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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO NONO

 

L'EDUCAZIONE

 

A un regio principin, che della madre

dal seno porta un dritto ereditario,

per cui succeder dee nel regno al padre,

erede naturale e necessario

d'un generante, cui natura diè

virtù esclusiva di produrre i re,

 

vizio, virtù, stupidità, talenti,

ignoranza, saper, demenza o senno,

son qualità del tutto indifferenti:

a lui popoli intieri obbedir denno;

qualunque sieno o buone o ree le tempre

che a lui natura diè, regnar dee sempre.

 

Onde parria che istruzion per lui

necessaria non sia punto nè poco;

valersi e profittar dell'opra altrui

ei puote, e star tranquillo in ozio e in gioco;

se si può non far nulla ed aver tutto,

perchè cercar dalla fatica il frutto?

 

Pur praticar formalità si vede,

e le corti si degnano osservarla,

di dar d'istruzione al regio erede

alcuna tinta o almen parer di darla;

perciò la Lionessa a dar s'impegna

al figlio istruzion d'un prence degna.

 

Con molte specie d'animai diversi

spesso dovendo un re animal trattare,

abile convenia maestro aversi,

che più linguaggi intendere e parlare

sapesse, onde formar re poliglotto,

vo' dir in varie lingue esperto e dotto.

 

Ma l'Asino s'oppose; e fe' riflettere

che con soverchio studio assiduamente

al principin non si dovea permettere

su tanti oggetti affaticar la mente:

lo che potrebbe (il ciel non voglia) il sagro

suo corpicin rendere smunto e magro.

 

Che ingegno, abilità, talenti e senno

cose a' principi analoghe non sono:

sol divertirsi e comandar sol denno,

ed occupar machinalmente il trono,

e fra le noje di servili studi

il suddito lasciar che agghiacchi e sudi.

 

Onde, pieno di zel, consiglio dette,

doversi far un'ordinanza espressa,

che sian tutte a parlar le bestie astrette,

o la sappiano o no, la lingua stessa;

e che la Lionina in sull'istante

divenga lingua universal regnante.

 

Che studi il servo del padrone in vece,

parve natural cosa e assai plausibile;

ma il Can, ch'era presente, osservar fece

che, quantunque a un sovran nulla è impossibile,

pur ardita talor difficoltà

opponsi alla sovrana volontà.

 

Che a tutti la medesima natura

e indole non avea concessa il cielo,

e organi di medesima struttura;

onde, malgrado l'Asinino zelo,

tutte aver non potean l'alto vantaggio

di favellar nel Lionin linguaggio.

 

Ma esservi animal che si distingue

per la facilità straordinaria

d'apprendere e parlar diverse lingue,

degno animal di Corte, per la varia

pompa di piume onde ha coperto il dosso,

di color verde, giallo, azzurro e rosso;

 

Chiamarsi Pappagallo; e la straniera

volatil specie a lui d'essere eletto

sostenne il Can che ostacolo non era;

perchè anche nel Castor, regio architetto,

s'era veduto esempio di tal sorte,

che, benchè amfibio, fu impiegato in Corte.

 

Approvarono tutti un tal ripiego,

e fu deciso che più proprio e adatto

non v'era altro animal per quell'impiego;

e a pieni voti il Pappagallo a un tratto

di lingue precettor privilegiato

del regio Lioncin fu dichiarato.

 

Si sparse tosto un cortigian novello

esser giunto, chiamato Pappagallo;

corser tutti a veder lo strano uccello

di color rosso, verde, azzurro e giallo;

ne osservaron le zampe e l'ali e il rostro:

Bel mostro poi dicevano bel mostro!

 

Ma quell'eloquentissimo animale

ad instruire imprese il suo scolare

con tale impegno e con successo tale,

che ogni qualvolta quei s'udia parlare

in qualunque linguaggio o dialetto,

parlare un Pappagallo avriasi detto.

