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Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
Di già sdrajate sopra il molle strame,
soffiano il sonno dall'enfiate froge
presso gli amanti lor le giovin dame,
e sulla fredda cuccia le barboge;
ma non dorme la guardia, e della reggia
all'ingresso maggior veglia e passeggia.
E vedendo il Barbon che s'avvicina,
Chi va là? grida; e quei: son io, sei cieco?
Della Volpe al quartier poi s'incammina,
ma dorme anch'essa, ond'ei la desta, e seco
sul covil s'acculatta: ivi pensoso
stassene alquanto e a cominciar dubbioso.
Poichè il Barbon, ch'era una bestia buona,
credendo che potria l'infausta nuova
dispiacer al ministro e alla padrona,
pria della Volpe l'animo si prova
con acconci preambuli disporre,
nè vuol la cosa bruscamente esporre.
Ma ben stupì quando osservò che in vece
di cagionarle increscimento e noja,
lo spiacevol rapporto altro non fece
che compiacenza in lei destare e gioja;
e dicea fra se stesso: Oh come gli abili
ministri son profondi e imperscrutabili!
Semplice! e come mai creder potea
senso alcun di pietà, di dispiacenza
destar in cor di quella bestia rea,
avvezza con freddissima indolenza
a riguardar l'universal eccidio,
per quel ch'ella eccitò fatal dissidio?
Non si scompose dunque, non turbossi
la Volpe, e disse al Can: Nulla puoi dirmi
di che già prevenuta appien non fossi;
di lor temerità non ho a stupirmi;
non dubitar però, Barbone mio,
che pagheran di lor perfidia il fio.
Ed il Barbon, ch'era del Can clubista
creatura e parente alla lontana,
mostrar volendo zel di realista
al presente ministro e alla sovrana,
contro il ribelle imprecazion pronunzia
e seco ad ogni affinità rinunzia.
Rinnego disse, e alzò la zampa allora
lo rinnego e lo abjuro nelle forme.
La Volpe ivi a restar sino all'aurora
lo consigliò per non destar chi dorme;
e sovra quella mission facea
vari quesiti, e al Can barbon dicea:
Or fammi, Barbon mio, rapporto esatto,
e con precision più regolare,
sopra quanto fra voi s'è detto e fatto;
giacchè col Can rubelle al certo ei pare
che tu abbi avuto dispute e contrasti,
poichè sì tardi di colà tornasti.
Cui rispose il Barbon: Domando scusa,
la negoziazion fu corta corta,
ed ogni via per proseguir fu chiusa;
che la rubelle bestia erasi accorta
com'io già m'era accinto a trattar seco,
onde in dispute entrar non osò meco.
Io dignitosamente allor disciolsi
ogni colloquio ulteriore, e il Corbo
nel mio ritorno consultar risolsi:
Colà mi resi e il consultai; ma torbo
avvenir tristo, e sorte inver non lieta
annunziò l'aligero profeta.
Furbescamente allor sotto i barbigi
sghignò la Volpe e soggiungea: Non so
cosa pensi, o Barbon, di tai prodigi;
ma so che or sei negoziator, nè vo'
supporti altri principj ed altre idee
che quelle che un politico aver dee.
Noi non ci assoggettiam, come fan gli altri,
all'impostura e agli artifici sui;
ma da ministri esperti in arte e scaltri,
del pregiudizio e degli errori altrui
dobbiam valerci e farli a tutti i costi
servire ai fini che ci siam proposti.
Pertanto lasciam pur che il volgo sciocco,
e de' babbei l'innumerabil folla,
lasciam che il Corvo veneri e l'Allocco;
altrimenti la rapa o la cipolla
o l'antro adorerà, la rupe, il monte,
il pin, la quercia, il lago, il fiume, il fonte.
E s'elevarsi tenta a più alto oggetto
e depurare il culto suo presume,
sentimento sagrifica e intelletto
a imaginario e capriccioso Nume;
e tanto più nobil sel finge e puro,
quanto più incomprensibile ed oscuro.
