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Giovanni Battista Casti
Animali parlanti

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CANTO DECIMO

 

IL CLUB

 

Chi mi darà la voce e le parole

per narrar la crudele, orrida guerra

onde l'immensa animalesca prole

di sterminj e di stragi empì la terra,

quando fere pugnaro incontro a fere

a distruzion delle lor specie intiere?

 

Musa, che non di Pindo abiti i poggi,

nè di Cirra passeggi i boschi e i prati,

ma nelle menti creatici alloggi,

e nel fecondo immaginar de' Vati,

nata non da Mnemosine e da Giove,

ma dall'urto d'idee fervide e nuove;

 

narrami tu l'origine che accese

di cotanto furor quegli animali,

onde il mestier di straziarsi apprese

la generazion di noi mortali,

più che non fer quelle feroci belve

fra le natie lor rupi e nelle selve.

 

L'odio, la gelosia, l'invidia rea,

nell'inquieta lionina reggia,

e l'intrico e la cabala fervea,

sicchè per ogni dove avvien si veggia,

nel disordine interno e nell'esterno,

il debol prence e il femminil governo.

 

Qualunque a prevenir caso sinistro,

e governo fissar vieppiù sicuro,

e la Reggente e il Principe e il Ministro

inviolabil dichiarati furo;

e della Volpe assunta al ministero

quel fu d'autorità l'atto primiero.

 

Ch'ella avea fin d'allor ne' perspicaci

accorgimenti suoi ben preveduto

che le indomite bestie, ed incapaci

di soffrir giogo, un giorno avrian potuto

seccare, imbarazzar anche un pochino

la Reggente, il Ministro e il Principino.

 

Costor, sicuri all'ombra della legge,

autorità dispotica speraro

esercitar su quel feroce gregge.

Allor le altere belve incominciaro

ad isfogar il malcontento interno,

e altamente a biasmar leggi e governo.

 

E sovente inveian contro la Volpe,

che, un reo per favorir privilegiato,

far volesse che quei di cui le colpe

son sì fatali ai sudditi e allo stato,

che sì gran mezzi ha in man d'oprare il bene,

e dei pubblici mali autor diviene;

 

che quegli alfin, che con rigore estremo

render conto esattissimo dovria

del confidato a lui poter supremo,

che quegli appunto inviolabil sia;

Come dicean come può esister legge

che rispetta il delitto e il reo protegge?

 

Qual specie mai di mostro è quei per cui

la facoltà di mal oprare è un dritto,

e che in commetter qual più aggrada a lui

impunemente iniquità e delitto

crede d'esercitar la distintiva

di sua sovranità prerogativa?

 

Se voto di virtù, di vizi pieno,

se crudel, se malvagio e sanguinario

a smoderate passioni il freno

libero lascia, e quanto è necessario

popoli a governar trascura e ignora,

dovrem lodarlo ed applaudirlo ancora?

 

E se sui stati infinità di mali

un funesto capriccio attirar volle,

dovrem considerar le universali

calamità, che del sovran la folle

intemperante ambizion cagiona,

quai privilegi annessi alla corona?

 

E già il torbido umor, il malcontento,

e i musi arcigni e le inquiete voci

un rivoltoso gian sordo fermento

propagando in quegli animi feroci;

quindi i germi apparian che manifesta

produr poscia dovean guerra funesta.

 

E il Can, cui l'ingratissima Reggente,

senza potergli alcun delitto apporre,

toglier volle la carica eminente

ed in luogo di lui la Volpe porre,

l'insigne torto ha sempre in mente, e aspetta

tempo opportuno a farne alta vendetta.

 

Nè in lui s'era per anco estinto affatto

il dispetto che il cor aveagli punto,

per quelle che sovente avea col Gatto

segrete conferenze il re defunto;

ma maggior rabbia il rode, e assai maggiore

contro la furba Volpe odio e livore.

 

Ed essendo ei vendicativo e scaltro,

animal di gran spirito e talento,

di produr capace era un giorno o l'altro

rovescio nel governo e cangiamento;

e inver tutto da lui potea temersi,

che partigiani avea forti e diversi.