 

Voleasi inoltre aver qualche famoso

grave animal che, sperto in medicina,

vegli sui giorni ognor del prezioso

rampollo della stirpe lionina,

e vegeto conservi il regio figlio

coi salubri precetti e col consiglio.

 

L'Ippopotamo altri proposto avieno,

che fra le bestie si decanta e predica

d'un Ippocrate al paro e d'un Galeno,

perito in facoltà fisico-medica,

e il sangue trae, fregandosi la cute

incontro a' sterpi ed alle canne acute.

 

Ma la Reggente e i consiglier più scaltri

temer che un qualche dì l'Ippopotamo,

medico sol per se, boja per gli altri,

Non ingoi quel bestiol; perchè sappiamo

che medici e sovrani impunemente

posson storpiare ed ammazzar la gente.

 

E come avean trovato infra gli uccelli

il Pappagallo professor di lingue,

voller medico ancor sceglier tra quelli,

in cui sì grand'acume si distingue:

Rigettando però medici amfibi,

medico uccel del principin fer l'Ibi.

 

Che quell'uccel nel medico mestiere

par da natura istrutto a segno tale,

che da se stesso mettesi il cristere,

d'alcun liquido suo medicinale

empiendo qual siringa il lungo becco,

se il ventre ha duro o se il budello ha secco.

 

Inoltre convenia pel regio infante

tosto trovar qualche animal di merito,

capace d'istruirlo e porgli avante

tutta la prospettiva del preterito;

in somma abile e sperto istoriografo,

e critico, cronologo, geografo.

 

Poichè la storia è del regnar la scuola;

come sorse ogn'impero, e come cadde,

solo ella insegna, ella insegnar può sola

ciò che accader dovrà da quel che accadde;

sempre del mondo nuovo il mondo vecchio

è al savio osservator modello e specchio.

 

Ma per quanto adoprassersi a cercarlo,

per quanto lambiccassersi il cervello,

non poter fra i quadrupedi trovarlo;

e convenne anche allor scerre un uccello,

uccel però la cui longeva età

può dirsi un scampolin d'eternità.

 

Questo famoso uccel, detto Fenice,

del mondo ancora infante è coetaneo,

onde di quanto egli racconta e dice

può chiamarsi scrittor contemporaneo:

contemporaneo e testimon di vista,

uno scrittor, quanto più fede acquista!

 

Narra battaglie atroci e guerre orribili?

Questo ei può dire avvenne a tempo mio:

Narra diavolerie, cose incredibili?

Ei risponder vi può: le ho vedut'io;

E di tanti scrittor non ha la pecca,

che altri citano ognor: chi cita, secca.

 

La Fenice, oltre a ciò, se d'esser vecchia

dopo secoli e secoli s'accorge,

il rogo da se stessa s'apparecchia,

arde, e dal cener suo giovin risorge:

qual si copre di seta il bacherozzolo,

e cangiato in farfalla esce dal bozzolo.

 

Pur, donne mie, se d'invecchiar v'incresce,

la Fenice imitar non vi consiglio,

che, a vero dir, non ad ognun riesce

nel fuoco ingiovinir, e v'è periglio:

sperimentar potria costarvi caro,

perchè della Fenice il caso è raro.

 

Ma quantunque ne corse, e allora e poi,

vaga tradizion di bocca in bocca

per l'oriente, e d'oriente a noi,

nessun l'avea nè vista mai nè tocca:

pur credevasi allor, si crede anch'oggi,

che la Fenice nell'Arabia alloggi.

 

Fu deputazion perciò spedita

alla Fenice, acciò che venga tosto;

che la Corte quadrupede l'invita

luminoso a occupar distinto posto,

del Lioncin fra i precettori regi,

gradi offrendole, onori e privilegi.

 

Composta di due Cervi e un Dromedario

la deputazion colà si rese;

e preparato pria l'itinerario

scorse d'Arabia l'arido paese,

la Petrea, la Deserta e la Felice;

nè trovar si potè mai la Fenice.

