di ciascun le viste ascose;
e a tutto bada, e non badar s'infinge,
ma il Caval sorge, ed a parlar si accinge.
Poi dice: O Can, noi qui ci siam raccolti
per migliorar degli animai la sorte,
noi d'ogni giogo pria liberi e sciolti;
nè comprend'io qual trista idea ti porta
a proporci dispotica, arbitraria
autoritade, a ogni ragion contraria.
Sotto despota re nulla tu sei,
o sei solo ciò ch'ei vuol che tu sia;
e forse su di te provar tu dei
la verità della sentenza mia;
onde pria d'annullar te stesso e noi,
pensaci, o Can: vano è pentirsi poi.
Pertanto scusa, amico Can, deh scusa,
ma il tuo discorso a schiavitù ci mena:
più poter che si ha in man, più se n'abusa,
se legittimo vincolo non frena
il capriccio dispotico che punge
gl'indocili regnanti; e il Can soggiunge:
Scusa tu, Caval mio; sei troppo ombroso,
e temi, ove non son, mali e perigli;
credi prence assoluto un mostro esoso
e alla volgar prevenzion t'appigli:
logico usar ragionamento astratto
teco in non vo', vo' ti convinca il fatto.
Sa ognun di noi quanto la specie umana
sensatamente opra, ragiona e pensa:
l'illimitata autorità sovrana
pur ella è sempre a sostener propensa;
e il poter assoluto ed arbitrario
util non crede sol, ma necessario.
Senza di ciò quel bipede animale,
pieno di vanità, gonfio d'orgoglio,
potria ripor sua gloria principale
in mantener i despoti sul soglio?
E in preferir l'utile lor privato
al pubblico interesse, al ben di stato?
Non vedi tu con quanto ardor, con quanta
ostinatezza scannansi a vicenda,
acciò più forte ognor la sacrosanta
autorità dispotica si renda?
Non vedi come ciaschedun s'onora
del nobil giogo e il dispotismo adora?
Se libere in te volgi idee secrete,
o muovi dubbio sol contro di quello,
turbator della pubblica quiete
tu sei chiamato, e al tuo sovran rubello:
credi che l'uom così operar volesse,
se ragion grandi e forti ei non avesse?
Onde su punto tal, Cavallo mio,
gli scrupoli deponi e i timor tuoi;
dispotismo ci vuol, te lo dich'io,
su di me riposartene tu puoi;
quando è il genere uman di tale avviso,
caro Caval, questo è un affar deciso.
Era un Orso fra lor, cui l'uom già tenne
per suo piacer gran tempo alla catena,
onde a disciorsi ed a fuggir pervenne.
Parlando il Cane, brontolava, e appena
attese ch'egli di parlar finisse,
che a lui si volse bruscamente e disse:
Tu, che con tal gaiezza e compiacenza
dell'uom l'esempio per model ci additi,
propor credi animal per eccellenza,
e il più assurdo animal forse tu citi.
Propon, di grazia, o Can, miglior modello,
s'ami che noi ci conformiamo a quello.
Cui 'l Cane: Eppur all'uom, su cui si sfoga
or l'antico astio tuo, servisti prima.
E l'Orso: Forse quei che ci soggioga,
esiger da noi debbe amore o stima?
Sorriser tutti ed applaudiro all'Orso;
ma il Can stè sodo, e proseguì il discorso.
Re che di re non ha se non la scorza,
è un fantoccio di re, egli è un re nullo.
Impotente voler che non ha forza
serve altrui di ludibrio e di trastullo:
e quando un re è a termin tal ridutto,
è meglio assai di non ne aver del tutto.
Che se poi della forza un re dispone,
in che d'autorità consiste il nervo,
legge o patto al più forte invan s'impone:
di leggi e patti ei non sarà mai servo;
le leggi, i patti e altre tai cose belle
legano solo il debole e l'imbelle.
Ragion, congiunta a sperienza, insegna
che ov'è costituzion che freni e tempre
il supremo poter, colui che regna
della costituzion nemico è sempre,
e, se ha la forza in man, le leggi abbatte
che per temprare il poter suo fur fatte.
Nè sol re non vogliam costitutivo,
e abbastanza finor dissi il perchè;
ma nè tampoco re vuolsi elettivo:
poichè, a ogni nuova elezion di re,
l'urto de' concorrenti e de' rivali
germe saria di rinascenti mali.
Re pertanto assoluto, ereditario,
dico che a noi convien più che altro assai;
nè timor ci rattenga immaginario
ch'egli ci opprima e tiranneggi: mai
popol non fu, che finchè volle, schiavo.
E i molti: bravo alto gridaron bravo!
E i pochi, a forza l'orgogliosa voce
frenando, si guardavano nel muso;
e contenendo l'indole feroce,
susurrando all'orecchia in tuon confuso,
sicchè uditi non fosser dai lontani,
dicean fra lor: Sian maladetti i Cani.