Lascia che con oracoli e portenti
dei creduli atterriti adoratori
empian la mente e il cor di seducenti
lusinghe e di chimerici terrori
i botteghier dell'impostura, noti
col nome di profeti e sacerdoti.
Mal faran sempre i regi e le regine,
se fra i docili popoli introdurre
vorranno i disinganni e le dottrine:
più a grado lor non li potran condurre,
e il fren che forza sovr'altrui sempr'ebbe,
di mano alla politica cadrebbe.
Qualunque state sian, caro Barbone,
le risposte del Corvo, o buone o triste,
tu procura di spargerle per buone
ed in tutto conformi alle tue viste;
nè far che il dubbio tuo, la tua temenza
avvilimento inspiri e diffidenza.
Benchè al Barbon giungesse affatto nuova
la non volgar ministerial dottrina,
pur altamente ammira e loda e approva
la profonda politica volpina;
ma sul colle vicin l'alba rosseggia,
ed incomincia a rischiarar la reggia.
Disse la Volpe allor: tranquillamente
tu vattene, o Barbone, a riposare;
dalla padrona io vo, che impaziente
l'esito attender dee di questo affare.
E il Barbon soggiungea: nè aver potrei
anch'io l'onor di presentarmi a lei?
Puoi replicò la Volpe andarvi dopo.
E quel gran corifeo de' cortigiani:
Tu sai ripiglia che qualor fia d'uopo
di far assidua Corte ai miei sovrani,
me riguardi o ragion distor non ponno:
stessi anche in piè tre dì, non ho mai sonno.
Rise colei, che cortigiani e corti
ben conoscea; ma come aver presenti,
facendo alla sovrana i suoi rapporti,
non volea testimoni ed assistenti,
con chiare intellegibili parole
gli fe' capir che seco aver nol vuole.
L'uno dall'altro allor congedo prese;
e il Barbon, che stanco era e sonnacchioso,
nel covil ritirossi, e ivi si stese
per prender qualche oretta di riposo;
e intanto alla Reggente andò il ministro
a informarla dell'esito sinistro.
La nullità del tentativo espose,
l'audace tuon che il Can rubello tenne,
e l'alte pretendenze e mostruose;
soggiunse poi: ciò che previdi, avvenne:
or di', se usar bontà con quei birbanti
non li rende più fieri ed arroganti?
Dirà il Caval, che il minister censura,
e alla sovrana volontà resiste,
e perigliose massime procura
sparger, non so a qual fine e con quai viste,
dirà colui, che tanto zelo ostenta,
che nulla per la pace ancor si tenta?
Ma prima tutto il tuo fedel bestiame,
tutto alla strage spingasi e al macello,
prima dalla miseria e dalla fame,
da peste e da qualunque altro flagello
più spietato e crudel rimangan tutti
i tuoi diletti sudditi distrutti;
che accordisi alla lor richiesta insana
una fronda, una radica, un fil d'erba
contro la regia dignità sovrana.
Così dicea la Volpe, e la superba
regina gode, approva, e con feroce
sorriso applaude a quel consiglio atroce.
Ah madama la Volpe allor ripiglia
sopra di me riposa, a me ti fida,
credi al ministro tuo che ti consiglia;
l'opere e i detti miei non muove e guida
intenzion equivoca ed oscura,
ma zelo e fe la più sincera e pura.
Vennero (egli è dover) gli Asini e i Muli
e tutti quei che il tuo favor distingue;
ma sempre troverai chi finga e aduli,
che sincere non son tutte le lingue;
ma ministro fedel mai e poi mai,
come la Volpe tua, non troverai.
Forse color che presso ognor ti stanno,
l'oprar mio, le mie rette intenzioni
porre a scrutinio e censurar vorranno;
ma lasciali pur dir, che son buffoni.
La Lionessa contradir non può,
e rispondea: Sì, Volpe mia, lo so.
La gran risoluzion dunque fu presa
fra il rio ministro e la crudel regina
di proseguir la gloriosa impresa,
e coll'universal carnificina
vie più moltiplicar sopra la terra
tutti gli orror d'un'ostinata guerra.
