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Giovanni Battista Casti
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CANTO DECIMOSESTO

 

LE NEGOZIAZIONI

 

Debbe l'utile storia aver due facce:

una rivolta a ciò che un tempo avvenne,

e l'altra all'avvenir, sicchè le tracce

di ciò che avverrà poi da lungi accenne.

in fisica e in moral, tutto nel mondo

di fondo in cima va, di cima in fondo.

 

Delle antiche perciò bestie parlanti

le vicende in udir, le costumanze,

maraviglia non è se somiglianti

si trovan spesso alle moderne usanze;

tal cosa crederai recente e fresca,

e fu pratica antica animalesca.

 

E anche oggidì nell'Europee contrade,

ove sorge ragion, l'errore cadde,

spesse volte in veder ciò che ora accade,

parmi veder ciò che fra bestie accadde,

e veder parmi nelle storie umane

l'Asino primeggiar, la Volpe e il Cane.

 

In quel de' due partiti aspro conflitto,

ivan le cose allor di male in peggio,

nè tratto ancor se n'era altro profitto

che la strage reciproca e il saccheggio;

ed oltre a tanti danni e a tanti orrori

v'eran sempre a temer mali maggiori.

 

Che d'ogni intorno, e fin sotto alla Corte,

coperti i campi, ingombre le foreste,

e pieni i fossi eran di bestie morte,

presagi infausti di vicina peste:

e già vapor maligni intorno pieno

avean l'aer di putrido veleno.

 

Di guerra inseparabile compagna

fame, crudel flagello, ancor sovrasta;

che de' prodotti suoi l'ampia campagna

inimico furor spoglia e devasta,

e interamente ha omai guasti e distrutti

fior, piante, frondi, erbe, semenze e frutti.

 

E ognun, vedendo il tutto ire in ruina,

credea doversi omai cangiar registro:

sol l'orgoglio fatal della regina,

la pertinacia sol del rio ministro,

contro il suffragio universal del regno,

persistean nel crudel funesto impegno.

 

Soffrir colei non può chi contro il soglio

la ribellante testa elevar osa;

e avida di vendetta, ebra d'orgoglio,

alla necessitate imperiosa

sdegna d'assoggettar l'animo altero,

e vada pur sossopra il mondo intero.

 

Fra le calamità straordinarie,

e nelle triste circostanze critiche,

render la Volpe vuol più necessarie

le sue sublimi qualità politiche,

e l'intento a ottener pon tutto in opra;

e vada pur la monarchia sossopra.

 

Possente instigator che grida guerra,

gorgogliamento par d'Etna o Vesuvio,

che copre d'atre ceneri la terra

e di bitumi erutta igneo diluvio,

ed annunzia alli miseri mortali

serie funesta d'infiniti mali.

 

E quantunque in suo cuor ciascun desia

del riposo il ritorno e della pace,

niuno al sovran volere opporsi ardia,

e l'interno desir nasconde e tace;

che sol pace nomar, crime di stato

reputat'era, e capital reato.

 

E l'inquisizion del ministero

con dispotici vincoli incatena

la libertà del labro e del pensiero,

ed il respir libero lascia appena;

dell'alme l'energia comprime a forza,

e le avvilisce e ogni vigor ne ammorza.

 

Sol fra tutti il Cavallo, il qual sovente,

per distinto favore, in sulla sera,

nell'intimo quartier della Reggente,

ad un ristretto circolo ammesso era

con piccola sceltissima brigata

di nobil bestie in società privata,

 

solo il Caval con generoso ardire,

poichè di guerra a favellar si venne;

Se ognor da me, madama, imprese a dire,

l'onore si difese e si sostenne

del soglio Lionin, ciascun ben sallo:

nè mai di codardia peccò il Cavallo.

 

Ma che? giunser le cose a segno tale,

che con eccidi inutili e soverchi

par che non altro omai che la totale

distruzion reciproca si cerchi;

ah ch'una volta tal flagello termini,

pria che le razze animalesche stermini!

 

Se resta senza sudditi un sovrano,

che lo scettro si ficchi e la corona

e il titolo real nel deretano,

ch'ei non sarà che dignità buffona:

nella massa de' sudditi consiste

regio poter, nè re senz'essi esiste.