O fosser falsi, o fosser veri e giusti
di quel Cane audacissimo i discorsi,
gli animali più potenti e più robusti
liberamente e legalmente opporsi,
risponder, contradirgli avrian potuto,
nè di quel petulante avrian temuto.
ma quell'audace bestia ha un gran partito,
e seco trae pluralità di voti,
onde non voller d'animal sì ardito
inimicarsi i partitanti noti:
perchè ciascun di lor dentro di se
speranza avea d'esser eletto re.
Poichè, sebben sprezzanti ed orgogliosi,
docili comparir sapean sovente,
quando d'ambizion disegni ascosi,
o altro interesse lor volgeano in mente.
e avean fino il talento ed il coraggio
d'avvilirsi talor per lor vantaggio.
Perciò con tanta nobiltà celare
seppero allor l'interno lor dispetto,
che quando il Can finì di perorare,
chi un sorriso gli fece, e chi un ghignetto;
onde credè il quadrupede oratore
aver di tutti guadagnato il core.
Dissimulazion! o sii sovrano
dono del cielo, o sii sublime e grande
ritrovamento dell'ingegno umano,
i suoi favor per le tue mani spande
fortuna; onde sicura in te confidi,
e l'infantil sincerità deridi.
Non così i grandi son dei nostri tempi,
che l'ingenuità sempre han per duce,
nè mai la forza degli antichi esempi
la generosa indole lor seduce:
nè avvilirebber mai l'animo altero
per l'acquisto d'un regno o d'un impero.
Vero è però che il nobile costume
e la vasta politica sublime,
spargendo or sulla terra un chiaro lume,
l'eroico egoismo ovunque imprime,
e di delicatezza i pregiudizi
nella categoria ripon de' vizi.
Della filosofia al sacro foco
scaldasi il mondo, e migliorando invecchia,
e le frivole scuote appoco appoco
cavalleresche idee dell'età vecchia;
di ciò inquietarsi non però conviene,
lasciam le cose andar, che andranno bene.
Quell'assemblea, come diss'io, contraria
non mostrossi del Cane al raziocinio;
e monarchia assoluta ereditaria
d'adottar stabiliro, e lo squittinio
incominciar dei concorrenti al trono,
che molti e insigni pei lor merti sono.
Ma sapean quei quadrupedi elettori,
forse più ancor degli elettor moderni,
che convien lumi aver superiori
per isceglier talun che ci governi,
e valutare i merti, e andare adagio,
e non dare alla diavola il suffragio.
e, senza previa esamina, i sovrani
armar d'autorità quasi infinita,
e ciecamente por nelle loro mani
le sostanze dei sudditi e la vita,
l'onor, la stima e quanto a ognuno è caro
delle sostanze e della vita al paro.
Nè ignoravan però, che se si tratta
di principe assoluto ereditario,
la cosa allor vien fuori bell'e fatta;
che fornito di tutto il necessario
ei nasce, e appien de' suoi doveri instrutto,
e la stessa natura pensa a tutto;
e passa per istrana maraviglia
di padre in figlio la virtù sovrana
col sangue stesso di real famiglia;
come scorrendo va l'acqua piovana
di canale in canal, nè dal condotto
goccia trapela, benchè logro o rotto.
perciò natura oggi lasciar dobbiamo
unicamente oprar su tai materie;
ma dovean gli animai di cui parliamo
riflessioni far mature e serie,
e d'ogni candidato il merto e il pregio
pesar pria d'elevarlo al grado regio.
Per implorar perciò lumi ed aiuto
fer la solita prece al Gran Cucù,
che dal gener quadrupede e pennuto
come lor nume venerato fu:
meglio, altrove, di ciò darovvi conto;
per or non vo' interrompere il racconto.
Benchè fosse il Caval svelto, ben fatto,
magnanimo, gentil, rapido al corso,
un popol fiero a governar non atto
lor parve un re che porti altrui sul dorso;
nè piè, nè muso avea, nè testa adorna
d'unghie, di zanne o di superbe corna.
Ricco manto, agil corpo e piè veloce,
gagliardia, sommo ardire, indole fiera
la Tigre ha inver; ma sanguinario atroce
l'aspetto, il guardo; e dee chiunque impera,
per quanta crudeltà racchiuda in petto,
mostrar clemenza in sul ridente aspetto.
Allo squittinio poi fu posto l'Orso,
e, come democrata, a elegger lui
molti coi lor suffragi avrian concorso;
ma il Can, per non so quai motivi sui,
il Can dominator dell'assemblea,
coll'Orso occulta inimicizia avea.
Robusto è l'Orso egli dicea l'accordo;
e, ciò ch'io lodo, è furbo e fa il minchione;
ma l'aria avria di re villano e lordo,
e alquanto ha del pagliaccio e del buffone.
Ilarità sta ben: ma elegger poi
un re buffon, che si diria di noi?
