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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO QUARTO

 

LA CORTE DELLA LIONESSA

 

Oh quante un tempo si doveano e quante

bestie impiegar per una bestia sola,

onde far Corte all'animal regnante

coll'opra, col pensier, colla parola!

Come s'ei far non possa i fatti sui,

se in opera non pon gli organi altrui.

 

Quanti solean fierissimi animali,

o in un angol sdrajati, o ritti e tesi,

starsen nell'anticamere reali

non le ore già, ma i giorni interi e i mesi!

E gonfi dell'infetta aura del soglio

l'ignoranza nudrir, l'ozio e l'orgoglio!

 

Benchè però dalla novella Corte

il merto fosse e la virtù sbandita,

pure ogni bestia più superba e forte

torpidamente ivi menar la vita

ambia, piuttosto che d'eccelsi e chiari

pregi lode acquistar fra le sue pari.

 

E la ragion non si sapea vedere,

per cui, di tempo in termine sì angusto,

potesser bestie sì orgogliose e fiere

carattere cangiar, indole e gusto;

e a un tratto estinto il naturale ardire,

ripor la gloria lor tutta in servire.

 

Perciò chimici, empirici, analitici

provarono ch'esalan dalle Corti

certi effuvi flogistico-mefitici

e sì attive particole e sì forti,

che scompongon dei corpi la struttura,

e denaturalizzan la natura.

 

La Corte alla regina il re e il ministro

voller anche formar quel giorno istesso;

che di già preparato avean registro

di color che dovean porsele appresso:

e la Tigre nomar per prima dama,

che gran Maitresse oggi da noi si chiama.

 

La Tigre per l'ardir, per la vaghezza

de' vari suoi color, pel gentilizio

suo manto, per valor, per robustezza,

per lo splendor del nome magnatizio,

per nobiltà di sangue illustre e chiaro

può colla Lionessa andar del paro.

 

Antichissima schiatta ella vantava,

che si perdea nel buio delle favole,

e nella sua genealogia contava

lunghissim'ordin d'avole e bisavole

feroci, voracissime, salvatiche,

famose bestie, tutte aristocratiche.

 

Perciò ell'ancor fra i concorrenti al regno

mostrossi dei suoi pregi baldanzosa:

ma se il Lion si riputò più degno,

la carica più eccelsa e luminosa

ebbe ella presso alla real consorte,

e pascolo e covile ottenne in Corte.

 

Ma fra di lor rivalità secreta

nutrian scambievolmente; e in casi tali,

che non può la gelosa ed inquieta

di due potenti femmine rivali

ambizion, l'invidia ed il capriccio!

Ma faccian esse pur, non me n'impiccio.

 

Or qui forse potrei la taccia incorrere

d'uom che travia dal suo proposto e svaria,

perchè impossibil par che abbia a concorrere

femmina a dignitade ereditaria;

e che una Tigre, ch'esser volle re,

sia gran Maitresse, natural non è.

 

Ma rispondere poss'io: Tigre significa

sì femmina che maschio in lingua italica.

Non ogni legge oltre di ciò specifica

che il maschio regni sol, come la Salica;

e caso non è inver straordinario,

che regni donna in regno ereditario.

 

Se la donna, e non l'uomo ha dritto al trono,

quella regna, non questi; e i figli sui

del regno eredi e successori sono,

come figli di lei e non di lui:

ma poeta son io, e non causidico,

e mio difetto è sol d'esser veridico.

 

Ma in due motti da voi cancello e raschio

lo scrupol sulla lor natura gemina:

forse al trono concorse un Tigre maschio,

ed or la gran Maitresse è Tigre femina.

E ciò sia detto sol per le sofistiche

teste amanti di forme sillogistiche.

 

Della regina poi Primo Zampiero

e gentiluom di camera nomaro

opportuno animal per tal mestiero,

il paziente docile Somaro,

che al capriccio servir del della strana

bisbetica collerica sovrana.