 

Inoltre, quei che sopraviveranno,

alla strage assuefatti e alla rapina,

l'abitudine ognor conserveranno

che a sparger sangue e a depredar gl'inclina;

onde s'avrà, non men che in guerra, in pace

un sanguinario popolo rapace.

 

Che se confidi poi che le alleanze

abbiano a sostener mal fermo regno,

perdona, maestà, le tue speranze

appoggi a troppo debole sostegno;

che chi non può contar sui mezzi sui,

molto men può contar sui mezzi altrui.

 

Opportun tentativo almen si faccia

di pace per mostrar qualche desire,

e per giustificarsi al mondo in faccia,

che piacer non si prende a inferocire;

forse alcun mezzo troverassi alfine

da porre a tante orride stragi un fine.

 

Niun più di me, la Volpe allor rispose,

v'è chi brami la pace e il ben ne veggia,

ma tolga il ciel che a dure e vergognose

condizion pace propor si deggia:

a decoroso ed onorevol patto

ci si proponga, e il grande affare è fatto

 

Oh di frode maestra ed inventrice,

iniqua Volpe, il reo pensier mal copri

con ascitizia esterior vernice,

che assai col fatto il falso cor discopri,

e più l'altrui delusa fe non vuole

esser ludibrio delle tue parole!

 

Ma oh come ben cotesto tuo linguaggio

oggi da' tuoi discepoli s'apprese!

Rapina ed illegittimo vantaggio

di moderazione il nome prese;

e legge che dettò poter rapace,

stabil s'appella ed onorevol pace.

 

Su queste basi l'invasor s'appoggia,

e questo è solo il grand'onor che cerca,

nè pace ed esistenza in altra foggia

il debol compra dal potente, o merca:

cotal pace il ladron carco di prede

allo spogliato passeggier concede.

 

Non dee (colei seguia) servo leale,

la gloria eletto a sostener del soglio,

prostituir la dignità reale

fin de' rubelli a lusingar l'orgoglio;

finchè al timon del ministero io sono,

non coprirà cotanta infamia il trono.

 

Risorse immense e mezzi molti e forti

al nostro potentissimo padrone

restano ancor per vendicare i torti

e ridurre i rubelli alla ragione;

e ne' sudditi suoi se non si stanca

valore e fedeltà, poter non manca.

 

A detti tai scosso il Cavallo e punto,

Non fedeltà, riprese, e non valore

in noi mancò finor, ma il tempo è giunto

che non più del decor nè dell'onore,

(Titol che a beneplacito s'adatta)

ma di nostra esistenza omai si tratta.

 

Calcoli far sull'altrui vita ascolto,

e per risorsa nominar sovente

da labbro non so dir se atroce o stolto,

quel che a sparger riman sangue innocente;

e quelle sussistenze, in ver non molte,

al guasto universal dal caso tolte.

 

Certamente non io, cui noto è assai

tuo pensar retto allor la Volpe disse

non io di te sospetterò giammai;

ma se altri in guisa tal parlar t'udisse,

forse, deh scusa, amico, avria sospetto

che di Cagnazzeria tu fossi infetto.

 

A quell'acre motteggio, altier nitrito

alzò il Caval di nobil cruccio in segno;

e forse fra di lor saria seguito

assai caldo contrasto e serio impegno;

e la Volpe men forte in quella lutta

forse potuto avria passarla brutta;

 

ma, per toglier lo scandalo e il periglio

che trar seco potea tal discrepanza,

sbadigliò la regina; e lo sbadiglio

segno è che congedar vuol l'adunanza.

ciascun parte e la lite allor fu tronca,

ed ingombrò Morfeo l'ampia spelonca.

 

D'alti affari a trattar colla regina

ita essendo la Volpe il dì seguente,

come solea pur fare ogni mattina,

de' discorsi si dolse amaramente,

che il Caval fatti avea la sera innanti,

con scandalo di tutti i circostanti.

