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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO SETTIMO

 

LA MORTE DEL RE LIONE

 

Già in tutta la quadrupede genia

erasi stabilito un permanente

governo d'assoluta monarchia;

già regnava il Lion grande e potente,

e numerosa avea splendida Corte,

convenevole a un re di cotal sorte.

 

E non risparmia il Can cura e fatica,

e tutti i mezzi imagina ed adopra

acciò un dì dai quadrupedi si dica:

quanto mai v'è di buon, del Cane è l'opra.

e per tal guisa anche all'età lontane

renda famoso il minister del Cane.

 

E perchè ha gran talenti, e soprattutto

ama la bestial letteratura,

dotto egli essendo e sommamente istrutto,

bel bello incivilire ed a coltura

spera i rozzi quadrupedi ridurre,

e gli utili fra lor lumi introdurre.

 

Perciò gli studi incoraggisce e premia,

e avendo eretta già la biblioteca

eriger volle in Corte un'accademia

per estirparne l'ignoranza cieca;

e acciò, se pria fur neghittosi e lenti,

d'emulo ardor s'infiammino i talenti.

 

Ei presidente nominò se stesso

e fissò certi dì per le assemblee,

cui puote ogni animal esser ammesso,

e ivi libere espor le proprie idee,

purch'egli o serva in Corte, o in Corte viva;

per gli altri l'accademia era esclusiva.

 

Or, quantunque le bestie cortigiane

non sapesser nè leggere, nè scrivere

(Purchè il Castoro se n'eccetti e il Cane)

si voller tutte all'accademia ascrivere,

e come in tanti avvien casi epidemici,

a un tratto diventar tutti accademici.

 

E supponendo negli augei leggeri,

che soglion più col volo alto elevarsi,

pure idee, grand'acume, alti pensieri,

per strana bizzarria voller chiamarsi,

siccome frulla lor per lo cervello,

ciascun col nome o d'uno o d'altro uccello.

 

Per esempio Fringuel l'Orso s'appella,

il Toro fe' nomarsi il Canarino,

l'Asino si chiamò la Rondinella,

ed il Rinoceronte il Cardellino;

la Tigre Lodoletta, e il re Lione,

socio egli ancor, si fe' chiamar Airone.

 

Da quelle bestie io non saprei dir come

fra i letterati de' seguenti tempi

l'uso venuto sia di cangiar nome;

ma senza andar vagando in altri esempi,

qui farovvi onorabile memoria

d'un tratto sol di letteraria istoria.

 

Di voi favello, o paladin di Francia,

eroi della Garonna e della Senna,

tanto valenti a trattar spada e lancia,

quanto poc'atti a maneggiar la penna;

dell'accademia tua, di te, gran Carlo,

e de' tuoi accademici sol parlo.

 

Tu grande ognor, nè mai di gloria sazio,

accademie a fondar volgi il pensiero;7

si cangia il cortigian tosto in Orazio,

e il paladino cangiasi in Omero;

e lo strano fenomeno si vide

di Carlo trasformatosi in Davide.

 

O Eginardo, o Alcuino, in cui

scintillò di ragion qualche bagliore

fra' barbari costumi e in mezzo a' bui

tempi dell'ignoranza e dell'errore,

voi mi fate pietà, quando aver seggio

fra sì fatti accademici vi veggio!

 

Ma se accademie tai poteron poi

contrastar alla Corte Lionina

il primo onor, gloria sia resa a voi,

o vasi di scienza e di dottrina,

che vi potete dir delle moderne

accademie le lucide lanterne.

 

A voi gloria, Umoristi, Oscuri, Ombrosi,

Infernali, Lunatici, Insensati,

Stupidi, Rozzi, Indomiti, Fumosi,

Umidi, Muti, Torpidi, Intronati8

e tant'altri, di cui per dire i nomi

vi vorrebbero almeno un par di tomi.

 

Le cortigiane bestie all'adunanza

venian sovente, e non aprian mai bocca,

se non per palesar crassa ignoranza,

o cosa dir sì strampalata e sciocca

che il consesso ridicolo divenne;

e per decoro scioglierlo convenne.

