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Giovanni Battista Casti
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CANTO DUODECIMO

 

LE GALANTERIE DELLA CORTE LIONINA

 

Mentre guerra civil scuote la face,

e la vendetta e la discordia pazza

bandisce dai quadrupedi la pace,

e l'un l'altro perseguita ed ammazza,

nella galante Corte animalesca

ferve l'intrigo e l'amorosa tresca.

 

Sovranamente domina e pompeggia

la danza, lo stravizio, il lusso, il gioco

nella brutal voluttuosa reggia;

e se altri piange e geme, importa poco;

non denno i suoi piacer torre alla Corte

le vittime per lei scannate e morte.

 

E le galanti belle e i lor serventi,

della regina nei privati crocchi,

concertano segreti appuntamenti,

e indulgente chiud'ella orecchie ed occhi;

gelosa del comando e del potere,

lascia libero altrui tutto il piacere.

 

Purchè per altro anche fra i suoi più cari

nessun mai non s'impacci, e mai nessuno

negl'intrighetti suoi particolari

(Poichè sappiam ch'ella ne avea qualcuno):

così per rubar meglio, i ladri scaltri

rubano, e lascian poi che rubin gli altri.

 

Oltre al desio di sodisfar se stessa

e le dilette sue propensioni,

per condursi così la Lionessa

avea le sue politiche ragioni;

poichè esser dee ciascun ben persuaso

che mai verun sovran non opra a caso.

 

E sapea ben (e quando ancor saputo

non l'avess'ella, sotto il magistero

avrialo appreso del ministro astuto),

sapea che per distrar l'occhio e il pensiero

di tutti i felicissimi animali

dal tristo aspetto dei sofferti mali,

 

fomentar la licenza e la mollezza

uopo era e da ogni fren sciogliere il vizio,

ed alla general dissolutezza

conceder liberissimo esercizio;

ciascun così, di voluttà satollo,

non sente il giogo che gli sta sul collo.

 

Io discuter non vo' presentemente

massime tai, se buone siano o rie,

solo dirò che le adottar sovente

repubbliche non men che monarchie,

e che dalla politica volpina

le apprese la quadrupede regina.

 

Se Damma v'è, se Cavriola o Cerva

della Reggente dal favor distinta,

al politico intrigo uopo è che serva

d'amor la passion mentita e finta;

e anche bestia vi fu che insana ed ebra

d'amor si finse per la bella Zebra.

 

E che v'è mai di così sacro al mondo,

di cui, nell'oprar suo fallace obbliquo

di politica infame il mostro immondo

abuso far non soglia indegno, iniquo?

Amor, pietà, fe la più intatta e pura,

ragion, giustizia, onor, tutto sfigura.

 

La Lionessa intimamente acuto

stimolo risentia, smania, prurito,

cui resistere men avria potuto

che a qualunque altro suo forte appetito,

d'investigar di ciaschedun le oscure

galanti storiette e le avventure.

 

E a sodisfar sì nobile desire

servita a meraviglia era dal Gatto;

e giunta di taluno a discoprire

amoretto secreto, occulto fatto,

maliziosi fea racconti scaltri

per veder corrucciar gli uni cogli altri.

 

E poichè sparso fra gli amanti avea

di gelosia e di discordia il seme,

fra loro interponendosi, godea

rappattumarli di bel nuovo insieme;

strano piacer! ma de' sovran capricci

voler render ragion, son bell'impicci.

 

Che se taluna a torle i drudi aspira

o ardisce sol con quei far la civetta,

feroce ed implacabile nell'ira

e terribil divien nella vendetta;

noi da possente femmina che avvampi

di geloso furore, il cielo scampi.

 

Ed in prova di ciò, certo incidente

or qui narrar vi vo' per episodio,

che gli animi inasprì più crudelmente,

e più attizzò l'inimicizia e l'odio.

Tanto dunque eccitar, tanto furore

può gelosia crudel figlia d'amore?

 

Talor la Lionessa solit'era

irsene a passaggiar colle sue dame,

come sogliono fare in sulla sera

le regie principesse e le madame;

che, dopo i tanti affar sì grandi e grevi,

qualche cosa ci vuol che la sollevi.

 

Da bagnarsi venia, come ha costume;

che un de' più favoriti piacer sui

fu di bagnarsi e di notar nel fiume:

felici tempi eran pur quelli in cui

(Cosa che ai nostri dì più non riesce)

notavan le regine al par del pesce.

 

Or più non notan le regine, e han torto;

anzi par teman l'acqua e l'aria e il sole:

ma lasciam che ciascun per suo diporto

faccia ciò che gli piace e ciò che vuole.