 

Poichè quello è lo stil di chi ordir vuole

calunnia e tradimento all'innocenza;

attaccarla di fronte ei mai non suole,

poichè il guardo ne teme e la presenza,

ma la perfidia di soppiatto egli usa,

e i modi toglie di smentir l'accusa.

 

Chi l'occulta denunzia e la condanna

coprir coll'ombra del mister presume,

ingiusta eserce oppression tiranna;

giustizia e veritate a chiaro lume

si mostra apertamente e si presenta,

nè la censura pubblica paventa.

 

La Volpe: udisti (disse alla padrona)

udisti tu con quanta impertinenza

il Caval, che sì mal sempre ragiona,

osò contrariarmi in tua presenza?

Poichè contraria te, chi ostar procura

al tuo ministro e il minister censura.

 

E la Reggente: Il ver però dicea;

e allor la Volpe: e perchè a te davante

quella bestia il ver disse, appunto è rea:

in indigeno suol l'erbe e le piante

prosperan sol, non in terren straniero,

nè in ogni suol dee seminarsi il vero.

 

No, poscia soggiungea, non dei permettere

di ragionar con temerario ardire,

d'esaminar, discutere e riflettere;

fatto il suddito è sol per obbedire,

solo è il sovran di comandar padrone,

nè de' commandi suoi rende ragione.

 

E oh se ciascun prence animal potesse

tener le bestie incatenate e avvinte,

e scatenarle, se per lo interesse

o altro suo fin fosser in guerra spinte,

per poi di nuovo incatenarle ancora;

quanto saremmo più felici allora!

 

Ciò giusto è inver ripiglia la tutrice

ma se i sudditi miei storpia ed ammazza

questa guerra crudel sterminatrice,

estintane o scematane la razza,

non regnerò che su ben pochi omai.

E la Volpe: sì ben; ma regnerai.

 

La vita e l'esser della massa oscura

de' sudditi non è se non precario;

è un prestito che lor fa la natura,

di cui il sovrano è il vero proprietario.

Perciò i sudditi vita e sangue denno

sacrificare a un lor capriccio, a un cenno.

 

E acciò qualche scrittor, qualche libraccio,

che de' governi son la vera peste,

persuader non osi al popolaccio,

ch'una men val che milion di teste,

e semi rei d'indipendenza e lampi,

sparga di libertà (Dio ce ne scampi!)

 

convien per ogni mezzo il fanatismo

a tutta la quadrupede genia

inspirare in favor del dispotismo,

raddolcir e indorar la tirannia,

prometter sicurezza, proprietà,

e fisica e moral felicità.

 

Cosa è per altro chiara ad evidenza,

che se tu lasci negli stati tuoi

sussister le dottrine e la scienza,

goder intera autorità non puoi,

anzi non solo il Lioncino e tu,

ma cadranno gli Allocchi e il gran Cucù.

 

Che se appieno abolir non puoi le lettere,

i fonti del saper devi interdire:

cioè nè scritti mai, nè libri ammettere,

se non quelli che insegnano a obbedire:

giovan sol questi al principato e al trono,

gli altri o perniciosi o inutil sono.

 

Abbiti pur per massima costante,

e nel fondo del cor tientela teco,

che popolo fanatico, ignorante,

di superstizione ingombro e cieco

un'arm'ella è terribil sempre in mano

d'arbitrario dispotico sovrano.

 

Persuaditi ancor ch'è necessario

pascolar di parole il volgo ignaro;

ma il potere assoluto ed arbitrario

più che l'amor de' sudditi abbi caro.

docile è il volgo in schiavitù ridutto;

e amor che giova a chi è padron di tutto?

 

La Reggente, benchè femmina fosse,

benchè fosse regina e Lionessa,

tai massime in udir raccapricciosse,

cui repugnante è la natura stessa;

poichè della ferocia lionina

peggiore è assai malvagità volpina.

 

Chi crederia che massime cotali,

che procurò la Volpe in quell'etate

propagar fra i quadrupedi animali,

oggi si sieno sparse e propagate

generalmente e con successo pieno?

Pur la cosa è così, nè più nè meno.