 

Zampier diceasi chi porgea la zampa

a gran bestia primaria, acciò s'appoggi,

se per ventura o marcia male o inciampa;

braccier diciam chi porge il braccio anch'oggi;

e avvertir per parentesi vi faccio

che ciò che in bestie è zampa, in noi è braccio.

 

Era in Corte comun l'opinione,

ch'ei fosse entrato in grazia alla regina

a forza di ragghiar sotto al balcone,

quand'ella si levava la mattina,

e ch'ei si fosse fin d'allor proposto

d'acquistarne le grazie ad ogni costo.

 

Incontro a te, o d'asinina coccia

solida inimitabile fermezza,

come flutto marin contro alla roccia,

ogni contrarietà cede e si spezza.

Noi sempre più l'esempio tuo convince,

che chiunque la dura alfin la vince.

 

In quell'impiego, inver, sì grande onore

l'Asin si fe', che in qualche settimana

pervenne ad ottener l'alto favore

di quella orgogliosissima sovrana;

e allor godè l'invidiabil sorte

di brillar fra i primari Eroi di Corte.

 

Coraggio, su, coraggio, Asino mio,

siegui traccie sì belle e luminose,

siegui, fallar non puoi, già tel diss'io:

te propizio destin serba a gran cose,

tu il rapito all'esotica virtù

premio godrai, sì, ciuccio mio, sì, tu.

 

Dalla regina stessa poi fur scelte,

pe' suoi servigi, Capriuole e Cerve,

le più gentili, più ben fatte e svelte,

in qualità di cameriere e serve,

onde ciascuna al posto suo si renda

a debiti intervalli ed a vicenda.

 

E in breve ebber color tale influenza,

che, negli affar più gravi ed importanti

abusar del favor, dell'indulgenza

della sovrana a pro de' loro amanti.

nè s'accordavan mai grazie reali,

se non passavan pria pe' lor canali.

 

I brigator d'impieghi e i pretendenti

venian, i dì di nascita e di nome,

a fare i consueti complimenti,

accompagnati da regali a some;

quindi pettegolezzi, intrighi e tresche,

cabale a Corte e chiacchiere donnesche.

 

Gran Foriera la celere Gazzella,

in vigor di sua carica, solea

pel servizio di Corte or questa or quella

dama avvisar, e compiacer potea;

più che altre era però dalla brigata

di quelle auliche bestie accarezzata.

 

Nomata fu la Martora Mod,ista,

come animal di gusto fine e terso,

e d'ingegno fantastico provvista

moltiplice, versatile, diverso,

che serie di brillanti idee bizzarre

dall'inesausto imaginar può trarre.

 

Ogni otto dì con qualche nuova moda

ella acconciar sapea la Lionessa:

in testa pennacchin, ciuffi alla coda;

e ogni bestia di Corte allor la stessa

usanza adotta avidamente, e assesta

ciuffi alla coda e pennacchini in testa.

 

Talor l'occhio dai peli era coperto,

che cadean dalla fronte infin sul naso;

mostravasi talor nudo e scoperto

il raso teschio, o il deretano raso;

talor sonore fean borchie e collane

di coccole o di noci o d'avellane.

 

Sul capo o scuffiotto o cappellino

ponean talor di zucche o di cedriuoli;

calzan specie talor di borzacchino

che con fiocchi o con cappi o con lacciuoli

o d'edera o di salice o di vinco

alla gamba stringean sino allo stinco.

 

Per alcun tempo ancor prevalse l'uso

d'aver grandi feston di larghe fronde

avvolti al collo infino a mezzo muso,

e in cui del capo la metà s'asconde,

qual testuggin che trae fuor della crosta

metà del capo, e metà tien nascosta.

 

E della moda che tutto sfigura,

a segno tal le bizzarrie fur spinte,

che quelle bestie, cui negò natura

le corna vere, s'adattar le finte,

e feron pompa di cornuti onori

tigri e pantere al par di cervi e tori.

 

Color, per altro, che di corna altere

naturalmente avean la fronte adorna,

provar che, in paragon di corna vere

non vaglion nulla le posticcie corna;

onde, smesse le corna artificiali,

le fisiche restaro e le morali.