Tornando essa alla reggia, il guardo a caso

rivolse e vide... oh vista! oh brutto caso!

 

Furtivo di lontan l'Asino scorse

dal quartier della Tigre uscir di fretta;

E un geloso sospetto, ingiusto forse,

tenne per certo, e ne giurò vendetta;

dal che dedur si può che alla Reggente

l'Asin non era affatto indifferente.

 

Io lo so ben che gelosia travede,

il reale confonde col chimerico:

spesso ciò che ombra è sol, sostanza crede,

e per quadro talor prende lo sferico;

nè di là forse in fretta e di soppiatto

l'Asino uscì, ma che ne uscisse è un fatto.

 

Io di color, ch'aman di metter male

fra due bell'alme che si voglion bene,

sarò sempre nemico capitale,

ma dire ancor la verità conviene;

la Lionessa allor ben ragionò:

Di là l'Asino uscì, dunque v'entrò.

 

Come fu sola, il fece a se venire,

e con un guardo che lo fe' tremare,

in rauco, irato suon gli prese a dire:

Or cosa colla Tigre hai tu che fare?

Cui l'Asino, confuso e timoroso:

Una visita... un atto doveroso...

 

Ma la regina, con cipiglio fosco,

Tu visite? interruppe; indegno, e a me

vender pensi tai ciance? eh ti conosco,

tu visite non fai senza un perchè;

scusa, se puoi, tratto sì infame e sporco;

parla, s'hai cuor, parla, Asinaccio porco!

 

Questo dunque è il pudor, dunque son questi,

Asin vituperoso e libertino,

i belli esempi ed i costumi onesti

che insinuar dovevi al principino?

Chi diavol mai mi suggerì il consiglio

di dar per Ajo un Asino al mio figlio?

 

Ed io, credula bestia, io, bestia buona,

t'accordo i favor miei, t'esalto e inalzo?

Ma pensa ben che son la tua padrona,

e d'alto al basso, ognor ch'io vo', ti sbalzo.

Di soffrire gl'ingrati omai son lassa,

tientelo a mente ben: chi inalza, abbassa.

 

Giustificarsi egli tentò, ma invano,

che la voce mancogli e la parola.

Colei gli volta intanto il deretano,

entra nel gabinetto e a lui s'invola;

e quei fin colà dentro (oh bell'ardire!)

l'adirata regina osò seguire.

 

Quai sillogismi l'Asino impiegasse,

io non trovo scrittor che ce li esponga:

ma che lo sdegno di colei placasse,

non v'è classico autor che in dubbio il ponga.

Viva ragion trionfatrice! E viva

la possente asinil persuasiva!

 

Ma lo sdegno implacabile che nasce

da gelosia nel cuor d'una regnante,

di desio di vendetta ognor si pasce;

e se alcuna ragion preponderante

pone talor alli suoi sdegni un freno,

vuol d'altra parte un qualche sfogo almeno.

 

Perciò la Tigre congedò, e la fece

dalla reggia sloggiar la stessa sera;

la carica le tolse, ed in sua vece

gentil bestia maggior fe' la Pantera;

e colla Tigre posela in confronto,

per render più sensibile l'affronto.

 

Or lascio a voi pensar in quanta furia

montar dovesse la terribil Tigre

a sì solenne, strepitosa ingiuria,

se le bestie più deboli e più pigre,

i torti e le avanie che lor si fanno,

dissimulare e perdonar non sanno!

 

Più omai riguardi e limiti non tenne,

e decisa nell'ira e violenta,

degl'insorgenti alla spelonca venne,

e con aspetto fier lor si presenta:

e spumando la bava dalle labbia,

parla in un tuono di furor, di rabbia:

 

O voi, che sofferir la tirannia

e il giogo vil del lionino impero,

e a quella perfidissima genia

sdegnaste assoggettar l'animo altero,

a voi viene la Tigre, ed offre a voi

e l'opra sua e de' seguaci suoi.

 

Dunque una scandalosa Lionessa

l'onesta Tigre in quelle taccie implica

da cui mai non potrà purgar se stessa,

e osa farmi passar per impudica?

«Ah, pria fulmin dal ciel sovra me scenda,

«santa onestà, che le tue leggi offenda!

 

Ma che dich'io! non sol colei mi taccia

in parte tal che incensurabil credo;

di Corte ancor, qual fante vil, me caccia,

me che in conto veruno a lei non cedo;

dei men forti or che fia, se tali insulti

contro fere mie pari andranno inulti?

 

S'uniscano gli sforzi, e a quella Corte

si porti eterna ed implacabil guerra,

eterno odio si giuri, ed odio a morte,

e il seme se n'estirpi dalla terra.

