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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO SECONDO

 

ELEZIONE DEL RE DEGLI ANIMALI QUADRUPEDI

 

Se del comun sulla gran massa sorgi

e volgi a tutti i tempi, a tutti i lochi

filosofico sguardo, ovunque scorgi

pretensioni molte e merti pochi:

chi pretende e non merta ognor vedrai;

chi merta e non pretende è raro assai.

 

Più ancor raro è trovar, fra i concorrenti

a luminose dignità primarie,

chi siane degno per virtù e talenti,

e per le qualità che necessarie

all'alto grado son che si desira,

e a cui lo stuol de' candidati aspira.

 

Perciò nel ballottar quegli animali,

in chi non si trovaron requisiti,

in chi difetti si trovar reali;

e alfin, ravvicinandosi i partiti,

s'accordar tutti in bestie due fra tante:

ma che bestie! il Lione e l'Elefante.

 

Così, se s'urta impetuoso stuolo

di vari venti sull'ondoso agone,

cedon vinti i minori, e restan solo

Borea contra austro in singolar tenzone,

finchè un de' due, dopo crudel contrasto,

riman solo padron del campo vasto.

 

Intanto gli altri concorrenti esclusi,

tristi e di mal umor per lo rifiuto,

mortificati stavansi e confusi;

poichè fra tutti lor non v'era bruto

che in se non fosse persuaso e certo

essersi fatto torto al suo gran merto.

 

Più che altri intollerante ed orgogliosa,

non può la Tigre il maltalento e l'ira

dissimular e altrui tener nascosa:

soffia, sbuffa, e dagli occhi il fuoco spira;

ma opporsi alla concorde non potea

general volontà dell'assemblea.

 

Alla discussion primier fu posto

l'Elefante; e quantunque avesse anch'egli

nemici occulti ed un partito opposto,

pur nel popol quadrupede, e fra quegli

che s'erano a congresso ivi raccolti,

avea diversi ammiratori e molti.

 

Poichè il comun, che ne' giudizi sui

sol dall'esterno regolar si suole,

avvezzo s'era a rispettare in lui

quella massa di carne e quella mole;

e inver chi mai l'onor a lui conteso

ne avria, se un re far si dovesse a peso?

 

In quel pensoso e taciturno aspetto,

in quella gravità che ha per natura,

ravvisavano un savio e circospetto

senno che, pria d'oprar, pesa e matura;

un indefesso pensator profondo

e il più grosso filosofo del mondo.

 

Senza parlar di quella forza immensa,

della maravigliosa agile e franca

proboscide, onde ciò sì ben compensa

che al natural suo meccanismo manca;

ratta la vibra, la prolunga e spiega,

l'accorcia, la ritira e la ripiega.

 

Quel colossal volume un gran vantaggio

rendeva inoltre alle minori bestie;

poichè solean dell'infocato raggio

ristorarsi talor dalle molestie,

quando sull'arso suol più ferve il giorno,

all'ombrifera fera assise intorno.

 

Sapean, benchè ciò paia un picciol pregio,

ch'egli è in fatti però pregio reale;

poichè, volendo dir che il favor regio

gode il tal, per esempio, ovver la tale,

udiam in verso dir, non men che in prosa,

del real patrocinio all'ombra posa.

 

Queste ed altre ragion di simil sorte

da' partitanti destramente addotte,

fer sugli astanti impression sì forte

che, se poneasi allora alle ballotte,

forse tanti suffragi avrebbe avuti,

ch'or saria l'Elefante il re dei bruti.

 

Ma il Can, che avea previsto il caso avante,

levossi in piè per prevenire il colpo,

ed escluder volendo l'Elefante,

perorò pel Lion; nè in ciò l'incolpo;

che inver non v'era altro animal sì degno

come il Lion per ottenere il regno.

 

Ma non crediate che pe' merti suoi

mosso si fosse il Can, come allor parve;

un gran segreto, ora che siam fra noi,

un geloso segreto io vo' svelarve;

non me ne fate autor, io non vo' guai,

massime col Lion che stimo assai.