 

Non saltava alla Martora capriccio,

che indosso alla regina ella adattasse

ciondolo o fiocco o ciuffo o cappio o riccio,

che con avidità non si adottasse,

se anche il respir dovesse e il moto torre,

o qualche membro anche storpiar, se occorre.

 

Qual di talun che muove o bocca o dita

a socievol gioco, in cerchio assisa

tutta la turba i sconci lazzi imita;

imitavano attente in simil guisa

le dame della Corte Lionina

le strane foggie della lor regina.

 

Inoltre un certo tal paggio diletto

sua maestà la Lionessa avea,

odoroso animal, monsieur Zibetto,

che alla toletta sua sempre assistea:

tutto il manto per lui nei dì di gala,

per lui la real coda odore esala.

 

Mille costui, per divertir madama,

facezie, frizzi, sali e barzellette,

(Poichè sa ben che tali cose ell'ama)

e mille fattarelli e novellette

e storielle e lepidi racconti,

mille galanti aneddoti avea pronti.

 

La maldicenza, solito di cui

è malignar, massimamente in Corte,

sparse che si valesse ella di lui

per ambasciate di non so qual sorte.

ma rumori eran vaghi, e cose tai

discreto ascoltator non crede mai.

 

Volle ancor grazioso animalino

la Lionessa ai suoi servigi avere,

il dilicato candido Armellino,

che ognor presso di se solea tenere;

come un di quella specie di lacchè

che anglicamente oggi diciam Jokè.

 

Quel fu il primo lavor che fer tra loro

il re Lion col suo ministro Cane.

e stabiliro un simile lavoro

in tutte proseguir le settimane;

e da quel re quei che da lui discesero

a lavorar coi lor ministri appresero.

 

Poscia il Can dal padron congedo prese,

e ritirossi nella sua spelonca;

per riposarsi alquanto ivi si stese;

ma gl'interrompe ogni riposo e tronca

di politiche idee prospetto vasto,

e d'arditi pensieri urto e contrasto.

 

Poichè nel suo cervel gorgoglia e ferve

altissimo progetto, ampio, profondo,

di rendere al padron suddite e serve

le bestie tutte, e assoggettargli il mondo,

e tutto ciò che vive e che si muove

in terra, in acqua, in aria, in cielo e altrove.

 

Onde del suo padrone al solo aspetto

ciascun si getti a terra e si prosterni,

del suo padrone a un cenno solo, a un detto

l'universo si regga e si governi:

che in faccia del padron tutt'i viventi

son feccia e fango e sordidi escrementi.

 

Che del padron la preziosa e cara

esistenza è qual sol, da cui deriva

luce che tutto illumina e rischiara,

virtù che tutto muove, anima e avviva;

e far vorrebbe, se il potesse fare,

a lui fumare incenso, ergere altare.

 

E il cervel lambiccandosi, facea

gravi riflession sul quando e il come

debba estirpar di libertà l'idea,

farne aborrir, farne esecrare il nome.

s'agita, s'ange per fervor, per zelo;

se gli scalda la cute e fuma il pelo.

 

Tempra, o animal, tempra lo zel che tanto

commove ed elettrizza i tuoi pensieri;

calmati, Cane mio, calmati alquanto;

Da tante inquietudini che speri?

E qual da tanti e tanti affanni tuoi

premio aspettar, qual gratitudin puoi?

 

Attendi, e non dei forse attender molto,

e ascolta intanto i miei non vani auspici.

tu, che pel fiero altrui capriccio stolto

rendi gli stati e i popoli infelici,

vittima del capriccio, a cui sommesso

vorresti il mondo inter, sarai tu stesso.

 

Ma inutili spargo io parole vane:

chiunque il minister dirigere dee,

chiunque il posto ottien che ottenne il Cane,

diversi mai non ha pensier nè idee;

e la stessa politica condotta

che adottò il Can costantemente adotta.

 

Dell'esecrande ognor massime istesse,

degli stessi principj ognor seguace,

d'ambizioso prence all'interesse

sacrifica dei popoli la pace;

e chi al suo fin per mezzi tai perviene,

lode di gran ministro e gloria ottiene.