Mentre così dicea quella feroce,

tutti applaudiron di concorde voce.

 

Vi fu ancor chi opinò che si dovea

tosto la Tigre dichiarar regina:

la generalità dell'assemblea

non però mica a quel parere inclina;

che leggerezza fora, anzi follia,

ristabilir fra lor la monarchia.

 

Onde, fintanto che non si conforma

quella bestialità confederata

di governo legittimo a una forma,

su fermo e stabil piè, fu dichiarata

la Tigre in quella sessione istessa

dell'opposizion Generalessa.

 

Ora mi si permetta un'accesoria

riflession che natural mi pare,

che, per non interrompere la storia,

in fin ad ora differii di fare;

qui pertanto cred'io che stia a suo luogo,

e mi sento crepar se non mi sfogo.

 

Ho già detto altre volte, e quel che ho detto

io detto l'ho di buona fe, che il Toro

fosse della regina il prediletto;

ma più che il fatto consultai il decoro;

che or vedo, e lo vedrebbe anche un baggeo,

che l'Asino era il vero cicisbeo.

 

E siccome esser docile mi pregio,

solennissimamente or mi ritratto;

scusa merto però, se di più pregio

un Toro che un Somar credei di fatto:

ma ben io so che il dir: così esser de',

è diverso dal dire: così è.

 

Or tolga il ciel ch'io censurar pretenda

le belle passion de' regj cori,

e che a decider leggermente imprenda

sul merito degli Asini e dei Tori:

forse l'Asin possiede arcane doti

e pregi solo a regie bestie noti.

 

E questo fa veder quanto è buffone

chi vuol che sempre, in giudicar, le regole

si debbano seguir della ragione;

ciò andrebbe ben, parlando di pettegole,

non già quando trattiam di regie dame,

che tutto han grande, anima, core e brame.

 

E inver quel limitarsi ad un sol gusto

d'ogni altro intollerante ed esclusivo,

indizio egli è di cor volgare, angusto;

ogni ben per natura è diffusivo:

che gioveria se di profumi un vaso

non spandesse l'odor che per un naso?

 

La regina però che sempre avea

un qualche gusto solito ordinario,

siccome è di ragion, contar volea

qualche intrighetto ancor straordinario,

sapendo ben, come il sappiam noi pure,

che gli ordinari ognor son seccature.

 

Pertanto, senza fare altro diverbio,

si vede ch'ella, per cavarsi l'uzzolo,

la maniera trovò, giusta il proverbio,

due uova d'assettar nel panieruzzolo.

Oh parlatemi poi su tai materie

di ragion... di decoro... e altre miserie!

 

Piuttosto è da stupir dell'asinina

indole incontentabile incostante,

che, godendo il favor della regina,

con altre ancor facendo iva il galante.

Una regina! andar si può più su?

Cosa un Asin potea sperar di più?

 

Ma in ciascun animal, fin dacch'ei nasce,

desio di novità pon la natura,

onde ciascun di novità si pasce;

più variar che migliorar procura;

annoja il buon sovente, annoja il bello,

ed oggetto si segue ognor novello.

 

Mi fan ridere inver certi barbogi,

che in autorevol tuon facendo vanno

della costanza i più pomposi elogi;

costor cosa si dicano non sanno;

essere immobilmente ognor costante

è il pregio de' pilastri e delle piante.

 

Mira talun nel fior di gioventù:

rimanersi non può fisso in un loco;

corre di qua, di là, di sù, di giù,

pien di vigor, d'attività, di fuoco;

coll'età poi si calma, il vigor manca,

e per poco che muovesi, si stanca.

 

Or che dedur da ciò mi son prefisso?

Vo' dedur che, finchè gioventù dura,

s'ama cangiar: esser costante e fisso

è cosa propria dell'età matura;

costante è l'amator sessagenario;

ma giovin fresco è di parer contrario.

 

Or l'Asin era un giovanotto fresco,

che d'una tal complession gioiva,

ferrea, robusta, ardente; e il somaresco

entro le vene sue vigor bolliva;

or ella non saria gran stravaganza

da sì fatto amator chieder costanza?

 

Per l'Asin vi sarebbe anche altro a dire,

qualor l'apologia volessi farne:

ma cose sono che non si ama udire;

e benchè fora meglio a non parlarne,

(sia vizio, sia virtù) le cose vere,

per quanto io faccia, non le so tacere.

 

La Lionessa era una gran signora,

ma cominciava a divenir vecchietta,

che crescon gli anni alle regine ancora,

nè grado, nè potenza età rispetta;

e vanità o interesse in giovin core

vecchia regina inspira, e non amore.

