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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO OTTAVO

 

LA REGGENZA

 

La Lionessa omai tranquillamente

del governo al timon s'era seduta,

e fu come legittima Reggente

senza ostacolo alcun riconosciuta

in tutto il felicissimo reame

dal suddito quadrupede bestiame.

 

Che stato essendo ai suoi voler soggetto

in tempo ancor che il re Lion regnava

(Poichè, siccome parmi avervi detto,

egli avea il nome, ed ella dominava)

perciò non ritrovò gran differenza

a far lo stesso sotto la reggenza.

 

Benchè influenza e predominio avere

su debil prence, egli è ben altra cosa

che illimitato esercitar potere

d'autorità assoluta imperiosa:

là, presto o tardi, il mal cessa o minora,

qua lo stesso egli è sempre o ancor peggiora:

 

Pur non pochi credean che la benigna

indole feminil, che quasi sempre

in ogni specie animalesca alligna

sovra più fine e delicate tempre,

influir nel governo ancor dovesse

caratter dolce e qualitadi istesse.

 

Nè riflettean, ciocchè a rifletter era,

che la sovranità di cui s'investa

femina varia, ambiziosa, altiera,

è come una mortale arma funesta

che s'abbandona sconsigliatamente

nelle man d'un frenetico o demente.

 

E il volgo ignaro, che non è bastante

a discernere il ver con vista acuta,

tutto ciò che ha del nuovo e del brillante

più che il solido e l'utile valuta;

e a gloria si recar le bestie inette

d'esser a bestia femina soggette.

 

La Lionessa allor dal suo consiglio

fe' legge promulgar che stabilia

non doversi o potersi il regio figlio

per maggior riconoscere, se pria

dichiarato non fosse, e formalmente

riconosciuto tal dalla Reggente.

 

Ben si comprese allor che dichiarato

il Lioncin mai non saria maggiore,

e senza alcun potere saria forzato

eternamente a rimaner minore,

e che la Lionessa ad ogni costo

di sempre comandar s'era proposto.

 

È dunque il comandar sì dolce cosa

che, per assicurarsene il possesso,

qualunque indegnità più criminosa,

ogn'iniquo atto credasi permesso?

Nè v'è diritto o vigor di leggi sante

tal frenesia a contener bastante?

 

Ah se gli ambiziosi animi altieri,

che vertigin funesta inebria e accieca,

volgessero un sol guardo ai gran doveri

e alle cure che il regno a color reca

che a reggerne il timon posti vi sono,

oh quanto men gli alletterebbe il trono!

 

Ma che altro mai sperar si può qualora

sovran poter tutto è in un sol ristretto;

Non il pubblico ben le leggi allora,

ma d'un sol l'interesse han per oggetto.

La bilancia d'Astrea spesso di mano

cade a chi armato è del poter sovrano.

 

Pel re defunto a far le condoglienze,

d'ogni specie di bestie i molti e vari

ambasciatori d'estere potenze,

d'oltre i monti veniano e d'oltre i mari;

e tributato al morto il lor dolore,

rallegravansi poi col successore.

 

E versatil rendean servile omaggio

all'uno o all'altro prence, o viva o muoja,

con facil rapidissimo passaggio

dal finto duolo alla mentita gioia.

Politica ha ognor pronte e fatte a susta

le passioni, e all'uopo suo le aggiusta.

 

Così talor vid'io rinchiuso matto,

che i gemiti e le lacrime raddoppia,

afflitto, inconsolabile, e ad un tratto

s'allegra, e in risa smoderate scoppia;

che la stessa fra lor fisonomia

han sovente politica e pazzia.

 

Tutto l'impegno suo, lo studio tutto

rivolse allor la Lionessa madre

a far che fosse il regio infante istrutto

nelle dottrine e nell'arti leggiadre,

ed a fornirlo d'ornamenti rari,

come conviensi a un principe suo pari.

 

Che savia educazione e vigorosa

per quei cui 'l lor natal destina al trono,

troppo ella è grave e indispensabil cosa:

delle calamità che al mondo sono,

l'influenza maggior da lei proviene;

ella l'oppresso e l'oppressor mantiene.

 

Ella in color che siedono sul soglio

l'avidità rapace e violenta,

la prepotente ambizion, l'orgoglio,

ella in chi serve la viltà fomenta:

di natura le leggi ella perverte,

l'idee corrompe, e il bene in mal converte.