Cui l'Orso: Certo tu, per tai maniere,
di far ti studi di buffon la parte;
nè so chi meglio compia il suo mestiere,
io buffon per natura, o tu per arte.
rise al motteggio la mandra elettiva;
all'Orso nondimen diè l'esclusiva.
Porta il Cervo di corna alta corona,
ma re saria di qualità vigliacche.
Strenuo è il Toro e valente di persona,
ma buon re non saria che per le vacche.
Circa i bruti unicorni, ingiunta fue
legge a chi regna: o nessun corno, o due.
Si vuol che in aria allor di concorrente
l'Asin (ch'il crederia?) si presentasse;
e le sue lunghe orecchie, ed il possente
raglio, e altre e altre qualità vantasse:
ma tutti rigettar con onta e smacco
quel pretendente ignoranton vigliacco.
Il Mulo (o fosse affezion simpatica,
fosse l'affinità, la parentela
che intimamente, e ognor si vede in pratica,
opera in certi casi e si rivela)
s'accinse allor con tutto il suo potere
l'Asino candidato a sostenere.
Poichè si sa, se non s'ignora affatto
la genesi degli asini e de' Muli,
ch'essi fra lor parenti son di fatto;
onde ognun vede, senza ch'io l'aduli,
che il Mulo si piccò meritamente
della ripulsa data a un suo parente.
Qual farsi ascolto ei disse accusa insulsa
contro il cugino mio, savi animali,
per dargli un'ingiustissima ripulsa?
Scorrete pur le dinastie brutali,
e ad animai del mio cugin men degni
spesso vedrete abbandonati i regni.
Critico a lui talor lo sguardo io volgo,
e difettuzzo alcun lieve e minuscolo
vi trovo inver, comune ai grandi e al volgo;
ma se il merito suo sodo e majuscolo....
E qui rimase un perorar sì dotto,
per disgrazia dell'Asino, interrotto.
Che sorse appena, appena aprì la bocca,
levossi universal confuso chiasso;
e l'insolente moltitudin sciocca:
A basso il Mulo, grida, il Mulo a basso;
ond'ei tace, e alla pubblica ingiustizia
parentela sacrifica e amicizia.
Un tratto sì amichevole e obbligante
grato l'Asino poi non obliò;
e quando ottenne carica importante
solennissimamente lo provò;
come se avrete pazienza un poco,
in seguito vedrassi a tempo e loco.
Ma tu che a pazientar sei tanto avvezzo,
pazienta, Asino mio, che vendicato
un dì forse sarai di tal disprezzo;
e in alta dignità posto e onorato,
sederai in trono, o gli starai vicino,
e reggerai de' popoli il destino.
Saran, non dubitarne, appien saranno
i gran talenti tuoi riconosciuti;
e umili avanti a te si prostreranno
i più eccelsi intelletti e i più saputi:
tu ne' grandi sarai pubblici imbrogli
saldo puntel dei vacillanti sogli.
Altri molti animai di specie varie,
i quai dovendo da lontan venire,
o per altre ragion straordinarie
alla grande sessione intervenire
potuto non avean, proposti furo
da qualche agente o amico lor sicuro.
Chi la Giraffa altissima propose,
chi propose il zo-andro Orangutango,
o bestia tal che fra le più famose
paresse meritar distinto rango;
ma il Can, che avea di già contratto impegno,
fe' a vuoto andar qualunque altrui disegno;
e quel consesso, al suo parer condutto,
persuadette che ciascun sovrano
esser debbe tutt'uomo o bestia tutto:
che tal non era inver l'Orangutano
che un'equivoca avea figura strana,
cioè mezzo brutale e mezzo umana.
Che indefinita ancipite apparenza
re costituzionario aver sol può;
re d'ambigua politica esistenza,
e che in parte è sovrano, in parte no:
ma chi aver debbe autorità indivisa
par debba aver fisonomia decisa.
Che se un dì vi saran figure strambe,
di carattere ambiguo e di sembianza,
animai tanto a due che a quattro gambe
che usurperan dispotica possanza,
saran tai mostri allor prova sicura
che corrotta è politica e natura.
Nè essendo inoltre gli animai proposti
personalmente all'assemblea presenti,
con esempi provò, veri o supposti,
che ballottar non si potean gli assenti;
e citò teorie e autorità,
ma, donde tratte, il diavolo lo sa.
Forse avean qualche lor pubblico dritto,
usi, consuetudini, prammatiche;
che avesser, non direi, codice scritto,
ma serie solo d'osservanze pratiche,
come avvi un Jus fra noi, che anche al presente
jus non scritto diciam comunemente.
Poichè sol per istinto ed abitudine
qualunque bestia anche oggidì si regge:
lor prima legge è la consuetudine,
e non, come fra noi, seconda legge:
onde cred'io citasse il Can legale
qualche consuetudine brutale.
Avean in somma il jus che chiamar lice
la legislazion della natura,
provida universal legislatrice
e dell'opere altrui norma sicura;
ma non entriam, di grazia, in metafisica,
che di passar per seccator si risica.