 

Ma la Tigre è nel fior di giovinezza:

superbo pel, manto il più bel del mondo,

nell'aspetto una nobile fierezza,

ricco di dietro è l'edifizio, e tondo;

tutte in se le beltà brutali accoglie,

grassotta sì, ma il grasso il bel non toglie.

 

Or che per un momento, in cortesia,

ciascun nei piè dell'Asino si ponga;

e starommi a veder se alcun vi sia

che la vecchia alla giovine anteponga;

se ciò sdegnano udir regine vecchie,

non so che dir, si turino le orecchie.

 

Lo so anch'io che vi son de' dilettanti

d'un certo tal particolare umore,

che attempatette amano aver le amanti,

come più esperte negli affar d'amore,

e a tempo san... ma alfin che v'è di strano?

Son vari i gusti, e disputarne è vano.

 

I professor più accreditati almeno,

fra' quai primier l'Asin fu ognor tenuto,

non sofistican mai sul più e sul meno,

nè stanno a esaminar tanto al minuto;

se ciò non fosse, in limiti assai stretti

si ridurrian del loro amor gli oggetti.

 

Forse mi s'opporrà che a fare imprendo

il patrocinator delli somari,

e che troppo sovente mi distendo

in glosse, in appendici, in corollari;

chiedo perdon, ma ciò che penso e credo,

io lo vo' dir: su punto tal non cedo.

 

La Lionessa esser vecchietta alquanto

dissi, e tal era inver; ma ciò, s'intende,

attempatetta sì, ma poi non tanto,

come consta dal fatto e si comprende;

e come poi da ciò che mi preparo

fra poco a dirvi, apparirà più chiaro.

 

La real maestà della Reggente,

dopo i più serj affar, si divertia

coll'Orso a intrattenersi assai sovente,

per veder qualche sua buffoneria,

e distrarre così l'alma e il pensiero

dalle cure gravissime d'impero.

 

L'Orso credè che avesse la regina

presa una bella passion per lui,

e a farle incominciò qualche moina;

se n'avvide ella, il gran piacer di cui

fu il lusingar gli amanti; e in quella folle

lusinga ardita confermarlo volle.

 

E un dì, quasi in riserva avendo detto

che la seguente notte ella sarebbe

ita al passeggio nel vicin boschetto,

ghignando, domandò se anch'ei v'andrebbe;

l'Orso, esultando allor, credè il quesito

equivalente ad un espresso invito.

 

Grazie ei le rese, ed affrettossi a dire

che procurata si saria tal sorte.

Partito l'Orso, ella fe' a se venire

Scrofa, che levatrice era di Corte,

e che le altrui maniere, i moti, il passo

contrafacea sì ben, ch'era uno spasso.

 

Costei 'n Corte godea la confidenza

delle dame più giovani e galanti,

che per salvar l'esterior decenza,

in certi sen valean critici istanti:

dunque, com'io dicea nell'altra strofa,

fe' la sovrana a se venir la Scrofa.

 

Imbacuccati, disse, e a notte oscura

va nel boschetto, e quando l'Orso viene,

me contraffar più che tu puoi procura;

poi viemmi a riferir ciò che ne avviene.

Lascia a me far, la Scrofa allor ripiglia

che tu sarai servita a maraviglia.

 

Dall'alloggio real lungi non molto,

sorgea, dal gran sentiero alquanto fuori,

un boschetto di mirti ombroso e folto,

e lo dicean boschetto degli amori;

ove a sollazzo gian coi lor galanti

lascive dame e damigelle amanti.

 

Pria del levar, dopo il cader del sole,

o sul caldo meriggio, all'aura fresca,

ivi internar, ivi sdrajar si suole

il fiore della Corte animalesca;

e quei segreti, solitari luoghi

prestano il campo agli amorosi sfoghi.

 

Al comando sovran colà si rende

l'imbacuccata Scrofa a buja notte,

e quando l'Orso avvicinarsi intende,

alcune proferì voci interrotte;

la regina ei la crede, e a lei la zampa

corre a leccar, e di desir avvampa.

 

Dolce l'accoglie e l'accarezza anch'ella,

e mentre ad isfogar l'orsina foja

ei s'accingea, s'avvide alfin che quella

che prendea per regina, era una troja.

Dispar, sghignando, la troja bagascia,

e il deriso amator confuso lascia.

 

Così chi dissipato ha il patrimonio

nel chimico-alchimistico lavoro,

in vitriolo, arsenico e antimonio,

sovente sogna di notar nell'oro,

sogna di primeggiar fra duchi e prenci,

poi si desta, e si trova ancor sui cenci.