 

Le viste della vedova regina

non erano al ben pubblico dirette,

ma a pro della famiglia Lionina,

e a secondar certe idee sue dilette:

questa era dell'affar tutta l'essenza,

e il restante era sol mera apparenza.

 

E siccome di vili alme venali

per ogni intorno è la semenza sparsa,

d'allevatori e istitutori tali

la malnata genia non è mai scarsa;

nè raro è l'Ajo che gli allievi sui

educa a norma delle viste altrui.

 

Da tai principj il giovin prence infetto,

poi giunto a governar gran monarchia,

qual maraviglia che si mostri inetto?

Qual maraviglia che la botte dia

vin d'agresto o lambrusca o cerbonea,

che pria versato il vinattier v'avea?

 

Che creder si dovria di quel villano

che ove piantò la rapa o la carota

sperasse poscia di raccorvi il grano?

O di colui che imprende in sulla ruota

a formar orcio, e poi dell'orcio in vece

si stupisse che un'anfora non fece?

 

Per tanto s'invitar da tutto il regno

filosofi, maestri e professori,

capaci di formare allievo degno

d'esser nobil modello ai successori

e a tutte le quadrupedi sovrane

oltremarine bestie e oltramontane.

 

Apprender dee pietà, virtù e giustizia

nella scuola benefica di Marte,

e acquistar abitudine e perizia

nell'ardua di regnar difficil arte;

che alla terra diè il ciel quel bestiolino

per regolar dei popoli il destino.

 

Ma l'Asin, che alla Corte Lionina

sosteneva una carica primaria,

e come gran zampier della regina

si dava d'importanza il tuono e l'aria,

sordido suggerì consiglio vile,

degno in vero d'un animo asinile.

 

Disse che far venir da sì lontano

quella dotta famelica genia,

un lusso er'ei dispendioso e vano

pensier di mal'intesa economia,

prestar loro dovendosi alimenti

a danno dei vicini e dei presenti:

 

che in vicinanza, ed alla Corte stessa,

bestiame v'era assai dotto e capace.

Il consiglio approvò la Lionessa;

che ognor spilorceria s'approva e piace;

e fe' tosto contrordine spedire

a tutti i professor di non venire.

 

E quei, che s'eran già posti in viaggio,

mentre contro di lor l'Asino intrica,

perduto avendo omai con lor svantaggio

il tempo, la speranza e la fatica,

fer rimostranze, e si lagnaron molto;

ma non si diede alle lagnanze ascolto.

 

Oh quanti consiglier, più vili ancora,

caldo zelo ostentando, onta non hanno

basse propor spilorcerie tutt'ora

del sovrano a disdoro e ad altrui danno;

e ognor gl'inspiran sentimenti e idee

misere, pusillanime e plebee!

 

Le grandi e savie economie che insegna

senno e ragione, e il comun bene esige,

forman virtù che onora quei che regna

e che sue mire a giusto fin dirige;

ma sordido risparmio e vergognoso

rende il sovran spregievole ed esoso.

 

Ajo intanto trovar fu di mestiere,

che quel real deposito riceva,

e ne formi il costume e le maniere,

e di nobili massime l'imbeva;

e di virtù co' stimoli e d'onore

gli elevi l'alma ad alte imprese e il core.

 

Nè più grave e gelosa esister puote

carica a cui soltanto aspirar denno

distinte bestie, e non men chiare e note

per probità che per dottrina e senno;

poichè da ciò, come io dicea, proviene

male immenso agli stati, immenso bene.

 

Allor per prenci un istruttore, un ajo,

rarissim'era; ma ne' dì presenti

tu ne trovi in ogni angolo un migliajo;

sì comuni oggidì sono i talenti:

fra i gran prenci però stupir non devi

tanti in veder maravigliosi allievi.

 

Anzi più facilmente ajo moderno

forma legislator per vasto regno,

e di popoli il rende atto al governo,

di quel che formi un fantoccin di legno

l'industre tornitore in men d'un giorno,

collo scalpello, col bulino o al torno.

 

quantunque omai per certa cosa io tenga

ch'educazione ai prenci oggi non mica

sia necessaria, e che ognor più divenga

superflua cura, inutile fatica;

poichè dei regi ha sommo impegno e zelo,

ed Ajo lor, non che custode, è il cielo.