 

Chieser di quell'augello agli abitanti

quadrupedi, volatili ed umani,

o assisi stien di palme all'ombra, o erranti

vadan su gli arenosi adusti piani;

ciascun parlarne udito avea, creduto

v'avea ciascun, nessun l'avea veduto.

 

Fatte tante ricerche inutilmente,

tornaro indietro e s'incontraro a sorte

coll'Ibi, a cui notificar qualmente

stato era eletto medico di Corte;

e l'Ibi allor, de' Lionini messi

all'invito gentil, s'unì con essi.

 

Venne la Corte incontro al Dromedario,

e lusingossi, in suo pensier contenta,

di veder quell'uccel straordinario;

ma quegli invece il medico presenta,

con dir che quei che si volea per storico,

forse era ente ideale o metaforico.

 

E ciò provò che le famose penne,

che penne di Fenice eran credute,

e che in gran gala o funzion solenne

la Lionessa in dosso avea, vendute

fur d'alcun Ciarlatan, che intorno a' prenci

suol venir spesso, e con profitto vienci.

 

Il curioso suo desir deluso

il cortigian vedendo in cotal guisa,

resta collo stupor pinto sul muso;

ma il principin smascellasi di risa,

scherza con beffe d'aria derisoria,

nè sa nulla d'istorici e di storia.

 

Cugin della Cicogna e della Grue,

attentamente allor rivolge l'Ibi

a pro del principin le cure sue:

la quantità, la qualità dei cibi

sceglie, esamina, pesa, ordina e vieta;

la temperanza inculca e la dieta.

 

Nè potendo impedir colla sua cura

che soverchia e insalubre esca non gli entre

lo stomaco a infarcir, almen procura

tenergli con cristei lubrico il ventre;

che, al dir dell'Ibi e di chi l'Ibi imita,

messo a tempo, un crister salva la vita.

 

Così, poichè difficoltà non s'ebbe

volatili ed amfibi aver tra loro,

d'estranei professori il numer crebbe

col Pappagal, coll'Ibi e col Castoro;

anzi credetter nel volatil regno

sottil talento ed elevato ingegno.

 

D'osservar per parentesi vi prego

che nessun accademico di Corte

capace fu di letterario impiego;

cure volgar son queste, onde assai Corte

fur le dottrine lor; e i professori

dovean perciò farsi venir di fuori.

 

Volle invan l'Asinil spilorceria

sol doversi di Corte al soldo ammettere

professor di quadrupede genia;

che nell'arti leggiadre e nelle lettere

instrutta bestia mai non ritrovosse

che volatile o amfibia ella non fosse.

 

Solo fra i cortigian fu l'Orso eletto

ad erudir ne' moti e nella danza

le zampe del reale animaletto:

e se non ha di ballerin sembianza,

l'Orso per ballerin passava allora;

gusto per tal mestier conserva ancora.

 

La Scimmia più dell'Orso, a dir il vero,

credito avea di danzatrice esperta;

ma già in Corte di Gran Cerimoniero

era da lei la carica coperta:

carica assai maggior, come ognun sa;

e due cariche insiem... come si fa?

 

Onde, per quanto fosse agile e destra,

non potea, con impiego di tal sorte,

di ballo a un tempo stesso esser maestra;

ma i spettacoli pubblici e di Corte,

con tutte quante le incumbenze annesse,

musica, danza e comica diresse.

 

Fe' nella danza il principin portenti,

massimamente nella pantomima;

che spiegati per quella avea talenti

maravigliosi dall'infanzia prima,

or col corpo atteggiando, ed or col volto:

cose in ver che in un prence importan molto.

 

Di regio precettor l'onore ascrivere

so che talun vuole anche alla Gallina,

come insegnasse al principino a scrivere;

ma che acquistasse mai tanta dottrina

il nostro animalin non v'è memoria;

e tace in tal proposito la storia.

 

Di più, inspirare a un principin già adulto

riverenza e rispetto convenia

pei dogmi, per li riti e per lo culto

che insegna la brutal teologia;

che la forza più o men di tali idee

in tutto ciò che vive influir dee.