 

E poichè nei dispotici governi

lo spirito e il talento è ognor sospetto,

onde avvien che tuttor depresso scerni

il perspicace, ed in favor l'inetto;

e chi prodursi e figurar desia,

convien che inetto appaja o inetto sia;

 

perciò la Volpe, come ogni dispoto

naturalmente sospettosa, e a cui

il talento del Cane era ben noto,

astuta essendo al paro e più di lui,

era inquieta, e non potea soffrire

che i suoi disegni osasse altri scoprire.

 

D'orgoglio il monumento abbatter fece

che della biblioteca in sull'ingresso

eresse il Cane; e di quel gruppo invece,

la Lionessa por nel sito stesso,

che alla Volpe, tutt'umile e modesta,

ponea la zampa protettrice in testa.

 

E attentamente ognor, da che rimosso

fu il Can dal ministero, in guardia stassi,

e tiengli e fagli tener l'occhio addosso

per ispiarne i moti, i detti, i passi,

credendo forse indizio aver bastante

di rapporti fra il Cane e l'Elefante.

 

Poichè dal dì che abbandonò colui

l'animalesco elettoral congresso,

molti il seguir dei partigiani sui,

decisi a far causa comun con esso;

e in seguito di club il nome prese

quell'adunanza, e celebre si rese.

 

Voi che l'inimicizia ed il dispetto

fra l'Elefante e il Can di già sapete,

poscia in vederli in vincolo sì stretto,

so che stupirne, e con ragion, dovrete:

vi vo' pertanto la sorpresa torre,

e dell'affar le circostanze esporre.

 

Poichè, com'io dicea, rimosso venne

il disgraziato Can dal ministero,

e la carica sua la Volpe ottenne,

più non s'ebbe pel Can cura o pensiero;

e quei che già la monarchia diresse,

parve d'allora in poi non esistesse.

 

e chi sotto i possenti auspicj sui

di porsi ambito avea, chi fatto un pregio

erasi di prestar omaggio a lui,

poscia con disdegnoso, altier dispregio

non sol più non usogli alcun riguardo,

ma neppur si degnò volgergli un guardo;

 

come se ciaschedun per abitudine

studiasse, affin di giungere a gran sorte,

dell'ingiustizia e dell'ingratitudine

partecipar della superba Corte;

poichè sovra il carattere di quella

ciascun sempre si forma e si modella.

 

Al Can, che cose tai non era avvezzo

a sofferir, questa freddezza e questa

specie di non curanza e di disprezzo

estremamente riuscia molesta,

e pensoso sovente, e fra se stesso

facea più d'un patetico riflesso.

 

Sei tu dicea sei tu quel Can, poc'anzi

circondato da tanti adulatori,

che umilmente prostrati a te dinanzi

mendicavan le cariche e gli onori;

quel Can cui gli animai beneficati

si dimostrar sì affettuosi e grati?

 

O voi d'ambizion fantasmi e larve,

come cangiaste intorno a me d'aspetto!

Come la vana illusion disparve!

E covar può degli animai nel petto

anima sì perversa e sì maligna?

Tanto menzogna e finzion v'alligna?

 

Mentre nel grave meditar profondo

eran del Can tutti i pensieri assorti

sulle vicissitudini del mondo,

sull'instabil fortuna e sulle Corti,

il Caval generoso a lui sen venne

e in franco tuon discorso tal gli tenne.

 

Cane, tu sai che quando in auge fosti,

arbitro degli affari, io non richiesi

splendide grazie e luminosi posti,

e che omaggio servil mai non ti resi;

poichè nè me splendor fallace abbaglia,

nè alla turba volgar vil brama agguaglia.

 

E or che in man più non hai sommo potere,

e d'alto ti sbalzò la sorte ria,

nè in me puoi doppia intenzion temere,

nè sospetta esser può l'offerta mia;

se fe alcuna appo te tuttora ottengo,

l'opra mia, che offrir posso, a offrirti vengo.

 

Cui il Can: Tu sol finora intatto sei

dalla comune infezion di Corte;

indegna ella è di te; tu a' casi miei

prender parte non sdegni e alla mia sorte,

nè il nobil tratto obblierò giammai;

ma intempestivo è ogni consiglio omai.

 

Ed il Caval: Qualunque or tu disegno

in te ravvolgi, investigar non deggio;

pur io, negli occhi tuoi, di te non degno,

di vendetta desio tralucer veggio;

consiglio io non darò, ma sol dirotti

che alla ragion rinunzi e il torto adotti.