 

Se ciò non fosse e se inspirati ab alto

non pensasser nè oprassero i sovrani,

come possibil fora che d'un salto

tutti i più astrusi pensamenti umani

potesser sorpassar, come in effetto

fanno coll'opra, col pensier, col detto?

 

Pertanto i primi ottarono a quel posto

baroni del selvatico reame;

ma la regina madre, ad ogni costo,

con istupor dell'aulico bestiame,

ad ogni costo volle, ed ostinosse,

che Ajo del principin l'Asino fosse.

 

Stupiron tutti (e chi non stupirebbe!)

a nomina sì strana; e anch'io stupisco.

Forse a ciò far le sue ragioni ella ebbe,

io però non le so, non le capisco.

penso spesso e ripenso a questo fatto,

e più ci penso, più divengo matto.

 

Malgrado quanto infino ad or s'è detto,

malgrado quanto l'un per l'altro feo,

lungi da voi, lungi da me il sospetto,

che l'Asin di lei fosse il cicisbeo:

pure i maligni non mancaro allora

di sospettarlo e d'asserirlo ancora.

 

Amoretto asinil, libertinaggio

supporre nelle vedove sovrane?

Ah, che fatte non son per tant'oltraggio

nè regine quadrupedi, nè umane!

E so che sacrosanta è l'onestà

di qualunque feminea maestà.

 

Certo è però che il Toro, insin dal giorno

che fra le prime cariche di Corte,

come animal di eccelse corna adorno

e dell'Asin più nobile e più forte,

di maggiordomo al grado si promosse,

parea che in grazia alla regina fosse.

 

Io scrupoli non vo' di coscienza,

e lungi da sospetti mi protesto:

ma se dei cortigian la maldicenza

cercar voluto avesse alcun pretesto,

pel Toro e non per l'Asin si dovrebbe

supporre in lei propension, se n'ebbe.

 

Per altro tanto l'Asino che il Toro

libero alla regina avean l'accesso:

nè decenza ella mai, nè mai decoro

scordò in privato o in pubblico consesso;

nè mai, quantunque attenta ognor si stette,

malignità trovò a ridirvi un ette.

 

Questo è almen quanto allor parve all'esterno;

ma ciò che prova e che conclude alfine?

Se penetrar nel laberinto interno

osasse, e dentro il cor delle regine,

anche un Teseo s'imbrogliarebbe assai,

nè forse forse n'uscirebbe mai.

 

Parlando di regine lionesse,

quantunque i professor d'anatomia

abbian provato che hanno un core anch'esse,

non san se un che, se un qual, se un quanto sia;

anzi talun v'è fra di lor che stima

quello esser specie di materia prima.

 

Nè nome gli san dar caratteristico;

perciò altri amfibio indifinibil nomalo,

altri apato, eteroclito, altri mistico,

sin categorematico ed anomalo;

qualunque sia però, core o non core,

imperscrutibil n'è l'odio e l'amore.

 

Piuttosto dunque da riflesso vero

mossa creder vogl'io la Lionessa,

che, assai più che animal possente e fiero

persister suol con volontà sommessa

pazientemente nell'altrui servigio

l'Asino, ognor subordinato e ligio.

 

E soggetto volendo e dipendente

il figlio ognor l'imperiosa fiera,

l'Asino pe' suoi fini era eccellente,

Ajo miglior dell'Asino non v'era:

che chi il caratter può conoscer bene

di quei con chi ha da far, l'intento ottiene.

 

E senza malignar (chè vizio mio

il malignar non è), questa, e non altra

la ragion vera e sola esser cred'io

per cui quella tutrice accorta e scaltra

con provvido, savissimo consiglio

volle che l'Asin fosse ajo del figlio.

 

Chi, per far delle femmine la critica,

con sofismi sostien falsi e protervi,

che esse fatte non son per la politica,

or venga, e a sua confusione osservi

della Reggente di Lion Secondo

il talento politico e profondo.

 

Quel suo fine, per altro, a dirla schietta,

difficile non era a conseguire.

cosa però che non ancor v'ho detta,

or che in acconcio viemmi, io vi vo' dire.

ella era in verità visibil cosa;

ma i cortigiani la teneano ascosa.