Crudelissime bestie! o bestie nate
per lo sterminio della vostra spezie,
dunque stragi sì orribili e spietate
per voi non son che frivolezze e inezie?
Nè rimorso dal sen l'alma vi strappa,
nè fulmine, nè demone vi chiappa?
Ma oimè! che forza d'abitudin prava
fermo vigor l'ostinatezza appella;
e la vil turba adulatrice e schiava
con risonanti titoli inorpella
il pertinace orgoglio e la ferocia,
e di gloria e d'onor l'idee v'associa.
Se vecchio error confonde e pregiudizio
ciò che a noi stessi e ciò che altrui si dee,
e se i confin della virtù, e del vizio
e del bene e del mal fissa le idee,
qual stupor se politica tiranna
i miseri mortali opprime e inganna?
Dovrem seguì però la Volpe infame
grandi impiegar misure, estremi sforzi:
tutt'a un tempo il quadrupede bestiame,
tutto contro il nemico ad ir si forzi;
con massa immensa se gli cada sopra,
e si distrugga, e si coroni l'opra.
E poichè la costante esperienza
dimostra in fatto, e incontestabil rende
che del sovran l'esempio e la presenza
ne' suoi guerrier l'entusiasmo accende,
e che a qualunque schiera, anche poltrona,
coraggio inspira e al suo dover la sprona;
marci alla testa delle regie truppe
il re tuo figlio... Il re? con occhio fosco
E lo conosci il re? quella interruppe.
E la Volpe, ghignando: io sì, il conosco;
nome sarà da lui di Duce assunto,
e in vece sua tutto farà un Aggiunto.
Altri già furo, altri saran nel mondo,
simili al figlio tuo, possenti e grandi:
nè l'unico sarà Lion Secondo,
che a numeroso esercito comandi:
di sciocchi il mondo è pieno, ed agli sciocchi
convien gettar la polvere negli occhi.
Altra bestia del sangue lionino
si ben che a comandar saria pur buona,
od altro cotal prence o principino;
ma il sovrano stessissimo in persona
all'esercito suo quanto maggiore
ardire inspira, e quanto più vigore!
Benchè in sicuro, inaccessibil loco
restar sen debba un re prudente e saggio,
al mal accorto suddito più fuoco
con sua presenza aggiunge e più coraggio.
così far de', così farà tuo figlio,
e sua la gloria fia, d'altri il periglio.
Sempre un sovran, per quanto poco faccia,
per duce valentissimo si loda:
se l'inimico mai non vede in faccia,
se dell'armata sua marcia alla coda,
se trenta miglia ancor lungi ne resta,
sempre marciar si reputa alla testa.
Il pubblico convien che si convinca,
che, acciò gran duce alcun sovran si creda,
uopo non è che venga, veda e vinca;
viene e vince talor, benchè non veda;
e per dar di valor men dubbie prove,
vince, non viene, anzi neppur si muove.
E non io dunque in fiero tuon rispose
la feroce altierissima Reggente
non io fatta ti sembro a grand'imprese?
A cui la Volpe: anima, vita e mente
dell'impero quadrupede tu sei;
ed all'impero conservar ti dei.
Troppo una pari tua sì ardita e forte,
troppo prosegue il menzogner ministro,
s'espon contro i pericoli e la morte;
e se mai, tolga il ciel, se mai sinistro
fatal caso accadesse impreveduto
(Tremo in pensarlo sol), tutto è perduto.
Non per la sua sovrana zelo o amore
spingea però la Volpe a così dire,
ma il suo proprio interesse, ed il timore
che se un dì mai venisse ella a perire,
dal Lioncin chiamato al ministero
l'Asin non fosse, e a governar l'impero.
Oh delle reggie indigena menzogna!
Oh finzion di Corte abitatrice!
Tu ovunque teco porti onta e vergogna,
nè d'appressarti ov'è virtù ti lice!
Ove nascesti, ove soggiorno fai,
prosperi solo ed onorata vai.
