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Giovanni Battista Casti
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CANTO UNDECIMO

 

LA GUERRA

 

Oh quante volte, mentre il mondo tutto

fra le calamità sospira e langue,

e nel pianto ravvolgesi e nel lutto,

gode un animo atroce, un cuor di sangue,

solo perchè delle comuni ambasce

la gelosia, l'invidia sua si pasce!

 

Quante volte il crudel, s'egli non ebbe

parte o grado che ambia, lascia che accada

immenso mal ch'egli impedir potrebbe!

Ed in rovina l'universo vada,

purchè il rival del proprio fallo incolpe;

e questo appunto è quel che fe' la Volpe.

 

La Volpe, offesa che l'altrui parere

prevalso avesse al suo suggerimento,

fra se godea, la perfida, in vedere

de li consigli altrui l'infausto evento;

onde portossi dalla Lionessa

a solo a solo a conferir con essa.

 

E disse a lei: Quel che diss'io ridico,

e veri i detti miei l'effetto prova;

sincerità che val contro il nemico?

Giustizia e rettitudine che giova?

Vincasi per virtude ovver per frode,

è sempre il vincitor degno di lode.

 

Deh, lascia oprare al tuo fedel ministro,

fidati pure a lui, tutto andrà bene:

se riuscir tu vuoi, cangiar registro

ed altri mezzi adoperar conviene;

andar di fronte, usar la forza aperta,

calcar la via comune, è cosa incerta.

 

Mandisi il Gran Cerimoniero istesso,

con pompa e con gran seguito, i primari

de' ribelli a invitare ad un congresso,

deputati a trattar de' loro affari:

diansi pur sicurtà, s'offran vantaggi,

e se chiedonli ancor, si dian ostaggi.

 

Onde ciascun liberamente esponga

dritti, pretensioni e rimostranze;

e agl'introdotti abusi ordin si ponga,

e giustizia sia resa alle lagnanze:

si prometta, si stipuli, si giuri.

tutto si faccia, acciò sian più sicuri.

 

E quando ogni sospetto avrem rimosso,

a un tempo stesso, da più parti, un forte

già preparato stuol lor cada addosso,

apportator d'inevitabil morte:

Così, della congiura estinti i capi,

chi fia che più a resistere s'incapi?

 

Or questo è quanto indispensabil credo,

in consiglio il proposi e or lo ripeto;

altro partito a prendersi non vedo,

se il regno render vuoi tranquillo e queto.

A cui la Lionessa: E se si debbe

ostaggi consegnar, che ne avverrebbe?

 

La Volpe allor: quel che si vuol ne avvenga;

se l'altrui interesse al tuo contraria,

l'altrui interesse ceda e il tuo s'ottenga;

qualche vittima spesso è necessaria:

questo è quel che ragion di stato insegna,

ed innocentemente non si regna.

 

Indole dolce e di riguardi serva

quella non è che ad un sovran conviene:

molta bontà l'alma infiacchisce e snerva,

e al proposto suo fin mai non perviene:

chi ha cuor benigno ed innocenti tempre

della scaltrezza altrui vittima è sempre.

 

Fabro imita o scultor, che al compimento

dell'opra sua tutte le cure intende;

e se in man se gli rompe alcun strumento,

come inutil lo getta, e altro ne prende;

logri e guasti rigetta, e nuovi adopra,

nè s'arresta finch'ei non compia l'opra.

 

Lascia che, timoroso e vacillante,

di virtù per gl'incommodi sentieri

tentenni il volgo, e incontri ad ogn'istante

ostacoli di leggi e di doveri:

chi sopra altrui s'eleva, ovunque ei vada,

sempre libera e aperta è a lui la strada.

 

Condizion migliore ha quegli, a cui

rimproverar si de' la mala fede,

che chi la dee rimproverar altrui.

Perder sempre e soccombere si vede

quei che finezza e mala fe sparagna;

l'altro a colpo sicuro ognor guadagna.