 

Gran lezione è questa, o cortigiani,

gran lezion per voi, perchè stringhiate

vostri discorsi in motti pochi e arcani,

e in taciturna gravità restiate;

che se in dotte assemblee non state zitti,

o cortigiani miei, voi siete fritti.

 

Ma se poco omogenee e non simpatiche

erano le scienze a quelle prime

accademiche bestie aristocratiche,

importanza più grande e più sublime

e assai più gravi e luminosi oggetti

occupavano i loro alti intelletti.

 

E già de' cortigian l'ampia famiglia

fatti progressi avea rapidi e grandi,

e giasi accostumando a maraviglia

ai sovrani dispotici comandi:

impiegar già sapea l'ossequio vile,

e compiacente adulazion servile.

 

Già con mentito zel l'astuto insidia,

l'intezione fraudolenta e rea,

la sospettosa ed inquieta invidia,

e la calunnia inorpellar sapea,

e la sprezzante torbida alterezza

sotto aspetto celar di gentilezza.

 

Or costor, per gli altrui vigliacchi omaggi,

d'un insultante orgoglio ivan sì gonfi,

che l'indignazion movean de' saggi;

e procedendo pettoruti e tronfi

credean far grazia all'animal minore

se a lui d'un guardo compartian l'onore.

 

Avanti al lor padron costoro stessi

abbassavansi a indegni atti servili,

tremanti a un detto, a un cenno altier sommessi,

approvatori e incensator sì vili,

che di color che avean virtude in pregio

si meritar l'universal dispregio.

 

O Corte, Corte, e qual vapor maligno

l'aer che spira in te corrompe e infetta?

Tu il caratter più probo e più benigno,

tu l'indole più limpida e perfetta,

e tu i costumi più illibati e puri

avvilisci, deturpi e disfiguri.

 

Degli animai il vigor tu fiacchi e snervi,

tu gli tuffi del vizio entro la fogna,

e tu venali ognor gli rendi e servi;

ne' vortici di cabala e menzogna

la vilipesa verità tu affoghi,

ed ogni germe di virtù soffoghi.

 

L'infezion di Corte e i vizi vari

che allignan sempre nel real palagio,

e de' regi satelliti primari

i pravi esempi, universal contagio

sparser fra il popol che, incostante e lieve

qualunque impression facil riceve.

 

Onde il servil indegno avvilimento

non sol dover, ma lo credè virtù,

quel pria sì fiero, intollerante armento.

tanto un governo, o che già imposto fu,

o che per voto pubblico s'assume,

de' popoli influir può nel costume.

 

E lo stesso Lion, che fu sì saggio

creduto un dì pria di montar sul soglio,

adottò nuove idee, nuovo linguaggio;

la magnanimità cangiò in orgoglio,

e con dolcezza efimera apparente

copria superbia vera e permanente.

 

Talenti e qualità credea d'avere

tanto maggiori de' talenti altrui,

quanto pel grado e pel sovran potere

er'ei superiore ai servi sui.

e tutto pien di dignità reale

sovente si credea più che animale.

 

Ma siccome, malgrado i sforzi sui

per obbliar ch'ei visse un dì privato,

affatto non potea spegnersi in lui

la rimembranza del primiero stato;

perciò, temprando la natia ferocia,

l'idee presenti alle passate associa.

 

Non tai saranno i successor che regio

sangue vantar potranno e regia casta,

e arrogheransi l'alto privilegio

d'esser composti di diversa pasta;

nè poco fia se provenir faranno

almen dal ciel l'autorità che avranno.

 

Chi può ridir, chi imaginar fin dove

costor di lor follia spingan gli eccessi?

Sdegnan del lor poter, simili a Giove,

d'altri l'origin trar che da lor stessi;

e gode il fasto altier, che ingombra il soglio,

nuovi inventar vocaboli d'orgoglio.

 

Qual funesto delirio e qual vertigine

della terra i potenti inebria e accieca,

d'immensi guai calamitosa origine,

che ognor lutto ai viventi e pianto reca!