 

Poi soggiungea: quando fissar sovrano

assoluto poter fra noi volesti,

ai detti tuoi m'opposi io sol, ma invano;

trarre il consesso al tuo parer sapesti:

da te ragion non ne chiegg'io; ma poi,

se mal ten venne, a chi imputar lo puoi?

 

Traendo un gran sospir: Che giova, amico

il Can riprese il rammentar che giova

irreparabil erramento antico?

Ragion non lieve allor mi mosse; e nuova

serie di strane e non previste cose

in mente poi ben altre idee mi pose.

 

E forse allor, malgrado tai ragioni,

disperato adottò partito il Cane;

e del Caval le rette intenzioni

furon del tutto intempestive e vane;

pur il Can pel Cavallo infin d'allora

concepì simpatia che dura ancora.

 

Ma i sospetti crescean della reggenza,

più forti ognor, che collo stuol clubista

segreta avesse il Can corrispondenza;

onde osservato attentamente a vista

come animal sospetto e diffidente,

ed evitato fu generalmente.

 

Di non aver era ciascun guardingo

aria d'essergli amico e ben affetto;

ond'ei per vie rimote iva solingo,

come da mal contagioso infetto;

e l'incontro, il saluto, il guardo, ascritto,

non che il favellar seco, era a delitto.

 

Io schiettamente d'ignorar confesso

se quel sospetto che di lui s'avea

fondato fosse, o se il sospetto stesso

gliene facesse nascere l'idea;

ma la risposta che al Cavallo ei diede,

par che debba al sospetto aggiunger fede.

 

Comunque sia, quell'animale altiero

contro la Corte e il minister s'accese

d'ira tal, che obbliò l'astio primiero,

e lega a far coll'Elefante imprese;

tanto preval, d'ogni vivente in core,

e punto orgoglio, e di vendetta amore!

 

E il ciondolo strappandosi dal collo:

Vanne dicea di servitù vil segno,

lungi vanne; e da se lontan gittollo

con fier dispregio e con cruccioso sdegno;

Con tai poscia soggiunge, indegni fregi

i vili schiavi lor soldino i regi.

 

Quelle e altre allor distinzion parecchie

conceder si solean dal favor regio:

chi al collo, chi alla coda, chi all'orecchie,

per gran marca d'onor, per privilegio,

iva altiero d'aver ciondoli e fiocchi;

e ciò pascea la vanità dei sciocchi.

 

Creando il re la nobiltà, diss'ei:

Popoli a' miei voler subordinati,

ordino e vo' che veneriate quei

che merito per esser venerati

altro non han, se non perchè vogl'io:

penda l'opinion dal voler mio.

 

Degli ordini perciò cavallereschi

l'eccelsa idea fin da quei tempi vienci,

poichè, istrutte degli usi animaleschi,

avide li adottar le corti e i prenci;

e quindi Stelle, Aquile bianche e nere,

elefanti, Tosoni e Giarrettiere.

 

Poichè la Corte, che sì rare e parche

mercedi al merto e alla virtù dispensa,

con sì fatte d'onor frivole marche

merto e virtù rimunera e compensa.

Ma che parl'io? Merto e virtù s'ignora,

e sol dubbio natal si pregia e onora.

 

A un ciondolin sì pueril, sì inetto,

i pensier tutti il cortigian rivolge;

e per avere il ciondolin sul petto

raggira, intriga e il mondo inter sconvolge;

e chi per quel spande la vita e il sangue,

chi sulle carte intisichisce e langue.

 

E poichè ottenne la beata insegna,

esca d'orgoglio, pettoruto e tronfio,

la moltitudin non fregiata sdegna,

voto di merto e di superbia gonfio:

e l'importanza sua tutta ripone

in gran nastro, traverso o penzolone.

 

Tientela pur la splendida tracolla,

tientela cara, chè ragion tu n'hai:

che fra l'ignobil, vilipesa folla

senza alcun fregio tal confuso andrai;

e tutti avran per te disprezzo tale,

quale or hai tu per chi di te più vale.

 

Fregiato cortigian, che altier rimembra

nella prosapia sua marche d'antica

ereditaria servitù, mi sembra

che l'aurata catena accenni e dica:

Io sono, al par dell'avo e del bisavo,

son io, non t'ingannar, sono uno schiavo.