 

E forza ognor vanno acquistando, a segno

che un certo galeotto alla catena,

a cui cinquanta almen colpi di legno

piovean ciaschedun dì sovra la schiena,

un'opra fe', stimata assai da' dotti,

sulla felicità de' galeotti.

 

Onde il governo, generosamente

volendo allor rimunerar l'autore,

e mostrarsi benefico e clemente,

fe' il benigno decreto in suo favore,

che invece di cinquanta bastonate,

sol quarant'otto gli ne fosser date.

 

Nè qui di rammentar fa di bisogno

l'altro che fu trent'anni prigioniero

per lo sospetto d'aver fatto un sogno

non conforme all'idee del ministero;

onde provò con riflessioni egregie

la libertà delle prigioni regie.

 

E inver fin da quel dì che trasformaro

i nostri felicissimi governi

il bianco in nero, ed in oscuro il chiaro,

l'eccellenza dei metodi moderni

il fuoco di ragion spegne e lo gela,

e pon gli autor sotto la sua tutela.

 

Quanto colpevol men saria chi regna

senza l'altrui malvagio incitamento!

La Lionessa d'adottar non sdegna

della Volpe il crudel suggerimento;

che ciò di che la teoria s'abborre

in pratica tuttor noi veggiam porre.

 

Perciò l'iniquo consiglier soggiunge:

Forse alla gloria preferir ti piace

il tranquillo riposo? Ma non giunge

a ben sicura ed onorevol pace,

che chi deciso e intrepido si mostra,

e pronto a entrar coll'inimico in giostra.

 

Mai pertanto da me, che che altri creda,

no, pace mai non si rigetta e schiva;

sempre, qualor politica il richieda,

a entrar pronta è la Volpe in trattativa;

purchè qualunque idea, qualunque impegno

della sovrana maestà sia degno.

 

Fra governi legittimi so bene,

che in tai casi trattar da pari a pari,

e con solennità spedir conviene

ministri e ambasciador straordinari;

ma con rubelli oprar con altre idee,

trattar con altre regole si dee.

 

e' saria disonor, saria vergogna

per lor riguardi aver, ch'essi non hanno;

d'alto in basso trattargli ognor bisogna,

e se non val la forza, usar l'inganno:

a canaglia sì perfida e superba,

che mai fe non serbò, fe non si serba.

 

Or battuto sentier non convien battere;

ma talun con secrete instruzioni

inviar senza pubblico carattere,

per esplorar del Can l'intenzioni.

Poichè sappiam che a suo piacere ei solo

gli affar dirige del rubelle stuolo.

 

Vedrà il mondo così, che noi bramiamo

la pace in tutti i vasti tuoi domini

ristabilir: che l'ami tu, ch'io l'amo;

che se continueran stragi e stermini,

certo non tu, non la fedel tua Volpe,

tutte i ribelli sol ne avran le colpe.

 

Qui pausa un poco. Inesplicabil cosa!

Se contro ingiusta oppression reclama

il popol stanco, o se alitar sol osa,

tosto il despota altier ribelle il chiama;

e a vendicar quei ch'egli appella affronti,

eserciti e carnefici son pronti.

 

Ma se un sovrano a' suoi dover rubello,

alli patti, a' trattati, a' giuramenti,

divien de' propri sudditi il flagello,

ribellion non è contro le genti,

contro le leggi e contro la natura,

che mali al mondo assai maggior procura?

 

E il mondo intanto ognor stupido e cheto

stassene a riguardar tai stravaganze?

Inesplicabil cosa! ancor ripeto:

la timida parola e le lagnanze,

e fino il pensier tacito all'oppresso

vietasi, e all'oppressor tutto è permesso.

 

Per tal commission scelta sicura

seguia la Volpe il Can barbon mi pare,

cugin del Can ribelle, e creatura

di cui sai ben che ci possiam fidare;

che più attaccato è alli gradin del soglio,

che non s'attacca l'ostrica allo scoglio.

 

Onde dubbio non v'è ch'ei non mantenga

della corona Lionina i dritti,

e scrupolosamente non si tenga

dentro i precisi termini prescritti

immobil, fermo, che più saldo e forte

non ha pilastro e barbacan la corte.