Dunque eterna reciproca pazzia -

delitto dei mortali e pena fia?

 

Ma Lion Primo il meritato vanto,

toltane alcuna lieve eccezione,

ebbe di giusto e savio re, per quanto

attender si potea da un re Lione:

poichè bestia o non bestia, re o non re,

nessuno può far da più di quel ch'egli è.

 

Lasciò i sudditti suoi tranquilli e in pace,

non s'arrogò di lor fatiche il frutto,

non fu crudel, non avido e rapace,

nè si credè solo padron di tutto:

e con affabil popolari modi

seppe acquistar del pubblico le lodi.

 

De' supplici talor le brame appieno,

se render paghe non potea col fatto,

ei lo facea colle parole almeno:

onde ciascun contento e sodisfatto

partia da lui, il fortunato impero

benedicendo di Lion Primiero.

 

Oh quanto a un grande è facile, e a un potente,

di cattivar l'ossequioso affetto

del popol maneggevole e indulgente!

Un picciol dono a tempo, un bel viglietto,

un guardo, un ghigno, una gentil parola,

d'ogni gravezza il suddito consola.

 

E allor di sì adorabile sovrano

i vizi, i torti e le mancanze obblia,

e qual Tito il riguarda, e qual Traiano.

Pur di sì trivial mercatanzia,

che nè fatica costa nè danaro,

par che più d'un sovran mostrisi avaro.

 

S'havvi intanto talun che in petto chiuda

nobil desio di meritata laude,

e sugli utili studi agghiaccia e suda,

non lo cura verun, verun gli applaude.

le fastose apparenze il mondo onora,

l'umil virtù giacesi oscura ognora.

 

Ma ritorniamo al quadrupede sire,

sovra di cui per altro io non m'impegno

quel tanto a dir che sen potrebbe dire;

che nè la vita sua nè del suo regno

io qui l'esatta storia imprendo a scrivere:

dirò solo ch'ei visse e lasciò vivere.

 

E se non fece il ben che potea fare,

di far il mal che far potea s'astenne:

e chi volesse un pocolin badare

a ciò che avvien nel mondo e sempre avvenne,

vedria che non ironico e satirico

questo è, ma ragionevol panegirico.

 

E quantunque nel senso affermativo

ciò non vuol dir che re perfetto ei fosse,

prova almen che nel senso negativo

lode, a ragion, di savio re riscosse;

e più che il buono affermativo è raro,

il negativo aver si dee più caro.

 

Perciò tai prenci anch'io venero e stimo;

e se quei cui 'l destin confida i regni

assomigliasser tutti a Lion Primo,

e se com'ei se ne rendesser degni,

oh come di buon core io lor vorrei

gli elogi tributar, gli applausi miei!

 

Quanti orror, quante stragi e quanta guerra,

quante calamità, quanti stermini

che coprono e desolano la terra

per disputarsi i laceri domini,

quante alfin cesserian miserie e mali,

che al cor dell'onest'uom son punte e strali!

 

Perfezion non cerco e non esigo

in prence eletto dal comun suffragio;

pur, malgrado la cabala e l'intrigo,

raro è ben che si elegga un re malvagio;

e per costante esperienza io veggio,

che ognun che sceglier può non sceglie il peggio.

 

Ma quei che nasce re, quegli che ottiene

solo per dritto ereditario il trono,

tal quale egli è tenerselo conviene,

e pregar Dio che ce lo mandi buono;

onde, come in mio cor son persuaso,

elezion vale un po' più del caso.

 

L'animalesco elettoral consiglio,

che stimava il Lion, diegli i suoi voti;

ma del par non potea stimar suo figlio,

perchè i suoi merti eran peranche ignoti:

Lion Primo però dee lode avere;

in quanto al successor... resta a vedere.

 

Spiacemi solo, a vero dir, che taccia

di troppa compiacenza in lui discerno

per la mogliera sua, la qual s'impaccia

negli affari di stato e di governo;

femmina capricciosa e variabile,

superba, ferocissima, implacabile.