 

I consiglier che a te d'intorno stanno,

da riguardo servil, da melensaggine

vinti per uso, un'anima non hanno

capace d'una bella scelleraggine,

e le volgari idee e il pregiudizio

scuoter non san della virtù, del vizio.

 

Se innocente esser vuoi, scendi dal soglio.

Scendi dal soglio? iva fra se dicendo

la Lionessa allor, scender non voglio;

e segua ciò che vuol, per Dio, non scendo:

il mio fermo partito è preso omai:

vi posi il cul, nè leverollo mai.

 

Ma proseguia la Volpe: ognor migliore,

per l'alme grandi e per le pari tue,

è ciò che rende utilità maggiore;

pensa e giudica tu qual più de' due

a te giovi, e di te perciò più degno

oggetto sia, se l'innocenza o il regno.

 

La Reggente i politici argomenti

stassi ascoltando della Volpe astuta,

che a lei sembravan forti e convincenti;

e quantunque sul modo irresoluta,

però sempre è decisa ad ogni costo,

sia frode o forza, a mantenersi in posto.

 

Pur ribrezzo in se prova e ripugnanza

per la perfidia vil, nè sa che dire;

pressata alfin dalla volpina istanza,

strinse le spalle e parve acconsentire:

non vuol la Volpe allor darle più tedio,

e partì brontolando: or ci rimedio.

 

Malgrado quanto fece e quanto disse

la Volpe, acciò al proposto tradimento

la dubbiosa Reggente acconsentisse,

vide ch'ella prestavasi con stento,

e dato aveva equivoco consenso

che interpretar poteasi in doppio senso.

 

E al sommo essendo esercitata e furba

del mestier ne' compensi e dell'impiego,

in suo pensier non si sgomenta o turba;

e conoscea che a un suo cotal ripiego

il caratter di lei, dubbio e mal fermo,

costante non faria riparo o schermo.

 

E volendo in oprar esser sicura,

tutta vincer di lei la renitenza

per mezzo del Teologo procura,

che sa sovr'essa aver grand'influenza;

e non ignora di colui l'arcana

magia sulla sinderesi sovrana.

 

L'Allocco avea per suo soggiorno eletto

foro sopra la rupe in erto loco,

ove lungi dai strepiti e soletto

teneasi, e non uscia di là che poco:

che quanto meno al pubblico s'espone,

venerazion tanto più grande impone.

 

Dell'Allocco il petron concavo e fesso

il buco del teologo nomossi,

come la torre Etnea, gran tempo appresso,

la torre del filosofo chiamossi.

da quelle il tetro augel balze scoscese,

dalla Volpe istigato, a basso scese.

 

Un bisbiglio tosto fu in Corte inteso:

esservi grandi affari sul tappeto;

poichè l'Allocco al basso era disceso,

e consultarlo in circolo segreto

volea la Lionessa e il ministero;

ma fino allor la cosa era un mistero.

 

Ciascuno, al suo passar, le corna abbassa:

quando sua reverenza a lei portosse,

uscier non v'è per lui, libero passa;

gravemente procede; e come fosse

inspirato dal cielo: o figlia mia,

a Te le disse il Gran Cucù m'invia.

 

La guerra che intraprendi è sacra guerra:

alla total distruzion degli empi

in ciel si stabilì: tu falla in terra;

l'ordina il ciel, tu il suo volere adempi:

t'assiste e ti protegge il Gran Cucù;

e dubitar dell'esito puoi tu?

 

Ai sagaci consigli assenso nieghi?

Lo strattagemma militar condanni?

E gli approvati del mestier ripieghi

qualifichi per frodi e per inganni?

Nè dunque sai che fe mal si conserva

a chi nè a te nè al Gran Cucù l'osserva?

 

Risparmiar vuoi de' sudditi la vita?

Ma qual per animai più bella sorte

che d'affrontar con stolidezza ardita

pel lor sovran, pel Gran Cucù la morte?

Del Gran Cucù gl'imperiosi accenti

per lo canal del becco mio tu senti.