 

E in faccia a sì crudel sistema atroce

la detestata ognora, e ognor temuta,

filosofia dee soffocar sua voce,

in mezzo a tanti orror stupida, muta?

E di giusto parlar, di ver, di dritto,

e conoscerlo sol, sarà delitto?

 

Volgo attorno lo sguardo e cerco invano,

se appar sull'orizzonte alcun chiarore.

ma ohime! che il tuono ascolto; e da lontano

veggio formarsi un avvenir peggiore,

se possente virtù non vien di sopra,

e qualche gran miracolo non opra.

 

Triegua co' suoi pensieri alquanto fatta,

il Gatto fe' venire in sua presenza;

e spiegando l'affar di cui si tratta,

ordin gli diè che la real sentenza

speditamente all'Elefante porti,

poi torni a fargli debiti rapporti.

 

Già l'ombre sue spandea l'umida notte,

e usciti fuor de' lor petrosi tufi

con urli e stridi per le regie grotte

gian svolazzando i Pipistrelli, i Gufi:

e sull'erba sdraiata e sullo strame

russa la Corte ed il real bestiame.

 

Non dorme il Can ministro, e se un istante

prende sonno talor, sogna politica,

ne' suoi progetti ognor fermo e costante;

nè cura già biasmo impotente o critica;

tutta pon la sua gloria e la sua lode

in sodisfar l'ambizion che il rode.

 

Voi che ambite l'onor del ministero,

voi che fortunatissimi credete

color che posti son sul candeliero,

gli occhi, di grazia, a questo Can volgete;

sareste voi di sostener capaci

le tante, ch'ei sostien, cure mordaci?

 

In compagnia del Bertuccion portossi

sovr'ampia prateria il giorno appresso;

ove in gran pompa gli animai promossi

delle cariche lor pose in possesso;

e tutta il Gran Cerimoniere in pratica

mise quel dì la liturgia scimiatica.

 

Poscia solennemente, e nelle forme,

a ciascun fe' prestare il giuramento,

come le corti anch'oggi fan, conforme

lo stabilito lor regolamento.

dopo la funzion, sino alla reggia,

l'accompagna la folla e lo corteggia.

 

Da giuramento tal nei tempi appresso

si propagò dei giuramenti il germe:

l'usurpator sen giova, e dall'oppresso

e dal debol l'esige e dall'inerme;

quantunque in oggi altro non sia che un atto

in jure sacrosanto e nullo in fatto.

 

Al padron fedeltà giurano i servi,

e coi servi il padron patteggia e giura;

ma ben raro è colui che i patti osservi;

anzi sovente il giuramento abiura,

e se utile lo crede e necessario,

chi poc'anzi giurò, giura il contrario.

 

Il Gatto intanto, che di bosco in bosco

dell'Elefante in traccia er'ito attorno,

da lungi alfin lo vide al dubbio e fosco

barlume, avanti che spuntasse il giorno,

appoggiato a gran quercia, in quella foggia

che ad altro muro un barbacan s'appoggia.

 

Subito il Gatto allor gli s'avvicina

e l'ordine gl'intima che a lui toglie

gli onori della Corte lionina,

e che l'esilia dalle regie soglie;

ma con dispregio altier quei l'interrompe,

e in bestemmie politiche prorompe.

 

Vanne disse e il buffon del tuo sovrano

che mi ringrazi se lo lascio in pace;

amo da tai scempiezze esser lontano,

e solitario vivere mi piace.

Vanne, vil schiavo, fuggi, e se il tuo re

stuzzicherammi, avralla a far con me.

 

A insulto tal da quel ribelle fatto

ad una maestà, a un tanto sire,

indietro sbalza inorridito il Gatto.

Che far?... risponder?... no; meglio è fuggire,

che pronto il vede a scaricar la tromba;

e guai! se addosso un colpo tal gli piomba.

 

Torna al Cane, e gli espon tutto il seguito:

infuria il Cane e sbuffa a tal rapporto,

e va il Lione a renderne avvertito;

l'instiga e incita a vendicar quel torto.

quei sol risponde con tranquilla faccia:

Capitan della guardia altri si faccia.