 

Dubbio non v'è che impiego tal non tocchi

al grave Allocco; chè di tal dottrina

depositari erano allor gli allocchi;

come all'India, al Tibet ed alla Cina

bonzi, Lama, Bramin lo furon poi,

dervis fra i Turchi, e Monaci fra noi.

 

Di ciò parlar dovrovvi a tempo e loco:

per or sol vi dirò che a Corte venne

il reverendo Allocco; e appoco appoco

ivi venerazion sì grande ottenne,

tanta influenza e autorità vi prese,

che di Corte l'oracolo si rese.

 

V'è poi di precettor turba scolastica,

che ha il titol dell'impiego e non la pratica,

di tattica maestri e di ginnastica,

di chimica, d'idraulica, di statica,

d'algebra professor, d'astrologia,

e ancor d'alchimia e di negromazia.

 

Inver tutti costor perfettamente

ignoravano ogni arte, ogni scienza;

ciò per altro era affatto indifferente;

mostravan la real magnificenza,

e facean corpo, e godean vari onori,

in qualità di regi precettori.

 

E infatti in certi dì venian soltanto

a far la loro Corte al Lioncino,

a intrattenerlo e baloccarlo alquanto;

e finalmente, fattogli un inchino,

per la formalità, per lo decoro,

se n'andavano poi pei fatti loro.

 

Per altro, a vero dir, da' cortigiani

non erano tenuti in alcun pregio;

anzi da tutti gli aulici baggiani,

per insultante scherno e per dispregio,

quel rispettabil corpo letterato

l'assemblea dei buffoni era chiamato.

 

Ma il volgo animalesco in lor vedea

di dotti e di filosofi una classe;

e un attraente il principin credea,

che in due o tre sorsi da color succhiasse

ogni scienza, ogni arte, ogni dottrina,

come suol l'acque attrar tromba marina.

 

Ma ciò l'oggetto essenzial, primario

di regia educazion non adempiva;

e indispensabil era e necessario,

per principe di tanta aspettativa,

che s'occupasse in più importanti e serie

degne d'un pari suo, gravi materie.

 

Onde, oltre a questi esterni adornamenti,

doveasi almen, per far tacer la critica

e per turar la bocca ai maldicenti,

quel bestiuolo instruir nella politica:

e dal Gatto e dall'Asino proposta,

la furba Volpe a impiego tal fu posta.

 

Che la Volpe, in astuzie esperta e dotta,

la già vaga politica dottrina

in principj e in sistema avea ridotta,

e la versuta abilità volpina

nota era; ond'ella in quell'età brutali

fu come il Machiavel degli animali.

 

Pertanto in general piacque il pensiero;

e di tanto politico la scelta

grande onor fe' alla Corte e al ministero;

ed una testa sì feconda e svelta

eternerà nella futura storia

del gabinetto Lionin la gloria.

 

Come primi principj avea piantate

certe massime sue particolari,

sull'indole e il carattere fondate

di quei con cui s'hanno negozi e affari,

e ridotte a palpabile evidenza

dalla lunga, costante esperienza.

 

Parte di quelle l'Asin per viltà

già poste avea naturalmente in pratica,

ma poi la Volpe, per malvagità,

formonne una scienza cattedratica,

ed un sublime corso di politica

teorico-metodico-analitica.

 

Risultava da quei principj sui

che ogni prence, ogni stato, ogni governo,

che, indipendente dal volere altrui

ed all'altrui poter non subalterno,

sovranamente altri governa e regge,

è sovra ogni dover, sovra ogni legge;

 

e che per quei che son veri sovrani,

siccome il fatto e la ragion lo prova,

giustizia e fede son titoli vani,

e giusto e buono è solo ciò che giova;

ch'essi son di natura i primitivi

liberi figli, d'ogni vincol privi.