 

E benchè sappia anch'io che non si de'

apertamente dir la verità

di prence tanto a due che a quattro piè;

pur su tal punto un po' di libertà

con voi mi prendo, perchè so chi siete,

nè della confidenza abuserete.

 

È da saper che, ad onta delle lodi

di coloro che stavangli d'intorno,

delle nutrici sue, de' suoi custodi,

il real principin di giorno in giorno

si confermava, a mille segni e mille

sempre più scimunito e più imbecille.

 

Era inoltre d'umor strambo e bislacco,

storpio, zoppo d'un piè, storto, sbilenco;

ma il cortigiano, adulator vigliacco

di sue gran qualità sponea l'elenco;

di virtudi, a suo detto, era un modello,

di spirito e ingegno pien, vezzoso e bello.

 

Pur l'imbecillità, l'insipidezza,

o altro d'alma e di cor non apparente

vizio e difetto tal, che con giustezza

scorger non puossi a un tratto e ocularmente,

celar poteasi forse, e per momenti

sottrarlo agli altrui primi accorgimenti:

 

ma come mai sperarsi ancor potea

cosa celar che a ciaschedun sott'occhi

apertamente e tutto dì cadea?

Ma allor forse animai v'eran sì sciocchi

che di vil cortigiano all'impudenza

più fe prestar solean ch'all'evidenza.

 

E se la verità render palese

lieve e indiscreto osasse alcun, saria

un delitto di stato, un crimen lese;

o Verità, nasconditi, va via;

a Corte non osar mostrarti mai,

se aver non vuoi persecuzioni e guai.

 

E si ripete ognor che non ti lece

dir vero e palesar ciò che hai nel core;

e che, d'un vero periglioso in vece,

dei secondar lo stabilito errore,

error dell'ordin social sostegno,

e del riposo pubblico e del regno.

 

Oh pervertite idee! dunque in tal guisa

ha sulla verità l'error prevalso,

ch'ella punita vien, non che derisa,

e l'ordin social posa sul falso?

E rimaner può mai colonna o muro

su falsa base stabile e sicuro?

 

Perchè non dir piuttosto che se il vero

giunge a sparger d'attorno i raggi sui,

cade tosto il poter, cade l'impero

di chi profitta dell'errore altrui?

Che se di verità la luce appare,

la venerata illusion dispare.

 

Difetto o vizio, egli è follia supporre

che con celarlo rendasi minore:

meglio è corregger, ancor meglio è torre,

che accreditare o mascherar l'errore.

Se gran tempo celato un mal si tiene,

peggiorando, incurabile diviene.

 

Se in trave che sostiene alto edifizio

scuopre a tempo talor tarlo o fessura,

l'incola, attento a ripararne il vizio

saldo puntel sostituir procura:

se asconder vuole o fascia il fesso cieco,

cade la trave e l'edifizio seco.

 

Questo è un discorso che conclude e prova,

ma sempre all'aria fu sparso e gittato:

conciosiacosachè color cui giova,

sosterranno l'error finchè avran fiato;

e come han per lo più la forza in mano,

ragione oppor contro la forza è vano.

 

L'Ajo orecchiuto intanto il prezioso

deposito real prende in consegna,

e spera di formar grande e famoso

allievo, ed opra eccelsa e di se degna;

sicchè non osi seco andar del paro

qualunque glorioso Ajo somaro.

 

E insigne a far del principino al fianco

corso d'educazion regio-asinina

incominciò; e coraggioso e franco

tutta quanta spiegò la sua dottrina,

da servir di prototipo ai somari

che troveransi in circostanze pari.

 

Ma in carne Asino egli era, in ossa e in pelle,

e Asino far più che Asino non puote;

che non cangia natura e non s'espelle,

e torna sempre all'abitudin note;

nè l'Asin può communicare altrui

che le tendenze e i sentimenti sui.

 

Onde, come principio elementale,

profondamente al Lioncino in testa

la somaresca massima reale

con ogni assiduità pesta e ripesta:

che un re nasce padron di tutto ciò

che vegeta ed esiste, o voglia o no.

 

Il fulmin gli dicea la pioggia e il tuono,

l'aer che spiri, il suol che premi, i venti;

l'erbe, le piante, i frutti, i fior, tuoi sono,

tuoi gli astri, il sol, la luna e gli elementi;

e quanto il mondo alfin, quanto nel suo

ampio seno contien natura, è tuo.