 

Sappiano almen costor che di sì strane

inezie fu una Volpe il primo autore,

che il mal umor del degradato Cane

credè acchetar coll'apparente onore:

l'ira fe' al Can l'illusion palese;

l'ira altrui toglie il senno, al Can lo rese.

 

Portossi all'Elefante: e a lui vicino

sette o otto passi, onde temer non possa

di proboscide il lancio repentino

e la terribil rapida percossa:

Non più un nemico in me tu vedi, grida;

il Can pentito al tuo gran cor si fida.

 

Deponi del passato la memoria;

pressan cure maggiori, urge il presente.

E del governo Lionin la storia

fagli, e della dispotica Reggente;

e a seco unirsi, e con impresa ardita

le oppresse bestie a liberar lo incita.

 

Quei, che tuttora in suo confronto il regno

dato al Lion rammenta e il torto antico,

tentennò il capo e con grave contegno

disse: se vero sei, t'accetto amico;

per lo pubblico ben ci darem mano:

chi in me confida, non confida invano.

 

Così color che fur nemici pria,

interesse comun lega e congiunge;

ciascun la sua privata offesa obblia

per sodisfar l'ambizion che il punge:

che se in un core ambizion s'alloga,

ogni altra passion vince e soggioga.

 

D'allora in poi frequenti conferenze

cominciaro ad aver cogli aderenti,

e occulte a mantener corrispondenze

con bestie molte delle più potenti;

onde la Volpe, che ognor stassi all'erta,

ebbe in breve di ciò notizia certa.

 

E rapporto ne fece alla Reggente,

che pubblicar fe' tosto un'ordinanza

per cui si proibia severamente

ogni gruppo, ogni club, ogni adunanza

propria a introdurre novità e disordine

contro il riposo pubblico e il buon ordine.

 

I satelliti attenti della Volpe

fisi li sguardi avean, le orecchie tese

a ogni moto, ad ogni alito; e per colpe

cose indifferentissime eran prese;

onde insoffribil divenia il soggiorno

e della Corte e del paese intorno.

 

E ognor moltiplicandosi le spie,

i sospetti, i pericoli, i timori,

le persecuzion, le prigionie,

per sottrarsi a disastri anche maggiori,

altri emigraro in region lontane,

altri s'uniro all'Elefante e al Cane.

 

Degno del pubblico odio è chi distrugge

l'ordine sociale e lo scompone;

ma scuso ben chi di colà sen fugge

ove iniqua al pensier legge s'impone;

e ove arbitrio dispotico il vigore

snerva dell'alma e impiccolisce il core.

 

Mal per quel minister, per quel governo

che, da tema agitato e da sospetto,

di ciaschedun sul sentimento interno

angesi, e ad inquisir si crede astretto,

ove tutto si spia, tutto s'osserva,

non puossi abituar che anima serva.

 

Da se bandisca violenza e orgoglio,

nè sui sudditi aggravi il giogo duro,

delle virtù lo stuolo in guardia al soglio

chiami chi regna, e regnerà sicuro;

rispetteranne il mondo la memoria,

e il regno suo coronerà la gloria.

 

Era al di là sei leghe almen di Francia

dietro a folte boscaglie, ampia caverna

che in vasta crepatura e nella pancia

d'altissima montagna entra e s'interna,

ove soleano il loro club tenere

l'Elefante col Cane ed altre fere.

 

Molti dei grossi bestion s'uniro

all'Elefante e feron causa insieme:

il Cabiai9, l'american Tapiro,

il gran Mammut, di cui s'estinse il seme;

ed altri che, per mole o per figura,

all'Elefante avvicinò natura.

 

Lo Zebro fra coloro ancor si scorge,10

e il crinito salvatico Bisonte,

cui la gran gobba sulle spalle sorge

e ampie ritorte corna arman la fronte;

Vi venne il Puma dal Perù, dal Chile,11

e il Tajaco da Quito e dal Brasile.

 

Siccome poi convien ch'io vi favelli

tanto de' cani che al real partito

uniti si restar, quanto di quelli

che l'ex-ministro Cane avean seguito;

acciò confusion non nasca o imbroglio,

questo punto schiarire alquanto io voglio.