 

Fuor del Rinoceronte il Can ripiglia

altro adatto animal noi non abbiamo;

benchè ei sia di medesima famiglia

e d'un remoto Elefantino ramo:

ma quei di quell'affinità si scarica;

sicchè il Rinoceronte ebbe tal carica.

 

Bello è veder con quel gran corno in fronte

di Corte alla real soglia affollata

starsene il capitan Rinoceronte

con molta guardia a lui subordinata,

e la Corte precedere e far ala

al passar del Lion ne' dì di gala.

 

O mente de' ministri alta e sublime!

La sapienza il ciel t'inspira e infonde;

sempre felici son le idee tue prime,

felicissime poi son le seconde;

e s'è talor grosso animal rimosso,

tosto proponsi altro animal più grosso.

 

A talun parrà strano, a creder mio,

che fra tanti animai fosse il Cavallo

in quell'occasion posto in obblio.

Ma forse appunto ciò, seppur non fallo,

per cui maggior riguardo a lui si debbe,

fu la ragion per cui non se glie n'ebbe.

 

Sensato era il Caval, probo ed onesto;

e di virtù, di probità l'aspetto

divien sovente incomodo e molesto;

rimprover sembra a chi di vizi è infetto;

di sue mal opre il sovvenir richiama.

si teme in Corte la virtù, non s'ama.

 

Ma, scevro ancor di pubbliche incombenze,

chiamato a Corte e consultato spesso

fu il Cavallo in gelose conferenze

ed ai sovrani intimi crocchi ammesso.

Chi virtù teme, il pregio assai sovente

entro il suo cor malgrado suo ne sente.

 

Fu per l'ottavo giorno indi intimata

l'incoronazion del re Lione

sull'annessa alla reggia ampia spianata;

e dopo la real coronazione,

per bestie d'ogni razza e d'ogni sorte

ricevimento e Leccazampa a Corte.

 

Leccazampa dicean le bestie allora

che leccavan la zampa al lor sovrano;

baciamano dall'uom si dice ancora,

allor ch'ei bacia al suo signor la mano.

l'uno e l'altro è d'omaggio atto solenne;

e baciaman da leccazampa venne.

 

Presta omaggio il quadrupede? ti lecca:

omaggio presta l'uomo? un bacio scocca:

presta omaggio il volatile? ti becca:

e ogni omaggio si presta colla bocca;

Nè alcun sovran, per quanto sia potente,

omaggio esiger può di cor, di mente.

 

Il vero omaggio che a talun si presta,

figlio è di gratitudine, d'amore,

di stima e cose tai che nella testa

han sede solo, e molto più nel core:

Ma per chiunque d'apparenza campa,

vi voglion baciamano e leccazampa.

 

Forse avverrà... cosa avverrà? non credo

a vana astrologia giudiziaria:

m'attengo a ciò che tocco, a ciò che vedo,

nè mi diverto a far castella in aria;

il passato e il presente è più sicuro,

e lasciamo pe' posteri il futuro.

 

Sulla spianata e nella regia tana

si fer preparativi e gran lavori;

e il trono pel sovran, per la sovrana,

e palchi attorno per gli spettatori,

e sedili e cancelli; e a quest'effetto

fu impiegato il Castor regio architetto.

 

Ciascun che volle, intanto, agio ebbe e tempo

d'irsene a passeggiar per la campagna:

e perciò la Camozza in quel frattempo

l'aria sottil della natia montagna

ir volle a respirar, finchè non giunga

l'ottavo dì; nè la distanza è lunga.

 

Là s'incontrò col Porco-spino, e a quello

(Giacchè più volte pria s'eran già visti)

disse: Certo non tu del re novello

alla solenne elezion venisti,

poichè fra tanti e tanti altri animai

te, Porco-spino mio, non ravvisai.

 

Deh! almen vieni a veder la funzione,

in cui con cerimonie strepitose

incoronar dovrassi il re Lione.