 

Finì l'Allocco; e allor la Lionessa,

Intesi disse e agli ordin tuoi m'arrendo.

Quei parte e accompagnar volle ella stessa

infino al liminar quel Reverendo;

e rispettosamente, e soda soda,

diegli una leccatina in su la coda.

 

Sulla rupe ei s'innarpica, e s'intana

nella petrosa sua cella solinga.

tosto alla Volpe allor diè la sovrana

ordin che con vigor la guerra spinga,

e impieghi pur la nobile malizia

che insegnano politica e milizia.

 

Visto l'effetto che co' detti sui

fe' il pennuto volatile eremita,

a notte oscura si portò da lui

la Volpe stessa, e seco ad esquisita

mensa s'assise, e bevendo a ribocco,

con liquor forti ubriacò l'Allocco.

 

Pria che l'aurora aprisse al dì le porte,

partì, fra l'ombre taciturne ascosa,

poichè non vuol che si sospetti a Corte

l'intelligenza lor misteriosa;

e alla Scimmia il mattin diè l'incombenza,

munita di real plenipotenza.

 

Con gran corteggio alla ribelle torma

vanne la Scimmia e l'ambasciata espone:

e in cerimonia ed in solenne forma

triegua, congresso ed amnistia propone:

e offre qualunque sicurezza e ostaggio

con pomposo mellifluo linguaggio.

 

Del Gran Cerimoniere alla parlata

scrollar le orecchie e raggrinzaro il muso

tutte le bestie di quella brigata;

e per lo speco un sussurrio confuso

e un discorde s'udia borbogliamento,

come suol far dentro un canneto il vento.

 

Chi disse che a trattar col ministero

tosto dovean spedirsi bestie esperte;

e chi doversi con dispregio altero

scacciare il Messo e rigettar l'offerte;

ma i più prudenti, sotto tal proposta,

sospettar qualche insidia esser nascosta.

 

Convien saper che concertatamente

ogni quindici dì cangiar solea

quel numeroso club il presidente;

e appunto il Can quel giorno presedea;

ritirar fe' la Scimmia, e in altra grotta

la Scimmia allor fu dall'uscier condotta.

 

Poscia ripiglia il Cane: Io ben conosco

il rio caratter della Volpe infida;

suole asperso di mel porgere il tosco,

e ben sciocco è colui che a lei si fida;

ma chi pensa da saggio e opra da prode,

della forza trionfa e della frode.

 

Che s'accetti l'invito è mio consiglio;

la Reggente crudel, la Volpe furba

veggan che ognun di noi sfida il periglio,

intrepido l'incontra, e non si turba;

contro la forza il forte oppon coraggio,

contro l'inganno oppon prudenza il saggio.

 

Venti sceglier si denno, a parer mio,

più risoluti e intrepidi, ed ammesso

essere a tanto onore ambisco anch'io;

al luogo fisso andran quei prodi; e appresso

siegua possente schiera numerosa,

e nel bosco si stia tacita e ascosa.

 

Porsi nell'intervallo alle vedette

sentinelle dovran svelte e veloci,

sui deputati a vigilare elette;

e a certi cenni e concertate voci,

volin la truppa ad avvisar che accorra

a trarne di periglio e ne soccorra.

 

Tutta al Can l'adunanza applaudì;

e per l'uscier fu al Bertuccion risposto

che l'invito s'accetta e il terzo dì

i deputati a un destinato posto

verrebber pronti; e il Gran Cerimoniero

portossi a darne avviso al ministero.

 

Tiensi per certo che alla stessa reggia

il Cane avesse alcun corrispondente,

che quanto ivi si tratta e si maneggia

a lui fea noto; e assai probabilmente

di quel fallace, insidioso invito

l'istrusse a tempo, e dell'inganno ordito.

 

Quindi render potè l'insidie vane,

e a tempo prevenir le trame tese;

onde il drappel dei deputati e il Cane

a un dato sito il terzo dì si rese;

siegue lungi appo lor la grossa truppa,

e dentro il bosco tacita s'aggruppa.