 

Il Can regio ex-ministro, ora alla testa

di quella scission sì memoranda

che a tante bestie riuscì funesta,

fu un can di quei che diconsi d'Irlanda,

e che l'universal cinologia

chiamò cani d'Epiro o d'Albania;

 

terribil Can, che raro a Bove o a Vacca

o ad altra tal bestia volgar fa guerra,

tigri o Lion ferocemente attacca,

rinoceronti ed elefanti atterra;

e chi creder non vuol tanto sterminio,

fa sospettar ch'ei non ha letto Plinio.12

 

Ma il nostro Can, quantunque avria potuto,

d'ogni altra bestia al par più ardita e forte,

famoso in battagliar farsi e temuto,

i politici affari, il tuon di Corte

e il minister calmato avean non poco

la sua ferocia e il natural suo foco.

 

I più possenti e più feroci Cani,

robusti, nerboruti, arditi e grossi,

cani da presa, Can mastini, Alani,

di Siberia, di Corsica, Molossi,

quei che son delle mandre i defensori,

e quei che addentan per l'orecchie i Tori;

 

e l'altro ferocissimo animale,

o cane, o assai simile al can, che vive

nelle foreste d'India e di Bengale,

e che il naturalista appella Adive,13

il malcontento Can tutti seguiro,

ed al partito antireal s'uniro.

 

Ogni can che, gentil, docil, leggiero,

blandisce e scherza ed agil corre e salta,

botolo, Can barbon, Bracco e levriero,

di Spagna, di Bologna ovver di Malta,

can turco, e quei del Sud che non han peli,

al partito real restar fedeli.

 

E queste prove son forti e patenti

che ogni guerra civil si rassomiglia;

e allor non sol gli amici ed i parenti,

ma quei della medesima famiglia,

rotto ogni vincol che fra lor li serra,

divengono inimici e si fan guerra.

 

Era intanto la lor riunione

cresciuta a segno che, per quanto vasta

fosse di quel grotton l'estensione,

a tanta moltitudine non basta;

e perciò molte bestie il lor soggiorno

colà fissato avean per ogni intorno.

 

Nè concertato ancor pian di congiura,

nè viste avean premeditate e fisse,

pronti a venire ad aperta rottura

ad ogni occasion che lor si offrisse,

e a rovesciar con qualunque attentato

la forma del governo e dello stato.

 

Dacchè insieme colà s'eran ridotti,

sebben vivesser senza leggi o patti,

vari avean fra di loro usi introdotti

che al tempo e al loco parvero più adatti,

e la prima lor cura e providenza

era d'assicurar la sussistenza.

 

Ma non sì tosto il Can vi si condusse

col capo pien d'ambiziose idee,

nuovi regolamenti anche introdusse,

e alcune istituì fisse assemblee,

acciò proporre ivi ciascun potesse

quanto pel ben comune util credesse.

 

Primeggiò tosto il forte e l'eloquente,

come vediam che sempre accade in pratica;

onde quell'assemblee naturalmente

preser fisonomia aristocratica;

e per la grande abilità che avea,

tosto il Can dominò nell'assemblea.

 

Nè in fretta allor potendo a un popol tale

constitutivo dar regolamento,

governo immaginò provvisionale,

che, con qualche opportuno cangiamento,

agiatamente poscia avea prefisso

di convertirlo in permanente e fisso.

 

Governo instituì che in apparenza

inver poteasi dir repubblicano,

in tal guisa però che nell'essenza

il supremo poter fosse in sua mano,

e all'Elefante in ogni circostanza

lasciò l'onor della rappresentanza.

 

Repubblica a chiamarsi eran d'accordo,

ma, oh ciel! qual mai repubblica? feroce

stuol di bruti, crudel, rapace, ingordo.

pur del pubblico il Can parlando a voce

nominarli solea repubblicani;

ed era inver repubblica da Cani.

 

Sovra base repubblica riposa

di principj e doveri eterni e santi:

se turba sei corrotta e viziosa,

vilmente altiera, in monarchia rimanti;

duro impero, tiranniche catene

e ferreo giogo è ciò che a te conviene.

 

Finchè sotto gran prence il Can sostenne

il minister, finchè potea de' sui

fatti, e di ciò che per sua colpa avvenne,

esser astretto a render conto altrui,

l'opra e il pensiero a retto fin diresse,

e con giustizia autorità corresse.