 

Il tuo voler è inviolabil legge;

e tutti gli animai, piccioli e grandi,

ogni vicino, ogni lontano gregge,

e tutto ciò che vive, è a' tuoi comandi;

spargasi pur (che importa?) e sangue e vita,

purchè tua maestà resti servita.

 

E sfigurando logica e morale,

facea d'assurdità strano pasticcio,

e dicea: Son chimere il bene e il male:

al tuo veneratissimo capriccio

qualunque oggetto o malo o buon diviene:

se a te non giova è un mal, se giova è bene.

 

E benchè sembri una cotal dottrina

per l'allievo e per l'Ajo un po' sublime,

pur la bella rettorica asinina

di dispotiche idee nel capo imprime

e d'orgoglio real dose bastante

all'imbecille lionino infante.

 

E acciò rimanga la real bestiola

persuasa di quegli erudimenti,

ivale profondendo a ogni parola

profondissimi ossequi e inchinamenti:

D'esser lo schiavo tuo spesso gli dice,

glorioso mi reputo e felice.

 

Mentre all'allievo suo quell'Ajo ciuccio

lo scemo capo empie di tali idee,

crede ciò che ode il regio animaluccio,

e d'adulazion veleno bee;

e l'imbecille re Lion Secondo

la prima testa si credea del mondo.

 

Se il saggio al suon di lusinghiera lode

(Poichè sol di virtù premio la crede)

internamente si compiace e gode,

quanto più facil chi sovr'altri siede,

talor non saggio, in eminente posto,

alla seduzion rimansi esposto?

 

Or siccome in quel secolo brutale

v'era il furor di comparire autore,

nè si credea potesse un animale

impiego sostener con qualche onore,

ed esser bestia di un certo calibro,

se non avesse pria composto un libro:

 

perciò all'Asino ancor, perchè non sia

chi d'ignoranza e di torpor l'incolpe,

venne di farsi autor la frenesia,

e porsi al par col Cane e colla Volpe.

ma come effettuar sì bell'idea,

se nè legger nè scrivere sapea?

 

Sicchè alla Volpe il suo pensiero espose.

Confesso poi dicea che l'esercizio

a me fra tanti affar manca in tai cose;

e non vorrei parer scrittor novizio;

che il pubblico, tu il sai, generalmente

esser suol cogli autor poco indulgente.

 

Fu la Volpe in cor suo lieta ed altiera

pel discorso dall'Ajo a lei tenuto:

poichè previde ben che in tal maniera

per l'Asin con profitto avria potuto

impiegar l'opra ed i talenti sui,

e farsi insigne merito con lui.

 

Lodo, gli disse, il nobil tuo pensiero,

pensiero grande veramente, e degno

d'Ajo reale e di real Zampiero;

nè certo lumi a te mancan, nè ingegno;

esercizio ti manca, a vero dire,

difettuzzo cui facile è supplire.

 

Il tema io tratterò che sceglierai,

sotto la tua direzion, se vuoi;

e tu d'autor tutta la gloria avrai,

io quella d'obbedire ai cenni tuoi.

Poichè così convennero fra loro,

la Volpe pose man tosto al lavoro.

 

Onde non guari andò che uscì alla luce

opra che per autor l'Asino vanta;

per altro a primo colpo ognun deduce

dalla Volpe composta esser di pianta.

E per quel tanto che per fama vienci,

s'intitolò: L'educazion de' Prenci.

 

Il grossolano inganno in varie guise

dell'Asino, ignorante al par che vano

chi censurò, chi motteggiò, chi rise.

pur, falso sempre e vile, il cortigiano,

adulator non sempre fino e destro,

l'Asino chiamò d'educazion maestro.

 

Gran danno che sì bella ed util'opra

d'autor sì illustri e di sì gran cervelli

l'oscurità dei secoli ricopra!

Se ciò non fosse, i Locke e i Machiavelli

e i Rousseau e i Mably e i Filangieri

per fama non andrian forse sì altieri.

 

L'Ajo inoltre dovea di somaresca

musica dar precetti al Lioncino;

onde a far sì che il principin riesca

l'osceno ad imitar canto asinino.

e che in ragghio degeneri il ruggito,

era lo studio lor più favorito.