Va' pure il Porco-spino allor rispose,

va' pur, Camozza mia, dove ti piace,

e lascia me fra queste balze in pace:

 

Che per la società la specie nostra

par che fatta non sia dalla natura,

come lo prova, e chiaro lo dimostra,

quella che abbiam sul dorso aspra armatura

d'acute punte; onde nessun vicino

restasi impunemente al Porco-spino.

 

E difficil saria poter disporci

ai fattizj costumi e alle maniere

di studiata gentilezza, e ai scorci

che i cortigian di fare han per mestiere:

e ridicolo in ver sarebbe poi,

se imitarli volesse alcun di noi.

 

Il cavo d'una quercia ovver d'un rovero,

cupi boschi, erte balze, alpestri tane

ci prestan solitario ermo ricovero,

e dimore da strepito lontane.

Come con abitudin di tal sorte,

farsen potrebbe un animal di Corte?

 

Alle Volpi, alle Scimie, ai Cani, ai Gatti

le corti deh! lasciam, cara Camozza,

poichè per cose tai noi non siam fatti,

e contro la natura invan si cozza.

quanti splendidi onor l'aula dispensa,

la libertà selvatica compensa.

 

Ha invero il nostro stato i suoi difetti

alla natura annessi ed inerenti.

soffriam disagi varj e siam soggetti

alle violenze delli più potenti:

ma quei che in società stansi adunati,

sono eglino di noi più fortunati?

 

Rinascenti tuttor molti e diversi

ignorati da noi, bisogni essi hanno;

e attentamente in guardia ognor tenersi

deggion contro il livor, l'odio e l'inganno;

e fra insidie e perigli occulti e spessi

sempre han guerra con gli altri e con se stessi.

 

Oltre agli usati inevitabil mali

che soglion provenir dalla natura,

e son comuni a tutti gli animali,

han quei che lor la società procura,

che pubblici e privati i mali mesce,

e delle passion la massa accresce.

 

Onde intender non so qual frenesia

di crearsi un padrone, ed un re farne,

ai quadrupedi in capo entrata sia,

e qual mai sperin giovamento trarne.

ma verrà un dì, nè tarderà a venire,

che si dovran di lor follia pentire.

 

Cert'io lasciarmi abbacinar non soglio,

nè sedur, nè avvilir, ciò ch'è ancor peggio,

da vana pompa che circonda il soglio,

come il comun degli animai far veggio,

che, d'inette apparenze ebro e satollo,

porge tranquillamente al giogo il collo.

 

Sorpresa la Camozza e stupefatta

d'un Porco-spino a udir sì giusta critica,

non sa capire ond'egli avesse tratta

tanta filosofia, tanta politica;

onde gli domandò da chi egli apprese

sì fatte cose; e quegli allor riprese:

 

Tempo è che un Orso errando gia pel bosco

solingo a notte oscura; e per salvarsi

dalla dirotta pioggia, all'aer fosco

venne nella mia tana a ricovrarsi;

e convien dir che assai prese ad amarmi,

poichè tornò più volte a ritrovarmi.

 

Ella è a credere e a dir difficil cosa

quanto foss'ei ragionator profondo:

dello scandaglio avea la scienza ascosa,

ed infinita pratica di mondo

in cose d'ogni specie e d'ogni classe;

e ti dirò in qual guisa ei l'acquistasse.

 

Ito attorno gran tempo er'ei girando;

e alle gran Corti e all'assemblee trovossi

buffoneggiando e in su due piè danzando;

e ovunque grandi applausi avea riscossi,

e dei grandi e dei piccoli si tenne

amico sempre, e le lor grazie ottenne.

 

E fe' veder che l'arte del buffone,

con destrezza impiegata a tempo e loco,

val di qualunque merto al paragone,

e a far sorte talor giova non poco:

perciò molti, che han credito acquistato,

l'esempio di quell'Orso hanno imitato.

 

Ed avendo talento e ingegno acuto

governi esaminò, leggi e costumi,

indole di ciascun, sia uom, sia bruto;

ed acquistò gran sperienza e lumi.