 

Dall'inquieta ambizion ardente

e dal natio di comandar prurito

agitata costei, tal ascendente

avea preso sul docile marito,

che della regia autorità e potenza

ella avea la sostanza, ei l'apparenza.

 

Onde anche il Can della possente moglie

del suo padron vide esser vano e folle

contrariar l'ambiziose voglie;

e se nel posto sostener si volle,

all'alterezza imperiosa anch'ei

ceder dovette ed ai voler di lei.

 

Ella però, per quanto il Can ministro

s'adoperasse per entrarle in grazia,

sempre guardollo con occhio sinistro

e sen mostrò sempre più stufa e sazia;

e ben si prevedea che il Can fra poco

dovuto avrebbe a un successor dar loco.

 

Si crede che pel Cane antipatia

inspirata bel bel le avesse il Gatto,

per quell'inimicizia e gelosia

che i due ministri avean fra lor contratto,

poichè prendea piacer la Lionessa

a pettegoleggiar col Gatto anch'essa.

 

La deferenza che il buon re Lione

avea per lei, da conjugale amore,

secondo la comune opinione,

provenia solo e da bontà di core;

sia pur bontà, ma quando poi ne nasca

il mal, per me tanta bontà l'ho in tasca.

 

Oh più funesta d'ogni vizio enorme

bontà che di bontade il nome usurpi!

Tu, da fittizio tuo titol difforme,

porgi incentivo ad opre infami e turpi,

torpida nullità perniziosa,

che di bontà vai sotto il manto ascosa!

 

Lion Primo però, se non perfetto,

sì nullo almen non fu, non fu sì ignavo;

e fuor di qualche piccolo difetto,

passar potea per prence buono e bravo;

e s'ebbe deferenza alla sua moglie,

ciò l'intrinseco merto a lui non toglie.

 

La Volpe che di ciò tosto s'avvide,

la Lionessa a corteggiar si pose

e i favoriti suoi, poichè previde

che appagar le sue brame ambiziose

ella potria più che il Lione istesso;

e ottenne il suo pensier pieno successo.

 

Sicchè, costante ognor nelle sue viste

modo trovò d'intervenir la sera

al crocchio delle regie cameriste,

da cui con gioia e festa accolta ell'era;

poichè, essendo fra lor, sempre avea pronti

e sali e frizzi e lepidi racconti.

 

E non dimenticò di cattivarse

anche il favor dell'Asino e del Gatto,

importanza maggior per acquistarse;

il che le venne a maraviglia fatto.

Così ognor seppe quella bestia accorta

sceglier, per riuscir, la via più corta.

 

Sull'arte di regnar la Volpe un'Opra

pubblicò allor, di cui si fe' gran caso

e gran comenti vi si fecer sopra;

Ma il Lion fe' capir che persuaso

er'ei de' lumi e de' talenti sui,

nè avea bisogno de' precetti altrui.

 

La regina però, cui fra le mani

quell'opra venne, la stimò eccellente;

e senza averla letta, i cortigiani

parlarne udendo, ne parlar sovente,

e parea che godesser di vedere

ridotta la tirannide a mestiere.

 

Il Cane sol, che della Volpe a paro

riputato venia forte in politica,

fu con quell'Opra di sue lodi avaro,

e fe' su vari articoli la critica:

E siccome all'autor tal cosa spiacque,

gelosia di mestier fra loro nacque.

 

Pertanto il regno di Lion Primiero

fu tranquillo e pacifico, e contenti

rese i sudditi ognor; nè mai guerriero

strepito, nè famosi avvenimenti,

nè splendide vantò funeste glorie;

perciò poco ne parlano le storie.

 

Forse non anche gli scrittor moderni

aman solo seguir tracce di sangue?

E i delitti dei stati e dei governi

solo narrar? torpe per essi e langue,

se fortunata pace un regno gode,

e non si degnan tributargli lode.