 

Che probità, virtù, pubblico bene

son chimere ridicole infantili;

ma che però farle adorar conviene

dalla massa dell'anime servili;

e coll'idee d'onore e di virtù,

tenerle incatenate e in schiavitù.

 

Che il volgo crede ciò che se gli dice,

e che perciò un sovran sempre dee dare

di ben pubblico titolo e vernice

all'interesse suo particolare:

pubblico ben, se l'util non include

per lo sovran, saggio sovran l'esclude.

 

Che disputar sui mezzi è una minuzia

della sovranità del tutto indegna:

l'aperta forza e la dolosa astuzia

è indifferente per colui che regna;

e debbe in tutte l'opre aver per duce

ciò che l'intento ad ottener conduce.

 

Che l'impotente, il debole, l'imbelle

per legge natural cibo è del forte:

importuno riguardo oltre la pelle

passar non dee nel ministero e in Corte;

la turba vil sol d'apparenze è vaga,

e dell'aspetto esterior s'appaga.

 

E che perciò lingua esser mai non dee

dei secreti del cor rivelatrice

e d'arcano pensier, d'occulte idee;

ma ch'eloquenza sol trionfatrice

quella è che dialettica ritrova

da far credere altrui ciò che a noi giova.

 

Questo era il dritto e la dottrina strana

di quel furbo animal, questa la scaltra

dei gabinetti animaleschi arcana

politica volpina; e qualunque altra

filosofia, secondo lei, non era

ch'errore, illusion, follia, chimera.

 

Onde, se cuor v'era insensibil, duro,

se ingegno astuto e fertile in ripieghi,

se caratter versatile ed oscuro,

inesorabil ai lamenti, ai prieghi,

che, indifferente al mal, non conoscesse

altr'idolo, altro dio che l'interesse;

 

tosto a gelose cariche chiamato

dalla fiducia e dal favor sovrano,

eran gli affar politici e di stato

e del soglio l'onor posti in sua mano;

E per lui fe, virtù, di senso vote

eran voci ed idee del tutto ignote.

 

Vivan pure i politici moderni,

che capi e direttor dei ministeri,

a gloria e onor degli Europei governi,

stansi al timon dei regni e degl'imperi,

e purgan da sì fatte porcherie

i gabinetti e le cancellerie.

 

Arbitrj alcun di lor non si permette,

o furtivo interesse o intrico oscuro:

han sincero il parlar, le mani nette,

retta l'intenzione, il core puro;

e se v'è a caso chi talor prevarica,

ciò colpa sua non è, ma della carica.

 

E se immoral sofista, a' nostri tempi,

a' suoi scritti il venefico comparte

sugo di dogmi abominati ed empi,

proscritto vien fra le dannate carte,

acciocchè non corrompa e non infetti

l'illibato candor dei gabinetti.

 

In quei, cui, grazie al ciel, la terra serve,

regna giustizia ed incorrotta fede,

e del pubblico ben lo zelo ferve;

legga gli editti lor, chi ciò non crede,

n'oda lo stil che umanità consola,

e succhi il mel che da' lor labbri cola.

 

Ma in quell'antica età la furba Volpe

di politiche massime il veleno,

fatal semenza di funeste colpe,

iva istillando al Lioncino in seno.

ma per quanto ella fe', non riuscille

d'imbeverne il discepolo imbecille.

 

Poichè egli ad operar sempre era spinto

con stravaganza e con scempiezza estrema

da forza d'abitudine e d'istinto,

non da riflession, non da sistema;

e l'influsso asinil fe' in lui più effetto

che il volpino politico precetto.

 

Anzi, a dir vero, quel real fanciullo

la Volpe non amò: soffrilla forse,

per quel caratter scimunito e nullo

onde alla madre non ardia d'opporse.

L'Orso e la Scimmia i cari suoi campioni

erano sol, perchè eran due buffoni.

 

Ma la Reggente Lionessa madre,

che a quelle lezioni assister volle,

trovandole simpatiche e leggiadre,

se le fissò per norma, ed adottolle:

e di sostituir formò il pensiero

la cara Volpe al Can nel ministero.