 

Convien dunque saper che quelle due

bestie impegno fra loro avean contratto,

che se il Can riuscia colle arti sue

a far sì che il Lion re fosse fatto,

poichè il Lione eletto re sarebbe,

nomato il Can primo ministro avrebbe.

 

Dell'aristocrazia capo è il Lione;

e il Can, per dominar nell'assemblea,

della democrazia si fe' il campione:

della pluralità dispor potea

a favor del Lion per conseguenza.

Oh andatevi a fidar dell'apparenza!

 

Oh! se vedersi l'animo potesse

di tanti che crediam mossi da zelo,

oh! come si vedria che l'interesse

li muove sol! Degli uomini e del cielo

costoro per mestier si prendon gioco;

quindi è che a certe smorfie io credo poco.

 

Solo la Volpe concepì sospetto

che vi fosse fra lor qualche concerto;

e sentor forse avea del lor progetto,

forse, chè dir non lo potrei di certo;

ma sappiam che, di ciò ch'altri non vede,

quell'astuto animal tosto si avvede.

 

Osservatrice tacita pertanto

la Volpe tuttavia starsi prefisse

tutto ad udir, tutto a spiar, fintanto

che la cosa vie più chiara apparisse,

e assicurarsi se felici o vane

le mire riuscissero del Cane.

 

Dunque a parlar colui di nuovo imprese;

e incominciò: potente alto bestiame,

preceder tutte le più gravi imprese

savio consiglio dee, maturo esame;

e il grand'affar di cui fra noi si tratta,

stabilito che sia, non si ritratta.

 

Tutti finor del candidato stuolo

i requisiti esaminaste omai.

Un sol ne resta, ma di tutti ei solo

le più gran qualità vince d'assai.

Di chi parlo intendete: egli è il Leone,

solo il nome di cui rispetto impone.

 

Tacerò ciò che solo appaga gli occhi,

e la criniera e la superba coda;

cose tai che il gran numer degli sciocchi

sopra qualunque pregio ammira e loda;

esterno adornamento, esterna dote

vanti colui che altro vantar non puote.

 

So ben che chi soltanto il guardo fisa

alla sua maestevole figura,

dei quadrupedi il principe ravvisa,

principe dato lor dalla natura:

ma pregi più massicci io sottometto

al giudizio del vostro alto intelletto.

 

E al mondo v'è chi del Lione ignori

la robustezza e la possanza estrema?

V'è alcun che nol rispetti e non l'onori?

Ed alcun v'è che l'ira sua non tema?

Evvi animal sì ardito e sì gagliardo,

che sostener ne possa il solo sguardo?

 

Se del Lione il fremito feroce

ode da lungi, entro la cupa selva,

al fier ruggito, alla terribil voce,

timida fugge ogni più ardita belva,

e sbigottita si rannicchia e interna

entro il covil della natia caverna.

 

La magnanimità del suo gran core,

dai cor sì spesso dei potenti esclusa,

fa sì che contro ogni animal minore

della possanza sua mai non abusa;

sdegna le belve a contrastar non atte,

perdona ai vinti ed i superbi abbatte.

 

E conclude alla fin che tanti e tali

straordinari merti in lui vedea,

che eleggendosi un re degli animali,

egli a tutti preposto esser dovea;

che dalla savia lor brutalità

spera però che eletto re sarà.

 

Fin qui contro del Can nulla evvi a dire,

nè alcuno esser potea di lui scontento;

ma lo rodeva un certo tal desire

di far pompa di spirito e talento:

mal consigliata passion, che altrui

spesso fa torto, ed or lo fece a lui.

 

Se non lodato, almen scusabil fia

chi, mancando ragion, cerca far uso

del motteggio talor, dell'ironia;

ma se ragion non manca, io non iscuso

chi la mordace satira e le vane

facezie adopra, come fece il Cane.

 

il Can che colla solita arditezza

fe' contro l'Elefante un'invettiva;

ignavia solo, inerzia e stolidezza

disse che in quel bestione ei discopriva,

ed un'anima stupida e melensa,

che in lui vegeta sol, non opra e pensa.