 

E ogni qualvolta il Lioncin sparava

qualche urlo sgangherato e scontraffatto,

Sire, tu fai miracoli esclamava

attonito il Somaro e stupefatto:

come un Asino, canti; anzi nel canto

cedono a te gli Asini stessi il vanto.

 

E inver tanto fra loro eran simpatiche

quelle due bestie, che non solo il raglio

comune avean, ma ingegno, indole e pratiche.

e per distrazion e per isbaglio,

natura, far volendo un Asinello,

parea formato avesse un Lioncello.

 

Pur quella sua facilità d'apprendere,

que' suoi progressi rapidi e felici,

quel far tutto sì ben, sì ben comprendere,

già confermando i fortunati auspici;

ed in tutto il fedel suddito armento

poi si spargean per cento bocche e cento.

 

E ogni dì raccontavasi alcun detto,

o alcun fatto di lui maraviglioso,

parto di profondissimo intelletto,

e d'un cor eccellente e generoso:

Ha detto il Lioncino ad ogni tratto

udiasi dire il Lioncino ha fatto.

 

Egli è vero altresì che appoco appoco

s'intiepidiva e divenia minore

pel Lioncin l'entusiasmo e il foco;

sicchè bel bello, estinto il primo ardore,

e sempre più scoprendovi del guaio,

mormoravan del principe e dell'Ajo.

 

Lo stesso tutto dì farsi non s'ode

di prence o principin che al trono monta?

Da pria ciascun di lui parla con lode,

maraviglie di lui ciascun racconta;

e sempre poi vi trova la magagna,

censura e, benchè re, non lo sparagna.

 

Ma il Lioncin, ch'era sovente a varie

cerimonie di Corte intervenuto,

e a quelle funzion straordinarie

s'era con piacer sommo intrattenuto,

presa avea fin d'allor gran simpatia

per la cerimonial scimmiotteria.

 

E di là ritornato alla sua tana,

un de' più cari suoi divertimenti

fu d'imitare e contraffar la strana

formalità di quegli atteggiamenti;

onde facea contorsioni e scorci

e smorfie tai da far ridere i sorci.

 

L'Asino a secondar pose ogni studio

la bella passion del regio allievo;

poichè la riguardò come un preludio

di più alte geste e di più gran rilievo;

certo presagio, incontrastabil segno

di fortunato memorabil regno.

 

Sotto un desco talor colui s'assenta,

e all'Ajo suo porge a leccar la zampa;

ei lecca, e questi una zampata avventa.

l'Asino incoccia, nè dal colpo scampa;

sorride, applaude e il principin ringrazia,

dicendogli: Signor, sei tutto grazia:

 

Felici, invidiabili quei grugni,

che ti degni onorar di tue ceffate!

Sono ambrosia, son nettare i tuoi pugni,

deliziose son le tue zampate.

divertiti, signor, percoti, mordi,

sgraffiami pur: sempre un favor m'accordi.

 

Venir fe' inoltre il Gran Cirimoniere

che, per più compiacere il principino,

gli arcani sfoderò del suo mestiere;

fe' alcun più astruso e magistrale inchino,

o, con grave scimmiatica importanza,

aggira il muso, e il passo arresta o avanza.

 

Attento e fiso immobilmente restasi,

e i moti e i lazzi attonito rimira

il regio infante, e pel piacer va in estasi;

tanta sensazion, tanta gl'inspira

dose d'entusiasmo e di stupore

d'auliche cerimonie il professore.

 

Del liturgico suo merito raro

poichè dati ebbe al principin tai saggi,

per farsi a lui sempre più accetto e caro,

sei scimiottini gli propon per paggi,

che, per talenti originali innati,

dirsi potean cerimonieri nati.

 

Sì pieno effetto ebber le viste accorte

del Bertuccion, che furo i Paggi ammessi,

e si nomaro i scimiottin di Corte,

con privilegi e grandi onori annessi;

e il Bertuccion, a cui l'idea sen debbe,

di Maestro de' Paggi il titol ebbe.

 

Non io descriver, come pur vorrei,

i vivi slanci de real rampollo

e i trasporti di giubilo potrei

con cui gettossi ai Scimmiottini al collo;

gli abbraccia e lecca e gratta, e attento stassi

ad imitarne i gesti, i vezzi, i passi.