 

Fur gentilmente accolti, e finchè scenda

la Reggente col re, furon serviti

di lauta abbondantissima merenda

e di rinfreschi splendidi e squisiti;

ed ecco s'ode un romoroso moto,

simile a una tempesta, a un terremoto.

 

E vedonsi sbucar da ciechi aguati

fere a migliaia, e nell'asilo infido

correr feroci sopra i deputati.

Inalza il Cane il concertato grido,

e a quel noto segnal volano snelle

la truppa ad avvertir le sentinelle.

 

Le folte schiere allor sul campo aprico

impetuosamente escon dal bosco,

e ratte ad affrontar vanno il nemico;

levasi un polverio torbido e fosco:

gli oggetti asconde, e a quel bujor s'accorda

fragor tremendo che l'orecchie assorda.

 

Prima però che ai deputati il grosso

dell'armata giungesse a dar soccorso,

i realisti eran lor giunti addosso,

perchè spazio minor avean trascorso,

e uccise avean ben quattro bestie e cinque

che più, al prim'urto, si trovar propinque.

 

Anzi lo stesso Can da un morso orrendo

di Lupo fu ferito in una coscia:

ma l'insurgente stuol giunge; e giungendo,

precipitosa par pioggia che scroscia;

una truppa coll'altra allor s'azzuffa,

e s'attacca spietata, orribil zuffa.

 

E l'ira cieca ed il brutal furore,

l'atroce crudeltà, la rabbia insana,

e tutto ciò che noi chiamiam valore,

virtù funesta della specie umana,

da certa morte omai toglie ogni scampo,

e d'estinti guerrier ricopre il campo.

 

Della sua specie ogni animal sicario

divien, nè sa il perchè: di sangue intriso,

non pago di tor vita all'avversario,

infuria l'uccisor contro l'ucciso;

l'ulular fiero, il fremer furibondo

l'aer empia, parea la fin del mondo.

 

Benchè avesser la zanna, il corno e l'ugna

feriti molti e molti stesi a morte,

pur di quella crudel terribil pugna

dubbia stat'era infino allor la sorte;

quando, a un urto maggiore de' realisti,

l'ala destra piegò di quei clubisti.

 

Di ciò s'avvide appena l'Elefante,

il qual postato avea la retroguardia

dal campo di battaglia un po' distante,

ove si stava de' compagni in guardia,

acciò il nemico, per occulto calle,

ad assalir non vengali alle spalle.

 

Si mosse a sostener la schiera amica,

vigor nuovo inspirandole e coraggio,

e tolse alla reale oste nemica

quel che ottenuto avea primo vantaggio;

così fur quei che pria spingean, respinti,

e quei che pria vincer parean, fur vinti.

 

Vibrando le terribili trombate,

quattro alla volta e cinque e sei ne schiaccia,

come uova il cucinier per le frittate,

o sfoglie il contadin per la focaccia;

quegli allor retrocedono, per dire

in militar, ciò ch'è in toscan, fuggire.

 

Dispersi vanno e sbaragliati i regi

satelliti, e gl'insieguon gli avversari,

e insulti al danno aggiungono e dispregi;

e con rimbrotti minacciosi e amari:

Pera fremendo l'Elefante grida

pera de' traditor la turba infida.

 

Intanto dalle specole reali

stavansi Lioncino e Lionessa

la pugna a riguardar coi cannocchiali,

e a grand'onor sulla terrazza stessa

la Volpe v'era ancor, l'Asino e il Toro,

le auguste a corteggiar maestà loro.

 

La vista atroce ed il piacer crudele

di quel fiero spettacolo godea

la lionina Corte, ed il fedele

stuolo de' favoriti attorno avea;

e intanto ai circostanti i Scimmiottini

servian erbaggi, frutta e biscottini.

 

Ahi, folli bestie, or colassù mirate

per quai di nera ingratitudin mostri

miseramente trucidar vi fate!