 

Che se gli affar prendessero altra piega,

e se nuova ragion sopravvenisse,

si disapprova al solito, e si nega

quanto il negoziatore o fece o disse;

o s'immola pur anche, in ogni evento,

al pubblico odio ed al risentimento.

 

E il nostro Can barbone, ella riprese,

che sì ben ci diverte e ci fa ridere,

sì buono, e che nessun mai non offese,

dovrem lasciar noi dunque a torto uccidere?

E riguardar con fredda indifferenza

farsi sì atroce insulto all'innocenza?

 

Se vaca impiego o muor talun, che importa?

la Volpe ripigliò: qualor tu vuoi,

bestia viva succede a bestia morta;

altro Gran Ciamberlan crear tu puoi,

e mille e mille Ciamberlani insieme;

l'onor, la gloria e l'util tuo sol preme.

 

Anzi di conferir cariche e impieghi

dei spesso occasion tu stessa darti;

così maggior beneficienza spieghi,

più frequenti così grazie comparti;

giacchè ciascun dell'affollata schiera

che assedia il soglio, o brama, o chiede, o spera.

 

Nè dal sacrificar ministro o servo

bontà t'arresti o scrupolo imbecille;

io sicura assai più massima osservo,

e peran mille alme innocenti, e mille:

virtù, merto, innocenza, onor che vale

a fronte della dignità reale?

 

Pusillanime core, alma volgare

tema impotente biasimo o censura:

il celeste del dì gran luminare

di rane il vano schiamazzar non cura;

e se insetti a migliaia arde ed infesta

la fiamma sua, non perciò il corso arresta.

 

L'ossequiosa turba, ancor che insigni,

le sovrane ingiustizie incensa e adora,

e i disegni più neri e più maligni

con vernice di lode abbella e indora;

sol ne' sudditi è il vizio; e o malo o buono

che un prence sia, tutto è virtù sul trono.

 

Se il vortice politico rimiri,

ruota ti par, che quanto arresta e impaccia

i volubili suoi rapidi giri,

tutto sotto di se stritola e schiaccia;

e se d'alcun di quei che andar la fanno

sotto vi resta o piede o man, suo danno.

 

A dar gli ordini or corro; e in così dire,

tosto si congedò dalla Reggente

e fatto il Can barbone a se venire:

Amico disse uopo è che destramente

di rincontrar procuri il Can rubello,

e d'abboccarti a solo a sol con quello.

 

N'esplora allor le occulte intenzioni,

le viste indaga ed i disegni sui;

ma tienti ognor su vaghe asserzioni,

nè ti spiegar e non t'aprir con lui;

ma se desio di pace in quei si scorge,

o se a parlarne occasion ti porge,

 

digli che pace avrà, s'ei vuole, e digli

che generosa ognor la Lionessa

accoglierà i traviati figli

che por vorran la lor fiducia in essa,

e che di lor perfidia appiè del trono

verran pentiti a domandar perdono.

 

Sembrino i detti tuoi, non sian sinceri;

la sovrana clemenza e la dolcezza

esalta ed il valor de' suoi guerrieri

e del suo minister la saviezza,

nè in dispute e in ragion troppo t'estendere:

parla poco, odi assai; compra, e non vendere.

 

Che se al rubelle Can vien fantasia

di popoli parlar, di nazioni,

tu statti all'erta, ed il discorso svia;

che insidiose son seduzioni,

l'inquiete per por teste in fervenza

e alla ribellion dar consistenza.

 

Ed in due motti il tuo dover t'accenno:

i ministri politici e i congressi

nè procurar nè mai promuover denno

che dei prenci i vantaggi e gl'interessi;

e riguardar la massa dei viventi

siccome nullità non esistenti.

 

Convengo che l'affar è un po' scabroso,

e delicata l'incumbenza e critica,

ma sulla tua sagacità riposo:

Sempre, tu lo sai ben, sempre in politica

di due negoziator vinse il più scaltro,

cioè quei che sa meglio ingannar l'altro.