 

Non altrimenti le lascive voglie

l'adultero Ission già un tempo spinse

in fin di Giove alla superba moglie,

e invece di Giunon la nube strinse.

Questo secondo esempio esser io stimo

un'ideal ripetizion del primo.

 

La celia in Corte allor si sparse, in guisa

che dei privati e pubblici discorsi

tema divenne, e se ne fer gran risa,

e i sciocchi amor fur detti amor degli Orsi;

ma l'acume dell'Asino, da questo,

di finger gelosia prese pretesto.

 

Per una specie di vendetta, volle

alla regina render la pariglia.

E gentilmente un dì rimproverolle

le confidenze che coll'Orso piglia;

quando al pover Zampier, che non ha moglie,

persino di far visite si toglie.

 

Rise la Lionessa, e: l'insolenza

ti perdono dicea di tal discorso;

osi insegnarmi tu la differenza

Fra i meriti d'un Asino e d'un Orso?

Quegli è un buffon; tu noto sino all'Etera,

Ajo, Zampier, cantor famoso... eccetera.

 

L'Asin d'interna compiacenza esulta,

e drizzando l'orecchia un salto fece,

e andar vedendo l'insolenza inulta,

preso ardir, soggiungea: quei che in mia vece

da Zampiero però talor suol fare,

che tal disprezzo meriti non pare.

 

Ciò l'Asino dicea, perchè in effetto

dei meriti del proprio sostituto

divenuto era alquanto gelosetto;

ma la regina, in tuon più sostenuto:

Olà, nei fatti miei com'entri tu?

disse; e l'Asino allor non parlò più.

 

Stavasi a orecchie basse il pover CiuccIo,

e gli apparian le lacrime sugli occhi;

e ben mostrò, quanto sul vivo il cruccio

dell'augusta sua bella il cor gli tocchi.

Se in casi vi trovaste eguali a quello,

anime innamorate, a voi ne appello.

 

Calmata, intenerita a quella scena,

la sensibilità dell'Asin loda

la Lionessa, e la coda dimena;

poichè sappiam che il dimenar la coda

nelle codute specie è un espressivo

segno si sentimento intenso e vivo.

 

Prova aneddoto tal, che poco punge

rimprovero che al ver non s'indirizza;

ma s'è vero, e sul vivo a toccar giunge,

la punta coscienza irrita e adizza;

ma torniamo a parlar di quel boschetto,

di cui poc'anzi alcuna cosa ho detto.

 

Parea che nel boschetto degli amori

dalla natura fosser costruiti,

per comodo e piacer degli amatori,

rimoti nascondigli, occulti siti,

recessi intricatissimi e selvaggi

e ciechi laberinti e romitaggi.

 

E pare ancor che ai nostri dì la bestia,

che in pubblico suol far la sua bisogna,

abbia colla parola, la modestia

perduta a un tempo stesso e la vergogna;

ma del pubblico ai sguardi allor celava

certi suoi fatti, e in antri o in boschi entrava.

 

E noi però, che siam modesti in oggi,

come modeste allor le bestie furo,

cerchiam segreti ed appartati alloggi,

acciò resti il pudor coperto e puro;

e han boschetti d'amor le corti ancora,

come l'avea la brutal Corte allora.

 

Non qui perdon gl'istanti in belle frasi

e in lezioso inutile discorso,

che ai svenevoli amanti in certi casi

sovente del piacer ritarda il corso;

ma tutto ivi abbandonasi l'armento

alla vivacità del sentimento.

 

Ivi alternan fra lor gli amplessi e i baci

le bestie d'ambo i sessi e d'ogni genere,

fervide, foJosissime seguaci

d'indomabile amor, di vaga venere,

e incognita talor la Lionessa

veniavi all'ombra della notte anch'essa.

 

Per arti, per dottrine e per mestieri

l'accademie si rendono famose,

per la virginità li monasteri

e per la santità trappe e certose;

e per galanterie, per amoretti,

dica chi vuol, ci vogliono i boschetti.

 

Gli amor de' regi drudi e cicisbei

(Che cede ognun della sovrana a fronte)

primi in ordine son, poi vengon quei

della Giraffa e del Rinoceronte,

della Pantera alfin col Leopardo,

che bestie sono di maggior riguardo.

 

I depurati, generosi affetti

delle bestie di gran condizione,

convien che ognun li guardi e li rispetti,

come quelli di Giove e di Giunone;

ma delle bestie in dignità minori

ciascun sbeffa e riprova i folli amori.