Mente il mercante per lo suo profitto,
mente il legal per guadagnar la lite,
mente il reo per nascondere il delitto,
onde le colpe sue non sian punite;
mente la gente nelle corti avvezza
per uso, per mestier, per gentilezza.
Accordò intanto la regina madre
alla Volpe poter pieno assoluto
di levar bestie in massa e adunar squadre,
come più convenir fosse creduto
dalla savia politica volpina,
pel ben della famiglia lionina.
Ed in fatti le bestie anticamente
poco al pubblico ben solean badare;
patria e stato era ad esse indifferente,
e lietamente si facean scannare
per sostenere un prence o malo o buono
o Lionessa o Lioncin sul trono.
Massime sì sublimi e sì felici
avean fra quei politici animali
gettato sì tenaci alte radici,
che chi osava impugnar massime tali
poneasi in un grandissimo imbarazzo,
e dett'era ribelle o almen Cagnazzo.
Pel Lioncino e per la Lionessa
la non poteva ir meglio, a ch'io ne penso:
ma vedeasi, e il vedea la Volpe istessa,
che se, non la ragion, ma il comun senso
non rimanesse eternamente in ozio,
stato per lor sarebbe altro negozio.
Poichè, sebben la lionina schiatta
credesse che andar tutto a sua maniera
dovesse ognor, pur cecità sì fatta
ch'eterna fosse da sperar non era;
e ad ogni costo almen la volean fare,
più che possibil fosse, ancor durare.
Perciò nomi inventar sonori e belli
d'onor, di dignitade e di decoro,
e mille altri vocaboli novelli,
che versatile e vaga idea fra loro
prender solean secondo l'interesse
di quei che farne applicazion volesse.
Nè l'arbitrario solo, instabil uso
di nomi tali ai posteri pervenne,
ma nell'ultime età l'enorme abuso
che gli uomini ne fero, al sommo venne;
solo il senso a piacer fissar ne puote
altier despota o furbo sacerdote.
Onore! onor! idol crudel, di cui
il culto costa a umanità cotanto!
Tu il mondo acciechi coi prestigi tui;
tu presti ai gran delitti il nome, il manto;
qual Proteo ognor ti cangi, e agli occhi nostri
nel vero aspetto tuo raro ti mostri.
Nè di private atrocità favello,
se il nemico a talun trafigge il petto,
o se l'amico in micidial duello
lieve puntiglio o passeggier sospetto
spinge contro l'amico a trucidarlo:
sol di sciagure pubbliche qui parlo.
La strage, la crudel carnificina,
l'universal calamità del mondo,
dei viventi l'eccidio e la ruina,
onore! onor l'appella il furibondo
mestier di Marte; onor! onor la fella
sanguinaria politica l'appella.
Ah se tale tu sei, o fatal nume,
che infinita di guai spargi semenza,
se tal sei qual mostrarti ha per costume
d'umane passion l'effervescenza,
di te l'idea lungi da noi sen fugga,
e te l'ultrice ira del ciel distrugga.
Ma se ti mostri tal quale in te sei,
freno dei vizi e di virtù sostegno,
e qual mostrarti ognor, qual essere dei;
io qual Nume ti venero, tu degno
sei d'ottenere, o sacrosanto onore,
tempio ed altar d'ogni mortal nel core.
Non tu per sostener rancido dritto,
non per servir l'ambizion del forte,
non per autorizzar l'util delitto,
ti fai ministro di rapine e morte;
ma procuri alli miseri viventi
vera felicità, veri contenti.
Di quelle bestie intanto il volgo avvezzo
frequentemente a udir tai parolone,
sacrificava lor senza ribrezzo
e la vita e il buon senso e la ragione;
e a dire e a creder s'era assuefatto,
che per regie famiglie il mondo è fatto.
E persuasion forse avea troppa,
che fosse di natura il capo d'opra
qualunque re, fosse anche re di stoppa;
e che ciò che è d'intorno e sotto e sopra,
in mare, in terra, in ciel, nel purgatorio,
non sia che un minimissimo accessorio.