 

Disse che, simigliante alla Balena,

d'ossa e di carne entro gran massa assorto,

torpe lo spirto; e vita e moto appena

scorgeva in lui che, come sconcio aborto,

senza articolazion, senza giuntura,

lo costruì, quando dormia, natura.

 

Il Cane, a vero dire, avea gran torto,

poichè, malgrado i bei discorsi sui

sappiam che l'Elefante è molto accorto;

e cose si raccontano di lui,

che son di molto intendimento indizio,

di senno, di memoria e di giudizio.

 

Ma quantunque potesse ognun smentire

tali imputazion calunniose,

nessun osò d'opporsi e contradire

alle accuse del Can; nessun rispose;

ma perchè? forse alcun dentro di se

maravigliando chiederà: perchè?

 

Non trovo altra ragion che l'influenza

ch'ebbe il Can sul quadrupede bestiame,

che colpito da quella impertinenza,

al suo voto aderia senz'altro esame;

e se talun rispondergli potea,

cosa inutil credendola, tacea.

 

Gran prova è questa che qualunque oggetto,

se anche trattar in pubblico si debbe,

può sempre esporsi in differente aspetto.

se non fosse così, ne seguirebbe,

che le assemblee non fallirebber mai;

cosa assai dubbia inver, ma dubbia assai.

 

Non vediam tuttodì progetti e piani,

spesso allo Stato e a ciaschedun dannosi,

proposti ancor nei parlamenti umani

da orator prepotenti imperiosi

riscuotere l'assenso universale,

perchè gli ha detti e gli ha proposti un tale?

 

Venia la muffa intanto all'Elefante,

e il mal umor già l'occhio torbo accenna;

la proboscide arriccia, e la pesante

mole del capo tremolo tentenna,

come all'urto di Borea in giogo alpino

scuote l'annosa cima altero pino.

 

Par che il Can non vi badi e, quel ch'è peggio,

l'acre derision a ingiuria aggiunge,

e ognor più con amaro aspro motteggio

la flemmatica belva irrita e punge.

Che, come è stil di chi brillar presume,

piccante avea di motteggiar costume.

 

Disse che se per suo fatal disastro

quel bestione inflessibile cadea,

come alta guglia o come gran pilastro

eternamente al suol giacer dovea,

se con argani, suste ed altri arredi

non si accorresse per riporlo in piedi.

 

Il piccino descrisse in pazze guise

occhio, onde ben non sai s'ei veglia o dorme;

e la meschina coda indi derise

sproporzionata a quel corpaccio enorme.

Concludendo, il chiamò di coda sobrio,

coda che delle code era l'obbrobrio.

 

Mentre scherza così quell'insolente,

si stanca l'Elefante ed entra in furia;

che tranquillo talor soffre il potente

un affronto piuttosto ed un'ingiuria;

ma se porlo in ridicolo vorrai,

non isperar che tel perdoni mai.

 

Ritira a se la formidabil tromba,

coll'occhio il colpo e col pensier bilancia,

e poscia a un tratto con terribil romba

contro il Can rapidissima la slancia;

e se lo prende, e direzion non varia,

lo manda in pezzi e fracassato in aria.

 

Quei, dell'intenzion sendosi avvisto,

colla coda dell'occhio ognor lo guarda,

e quando in atto di scagliar l'ha visto,

il fatal colpo a declinar non tarda;

scansasi ratto e spicca un sì gran salto,

che non altro mai più ne fe' tant'alto.

 

Non colse il Cane, no; che in chi delinque

non cade ognor punizion ch'ei merta;

ma colse alcune bestie a lui propinque,

che, come il Can, non eran state all'erta.

Tre ne stramazza a terra e due ne schiaccia,

ne getta una lontan dugento braccia.

 

Or qui pensate voi quanto scompiglio,

quanta indignazion produsse in tutto

quel rispettabilissimo Consiglio,

l'atto di violenza indegno e brutto,

atto per cui con sì solenne offesa

la maestà quadrupede fu lesa.