 

Gatto, Micco, Capron, Cinghiale e Tasso,

Caprio, Cervo, Monton, Cammello e Lupo,

maschi e femmine a gruppi ivano a spasso,

e si perdean del bosco entro il più cupo;

e in quel buior chi numerar mai può

quanti accadeano sbagli e qui pro quo?

 

Escon fuor dai segreti nascondigli

fra le frondose piante e l'ombre amiche,

e con sommessi queruli bisbigli

cercan pasco alle lor voglie impudiche,

onde tanti non mai, sino ai dì nostri

fur feti ambigui e parti spuri e mostri.

 

Per chi le storie animalesche lesse

cosa in oggi non è più controversa,

che un brutal jus canonico esistesse

per cui, fra bestie di specie diversa,

reputato era adulterino e lercio,

mostruoso, illegittimo il commercio.

 

S'ammetta sol di certe specie in grazia,

poco fra lor dissimili e lontane,

nate da un ceppo stesso, exempli gratia,

di Cavallo e Somar, di Lupo e Cane;

e in certi gradi dagli allocchi stessi

i brutali connubj eran permessi.

 

E le specie alterandosi con quelle

mescolanze moltiplici e frequenti,

si formar d'animai specie novelle,

ne' tempi anterior non esistenti;

ma ciascuna le tracce in se ritenne

dell'origine prima onde provenne.

 

E appunto allor d'Affrica giunse a sorte

animale di tal categoria,

che gran distinzioni ottenne a Corte

per la nobile sua fisonomia,

mista di cervo, di caval, di toro,

bench'ei non fosse della specie loro.

 

Svelto, gentil, bell'animal, cui fralle

corna origine prende il folto crine

che pel collo gli scende e per le spalle;

e nelle region più al sol vicine

fra le africane sabbie egli dimora:

ma il nome ver se ne ignorava allora.

 

Onde, per mostrar quanto erale caro,

la Reggente volea di stima un segno

pubblico dargli, e lui crear Somaro:

poichè animal che regga impero o regno

di poter facil crede, e si figura,

agli oggetti cangiar perfin natura.

 

Ma il Gran Cerimonier ciò di buon grado

non vide, e lei da tal pensier distorna,

dimostrando che l'Asino, malgrado

gli alti meriti suoi, non ha le corna,

e lo stranier fra i pregi suoi parecchi,

non ha l'onor degli asinini orecchi.

 

Per consiglio del Gran Cerimoniero,

grazioso onorifico diploma

allor la Lionessa allo straniero

spedì, con cui Cervo-Caval lo noma;

perciò Ippelafo il greco autor lo disse,

che del regno animal la storia scrisse.15

 

Tutte le belle, per averlo amante,

entrarono fra loro in competenza,

Zebra e Cerva però su tutte quante

ottennero da lui la preferenza;

pensò, poi scosse le dubbiezze sue,

e si decise alfin per ambedue.

 

Che Zebra e Cerva eran credute e dette

fra tutte le più belle ed avvenenti,

e in conseguenza anche le più civette,

ed avean drudi e cavalier serventi;

lo che l'invidia attirò lor di quelle

che si credean meno avvenenti e belle.

 

Più ardente in cor nutria la Maggiordoma

pel leggiadro stranier smania amorosa,

e per orgoglio avea compressa e doma

tenuta in fin allor la fiamma ascosa.

Ma quella passion tanto in lei crebbe,

che di celarla omai forza non ebbe.

 

E trovatolo a caso entro al boschetto,

gli palesa l'ardor che la tormenta

e che star più non può racchiuso in petto;

la di lui vanità lusinga e tenta,

Se vantando possente e grande e forte,

e l'alto rango e i primi onor di Corte.

 

Simpatia non avea per la Pantera

l'Ippelafo, e cercò trarsi d'impegno;

Disse che grato a sua eccellenza egli era,

ma che di tant'onor credeasi indegno;

che oltre di ciò tanti animai di credito

piccato avria, che avean di lui più merito.

 

E puoi colei ripiglia e puoi, crudele,

veder una par mia così languire?

Sempre così fra inutili querele

dovrò d'amor la tirannia soffrire?

Or, mentr'ella lagnavasi in tal guisa,

udì improvviso uno scoppiar di risa.

 

Era la Cerva poc'anzi venuta

colà coll'Ippelafo a sollazzarse,

nè da colei volendo esser veduta,

era dietro un cespuglio ita a celarse.

ma la Pantera, che di lei s'accorse,

sbuffando di furor, sovra le corse.

 

Come a traverso delle folte piante

s'invola al cacciator starna o beccaccia,

fugge la Cerva, e la schernita amante

invan l'insiegue e perdene la traccia:

onde torna alla reggia, e d'ira freme,

che a forza in petto, per vergogna, preme.