 

Compresi tutto, il Can barbon risponde;

come un affar politico si tratta

non ignora il Barbon, nè si confonde:

Quel disonor della canina schiatta,

dal cui caratter sì diverso è il mio,

vedrà che s'egli è un Can, son Cane anch'io.

 

Poi, pel decor del Gran Ciamberlanato,

per suo corteggio due Levrieri prende,

da cui solo esser vuole accompagnato;

e come far sogliono Araldi, appende

ad uno d'essi in sull'orecchia manca

una gentil banderuoletta bianca.

 

E in qualità di Can Parlamentario

al Cane antireal tosto l'invia,

per far saper che a lui, benchè avversario,

il Can Gran Ciamberlan parlar desia;

onde convenner, mediante quel messo,

di ritrovarsi assieme il giorno appresso.

 

Del dì seguente il mattutino raggio

dal balzo oriental dubbio apparia,

quando il Barbon sollecito in viaggio

si pose coi Levrier, che per la via

su quella mission quesiti vari

gli gian facendo e sui correnti affari.

 

Tu che del minister col perspicace

occhio puoi penetrar le viste ascose,

dinne, Barbon diceano avrem la pace?

E il Barbon gravemente a lor rispose:

Cotesto, o miei Levrieri, è un grand'imbroglio

che per altro strigar potrò, s'io voglio.

 

Fallo, i Levrier ripresero, deh fallo,

libera alfin da tal flagel la terra;

da gran tempo color che non han fallo,

vittima son di sì ostinata guerra.

Ed il Barbon: ecco l'eterno chiasso

che fa contro la guerra il popol basso.

 

Alla vita d'ignobil animali

troppo suol egli dar, troppo gran prezzo,

E le guerriere imprese e i marziali

moti, a chiamar calamitadi è avvezzo:

curar tai lagni un minister non dee,

e ha ben più grandi e più sublimi idee.

 

Ah Barbon replicarono i Levrieri

noi non c'imbarrazziam colla politica;

gli arcani rispettiam de' ministeri,

nè farne mica pretendiam la critica;

ma è ben crudel quel che da voi si mostra

alto dispregio della specie nostra.

 

Ma dinne, colla forza alfin l'intento

speri ottener, che non ancor s'ottenne?

E il Barbon: senza fallo; il tradimento

se i progressi finor di noi rattenne,

or l'amor pel sovrano in tutti causa

entusiasmo per la buona causa.

 

E i Levrier: benchè ognor sieno i ribelli

falsi nel ragionar, noi savi e retti,

pur corre opinion che pugnin quelli

per non restar, noi per restar soggetti;

nè sappiam qual de' due ragionamenti

l'entusiasmo universal fomenti.

 

Coteste allor riprese il Can barbone

son mere illusion, parole vane:

il fatto è che qua domina il Lione,

colà la Tigre, l'Elefante e il Cane,

onde qua per ragion regna un sol re,

colà contro ragion regnano tre.

 

Del Can barbon satelliti e mancipj,

non vollero i Levrier, seco in impegno

entrando, disputar sopra i principj;

e di prudenza e di rispetto in segno

taciti progredirono, e indi a poco

giunsero presso al convenuto loco.

 

E usciti alquanto fuori di cammino,

il Cane, capo del partito opposto,

trovaro assiso sotto ombroso pino

alla dat'ora e all'indicato posto;

lo che da quegli autori antichi e strani

l'abboccamento si chiamò de' Cani.

 

Il Cane antireal, che fine e astuto

d'ogni più astuto e fine al paragone

politico era, e come tal creduto,

ben conoscendo il suo cugin Barbone,

spassar si volle a porlo in qualche intrico,

ingenuo tuon prendendo e aria d'amico.

 

Onde vedendol appressarsi appena,

gli corse incontro e, o mio Barbon gli dice

e qual benigna sorte or qua ti mena?

Qual diresse i tuoi passi astro felice?

Sentendolo il Barbon parlar così,

tuttochè cortigian, s'intenerì.

 

Memore ognor de' benefici tui

rispose ognor parente e buon amico,

e grato ognor dentro il mio cuor ti fui;

perciò, quantunque noi destin nemico

e ragion di politica divida,

desio di rivederti a te mi guida:

 

Conciosiachè... s'io son sì presso al trono,

sol lo deggio alla tua beneficenza,

sol tua mercè Gran Ciamberlano io sono.