 

Gran sorte ella è dicean ch'ei non sia stato

alla suprema dignità promosso!

Gran sorte! che, se tanto ei fa privato,

quanto più ci saria pesato addosso,

se dal concorde universal suffragio

si fosse eletto pria re sì malvagio!

 

Un re vedendo sì balordo e zotico,

avremmo detto: ad altro ei pensa, ei dorme;

mentre con proditorio atto dispotico

scagliando il naso smisurato, enorme,

sovente, e in ogni non previsto caso,

certamente ci avria dato di naso.

 

E posto ancor che il Can si sia permessa

alcuna espression poco gentile,

e' ben si sa ch'è libertà concessa

di pensier, di vocaboli e di stile;

nè lice a chicchessia senza alcun dritto

trarne vendetta o farne altrui delitto.

 

La generalità di quel congresso,

irritata a ragion, stavasi in forse

se vendicar non debba un tal eccesso:

e l'Elefante ben di ciò s'accorse;

che l'ira, il mal talento e la minaccia

a ciaschedun vedea dipinta in faccia.

 

E ben s'avvide che non era omai

più tempo d'ivi starsene a balocco;

che accader forse gli potrian de' guai,

a cui volersi oppor, pensiero sciocco

e sciocca inver pretension saria;

usò perciò prudenza, ed andò via.

 

Calmato alquanto il torbido tumulto

e lo sconcerto general che avea

fra lor prodotto il temerario insulto

fatto alla dignità dell'assemblea,

il Can ritorna al posto ov'era avanti

per perorar di nuovo ai circostanti.

 

Quantunque ei disse attoniti e confusi

vi vegga tuttavia pel giusto orrore

che impresso vi si scorge ancor sui musi,

e l'indignazion gettovvi in core,

a vista dell'atroce iniquo oltraggio,

pur di nuovo a parlar mi fo coraggio.

 

Il grand'affar per cui qui uniti siamo,

or pienamente consumar conviene,

poichè non d'altro consultar dobbiamo,

altra difficoltà non ci rattiene.

or quest'affare interamente, questo

compiasi, e poi ragionerem del resto.

 

Se il sol competitor fu l'Elefante

che al Lion contrastar potesse il regno,

colui con quell'azione da birbante

si rese omai di tanto onor indegno;

e lui dichiara la ragione e il fatto

pubblico impiego a sostener non atto.

 

Anzi ei, partendo e abbandonando il posto,

ad ogni sua pretension rinunzia.

Perchè dunque si tarda? e perchè tosto

la voce universal non si pronunzia

a favor di colui che in questo stuolo

di regnar sopra tutti è degno solo?

 

Soggiunse poi che il nuovo re l'eccesso

dell'Elefante allor punito avrebbe,

e che l'atto primiero un tal processo

della sovrana autorità sarebbe;

poichè d'un re novello il primo passo

qualche cosa esser dee che faccia chiasso.

 

Una pecora allor fra gli elettori

osò mostrarsi e dir: Qual sicurtà

avrem noi che un re tal non ci divori?

E il Can: La regia generosità.

Voglialo il ciel colei riprese allora

ma saran tali i successori ancora?

 

E il Can: Si cerchi egregio prence avere,

formare i successori ad esso incombe,

egregi ei ne darà: d'aquile altere

non si generan timide colombe:

ed un presente ben, fisso e sicuro,

è il garante miglior del ben futuro.

 

Altre repliche il Can più non attese,

sdegnoso d'altercar con pecorelle;

l'ardire di colei tutti sorprese,

e molti sostenean che bestia imbelle

levar la voce in pubbliche assemblee

e coi potenti disputar non dee.

 

Ma la Volpe i suffragi universali

vedendo che il Lion riunirebbe,

e che il Cane primier fra gli animali

sotto il regno di lui figurerebbe,

se finchè quei parlò non l'interruppe,

alfin levossi ed il silenzio ruppe.

 

E disse che politica e ragione

altamente esigean che fosse eletto

re di tutti i quadrupedi il Lione,

e che la scelta di sì gran soggetto

a tutta la savissima assemblea

merito sommo e sommo onor facea.