Un Orso! interrompendogli il discorso

esclama la Camozza; e quegli: Un Orso.

 

E tuttor proseguia: certi talenti,

che bramano brillar e far figura,

gl'inquieti, gli arditi, i turbolenti,

i parlator per arte o per natura,

e i cervelli più fervidi e più attivi,

son tutti alla repubblica proclivi.

 

Repubblica o è teorica ovver pratica:

sublime in quella e grande è tutto: e in questa,

massimamente s'ella è democratica,

tutte le passion sono in tempesta;

ed in un tal republican governo

disordin solo ed anarchia vi scerno.

 

Libertà, di cui tanto si favella

oggi fra noi, rassomigliar potrassi

a fatuo foco, a tremola facella

che sovra luoghi uliginosi e crassi

talor vedi ondeggiar per l'aria vana;

quanto t'appressi più, più s'allontana.

 

Ma in monarchia la cosa è differente;

difettosa è in se stessa, e tal la rende

suo vizio radical; naturalmente

la monarchia al dispotismo tende;

nè forse esiste autorità reale,

che dritto non s'arroghi universale.

 

Se di governo ha qualche idea, se istrutto,

nè di talenti nudo è quei che regna,

tutto confonde allor, rovescia tutto:

l'orme ch'altri segnò seguir disdegna;

ogni concezion che sua non sia

sprezza, e inezia la reputa e follia.

 

Non v'è legislator che lo pareggi

pesi o doveri in cumular soverchi;

ed in cotanta diarrea di leggi

ordine e savie mire invan ricerchi:

sol capriccio vedrai di senno privo,

e cacoete sol legislativo.

 

Quindi Astrea vacillante, incerta e zoppa,

per intricato ognor dubbio sentiere

marcia tentoni e ad ogni passo intoppa;

quindi l'informi leggi a sostenere,

cangiar, supplir, interpretar, novelli

convien sostegni aggiungervi e puntelli.

 

Se indotto è il prence, inetto ed indolente,

(Che, quantunque non siane ei persuaso,

è però cio che accade il più sovente)

del prence allor primo ministro è il caso;

Mischiansi negli affar gl'intrigatori,

e soli ottengon cariche ed onori.

 

E poscia soggiungea: se de' governi

qualunque forma esamini in astratto;

vizio e difetto alcun non vi discerni;

ma viziosa poi la scopri in fatto.

E tutti li politici sistemi

in se di destruzion racchiudon semi.

 

Quell'Orso osservator concluse poi,

che il genere di vita il qual convegna

più che altri ad animai come siam noi,

è appunto quel che a noi natura assegna;

cioè fra boschi e in solitaria piaggia,

ove nascemmo, trar vita selvaggia.

 

L'arte di governar non è ancor fissa,

e ovunque vi vedrai difetti sommi:

perciò qualunque hammi il destin prefissa

condizion di stato, in quella stommi;

chi cerca migliorar cangiando ognora,

erra sovente e per lo più peggiora.

 

Disse, e al covaccio suo quella spinosa

bestia avviossi; e la Camozza stette

per alcun poco in suo pensier dubbiosa.

Al desir curioso alfin cedette;

e colà giunse a tempo, ove si de'

incoronar degli animali il re.

 

Ma voi, che filosofici discorsi,

voi, che riflession sensate e sagge

udiste far dagl'Istrici e dagli Orsi,

che le più rozze son bestie selvagge,

perchè stupir? Ciò che fra bestie allora

avvenne, avvien fra noi sovente ancora.

 

Quanti talenti restansi sepolti

entro i tugurj nell'obblio profondo,

sol perchè lor la Sorte i mezzi ha tolti

di figurar e di brillar nel mondo?

Quindi più d'un autore è persuaso,

che spesso il più gran nome opra è del caso.

 

Ma spossatello omai mi sento e roco,

nè in grado più di proseguire il canto.

Permettetemi dunque, almen per poco,

ch'io prenda fiato e mi riposi alquanto;

che poi, qualor vi piaccia, io sarò pronto

a riprendere il fil del mio racconto.

 

 

 




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