 

Ma siccome gli scherzi de' Somari

e le carezze dei lion, degli orsi,

dei principi, de gatti e altri lor pari

finiscon sempre in calci, in graffi, in morsi;

spesso per le reali unghie benigne

i Scimiottin le groppe avean sanguigne.

 

Del principino i dolci, umani modi

esaltavansi allor sino alle stelle;

che potendo sbranar paggi e custodi,

pago era sol di graffiar loro la pelle;

a ciascun presagìa regno eccellente

sotto prence sì buono e sì clemente.

 

Spesso così dell'anglico assassino

la gentilezza e la bontà s'esalta,

se improvviso, sul pubblico camino

coll'arma al petto il passagiero assalta,

che, colla man tremante impaurita

gli dà la borsa per salvar la vita.

 

Anzi neppur fra i scimmiottini istessi

eravi alcun che altier non fosse e vano

di far veder sulla sua groppa impressi

i contrasegni del favor sovrano.

tanto talor ridicolosi e inetti

son della pazza ambizion gli oggetti!

 

Ammiri il cortigian, celebri, esalti

del regio animalin le cure e i fatti;

poichè di capitomboli e di salti,

di lazzi, d'attitudini, di scatti,

e in fin della sublime arte scimmiatica

in pochi dì seppe acquistar la pratica.

 

Assiduo, e notte e dì, l'estate e il verno,

su dotte carte e fra severi studi

di morale, di stato e di governo

il pedante giurista agghiacci e sudi,

o s'affanni a raccor dai rosi scritti

memorie onde sostenga i regj dritti.

 

Stringa il guerrier, con mano invitta e forte

contro il nemico la fulminea spada,

e ai perigli esponendosi di morte

del capriccio sovran vittima cada;

mentre color che son speme di regni

passano i giorni in giuocolini indegni.

 

Se collo stuol delle virtudi allato,

e colla mente di saper ripiena,

difficil la scienza è ognor di stato

e l'arte di regnar s'impara appena,

che fia se a inetta ed inesperta mano

vuolsi affidar l'alto poter sovrano?

 

Voi che fin dalla prima adolescenza

i nati a governar le nazioni

all'ozio abituaste e all'indolenza

ed alle prave lor propensioni,

voi, rei del mal che il mondo opprime e infesta,

la terra, per voi misera, detesta.

 

In così fatti insipidi balocchi

continuamente e in frivolezze e inezie,

e in simili trastulli insulsi e sciocchi,

indegni della lionina spezie,

dell'Ajo suo nell'asinina scuola

era occupata la real bestiuola.

 

Dunque (oh presagi d'avvenir funesti!)

mille regger dovran popoli e mille

un pajo d'animali come questi,

vile e malvagio l'un, l'altro imbecille?

Togli l'aspetto, o ciel, di tai sventure,

toglilo ai sguardi dell'età future!

 

Onde di sì calamitosi esempi

non più il fatal ritorno il mondo tema;

nè, come avvenne in quei rimoti tempi,

sotto giogo oppressor vittima gema

della viltà, dell'ignoranza altrui,

e dell'orgoglio de' padroni sui.

 

Ma sebben giuste le querele sono

contro animal fomentator del vizio,

Ajo del regio animalin, che in trono

seco porta l'inezia e lo stravizio,

perchè mai concepir cotanto cruccio

contro un Ajo che alfin non è che un ciuccio?

 

Forse gli esempi son fra noi sì rari

di chi gli allievi suoi non sol trascura,

non sol nei lor natii vizi ordinari

le tenere alme intrattener procura,

ma non peranche allevator ritrovi,

che i vecchi accresce e inspira lor dei nuovi?

 

Costor, quantunque non a tutti note,

han per oprar così le lor ragioni,

quali per altro indovinar ben puote

chiunque in giudicar non va tastoni.

l'educazion che al Lioncin si diè,

pertanto anch'essa ebbe il suo gran perchè.

 

Tutto ciò si facea perchè lontano

da ogni pubblico affare ed interesse

tener volean l'animalin sovrano;

onde a capriccio suo seguir potesse

a dominar la Lionessa madre,

più che a tempo facea del Lion padre.

 

Soffrane pur, chè per soffrire è fatta

la massa degl'ignobili viventi,

purchè trionfi e ognor sia sodisfatta

l'ambizion de' grandi e de' potenti;

sfolgori il sol di scintillante foco:

s'arde i piccioli insetti, importa poco.

 

 

 




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