 

Che del Lion le qualità sovrane

ella avanti il consesso esposte avria,

se l'egregio orator, se il savio Cane

con cotanta eloquenza ed energia

fatto già non l'avesse in miglior foggia;

ch'ella perciò del Can l'arringa appoggia.

 

Con elogi magnifici e pomposi

poscia esaltò quel nobile animale

sugli animai più forti e più famosi,

ed al suo ragionar diè un giro tale,

che esagerate sempre e lusinghiere

eran le date lodi, e parean vere.

 

Alla Volpe ed al Can tutti applaudiro;

ma quei che conosceano e l'una e l'altro

sotto i baffi ridean, poichè capiro

altro non esser che artifizio scaltro,

apparenze fallaci e nomi vani,

gentilezza e amistà fra Volpi e Cani.

 

Fu pertanto il Lion re proclamato

dall'assemblea quadrupede elettiva;

e il Cane allora a perdita di fiato

Evviva grida Lion Primo, evviva.

E tutti, con isforzo di polmone,

Viva il Lion gridar viva il Lione.

 

Ma il Lione, che un tacito contegno

tenuto sempre infin allor avea,

poichè si vide assicurato il regno

dal voto general dell'assemblea,

in piè rizzossi, la criniera scosse,

mostrò le zanne, e per parlar si mosse.

 

Non si tosto si vide e si comprese

che il re novello a favellar s'accinge,

ciascun s'affolla, e innanzi a orecchie tese

per udir ciò ch'ei dir volea si spinge;

come creduli a udir stavan gli Achei

se parlavan dal tripode gli Dei.

 

E quei sentissi il cor sì dilatato

da un'intestina espansion reale,

che avendo sempre in singolar parlato

la prima volta allor parlò in plurale,

quasi che il singolar più non convenga

ad un sovrano, e ch'ei plural divenga.

 

Giacchè disse quel fier fra tanti e tanti

animali di merto singolare

in noi trovaste qualità bastanti

sugli altri per eleggerci a regnare,

che al pubblico voler noi non dobbiamo

opporci, di già noi lo sapevamo;

 

ma quantunque non senza repugnanza

prestiamci ad accettar l'alta incumbenza,

assicuriamo tutta l'adunanza

della nostra real riconoscenza,

sicuri che alcun mai non oserà

lagnarsi della nostra maestà.

 

Riguarderemo i nostri amati e cari

sudditi come amici e come figli,

invitandogli ognor ne' gravi affari

a giovarci coll'opra e coi consigli;

e scettro riterrem, corona e trono

qual deposito sacro e non qual dono.

 

Perciò sulla real nostra parola

giuriam di mantener quant'abbiam detto.

Giuriam che ognor del nostro oprar la sola

brutal felicità sarà l'oggetto,

e tutto ciò giuriam nel tempo stesso,

che abbiam promesso e non abbiam promesso.

 

In compenso speriam che ciascun mostri,

senza punto aspettar che se gli dica,

cieca sommissione agli ordin nostri;

poichè se mai che alcun ci contradica

sofferto non abbiam come Lione,

figuratevi poi come padrone.

 

Che il bel discorso che il Lione tenne

facesse impression, son persuaso;

ma a noi che in ogni occasion solenne

ripeterlo ascoltiam, non fa più caso;

che son per noi cose usuali e vecchie,

ed assuefatte omai v'abbiam le orecchie.

 

Ma le proteste di bontà, d'amore,

a quella brutal turba, in ciò novizia,

parean sincera effusion di core,

e di già ne facea la sua delizia,

e alzò concordemente ancor maggiori

e gli applausi e gli evviva ed i clamori.

 

Il lieto grido universal fe' l'eco

rimbombar per i colli e per le selve,

e per ogni vallon, per ogni speco:

onde esultar di giubilo le belve,

che sotto d'un padron ciascuna spera

goder felicità stabile e vera.