 

Superba intanto dei favor reali,

la Zebra ardea di gelosia, di sdegno,

poichè in amor non vuol soffrir rivali;

e di zel ricoprendo il rio disegno

varie contro di lor calunnie finse,

e come ree di fellonia le pinse.

 

E la Volpe sedur forse potea,

che ognor la Volpe esecutrice e serva

fu del voler di chi 'l favor godea:

ma grand'appoggi in Corte avea la Cerva,

fantesche, cameriste e altri, che spesso

alla sovrana avean privato accesso.

 

Pur della maggiordoma era per lui

l'offeso amor più periglioso assai;

che non obblia l'altiera i favor sui,

più volte offerti, e non curati mai:

come una pari sua così negletta,

come potea non meditar vendetta?

 

Perciò Toro e Caval, bestie di garbo,

ch'avean pell'Ippefalo affezione,

pria ch'ei non ricevesse un qualche sgarbo,

consigliarlo a scansar l'occasione;

ond'ei le belle sue piantò ben tosto,

e andò a gettarsi nel partito opposto.

 

Poichè il bel damerin colà si rese,

dalle gelose femmine scappato,

la Tigre in tanta affezion lo prese,

che, per non distaccarselo dal lato,

aitante suo di campo ella nomollo:

favor grande; ma poi caro pagollo.

 

Io non so se la Tigre ebbe o non ebbe

coll'Ajo intrighi e pratiche amorose,

come secondo i calcoli parrebbe;

so ben, nè mai scrittor in dubbio il pose,

ch'ella non men d'amor per l'Ippelafo

arse, che per Adon la dea di Pafo.

 

Or ch'esalti chi vuol di donna schiva

la rigid'alma ed il contegno austero,

e dica: oh costì poi non ci si arriva:

v'è della Tigre un animal più fiero?

Intrattabil, terribile... che importa?

Eccola là... innamorata morta.

 

L'Ippelafo era dunque un animale

di natura composta e origin doppia,

che fa classe distinta e naturale,

e di più specie la sembianza accoppia;

legittimo animal, nè mostruosa

ei dir si dee, nè sconvenevol cosa.

 

I parti poi, com'anche a' tempi nostri,

d'eterogenea union, mostri eran detti:

tal è la vera origine de' mostri;

ma come fissi mai limiti e oggetti

la brutal sfrenataggine non ebbe,

de' mostri all'infinito il numer crebbe.

 

Non è dunque stupor, se allora avvenne

un di quei casi sorprendenti e strani,

che raro avvenir sogliono, e che tenne

per più giorni inquieti i cortigiani;

forse silenzio lo dovria coprire,

ma istorico fedel dee tutto dire.

 

Infin, nausea a recar, forse non s'ode,

nelle storie de' prenci, unicamente

magnificar ciò che risulta in lode?

Perchè applaudir sempre a chi adula e mente

perchè il bello del quadro, e non il brutto

sempre scoprir, nè mai mostrarlo tutto?

 

Parea da qualche tempo a più d'un segno

(Quantunque molti nol volesser credere)

che la regina avesse il ventre pregno;

ma si dovette all'evidenza cedere,

poichè la tumidezza in guisa crebbe,

che di prossimo parto indizio s'ebbe.

 

Allor con manifesto, e nelle forme,

al pubblico la Corte annunziollo,

dicendo che, al comun desio conforme,

il cielo con un postumo rampollo

la sacra razza propagar destina

della real famiglia Lionina.

 

Onde i fedeli sudditi divoti

imploraro il favor del Gran Cucù,

che sano e salvo ai loro prieghi, ai voti

conceda un regio animalin di più;

a mille i regj animalin pur nascano,

son sempre doni che dal cielo cascano.

 

In fatti un dì nelle secrete soglie,

già dal parto vicin precorritrici,

la Lionessa risentì le doglie,

e si chiamar mammane e levatrici;

ed ecco... oh ciel!... Qual feto informe è quello?

Qual massa? È Lioncino? È somarello?

 

Egli è uno sconcio aborto di natura,

di Lione e Somaro egli è un innesto:

orecchie e piè son d'asinil struttura,

d'asin la coda, e di Lione il resto:

in somma, o bestie, il principino vostro,

il vostro regio animalino, è un mostro.

 

Figuratevi voi quanto scompiglio,

quanta produr dovè sorpresa in Corte

l'apparizion del mostruoso figlio;

fenomeno volean di simil sorte

al pubblico celar... ma già veloce

sparso n'era il rumor di voce in voce.