 

Quando di popol poi libero e fiero,

d'ogni fren sciolto ei vedesi alla testa,

di gran rivoluzion forma il pensiero,

e i spirti ambiziosi eccita e desta;

e già la dolce idea della vendetta

l'irritato suo cor lusinga e alletta.

 

Se pieno ad usurpar sommo potere

perviene un'inquieta alma proterva,

non sperar mai tranquillità godere;

tutto ai voler di lei convien che serva:

quindi è che il Can ne' ligi animi altrui

tutti inspirò gli entusiasmi sui.

 

E la cosa sì seria omai si rende,

che al certo seguiran grandi sventure,

se il Lionin governo alfin non prende

pronte, efficaci e provvide misure,

onde distolga il mal, anzi il prevenga,

prima che irreparabile divenga.

 

Convocò infatti la regina madre

un segreto consiglio a chiuse porte,

durante il qual varie pattuglie e squadre

per sicurezza circondar la Corte,

acciò non si propali nell'esterno

dello stato il segreto e del governo.

 

Poichè di governar la sapienza,

che i politici eroi distingue e onora,

è come un'elixir, come un'essenza:

e svanisce, se esala, se svapora,

se traspira al di fuori e si disperde,

tutto il valor, tutto il suo pregio perde.

 

Vero è ancor che il politico mistero

serve all'error di manto e all'ignoranza;

ma cade alfin l'illusion, se il vero

mostrasi nella sua natia sembianza;

ed isquarciato il vel dell'impostura,

nel suo semplice aspetto appar natura.

 

Arde, qual sepolcral funereo fuoco,

politica fra l'ombre, e di corrotto

aëre s'alimenta in tetro loco;

ma dal raggio del sol qualor sia rotto

di quell'ombre l'orror, spegnesi e muore,

e si risolve in fetido vapore.

 

Ministro, che ti par saldo sostegno

su cui s'appoggin le corone e i sogli,

se il taciturno suo grave contegno

e il mistero onde involgesi gli togli,

e l'importanza d'alti affar che ostenta,

di grande che parea, picciol diventa.

 

Così se squaglia il sol biacca e cinabro,

onde si pingon le fattizie belle,

il senil volto appar pallido e scabro,

la floscia gota e la grinzosa pelle;

e la femmina allor, cangiata tutta,

di bella che parea, diventa brutta.

 

Dei consiglier di stato or non s'ammette

la mandria tutta, come pria s'è fatto;

ma le bestie in favore e ben affette:

la Volpe, il Bertuccion, il Toro, il Gatto;

e per maggior formalità, al consiglio

l'Asino ammesso fu col regio figlio.

 

Che gli ordin dati da chi avea cervello,

aver non si credean vigor bastante,

se a nome non uscian d'un matterello;

e ciò di tante inconseguenze e tante

che ne' governi accadono del mondo,

non era il primo esempio, nè il secondo.

 

Primier levossi, e il suo parere espresse,

il Gatto, e dichiarò che stravaganza

a lui somma parea che si volesse

ad un simile affar dare importanza,

conciosiachè considerar si deve

come affar di police, ed affar lieve.

 

Che se le loro maestà vorranno

lui sol, lui Gatto, incaricar di questo,

dieci o dodici dì non passeranno

che tutti li farà porre in arresto.

e l'Asin disse: ottimamente fatto;

io sottoscrivo a quanto dice il Gatto.

 

Sorse poscia la Scimmia e prese a dire:

che, o fosse cosa seria ovver fandonia,

araldi si dovean colà spedire,

e tutto fare in forma e in cerimonia.

e l'Asinel: Ciò che sostien la Scimia,

anch'io l'approvo, e parmi cosa esimia.

 

Colla solita sua prosopopea

s'espresse il Toro allor che con vigore

agire e che la forza si dovea

usar contro lo stuol conspiratore.

e l'Asin: dignitade e senno io trovo

in ciò che dice il Toro, e anch'io l'approvo.

 

Ultima alfin parlò la Volpe, e vani

e lunghi, disse, e di dubbioso evento,

e talor perigliosi, esser tai piani;

dovers'ir dritto ad ottener l'intento,

ed evitar quanto si può i pericoli,

senza arrestarsi in scrupoli ridicoli.