 

Pel grand'amor verso il padron novello

pianser di tenerezza; e fra i più grandi

piaceri non trovar piacer più bello,

quanto avere un padron che le comandi;

cui se offriran la pelle, il pel, la vita,

sarà accettata ognor, se non gradita.

 

E voti fer con umide pupille

concordemente al cielo, acciò conservi

al diletto padron mille anni e mille

buon appetito e vigorosi nervi:

o buone bestie! oh quanto a voi fa onore

la sensibilità del vostro core!

 

Oh preziose lacrime! in vederle

cader dai vostri grugni intenerisco;

son gemme, son crisoliti, son perle;

cara brutalità del tempo prisco,

la virtù, il sentimento e i dover suoi

alla posterità tu insegnar puoi.

 

Fenomeno si vide allor mirabile,

che ammetter forse or non vorrà la critica,

ma autentico si rende e incontrastabile

dalla storia brutal preadamitica,

che tratta fu da una pagoda antica,

e il come e il quando uopo non è ch'or dica.

 

Non sì tosto il Lion fu eletto re,

che un non so che di dignità celeste

lo circondò, lo penetrò, gli diè

maestà tal, che in lui creduto avreste

esser in nuova inesplicabil guisa

seguita metamorfosi improvvisa.

 

Incredibil dirò cosa, ma istorica:

d'intorno nitidissima, si sparse

alla criniera sua luce fosforica,

che i baffi e il pel gl'illuminò, non gli arse;

sfolgorar gli occhi rilucenti e belli,

che di Leda parean gli astri gemelli.

 

Non altrimente anche al figliuol d'Enea,

scappato dal famoso incendio d'Ilio,

lucida fiamma intorno al crin splendea,

siccome piena fe' fanne Virgilio.

Quel portentoso scintillante fregio

emblema fu del diadema regio.

 

Spuntano i fior sull'arido terreno

ovunque l'orma riverita ei stampa,

e in erba fresca si converte il fieno;

ogni ruscel viengli a lambir la zampa,

e dell'auretta il dolce mormorio

par che susurri: vo' baciarti anch'io.

 

Ora, se il ciel la podestà sovrana

venera a cotal segno anche in un bruto,

che fia d'un re che la figura umana

dall'amica natura abbia ottenuto?

E sol da questo imparino i mortali

a venerare i prenci anche animali.

 

Fatto ch'ebbe il Lion l'immenso passo

(Poichè, secondo giustamente io penso,

passar a un grado altissimo dal basso,

come a re da privato, è un passo immenso),

ad onta della solita apparenza,

animato parea da un'altra essenza.

 

Eran l'idee più chiare e meglio espresse

nelle parole sue più savie e dotte;

le naturali secrezioni stesse

eran più regolari e più concotte:

e da' meati e dagli augusti pori

spira gentil soavità d'odori.

 

Parea d'ambrosia e nettare nutrito;

parea celeste succo, e l'ammiranda

entro il nappo di Giove aver sorbito

dell'immortalità sacra bevanda:

quasi in nume converso anche il direi,

se coda e zampe avessero gli Dei.

 

Conciosiachè la qualità regale

è un caustico adustivo, un assorbente,

un corrosivo, un dissolvente tale,

che tutto ove s'attacca, interamente

disfà, discioglie, annichilisce e sforma,

ed in se l'immedesima e trasforma.

 

Laonde tutto ciò che preesiste,

in un re si distrugge e si rinnova:

quindi, d'allor che un re Lione esiste,

chi in lui cerca il Lione, il re sol trova.

Tal se talun zucchero o sale adacqua,

zucchero e sal non trova più ma l'acqua.

 

Che quell'onnipotente non so che,

quell'immensa immortal virtù infinita

che non si sa capir che diavol'è,

d'infondere è capace e moto e vita

a pigra e fral vilissima materia,

che a pensarvi... per Bacco! è cosa seria.

 

Ed io di più scommetterei che se

quel bestial collegio avesse eletto

invece del Lion, l'Asino re,

veduto si saria lo stesso effetto;

e viste avrem le stesse qualità

nell'Asin divenuto maestà.