Con qual crudel freddezza i strazi vostri

veggon tranquilli, ed in sicuro loco

starsene in ozio molle, in riso e in gioco!

 

Ma la truppa in veder che si ritira

e cede il campo a quella rea canaglia,

l'orgogliosa reina avvampa d'ira,

e da se lungi il cannocchiale scaglia,

e della truppa vuol porsi alla testa;

ma la Volpe il sublime impeto arresta.

 

Piena di zel, con umide pupille:

Deh lascia disse che la turba serva

pera; per un che pere ne avrem mille,

tu i preziosi giorni tuoi conserva:

crolli il suol, cada il ciel; se viva e verde

è tua stirpe real, nulla si perde.

 

L'Asino a quel pregar le sue preghiere

aggiunge, e tutta l'eloquenza sfodera:

Deh le dicea se il tuo fedel Zampiere

può nulla appo di te, placati, modera,

adorata reina, i sdegni tuoi:

un'altra volta vinceremo noi.

 

A quelle potentissime ragioni

il generoso ardir raffrena alquanto

l'irata Lionessa, e quei birboni

giura di sterminar: ma il duce intanto

Rinoceronte colla sua brigata

del regio stuol copria la ritirata;

 

Poichè il sol, che di già nel mar si tuffa,

e dà luogo alla luna ed alle stelle,

pon fine alla terribile baruffa,

e si ritiran queste schiere e quelle,

lasciando in preda alli voraci uccelli

gli estinti amici e i cari lor fratelli.

 

Oh quanto stato fora affar leggiero

sì grandi prevenir stragi ed eccidi,

se a tempo avesse pria volto il pensiero

a torre la cagion di quei dissidi

chi gli animi dovea porre in concordia,

in vece di attizzarli alla discordia!

 

Ma come mai d'intrigo e d'interesse

alma pasciuta in auge ascenderebbe,

s'ella il profitto suo trar non sapesse

da quella che di lei fiducia s'ebbe,

e dell'error, dell'ignoranza altrui

non abusasse per li fini sui?

 

Che direm di talun che lo strumento

della ruina pubblica si rende,

e all'empio comprator del tradimento

lo stato intier prostituisce e vende,

per interesse vil, da capo a fondo

capace ancor di por sossopra il mondo?

 

E se osi deplorar la pertinace

origine fatal di tanti mali,

s'osi bramar, s'osi invocar la pace

a sollievo de' miseri mortali,

l'inesorabil potestà tiranna

di proscritta pietà reo ti condanna.

 

Impunita ir non dee grida impostura,

l'intemperanza delle audaci lingue;

labbro profan, che il minister censura,

la fiducia e il vigor nell'alme estingue.

Così non schiavo sol, ma muto e cieco

e imbecille esser dei con altri e teco.

 

Ahi, misero mortal, dunque costretto

a piangere e a soffrire eternamente

sotto sferza di sangue, anche interdetto

ti viene il lagno tacito, impotente;

nè sol soffoga di ragion la voce,

ma la punisce l'oppressor feroce?

 

Vuolsi talvolta alfin, ma vuolsi invano,

porre alle stragi un termine e al dispendio;

troppo crebbe la fiamma, e più la mano

che l'allumò spegner non può l'incendio;

e se sull'ampia fiamma acqua allor getta,

tardo è il riparo, e il mal rinforza e affretta.

 

Oh quanti sono i perigliosi artefici

della miseria e dell'altrui sventura!

E quanto pochi quei Genj benefici

che a pro d'umanità creò natura!

Facile è oprar gran danno, e chi riparo

por sappia a tempo al mal ch'ei fece, è raro.

 

La maestà del regio Lioncino

il trucidarsi d'inimiche squadre

prendea per concertato giocolino;

e all'infuriar della signora madre,

credendo fosse sol per celia fatto,

ridea da pari suo, cioè da matto.