 

Pur ribrezzo sentia d'usare un tratto

sì ingrato verso quel ministro antico.

la Volpe allora si servì del Gatto,

che ben sapea del Cane esser nemico:

egli, a suo tempo e luogo, in favor d'essa

saprà determinar la Lionessa.

 

L'impegno assume il Gatto; e il punto coglie

che si compiace la Reggente e ride

a suoi rapporti; i scrupoli le toglie,

e in favor della Volpe la decide.

Che non ottien chi sa di zel coperte

tesser calunnie, ed il sovran diverte?

 

E infatti n'emanò l'ordine regio;

e al Can, di gradimento in contrassegno,

di portare accordossi in privilegio

appeso al collo un pezzettin di legno;

e il ministro fedel con quella marca

premiato fu dal bestiolin monarca.

 

Il supremo voler notificato

all'ex-ministro Can fu per viglietto

della real segreteria di stato;

e siccome il regnante animaletto

nè legger sa, nè scrivere, munillo

la Reggente del solito sigillo.

 

Il viglietto dicea: che le sovrane

beneficenze di Lion Secondo,

volendo i grandi meriti del Cane

premiar solennemente in faccia al mondo,

concedeagli onorifico riposo,

e il ciondol più distinto e decoroso.

 

che dei segnalatissimi servigi

alla famiglia dei Lion prestati

resteran gl'indelebili vestigi

fissi nei cuori lor memori e grati.

e che il Can potrà sempre, all'occorrenza,

contar sulla real riconoscenza.

 

Di quelle antiche animalesche corti

era quello lo stil, quello il linguaggio;

al merito facendo insigni torti,

con belle frasi colorian l'oltraggio,

e aggiungean, per sciocchezza e per malizia,

derision e insulto all'ingiustizia.

 

Il Can rimansi attonito, quand'ode

annunzio tal, ma simula; e il rancore

che internamente lo tormenta e rode

celar procura più che può nel core;

e di vendetta la speranza sola

rattien lo sdegno e il suo dolor consola.

 

Eppur lo zel, la fedeltà canina

portò al Lion la dignità primaria,

che da lui nella stirpe Lionina

fu resa successiva e ereditaria;

e perciò s'ella alle genie sovrane

venne aggregata, lo dovette al Cane.

 

Eppur d'istruzion segnò la via,

di studi promotor, e a lui si debbe

archivio ed accademia e libreria;

ed i difetti suoi, poichè ei pur n'ebbe,

son lievi in paragon della maligna

indole rea che nella Volpe alligna.

 

Or va', t'affanna ed il cervel ti stilla,

spargi sangue e sudor, soffri molestie,

l'alma non abbi mai cheta e tranquilla

le ingrate per servir superbe bestie:

del Can mira l'esempio: indi concludine

se puoi sperar da lor mai gratitudine.

 

Poichè esse avran da te spremuto il suco,

come fassi d'un cedro e d'un arancio,

poichè reso t'avranno smunto e bruco,

ti getteranno, inutil frutto e rancio,

oppur daran titol di premio e peso

a un pezzettin di legno al collo appeso.

 

Il Cane inoltre il ministero ottenne

non per grazia o favor, ma per contratto:

ma contratto che val sacro e solenne?

Che giova sacro inviolabil patto?

Poichè l'intento ottien quella genia,

e le promesse e il benefizio obblia.

 

Parlo delle selvagge, ingrate e strambe

brute sovranità, parlo di quelle

che han le corna, han criniera, han quattro gambe,

e irsuta e setolosa hanno la pelle,

e in cui la lunga coda colla nappa

giuoca sul tergo e il deretano tappa.

 

Chi attentamente esaminar volesse

sovra autentici fatti e noti esempi

ciò che or succede e ciò che allor successe,

di quei rimoti animaleschi tempi

non trovando fra noi vestigio ed orma,

data al mondo diria novella forma.