 

Intanto ognor vieppiù vecchio ed infermo

il Lion divenia; chè scettro e regno

contro gli anni non son riparo e schermo;

e nel debol governo a più d'un segno

visibile appariva e manifesta

la debolezza di chi n'è alla testa.

 

Un figlio avea peraltro ancor bambino,

della corona presuntivo erede,

e già ciascun nel picciol Lioncino

eccelse doti, alte virtù prevede;

e ogni non ben ancor formato accento,

ogni passo, ogni moto, era un portento.

 

Il prezioso er'egli unico frutto

del conjugale lionino affetto;

ei delizia ed amor del regno tutto,

ei dei pubblici voti unico oggetto,

unico sterponcin di real seme,

del quadrupede impero unica speme.

 

Vero è che fin allor nessun l'avea

nè da vicin nè da lontan veduto:

ma tal de' suoi gran pregi era l'idea,

che per divina bestia era tenuto:

che a ciò che non si tocca e non si vede

appien supplisce in casi tai la fede.

 

E de' sudditi il popolo baggiano,

ognor di novità desideroso,

perfetto in lui scorgea prode sovrano

che avrebbe il regno suo reso famoso;

e con egregie geste e opre leggiadre

riparata la perdita del padre.

 

Oh come dietro ad apparenze vane

le menti de' mortali errando vanno!

Sempre si pascon di lusinghe strane,

e mai sensata attenzion non fanno:

che il mondo siegue ognor lo stile istesso,

e sempre il peggio è quel che viene appresso.

 

Benchè il Lion dei giorni suoi custodi

professor non avesse intorno a se

con lor droghe, decotti, impiastri e brodi;

giunto al termin fatale un tanto re,

sì potente e sì celebre ai suoi dì,

(Oh transitorie vanità!) morì.

 

Ahi temeraria morte! E puoi lo stame

troncar di sacra, inviolabil vita,

ed attentato sì esecrando e infame,

e andrà cotanta atrocità impunita?

Fra i sudditi e il monarca osi tu porre

eguaglianza ch'ei tanto odia ed aborre?

 

Ah no, creder nol vo'; morte, tu sbagli:

spegner forse credesti alma plebea,

e d'una real vita il filo tagli;

ah, tu ti fai di regicidio rea!

Se provocar non vuoi la pubblica ira

le cesoie sacrileghe ritira.

 

A migliaja la vil turba negletta

stermina, se tu vuoi, chè non v'è male,

ma d'un monarca i sacri dì rispetta;

più che popoli mille un re sol vale.

Il ciel subissi e l'universo pera,

ma viva, e illeso viva ognor chi 'mpera!

 

Ah che invan m'accend'io di santo zelo

contro Morte di prede illustri ingorda;

i voti miei non esaudisce il cielo,

alle preghiere mie natura è sorda;

ed intanto di Stige il fiume varca

l'anima del quadrupede monarca.

 

Chi può ridire i gemiti e i lamenti

dei desolati sudditi fedeli?

Colavano le lacrime a torrenti,

e si strappavan pel dolore i peli.

Morto è il sovran dicean si vesta a lutto

la terra e il mondo inter: perduto è tutto.

 

Così poichè dal cacciator fu uccisa

rondine madre, alzan le teste e i becchi

i rondinini in anelante guisa

fuori del nido, affamatelli e secchi,

e pigolando, della rondin morta

si lagnan che più lor l'esca non porta.

 

Nel fuoco altri cercar volean la morte,

come le malabariche dolenti,

estinto il dilettissimo consorte,

soglion gittarsi nelle fiamme ardenti;

spinti altri dal dolore insano e cieco,

nella tomba volean chiudersi seco.

 

E chi sa quale strazio ed esterminio

avrebber fatto accoramenti tali

del quadrupede ampissimo dominio

fra quei teneri popoli animali;

ma tai doglianze alquanto fur calmate

da più avvedute bestie e più sensate.

 

E in tuon, dicean, savio non men che scaltro:

Tutto è caduco in questo mondo e labile.

a un morto re se ne surroga un altro,

nè il male è alla fin fine irreparabile:

non disperiam: parliam sinceri e franchi:

temete forse che un padron vi manchi?