 

Di quell'animalin la stupidezza

fu presa per vigor d'animo forte,

che dalla prima gioventù s'avvezza

a sprezzare i pericoli e la morte:

tanto il ver delle cose e la natura

un'impudente adulazion sfigura!

 

Ma intanto l'astutissimo ministro,

volendo presso alla Reggente e presso

al pubblico, dell'esito sinistro

incolpar altri e discolpar se stesso,

fe' divulgar, per ottener l'intento,

perfidia esservi stata e tradimento.

 

Tanto più che comun persuasione

v'era di Corte fra le bestie altiere,

esser d'ogni altra schiera al paragone

invincibili ognor le regie schiere;

e s'eran vinte, era creduto e detto

di qualche tradimento esser l'effetto.

 

Rei finge allor la Volpe, e l'opportuno

per le vendette sue momento coglie;

se odio nutre o livor contro taluno,

oltre alla vita, anche l'onor gli toglie,

poichè l'odio del forte e del potente

delitto ognor divien per l'innocente.

 

La Volpe sostenea che necessario

era di tempo in tempo, un vigoroso

e un qualche esempio dar straordinario,

per contenere il popol rivoltoso;

che poi innocente o reo sia quei che tratto

viene al supplizio, è indifferente affatto.

 

Un quadrupede in Corte eravi allora

che in certi punti al Porco assai somiglia;

onde Porco indian si noma ancora,

benchè non spetti alla porcil famiglia;

ma send'egli animal straniero, ignoto,

col nome l'appelliam d'animal noto.

 

Babirussa dagl'Indi oggi s'appella,14

osservabil pe' due canini denti,

ch'escon dai labbri fuor della mascella;

e come eburne corna prominenti,

natura quasi con vigor soverchio

gli eleva, e indietro piega e curva in cerchio.

 

Il Babirussa, ognor dal Can protetto,

ognor del Can familiare e amico,

di primo offizial di gabinetto

posto occupò nel ministero antico,

e poco sempre amato avea la Volpe,

ed era la maggior delle sue colpe.

 

Non solo al Babirussa il posto tolse

la Volpe, appena al ministero eletta,

ma con odio implacabile risolse

farne alla prima occasion vendetta:

e se ministro tal vendetta giura,

la sorte della vittima è sicura.

 

D'illecita col Can corrispondenza

fu fatta contro lui falsa denunzia,

per cui di morte uscì final sentenza,

che gaiamente un minister pronunzia;

onde legato e riservato venne

ad un supplizio pubblico e solenne.

 

La sera a Corte in circolo privato

fu la giocosa question discussa

a qual supplizio, come reo di stato,

condannar si dovesse il Babirussa;

e ciascun su sì nobile argomento

fe' brillare lo spirito e il talento.

 

Chi disse, che bruciarsi a lento fuoco

dovea, per divertir gli spettatori;

e chi opinò doversi a poco a poco

mutilar da periti esecutori;

fu per decreto alfin definitivo

dannato ad esser scorticato vivo.

 

Perocchè tanto l'uom che l'animale

alla scorticatura è assai simpatico,

se non fisica sempre, almen morale;

e se la prendi in tal senso emblematico,

ovunque il guardo osservator tu giri,

scorticatori e scorticati miri.

 

Scortica chi governa i governati,

scortica i compratori il mercadante,

scortican conscienze i preti e i frati,

e scortica li sudditi il regnante,

gl'imbelli il forte, ed i babbei io scaltro;

e in somma ognun che può scortica l'altro.

 

Quando ciò seppe il principin, di gioja

tutto esultante, scorticarlo ei stesso

volea, poichè per lo mestier di boja

avea propension forse all'eccesso.

nè v'è di che stupir, che, belli o brutti,

i gusti lor particolari han tutti.

 

Più assai è da stupir che lo stesso ajo,

sì mite in apparenza e mansueto,

talor da scorticar coniglio o vajo

gl'introducea nello stanzin secreto.

Di che non è capace un vil soggetto,

che cerca a rio padron rendersi accetto!