Conciosiachè... la mia riconoscenza

so separar ben io dalla politica,

e faccio il mio dover, sfuggo la critica.

 

E il Can clubista: Che nuove mi dai?

Fiera e orgogliosa è ognor la Lionessa?

Inetto il Lioncino è più che mai?

La furba iniqua Volpe è ognor la stessa?

Lo stesso è il Ciuco, o ancor più vil s'è fatto?

Fabbrica ancor calunnie il falso Gatto?

 

Fioriscon sempre le virtù morali

in Corte? Sempre il minister travaglia

alla felicità degli animali?

Non v'era a replicar cosa che vaglia;

pur rispose il Barbon: domando scusa,

la Corte a torto e il minister s'accusa.

 

È il principin d'umor gajo e vivace;

nobil la Lionessa e dignitosa;

instancabile, provvida, sagace

la Volpe è sì che par mirabil cosa;

e l'astio democratico in sinistro

prende e interpreta ognor Corte e Ministro.

 

Rise il clubista Can, di lui più accorto;

del Barbon la venuta un qualche oggetto

aver s'avvide, e disse: o dritto o torto

sia 'l fin che ti menò, favella schietto;

il cortigian dimentica per poco;

e al ver fra noi la finzion dia loco.

 

Ed il Barbon: E dubitar vorrai

della schiettezza mia, del mio candore?

In me non finzion ritroverai,

ma sol sincera espansion di core,

conciosiachè.... Ma il Can rubelle fisse

in lui lo sguardo sorridendo, e disse:

 

Parla, e non por ne' detti tuoi tant'arte;

cotesti tuoi conciosiachè, cotesti

arzigogoli omai lascia da parte;

tal io son qual ognor mi conoscesti:

a' miei conforma i sentimenti tui,

e sarò sempre amico tuo, qual fui.

 

Se per segreta instruzion volpina

hai tu cosa a propor, franco l'esponi:

dall'aperto sentier mai non declina

chi giustizia e potere ha per ragioni,

ma un franco pronuncia, o un No ch'escluda

cabala o intrigo, e i sutterfugi eluda.

 

Il povero Barbon, che al par d'ogn'altro

pei politici affar criterio e testa,

e vasto aver credeasi ingegno scaltro,

a tal esordio imbarazzato resta;

poichè non conoscea che i torti giri

della vecchia politica, e i raggiri;

 

e non credea che sensi aperti e schietti

ammetta il diplomatico mestiero:

onde del già ministro ai franchi detti

affatto si trovò fuor di sentiero;

pur come più potè si ricompose,

ed affettando ingenuità rispose:

 

Nulla propor degg'io, ma se tu brami

fra noi ristabilir la pace omai,

se il comun mal perpetuar non ami,

facile il minister, facil potrai

bontà trovar nella sovrana mia,

che al reo perdona ed il passato obblia.

 

Digrigna e ride il Can rubello a questi

del Can Barbon patetici riflessi,

e dice: oblio? perdono? e che diresti,

se noi fossimo già vinti e depressi?

Poi s'avea pien poter gli domandò;

e il Can Barbon: pieno poter?... non l'ho.

 

Dunque soltanto esplorator tu vieni?

Dunque i disegni altrui scoprir sol vuoi?

l'altro ripiglia: or che più t'intrattieni?

Ogni commercio omai rotto è fra noi;

pur con nobil franchezza io vo' confondere

chi gli artificj suoi mal tenta ascondere.

 

Abbiasi ovunque ei vuole ogni animale

di pascer libertà, com'ebbe pria;

tal forma di governo abbiasi quale

più convenevol riputata sia;

ed ogni ostilità d'allora in poi,

ogni dissension cessi fra noi.

 

Dacchè soggiunge il buon Barbon s'accese

guerra crudel fra gli animali discordi,

voi gran tratto occupaste di paese;

e qual dunque compenso a noi tu accordi?

Compenso! allor ghignando il Can ripigli:

Compenso! scherzi? o qual follia ti piglia?