 

Forse il fuoco così tolto dall'etra

per lo furto fatal di Prometeo,

fredda animando ed insensata pietra,

una donna bellissima ne feo,

onde spirar si vide e senso e vita

dello scultor sotto la mano ardita.

 

S'affollar tutti intorno al re animale

i sudditi animali; e chi invittissimo,

augusto, potentissimo, immortale,

chi 'l disse gran Lion, chi Lionissimo;

e acciò sopra di lor noi non restassimo,

vi fu in fin chi chiamollo ottimo massimo.

 

Fissi tutti gli sguardi erano in lui

a lui tutti i pensieri eran rivolti,

come se nulla l'esistenza altrui,

e dileguati e nell'obblio sepolti

fosser tutti gli oggetti, come suole

sparir ogni astro all'apparir del Sole.

 

Ma regal maestà, mista con grazia,

quei dispiegando nel sereno aspetto,

sorridendo gli accoglie e li ringrazia,

talchè guadagna d'ogni cor l'affetto:

e se fra gli altri alcun più degno scorge,

oh clemenza! la zampa ancor gli porge.

 

Allor confuso susurrio si spande:

La zampa il re?... la zampa?... sì, la zampa;

e ad atto sì magnanimo e sì grande

ciascun per lui d'amor, di zel più avvampa;

ed in tutti i suoi detti, in tutte l'opre

l'alta bontà del suo bel cor discopre.

 

Ah come mai d'infantil gioia e lieve

vi puote, o bestie, infatuar cotanto

l'illusion d'un falso ben, che in breve

cangiar dovrassi in vero duolo e in pianto?

E alfin, accorti dell'error, vorrete

scuotere il giogo allor, ma non potrete.

 

Dei quadrupedi sudditi la folla

tutta seguir volea l'orme sovrane,

ma il Lion nol permise, e congedolla;

e gentilmente indi rivolto al Cane:

Amico gli dicea tu vieni meco;

di molti e gravi affari ho a parlar teco.

 

Tosto maggior si leva il susurrìo:

Ha detto amico al Can! con maraviglia

va ripetendo ognun l'ho udito anch'io;

Sì, sì, gli ha detto amico altri ripiglia;

e il Can ciascun invidia e fra se dice:

Oh fortunato Cane! oh Can felice!

 

Ma il re col Can, volgendo agli altri il tergo,

da picciolo corteggio accompagnato,

incaminossi al suo selvoso albergo,

per accudire ai vari affar di stato;

che con eroiche gesta e fatti egregi

vuol la gloria eclissar de' più gran regi.

 

Vanne la regal bestia; e a farle omaggio

avanti a lui spargono il suol di fiori

le quadrupedi ninfe in sul passaggio;

e fanno intanto gli asini canori

di concenti suonar l'aere intorno,

finch'ei non giunga al suo real soggiorno.

 

E ogni qual volta in valle, in monte, in selva

le belve del quadrupede dominio

s'incontravano poi con qualche belva,

che stat'era presente allo squittinio,

discorsi interminabili, infiniti,

e domande facevanle e quesiti.

 

Quella allor gli alti pregi esalta e loda

del novello adorabile sovrano;

il capo or ne descrive, ed or la coda,

or la criniera ed ora il deretano,

or l'alta dignità quando spalanca

l'augusto grifo e la sovrana branca.

 

Rilevava ogni moto ed ogni detto,

e lungo vi facea vario comento;

tutto grande, mirabile, perfetto,

tutto è stupendo in lui, tutto è portento;

nè si stancava mai di proferire

pomposi elogi dell'eccelso sire.

 

Parea che al mondo più non esistesse

idea di ciò che pria si fe', si disse;

e che d'ogni altro affar, d'ogni interesse

le cure il nuovo re tutte assorbisse;

e che un essere sol fosse in natura,

e il resto poi secrezione impura.

 

Nè s'intendea qual magico prestigio

nei liberi animai cangiato e vinto,

con strano inesplicabile prodigio,

avesse il natural libero istinto:

filosofia vi studiò fin ora,

nè il gran problema ha risoluto ancora.

 

 

 




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