 

E il principin, non men crudel che stupido,

le belle geste che in privato fea,

di macellesca orribil gloria cupido,

pubbliche e note renderle volea;

nè dal fatuo bestiuol mai sospettosse

che azion di sovrano infame fosse.

 

Ma la Volpe temè che al principino

un qualche giorno non venga in pensiero

di far con essa ancor lo scortichino,

per l'esercizio del gentil mestiero;

onde la funzion fe' per l'aurora

intimar, che dormia quel prence ancora.

 

Dunque dell'empia reggia in sul vestibolo,

di gran mattino, a vista della Corte,

i carnefici eressero il patibolo

per ivi porre il Babirussa a morte;

e assister volle allo spettacol fiero

la Reggente, la Volpe e il ministero.

 

E se nel crudo strazio il paziente

tramandava talor stridule voci,

con insulto crudel barbaramente:

Strilla adagino gli dicean gli atroci

esecutori del supplizio enorme

strilla adagin, che il principino dorme.

 

Così ministro di potente sire,

che altra legge non ha che i voler sui,

suol qual convinto malfattor punire

chiunque è reo di non piacere a lui;

ed alimenta coll'altrui dolore

l'alma feroce e l'insensibil core.

 

Come destossi il principino e apprese

che l'esecuzion, mentr'ei dormia,

compita era di già, d'ira s'accese,

e sostenne che sempre e chicchessia

era un sovran di scorticar padrone;

e l'ajo dava al principin ragione.

 

S'udir del Babirussa al caso atroce

e le bestie presenti e le lontane,

benchè selvaggie e d'indole feroce,

fremer d'orrore, e sopra tutti il Cane;

ma tanto il vil servaggio a Corte crebbe,

che farne apologia onta non s'ebbe.

 

Poichè rubelli e di rubelli amici

alla pietà, dicean, non aver dritto;

nè cal se delle vittime infelici

sia supposto o chimerico il delitto,

o se interesse fabbricollo, o invidia,

o di maligno delator l'insidia.

 

Nè cal se iniqua oppression tiranna

il malcontento universal produce;

e se i popoli smugne, angaria e scanna,

ed a crudel disperazion riduce,

chi ben sovente è reo più assai di quei

cui titol dassi di rubelli e rei.

 

Quando poi fra i quadrupedi insorgenti,

detti in Corte combriccola rubella,

del principin fur noti i sentimenti,

onde con passion nobile e bella

lo scorticar fea sua delizia e gioia,

per acre scherno, lo nomar Re Boja.

 

Nè della pungentissima censura

s'avvide il principin, nè se ne offese;

poichè imbecille lo formò natura

e l'educazion malvagio il rese;

grazie al cielo, uditor, sì crudel mostro,

sì imbecille animal non è re nostro.

 

Ma se lo fosse pur, che avrebbe a farse?

Scuoter il giogo che sul collo pesa?

Reclamar leggi e dritti, o almen lagnarse?

Saria fatta al sovrano insigne offesa:

inviolabil, sacri i regi sono;

e quai son, venerar li dei sul trono.

 

Ma la Reggente ciascun dì si chiude

più ore col ministro in gabinetto,

e vigorosa guerra si conchiude

fare ai ribelli; e vuolsi a tal oggetto

impiegar mezzi i più efficaci e attivi,

e i necessari far preparativi.

 

Si spediron corrier sopra corrieri

a tutti li quadrupedi terrestri,

animali più intrepidi e più fieri,

tanto palustri, che selvaggi e alpestri,

acciò pronti a difender la corona

vengano, e il trono e la real persona.

 

La Volpe allor pensò che aver convenga

al soldo della Corte un giornalista,

che pel governo gli animi prevenga

e metta ognor le cose in buona vista;

che di Corte agli oracoli si crede

come a infallibil regola di fede.

 

La Gazza dunque a tal mestier fu eletta,

che stese un periodico giornale,

che dal suo nome si chiamò gazzetta;

e, per distinzion più speciale,

da ogni giornal di qualunque altra sorte,

fu poi chiamato il gazzettin di Corte.