 

Compenso ha luogo allor che senza guerra

un bel comune o appartenente altrui,

di mutuo accordo, o mobil siasi o terra,

divider vuolsi, acciò ciascun de' dui

partitamente ivi si pasca e cubi,

dicendo: io do, tu dai; rubo io, tu rubi.

 

Ma se guerra s'alluma, e o sorte o forza

mal seconda l'imprese e i desir tuoi,

ed al nemico a cedere ti sforza

ciocchè occupare o ritener non puoi,

dimmi, Barbon, se dramma hai di buon senso,

qui come diavol mai c'entra il compenso?

 

Premio son del valor, che in noi non langue,

sprezzator del periglio e della morte,

gli acquisti da noi comperi col sangue:

se arriso amica avesse a voi la sorte,

se vinto aveste voi, come perdeste,

e qual compenso a noi concedereste?

 

Or si permetta ch'io ragioni alquanto

sul discorso del Can che, a dire il vero

a me non sembra irragionevol tanto,

e parmi nel politico mestiero

il termin del compenso affatto nuovo,

e pria del Can barbon non vel ritrovo.

 

Se talun giuoca meco e perde cento,

e poscia per la perdita che ha fatto

esigesse da me compensamento,

ei mi parrebbe impertinente o matto;

Se tu perder non vuoi, di grazia in pochi

motti risponderei perchè tu giochi?

 

E peggio saria poi, ma peggio assai,

se il compenso da darsi ei fosse tolto

sovra la proprietà degli animai

che non v'abbiano a far poco nè molto;

sicchè il Barbon, che ingiusta vide e folle

esser l'instanza, insister più non volle.

 

E disse all'altro Can: Nè delle corti,

nè della offesa autorità sovrana,

dunque non pensi a riparare i torti?

E quei: Qualunque obiezione è vana;

in altra guisa mai, con altre idee

mai fra noi pace esser non può, nè dee.

 

Così dicendo, rimbruschissi, e tacque.

al povero Barbon quell'ultimato,

come potete credere, non piacque;

ma il Can clubista in tuon mezzo arrabbiato,

Addio gli dice, e te lo pianta lì.

e quel congresso in guisa tal finì.

 

Il nostro Can barbon, tutto confuso

per quella mission mal riuscita,

ai due Levrier con sbigottito muso,

O ben, o mal, dicea, questa è finita.

E i Levrier: pur poc'anzi a noi dicesti

ch'assestar tutto a tuo piacer potresti.

 

E il Can barbon: Quel ch'io dovea fec'io;

salvo è l'onor del trono e della corte,

salvo il decor del ministero e il mio;

cura poscia del resto avrà la sorte.

Or che s'ha egli a fare? ed un Levriero

umilmente propose un suo pensiero.

 

Molto ancor disse a noi riman del giorno:

far si potrebbe una passeggiatina,

pria che alla reggia facciasi ritorno.

Di qua non lungi è la rupe Corvina,

ove sul venerato, antico sorbo

rende i famosi vaticinj il Corbo.

 

Il sacro Uccel che l'avvenir predice

interrogar potrai, se pur ti piace;

e sentiremo un po' che diavol dice

sulla guerra presente e sulla pace.

Andiam; noi bestie siam corriere entrambe,

e tu, lodato il cielo, hai buone gambe.

 

Il Can barbone, per alcun momento

standosi assorto in un pensier profondo,

riflettea che un oracolo, un portento,

sempre fu, e sarà sempre in questo mondo,

poichè fur tutti i mezzi invan tentati,

il refugio che resta a' disperati.

 

Poscia disse al Levrier: poffareddio!

Il tuo pensiero è veramente bello;

bravo! vedo che tu, Levriero mio,

non men che buone gambe hai buon cervello;

gran tempo egli è, per dirtela, ch'io bramo

veder che storia è questo Corvo: andiamo.

 

Approvato così dal lionino

ambasciador quanto il Levrier propose,

tosto senz'altra disputa in cammino

dietro quei svelti corridor si pose,

che pria di giunger a quel sacro loco

galoppar denno e sgambettar non poco.

 

 

 




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