 

La maligna calunnia e derisoria

suoi calcoli facea dal dì che morto

era Lion Primier, buona memoria,

sino al giorno natal del regio aborto,

e coll'Asin zampier le conferenze

rammenta, e le segrete confidenze.

 

E perchè per istinto naturale

piace il frizzo maledico e si crede,

e presso chi è portato a pensar male

anche i vaghi sospetti acquistan fede,

conseguenze però traean sovente

contro il sacro pudor della Reggente.

 

Quindi le bestie più sensate e dotte,

che da tai cicalecci insulsi e sciocchi

non così facilmente eran sedotte,

provar che, fissa stando avanti agli occhi

della Reggente l'asinil sembianza,

nel feto impress'avea sua somiglianza.

 

Altri dicean però, tai bagattelle

non far del fu Lion torto alla moglie;

voglie innocenti d'Asino esser quelle

o d'orecchia o di coda, è ver, ma voglie;

voglie, e non altro; nè potersi alfine

impedir d'aver voglie alle regine.

 

Ciò prova che fra bestie anticamente

non era il tuon della virtù sì austero,

nè s'esigea che casta ancor di mente

una femmina fosse e di pensiero;

donna or non dee desiderar fra nui

cosa non sua, non che la coda altrui.

 

Comunque sia, tre giorni appena scorsi,

per sorte il doppio bestiolin morì,

e lo scandol troncò di quei discorsi.

Chi il fatto allor negò, chi lo coprì;

e se dimenticato appien non fu,

in breve almeno non parlossen più.

 

Ma pria che s'interrasse, a domandarlo

erasi presentato un notomista,

per porlo in acquavite e imbalsamarlo,

e sporlo poi pubblicamente in vista:

che usa ne' gabinetti, anche a' dì nostri,

di conservare imbalsamati i mostri.

 

Le cortigiane bestie, inorridite,

credetter che riporre un mostro regio

in spirito di vino o in acquavite

profanazione fosse e sacrilegio,

e la temerità di quel buffone

punir con cinquant'anni di prigione.

 

Ed attaccato immobilmente a un graffio,

per ricordo alle bestie letterate,

in fronte se gli affisse un epitaffio,

che, insolenti (dicea) bestie, imparate;

così punito vien chi non onora

i regj aborti e i regj mostri ancora.

 

Qui talun forse mi farà il quesito:

Che facea, che diceva il grave, il saggio

solitario teologo romito,

in mezzo al general libertinaggio?

Come soffrir potea tante licenze

l'austero direttor di coscienze?

 

Facile è la risposta e naturale:

l'austerità del venerando Allocco

tutta è apparente, e nulla ha di reale;

ma sciocco è ben chi lui credesse sciocco;

ch'anzi egli è un animale astuto e scaltro,

d'artifici maestro al par d'ogni altro.

 

Col comun, che si regola a seconda

del mal sicuro esteriore aspetto,

nè il guardo filosofico profonda

a scandagliar ciò ch'altri chiude in petto,

prende inspirato tuon da ignoto Nume,

grave contegno e rigido costume.

 

Ma ben guardato si saria di fare

il critico e il censor della sovrana,

e di disapprovar qualunque affare

e qualunque più impura opra profana

ch'ella o voglia, o permetta, o vi consenta,

che anzi laudabil cosa allor diventa.

 

In somma, er'ei sacerdotal ministro,

e intendea molto bene il suo mestiere,

e sapea, s'uopo fia, cangiar registro.

il guardo intorno volgasi e il pensiero,

e vedrassi che aspetto e nome spesso

cangian le cose, e il mondo è ognor lo stesso.

 

 

 




15 Ippelafo, cioè Cavallo-Cervo, così detto da Aristotele; è un animale, che partecipa del cavallo e del Cervo, e come comunemente si dice anche del Toro, e perciò detto ancora Toro-Cervo. Aristotele la pone fra gli Aracoti, popoli fra la Persia e l'India; ma quello, che oggidì è più conosciuto è un animale dimorante nell'interno dell'Africa, e dagli Ottentotti chiamato Gniù, che ha la testa e le corna del Toro, la leggerezza e il pelame del Cervo, e la criniera, la code e le forme del Cavallo; forse a questo animale deve riportarsi il Tragelafo ossia Irco-Cervo di Plinio, tenuto comunemente per favoloso e chimerico, e di cui pare che parli pur anche Diodoro Siculo, bench'ei lo ponga in Arabia. Può vedersi la figura fatta incidere dall'Allamand, e riportata dal Buffon; essendo detto Allamand il naturalista che con più precisione ha parlato di questo animale.






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