 

Con simulata esterior dolcezza

doversi in quelle bestie accortamente

la fiducia inspirar, la sicurezza,

sicchè non possan sospettar niente;

e con lusinghe e con melate ciarle

amicamente ad un congresso trarle.

 

Con truppe e forze poi preponderanti

circondandoli allor, trucidar tutti

quegli arcisolennissimi birbanti,

onde ad un colpo sol restin distrutti;

e l'Asin: molto ben dice la Volpe;

color paghino il fio di tante colpe.

 

Ma il Toro ripigliò, che d'un sovrano

il decoro esigea che solo i modi

di quel poter che il ciel gli ha posti in mano

usar ei debba, e non inganni e frodi.

e l'Asin soggiungea: circa al decoro

nulla v'è a dir: convegno anch'io col Toro.

 

Che dell'Asino ognor questo fu il vizio,

e l'usanze ordinarie e consuete;

da se stesso incapace a dar giudizio,

macchina ascolta, e macchina ripete;

l'Asin non ha concepimenti sui,

e s'accostuma ad adottar gli altrui.

 

In quanto al Lioncino, altro non fece

se non se dileggiar lo Scimmiotto;

e d'ascoltare e di badare invece

dava di coda ovver di zampa un botto

ora a quel consigliero ed ora a questo,

e ne contraffacea la voce, il gesto.

 

Cotal prendea quel principin sollazzo,

con scandalo de' savi e de' sensati;

ma i sensati servian, regnava il pazzo;

pazzo crederlo o dirlo eran reati;

pur allor sostenea più d'un autore,

che quel d'ogni governo era il migliore.

 

Alla Reggente allor, che ama il decoro,

non so se per sistema o per natura,

la nobil piacque opinion del Toro,

e alla Volpe inculcarla ancor procura.

Si stringe nelle spalle e si trastulla

la Volpe a canticchiar: non farem nulla!

 

Duce crearo dell'impresa un Mulo

caparbio, arrogantissimo, gagliardo,

dell'Asino cugin, specie di bulo,

per valermi del termine lombardo:

l'Asino lo protesse, e lo propose;

ciò fu bastante; il merto si suppose.

 

Ma per dargli più credito e più onore,

al grado fu di general promosso;

poichè s'acquista merito maggiore

quando sonoro vien titolo addosso;

diergli di forti bestie una coorte,

e un Capro, araldo e messaggier di Corte.

 

Del quadrupede stuol dunque alla testa

marcia il general Mulo, ed in distanza

dell'antro antireal la marcia arresta,

e ponsi di battaglia in ordinanza;

poi nelle forme di cavalleria

il Capro Araldo ai malcontenti invia.

 

Dei Clubisti colui giunto alla grotta,

intima ordin sovran, che immantinente

i primi Capi della lor condotta

portinsi a render conto alla Reggente,

e quella Conventicola si sciolga,

e l'inquietudin pubblica si tolga.

 

Che se contro il real divieto espresso

persiston nella rea lor pervicacia,

saprà il general Mulo, ch'è là presso,

reprimer e punir cotanta audacia.

Del Capro Araldo a tai rodomontate

tutte ridean le bestie ivi adunate.

 

A nome allor di tutta l'assemblea:

Codesto, o amico Capro, è fiato perso;

vengan pure, e vedranno, il Can dicea

quanto è l'oprar dal minacciar diverso.

Dunque arrabbiato allor, guerra volete?

disse il cornuto Araldo, e guerra avrete.

 

Il Capro in questo dir di là si parte,

e vanne il Mulo ad avvertir, che tosto

avanzar fa la truppa e la riparte

intorno alla caverna in più d'un posto:

e si determinò di farne il blocco,

non fidandosi a prenderla di brocco.

 

Ma i clubisti, dagl'intimi recessi

uscendo fuor del cavernoso speco,

pratici dei passaggi e degli accessi,

di nuvolosa notte all'aer cieco,

a un tratto fur sopra il real drappello

e ne fero un orribile macello.

 

All'improvviso colto, il realista

esercito disfatto è quasi in quella

subita incamiciata e non prevista,

che la feroce fe' turba rubella;

getta l'immonda Strige orrido strillo,

e di guerra civile alza il vessillo.