 

Il difficil non sta nel trovarne uno,

difficile è bensì trovarne un buono;

ma poi difficilissimo è che alcuno

buon si conservi ancora assiso in trono:

pertanto vada pur come vuol ire,

avrem sempre, pur troppo, a chi servire.

 

Intanto l'afflittissima regina,

la vedova real, la Lionessa,

nel lutto universal la poverina

estremamente addolorata anch'essa,

chiusa in certe recondite stanzette

ed invisibil per tre dì si stette.

 

Eppur chi il crederia? sordo bisbiglio

corse, e voci s'udian confuse e rotte,

ch'ella avesse coll'opra e col consiglio

spinto il marito alla tartarea notte,

e voluto, per via dell'assasinio,

del trono impossessarsi e del dominio.

 

E che impiegato, ad uopo tal, sicario

famoso avesse, senza dirne il nome;

ma su di ciò molto confuso e vario

era il romor, nè convenian del come;

e mille iniquità simili a queste,

che odonsi con orror da orecchie oneste.

 

Ma quale è mai sì credulo animale

che possa a tali dicerie dar fede?

Pur vediam che tuttor, non so per quale

fatalità, più il mal che il ben si crede:

onde allor come vere, anzi avvenute,

sì incredibili cose eran credute.

 

Ma di che mai stupir? quando un sovrano

muore, lo stesso anche oggidì, più o meno

sempre avvien: se sintomo alquanto strano

nella sua morte appar, che fu? Veleno.

ma non c'imbarazziam; veleno o no,

il fatto sta che il re Lion crepò.

 

Il cadavere allor del re defunto,

prima di fargli i funerali onori,

con balsami odorosi unto e bisunto,

e salato poi fu dentro e di fuori,

e in un casson di sughero riposto,

per otto dì pubblicamente esposto.

 

A musi bassi e in abito di duolo,

colle ciocche di pino e di cipresso,

venia de' primi cortigian lo stuolo

a far servigio, acciò nel modo istesso

sia, morta ancor, come se fosse in vita,

sua maestà quadrupede servita.

 

E colle consuete cerimonie

fur celebrate le solenni esequie,

e con funerei canti e querimonie

al defunto Lion pregaron requie,

gittaron poi sopra il real cadavero

i fiori di ginestra e di papavero.

 

Era in quei giorni, al solito, fornito

un sontuoso desinare al morto,

acciò se a sorte mai viengli appetito,

trovi pronto ristor, facil conforto:

poichè un sovran nè morto dee, nè vivo,

di quanto uopo far puote esser mai privo.

 

Ma come i desinar son pei viventi,

e l'estinto Lion più non mangiava,

perciò de' cortigiani ivi assistenti

il famelico stuol sel divorava;

desiderando che ottavari tai

venisser sempre e non finisser mai.

 

Da numeroso tren vestito a lutto,

poi con pompa e lugubre piagnisteo

il morto re fu al tumulo condutto;

ed incisero sopra al mausoleo

laconico epitaffio in termin tali:

«Qui giace il primo re degli animali.»

 

Compita appena fu la cerimonia,

appena fu il cadavere sepolto,

più strida non s'udir, nè querimonia,

nè tristezza si vide in alcun volto;

e appena in trono il Lioncin montò,

più del defunto re non si parlò.

 

E in ciò non v'è di che stupir, poichè

l'entusiasmo per lo re Lione

non era pel Lion, era pel re,

cioè per la real condizione,

qualità che virtù trasfonde e pregi

sì grandi e sì mirabili ne regi.

 

Or questa qualità (stiam forti al punto)

in successive monarchie non muore.

no, non muor, non muor mai, ma dal defunto

rapidissima passa al successore:

come trapassa elettrica scintilla

di corpo in corpo e sempre arde e sfavilla.

 

Divenne dunque unico oggetto allora

delle pubbliche cure il Lioncino,

che non ancor atto al governo, e ancora

sendo minor d'età, quasi bambino,

assunse la real sua genitrice

il titol di Reggente e di tutrice.