Quindi avvenia che se un destin bizzarro
mandava, per esempio, a un re la tosse,
convulsion frenetica o catarro,
lo stato inter ne risentia le scosse;
ma se sano e gagliardo era il sovrano,
tutto lo stato era gagliardo e sano.
Togli, dicean, lo stato, e a maraviglia
tu vivi, e meglio ancor che collo stato;
ma se ti manca una real famiglia,
tu ti senti mancar l'anima e il fiato;
sciolgasi, e sia lo stato inter distrutto;
real famiglia esiste? esiste tutto.
Nè tu, benchè auree in te parti racchiudi,
se non sei fuso alla real fucina,
scintillerai sulle sonore incudi;
ma in un angol giacer dell'officina
dovrai qual massa inutile di scabro
greggio metal, rifiuto vil del fabro.
Ma s'hai nel sangue impresso il regio conio,
(Gnaffe! sangue real! si sente al fiuto),
fossi un vil, fossi un reo, fossi un demonio,
una specie di culto è a te dovuto;
vizio e virtù è indifferente affatto.
e poi si negherà che il mondo è matto?
Attestan le brutali antiche storie
che di regnanti animalesche case
l'alto poter e le funeste glorie
avean l'altrui calamità per base,
e grandi esse eran più, quanto maggiori
furon tra gli avi lor gli usurpatori.
Ma troppo incivil cosa e grossolana
parendo poi d'usurpatore il nome,
e oltraggiator di dignità sovrana,
il termin duro raddolciano; e come?
Con più nobil favella e più rispetto
l'usurpator conquistator fu detto.
Poichè il ritorno del Barbon si seppe,
per sodisfar le curiose voglie
accorser bestie in folla, e fitte zeppe
tosto ne fur del suo quartier le soglie;
e suggestive con premura grande
accortamente gli facean domande.
Ma quei ponsi in contegno, e non risponde
che pochi, a mezza voce, e tronchi accenti,
qual chi geloso arcano in petto asconde.
A quel suo bofonchiar fa ognun comenti,
e in quel silenzio alto mister suppone;
dice poi: gran politico è il Barbone.
E lume alcun da lui trar non potendo,
si volgeano ai Levrier suoi segretari,
che gian costantemente ripetendo,
essi del fatto esser del tutto ignari.
Credeasi allor che i due Levrier divieto
avesser di svelare il gran segreto.
La Volpe un manifesto intanto stese,
che affigger fece ai tronchi e alle fontane,
con cui davanti al pubblico pretese
giustificar le intenzion sovrane,
e con frasi affettate e smorfiose
vari motivi e ragion varie espose:
Che del pubblico ben la Lionessa
mossa e animata dal desio verace,
non avea nè pensier nè cura omessa
per rendere ai suoi sudditi la pace;
ma che sempre quel perfido partito
stat'era sordo all'amoroso invito.
Dovendo proseguir dunque una guerra
sì repugnante al suo materno amore,
dichiara in faccia al cielo ed alla terra,
ch'ella ne geme, e le ne piange il core,
e che i mali perciò che ne avverranno
tutti imputarsi ad essi sol dovranno:
Onde acciò resti tal genia distrutta,
della classe alta e della classe bassa
degli animai la moltitudin tutta,
tutt'a un tempo dovrà levarsi in massa,
e per cagion sì nobile e sì bella
dar l'ossa, il sangue, il core e le budella;
e così porre un fine al mal che causa
la pertinacia de' malvagi e rei,
in pregiudizio della buona causa
(Quei per buona intendea buona per lei),
e stabilir la pubblica esistenza
sopra la base della sua potenza:
Che se la Lionessa e il Lioncino
tanti fedeli lor sudditi e figli
per l'onor dell'impero lionino
d'atroce guerra espongono ai perigli,
giuran per la real brutalità,
che lo fan per la lor felicità:
Che la sovrana poi natia clemenza
sopra tutte le bestie e vive e morte
spanderà sua real beneficenza.
E così sia dal cielo e gloria e sorte
al Lioncino ed alla Lionessa
per la comun felicità concessa.