 

De' Clubisti lo stuol, da esperto e scaltro

duce guidato e di più fine ingegno,

per potersi distinguere un dall'altro,

un convenuto grido avean per segno;

ma s'uccidean fra lor, confusi e misti

col nemico, all'oscuro, i realisti.

 

Abbatte, atterra, stermina, distrugge

morte e furor quella brigata intera;

fugge il general Mulo, e seco fugge

l'Araldo, e pochi ancor della sua schiera:

fuggì tutta la notte; e la mattina

il Mulo presentossi alla regina.

 

Se stesso esalta, e la rotta, accaduta

per trascuraggin sua e per sua colpa,

all'altrui inganno e al tradimento imputa,

e quei che più non vivono ne incolpa;

che tal vantaggio ha il vivo ognor sul morto,

che chi vive ha ragion, chi muore ha torto.

 

Lodar del Mulo il militar talento,

ch'ei fin allor tenuto avea nascosto,

le officiose bestie; e complimento

ne fero all'Asin che l'avea proposto;

onde non già punito colui venne,

ma ricompensa oltre le lodi ottenne.

 

Il Mulo dunque, in ricompensa, eletto

fu di Vicezampiero all'alto posto;

poichè, quando del regio animaletto

all'educazion l'Asin fu posto,

di zampier nell'impiego un qualche ajuto

dovè darsegli, un vice, un sostituto.

 

Che, per quanto sian grandi i suoi talenti,

un Asino non può partirsi in due,

nè in certi casi e critici momenti

supplire a tutte l'incumbenze sue;

ritenne ambo gl'impieghi, e la Tutrice

in quello di Zampier gli aggiunse un Vice.

 

E il Mulo, che già un dì nessun riguardo

riscosse e venne ognor considerato,

come specie di mostro e di bastardo,

poichè vicezampier fu nominato,

ognun l'ossequia, lo corteggia e onora;

così le cose ivano in Corte allora.

 

Altri in prosa, altri in verso epico o lirico

dei scrittorelli la turba avvilita

fer del general Mulo il panegirico,

e le geste ne scrissero e la vita;

ed ogni poetuzzolo più inetto

fe' la sua canzoncina o il suo sonetto.

 

Degli Asini il favor eleva i Muli,

e dei Muli il favor gli Asini eleva;

e benchè pensin come li bauli,

leggi il mondo da lor convien riceva;

le nobili alme e i sublimi intelletti

sconosciuti rimangonsi e negletti.

 

In Corte domandavasi se morta

era bestia di loro conoscenza.

No? Ma di gente incognita che importa?

Udiasi con perfetta indifferenza.

Affliggersi per chi non si conosce

è proprio sol d'anime inette e flosce.

 

Se perito era amico o conoscente,

sol diceasi fra' labbri: poveretto!

e dopo smorfia insipida apparente

sen rammenta il ridicolo e il difetto,

e l'estinto divertonsi a deridere,

e si finia con mormorar e ridere.

 

Così chi sangue e vita allor spandea,

iniquo a sostener crudel governo,

da quelle ingrate bestie riscuotea

non lode e gratitudine, ma scherno;

di chi vinse o perì non v'è memoria,

e di chi nulla fe' tutta è la gloria.

 

E qual altra sperar misera sorte

può gregge vil d'anime schiave, addette

dal nascer primo al rio mestier di morte,

ed a servir barbaramente astrette

al folle orgoglio e alle voraci brame

di fier dispoto, o di ministro infame?

 

 

 




9 Il Cabiai detto anche Capibara grosso e nero Cinghiale d'America. - Il Tapiro può dirsi l'Elefante americano, ma assai più piccolo di quello dell'antico Continente. - Il Mammut grandissimo quadrupede; non è ben deciso se distinguasi dall'Elefante, o se sia la cosa stessa; la specie se n'è perduta, e soltanto trovansene dei resti e di grossi ossami nella Siberia e altrove.



10 Specie di Buoi con gobba, partecipanti alquanto del Bufalo.



11 Puma specie di Lione nel Perù



12 Plinio Stor. Nat., lib. VIII.



13 Quantunque molti confondano l'Adive col Jakal o Sciacal, detto anche Lupo d'oro, come si dice nel canto 3, pure seguendo l'opinione d'altri naturalisti, il poeta qui lo distingue. Vedi i Viaggi di Chardin e di Biervillas.






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