 

Il chirografo allor spedito fu

di tal tenore: Noi Lion Secondo,

per grazia special del Gran Cucù

re di tutti i quadrupedi del mondo,

per l'assoluta potestà che abbiamo

in autentica forma dichiariamo:

 

che nella vastità dei nostri stati

il merto della Volpe essendo noto,

onde i riguardi nostri ha meritati,

determinato abbiam di proprio moto

di darlene una prova manifesta,

del minister ponendola alla testa:

 

e acciò sia come tal riconosciuto

quest'animal dal suddito bestiame

quadrupede-codifero-cornuto

di tutto il felicissimo reame,

vogliamo ed ordiniamo che il presente

letto ed affisso sia pubblicamente.

 

Poichè fra l'ombre dileguossi il giorno,

solo, mesto e pensoso all'aria bruna

vanne il Cane ex-ministro errando intorno;

ed abbaiando al raggio della luna,

cerca l'interno affanno e i mal celati

sdegni sfogar coi liberi latrati.

 

Belva così dal cacciator ferita

empie d'urli le valli e la foresta;

togliersi tenta invan dall'innasprita

piaga lo stral che fitto ognor vi resta;

e quella espansion di violenta

smania nutre il dolor, non lo rallenta.

 

Non appar l'alba e non per anche aggiorna,

quando, dal lungo errar languido e stanco,

a muso basso al suo quartier ritorna:

ivi posò l'affaticato fianco;

e, qual le cure sue permetter ponno,

prese interrotto ed inquieto sonno.

 

E si destò dal torbido riposo

che di già le pupille sonnolente

il raggio gli feria del luminoso

pianeta che sorgea dall'Oriente:

fiso per ascoltar l'orecchie stende,

nè moto alcun, nè alcun susurro intende.

 

Strana inver novità! le altre mattine

le bestie in folla e i cortigian primari

attendean nelle camere vicine

per chieder grazie, o per trattar d'affari,

o per propor d'economia progetti,

direttori sperando essern'eletti.

 

ma in numero maggior gli adulatori

colà fin dall'aurora a far la Corte

al ministro, brigando impieghi e onori,

assidui stansi; e di qualunque sorte

impiegar le bassezze e la servile

sommission non si prendeano a vile.

 

In piè si leva; e, fattosi più innanzi

ove per lunga ognor consuetudine

un folto stuol trovar solea poc'anzi,

non trova che silenzio e solitudine.

Ben d'uopo gli è che in quella circostanza

s'armi di filosofica costanza.

 

E tutto immerso in un pensier profondo,

riflession facea morali e serie

sulle vicissitudini del mondo,

e sulle corti e simili materie;

quando un brusco forier che presentosse,

da quel suo cupo meditar lo scosse:

 

Che di Corte sollecito tu sloggi

d'ordin sovran dicea ti deggio imporre,

poichè si vuol del tuo quartier dentr'oggi,

per quei che a te succeder dee, disporre.

E il Can: Dunque la Volpe... Ed ei: Non darti

altro pensier di ciò; sbrigati e parti.

 

A quell'imperioso, aspro discorso

arse il Cane di sdegno: e mancò poco

che non desse al forier rabbioso morso;

ma si contenne e al successor diè loco:

sloggiato il Can, tosto colà si rese

la Volpe e del quartier possesso prese.

 

Il Can d'oltraggio tal pubblicamente

reclamar volle, e presentarsi ei stesso

per espor sue lagnanze alla Reggente,

ma ognor vietato gliene fu l'accesso:

schivan gl'ingrati di color la faccia

che lor l'ingratitudine rinfaccia.

 

Da quel tratto insultante il cor ferito,

s'ange e s'agita il Cane; e più non dette

triegua o riposo all'animo inasprito,

ruminator di sdegni e di vendette;

e or in se si raggruppa e si ravvolge,

or supino la pancia al ciel rivolge.