 

Poichè avendo il Lion, buona memoria,

d'una minorità previsto il caso,

atteso che la vita è transitoria;

acciò non fosse il regno suo rimaso

esposto di disordini al periglio,

fintantochè minor restava il figlio,

 

avea fissata sanzion prammatica

per la real famiglia Lionina,

da dover porsi a tempo e luogo in pratica,

legge per cui la vedova regina

anticipatamente e formalmente

fin d'allor dichiarata era Reggente.

 

Questa ed altre prammatiche, rescritti,

leggi, dichiarazion, statuti, patti,

decreti, avvisi, manifesti, editti,

notificazion, proclami, e altri atti

d'autorità sovrana, ed usi vari,

in pandette ridotti ed in glossari,

 

gelosamente fur dal Can raccolti;

e a garantirli dall'acqua e dal foco,

per ordine n'empì scaffali molti,

in sotterraneo ed opportuno loco,

della rupe real sotto il declivio,

e fenne il lionin secreto archivio.

 

Di là la frase vien che in diplomatica,

riguardo a certi documenti vecchi,

comunemente anche oggidì si pratica;

quando d'un minister i mozzorecchi,

con ranci documenti, i privilegi

provano del sovrano e i dritti regi;

 

o se di moto proprio un prence vuole

occupar gli altrui stati o muover guerra,

quel produr di ragion chiamar si suole

dissotterrar, cioè trar di sotterra.

perciò più volte ho detto, e lo ridico,

che il moderno si spiega coll'antico.

 

Del Sorcio condiscepola e parente,

fer custode la Talpa, ancor non cieca,

e destinato fu prudentemente

l'archivio a questa, a quei la biblioteca;

e la lor stirpe anche oggidì s'osserva

che un gran gusto pe' codici conserva.

 

Ma stando ognor la povera archivista

in quella sotterranea solitudine,

la Talpa, a lungo andar, perdè la vista;

nondimen (che non può lung'abitudine!)

s'avezzò francamente e senza lume

a ritrovar tastoni ogni volume.

 

Così vediam talor cammeo, medaglia

al tatto giudicar vecchio antiquario;

l'autor n'assegna e il tempo, e mai non sbaglia;

così talor vediam bibliotecario

in trovar libri al bujo esser sì scaltro,

che giammai non ne prende uno per l'altro.

 

Or poniam caso: in capo un re si è fitto

di posseder sopra alcun regno un pieno

di padronanza incontrastabil dritto,

benchè non v'abbia un palmo di terreno;

o che gli spetta, come ereditaria

proprietà di famiglia, e l'acqua e l'aria;

 

Ovver provar si vuol che il re Lione,

per esempio, del regno della luna

o del globo terraqueo è il sol padrone.

Non v'è da oppor difficoltà veruna:

la cosa allor dell'evidenza a paro

pongon quei documenti, e parlan chiaro.

 

Ma se in archivio monumento esiste

che possa in qualsisia sua pretendenza

del minister contrariar le viste,

negarsene dovrà fin l'esistenza;

che s'era in atti pubblici esibito,

l'archivista qual reo venia punito.

 

Pur essendo io nell'esattezza istorica

stitico, e delicato estremamente

a non farmi sedur dalla rettorica;

perciò confesserò candidamente

che su tal punto in quell'età primiera

sempre un qualche zinzin d'arbitrio v'era.

 

Se oggi per altro un minister produce,

e trae fuor documenti sotterranei,

tosto sui fatti spandono gran luce,

nè al ver son mai, nè alla giustizia estranei:

sì gran progressi (e lo tocchiam con mano)

fe' la ragion sull'intelletto umano.

 

Simile è la ragione a un lento foco

che con attività, senza fracasso,

tutto purga e depura appoco appoco;

e perciò, se n'andrà di questo passo

(Tenetevelo a mente), io vi prometto

che il mondo in breve diverrà perfetto.

 

 

 




7 Veggasi la storia di Francia del Padre Daniel.



8 Denominazioni di varie accademie d'Italia.






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