 

Tutte la Gazza allor sopra i rubelli

del tradimento rigettò le colpe,

e fe' gli elogi più pomposi e belli

del ministero, ed esaltò la Volpe

e l'adorabilissima Reggente,

e il gran cor celebronne e la gran mente.

 

Poi lodò gl'invittissimi guerrieri,

da cui vittoria tal fu riportata:

che se quei prodi non facean per meri

impulsi di pietà la ritirata,

di quei millantator l'armata tutta

irreparabilmente era distrutta.

 

Ma più che altri esaltò del Lioncino

il coraggio e i talenti, e fausti auspici

ne trasse pel quadrupede dominio,

ed i sudditi suoi chiamò felici;

e con adulator tuono patetico,

stomacò tutti, e lor servì d'emetico.

 

Altri giornali apparvero in effetto,

che, le cose ponendo al punto vero,

della Corte ogni vizio, ogni difetto

rilevaro e gli error del ministero;

ma, come alla rivolta instigatori,

perseguitati furono gli autori.

 

E benchè verità riconosciuta

oggi ella sia, non già sofisma e fola,

che aver debba ciascun piena assoluta

libertà di pensiero e di parola;

che se talun tal libertà gli toglia,

del più bel dritto natural lo spoglia;

 

pur, s'esser vuolsi in ragionar sinceri,

la petulanza esser dovea repressa

e la temerità de' gazzettieri;

poichè non da color dei fatti espressa

era la verità con quel candore

che conviensi a fedele espositore;

 

ma di division sparser semenza,

confuser le cagioni e il quando e il come,

e alla perversa lor maledicenza

d'opinione pubblica dier nome;

secondaro il disordine e il delitto,

e i furbi sol ne trassero profitto.

 

E l'instituzion, che a giusto fine

diretta esser potea, germe fecondo

d'instruzion, di lumi e di dottrine,

divenut'era un botteghino immondo

di calunnia, d'intrigo e di menzogna,

e di malignità fucina e fogna.

 

Or, come in dubbio omai più non si mette,

che le gazze non sian fra animali

le prime che stendesser le gazzette

bestie mendaci, garrule e venali,

perciò i loro discepoli e seguaci

furon venali, garruli e mendaci.

 

E in ver, come potrebbe esservi cosa

dall'origine sua diversa tanto,

che, se l'origin sua fu difettosa,

abbia d'integra e di perfetta il vanto?

Come da fonte limaccioso e impuro

scorrere umor potria limpido e puro?

 

Eppur da così torbida sorgente

spesso il suffragio pubblico dipende;

da tai fonti la fama assai sovente

regola e norma unicamente prende,

quando al giusto, al malvagio, al vile, al prode

distribuisce il biasimo e la lode.

 

Qual fia dunque stupor se il giusto e il saggio

oscuro ognor rimansi e sconosciuto,

poichè all'auge e al poter rende l'omaggio,

al merto solo e alla virtù dovuto,

la venal tromba che l'incerta e vaga

pubblica opinion fissa e propaga!

 

O Verità, del ciel figlia diletta,

che spesso ascosa e tacita ti stai;

e tu, santa Virtù, che sì negletta

fra noi sovente e inonorata vai;

ah se invano d'altrui premio attendete,

degno premio a voi stesse ognor sarete.

 

 

 




14 Babirussa, detto anche Porco o Cinghiale Indiano, quadrupede delle Indie orientali più alto, più svelto e più agile del porco; con pelo corto e morbido simile alla lana, con coda napputa: ha quattro grandi zanne, due che escono dalla mascella inferiore come nel cinghiale, e due che partendo dalla mascella superiore trapassano le labbra e se gli elevano fin sotto gli occhi, ove si ritorcono indietro circolarmente, e che perciò sembrano essergli d'imbarazzo piuttosto che di difesa. Vedi Linneo, Brisson, Seba, Grev, e sopra tutti Francesco Valentino descrizione delle Indie orientali.






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