 

La confidenza ed il parzial favore

che alla Volpe e all'Allocco s'accordava,

nel critico maligno osservatore

il sospetto vieppiù fortificava

che avessero color contribuito

a liberar la moglie dal marito.

 

Mal per lui, se un sovran presso i suoi servi

d'immascherato malfattor è in vista,

come mai fia che il loro amor conservi?

E perduto ch'ei l'ha, come il racquista?

E per quanto dir possa e possa fare,

potrà farsi temer, ma non amare.

 

All'odio dal timor breve è il passaggio,

e l'odio cova ognor disegni bui:

finto l'amor, forzato è allor l'omaggio;

e ben tosto il timor che inspira altrui

l'aborrito sovran, prova in se stesso,

ed astretto è a tremar sul trono istesso.

 

Per tal ragion la Lionessa in prima,

come a ogni prence avvenir suol, de' suoi

amatissimi sudditi la stima,

non che l'amor riscosso avea, ma poi...

Ma quel che avvenne poi voi l'udirete,

se dar ascolto al canto mio vorrete.

 

Dunque, siccome udiste, allor tal era

lo stato della Corte Lionina;

una Reggente imperiosa e fiera,

pasciuta di politica volpina;

e il più sciocco bestiuol della sua spezie,

principe immerso in infantili inezie.

 

Dal Pappagallo alcuni motti avea,

e dal cerimoniere alcuni inchini

appresi sol da usarne in assemblea,

come soglion fantocci e burattini.

dispotica padrona è la Reggente,

sola, vera, assoluta, onnipotente.

 

Finchè vivea Lion Primier, sua moglie

osservò certi esterior riguardi;

e l'indole crudel, le impure voglie

cercò celar del pubblico agli sguardi;

ma appena estinto ei fu, sdegnò celarse,

e tal qual era apertamente apparse.

 

Sicura omai credendosi del soglio

e del potere illimitato e pieno,

i vizi suoi, l'ambizion, l'orgoglio

più non conobber limiti, nè freno;

fra gli altri e se pose intervallo immenso,

e al voler suo ragion cesse e buon senso.

 

E conculcando allor leggi e doveri,

e intenta solo a sodisfar le prave

sue passioni e i pravi suoi voleri,

tutt'alla Volpe abbandonò la grave

politica ingerenza, e i molti e i vari

interessi di stato, e i grandi affari.

 

Godeano poscia il principal favore

l'Asino vile e l'orgoglioso Toro,

la furba Volpe e il Gatto esploratore

e il buffon Bertuccione; e da costoro

il destin dipendea di quel reame,

e di tutto il quadrupede bestiame.

 

L'Allocco, oltre di ciò, sovra ogni sorte,

di gravi affar piena influenza ottenne;

e inquisitor, teologo di Corte,

di coscienze direttor divenne;

e assai sovente coll'iniqua Volpe

accomunava gli utili e le colpe.

 

Ahi stolta Corte, e qual funesto errore

ti pone in sen l'insidiosa serpe,

che l'occulto velen t'insinua in core,

e il germe di ragion ne svelle e sterpe?

E prestar puoi con pregiudizio sciocco

sì cieca fede a un impostore Allocco?

 

Non era il capitan Rinoceronte

in cabale di Corte esperto e scaltro;

stassene in guardia col suo corno in fronte,

e dorme e mangia e bee, nè bada ad altro.

A tutti il Can Barbon facea buon viso,

grand'egoista e cortigian deciso;

 

inoltre un'alma avea versatil, fiacca,

e per lui lo stesso era o figlio o padre,

Can, Volpe, Asino, Scimmia, o Toro, o Vacca;

e stette ben colla regina madre,

con Lion Primo e con Lion Secondo;

insomma stava ben con tutto il mondo.

 

Or qual giudizio far di monarchia

che tai prenci e ministri ha per sostegni?

Qual da tai fonti provenir potria

felicità pei popoli e pei regni?

Qualunque sian color cui siam soggetti,

guai se malvagi, e peggio ancor se inetti.

 

 

 




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