Da' ministri quadrupedi in quei tempi
in quello stil stendeansi i manifesti;
feroci essendo ed orgogliosi e scempi,
savi parer volean, miti e modesti;
e coprian sotto intonaco di mele
un cor maligno, un'anima di fiele.
Parea che in quell'età dai gabinetti
con dispregio sì altier fosser trattati
gli animaleschi popoli soggetti,
come se fosser stolidi e insensati;
e con aperto insulto il ministero
bianco lor dava a credere per nero.
È vecchia opinion che il diplomatico
gergo il ministro Cane introducesse,
e che la Volpe poi nell'uso pratico
raffinamento e forma tal gli desse;
e tali alfin nelle seguenti età
progressi fe' che non può andar più in là.
Perciò vi fu qualche cervel bisbetico,
che un certo suo vocabolario critico
compose, in cui per ordine alfabetico,
d'ogni tecnico termine politico
della misteriosa diplomatica
dava spiegazion fisico-pratica.
Or come un'opra fatta in simil guisa
molto alle bestie diè di che parlare,
acciò farvi possiate idea precisa
dello scriver d'allora e del pensare,
dello stil, del politico linguaggio,
credo far ben di darvene alcun saggio.
Amore per li popoli; moine,
lezi, smorfie o altro tal di chi procura
il popol cattivar, acciò più incline
a dar sovvenzion pronta e sicura
e si presti al capriccio e alla domanda
di chi gli affar manipola o comanda.
Beneficenza; se all'industria o al merto
doni parte di ciò che se gli debbe,
e se impingui l'ignavio e l'inesperto
che merto mai, che mai virtù non ebbe,
titolo avrai dal pubblico indulgente
di protettor benefico e clemente.
Ben pubblico; usual di chi amministra
loco topico, allor che celar vuole
disegno oscuro, intenzion sinistra,
e con dolci melliflue parole
inzucchera gli editti, e il fin che asconde
col nome di ben pubblico confonde.
Docilità; se dell'altrui malizia
ai seducenti perfidi consigli,
per noja, per torpor, per imperizia
senza la previa esamina t'appigli,
l'adulator, che ogni difetto abbella,
non inetto, ma docile t'appella.
Dritto; se ciò che convenir tu credi
all'interesse tuo, al tuo vantaggio,
invadi, usurpi, l'occupi, lo predi,
o te lo appropri come tuo retaggio,
forse talun lo chiamerà delitto;
semplice! egli è rivendicato dritto.
Mezzi che il cielo ha posti nelle mani;
frasi e modi d'esprimersi son questi,
onde dai minister dei gran sovrani
s'empiono i minacciosi manifesti,
in cui di palliar comune è l'uso
la violenza e del poter l'abuso.
Moderazion; se ad altri il suo non togli,
perchè nol puoi, tu moderato sei;
o se il manto gli furi e non lo spogli,
sei moderato; e moderato è quei
che ti ruba di grano un qualche stajo,
e non ti porta via tutto il granajo.
Partecipazion confidenziale;
termine di politica sagace
caro ai doppj ministri, e altro non vale
se non proposta equivoca e fallace;
così amico si fa del sorcio il Gatto,
e se il semplice crede, il colpo è fatto.
Pubblica economia; termine usato,
se il popol vuolsi angariar, o forse
con nuove imposte esaurir lo stato
e smugnere dei sudditi le borse;
mentre chi por le man può nella cassa
delle rendite pubbliche s'ingrassa.
La tranquillità pubblica; s'annunzia
là dove non è mai lagno nè sfogo,
e al senso e alla ragion ciascun rinunzia,
e docil sottopone il collo al giogo;
se veder, se parlar, se pensar oso,
son turbator del pubblico riposo.
Ma, senz'ordine alcun, frequenti e vari
dai saputelli arrogantucci e scempi
vi si fer supplementi e corollari,
ed eccovene intanto alcuni esempi:
Don gratuito; altr'ei non è che un atto,
grazia di nome, estorsion di fatto.
Compenso; è allor che i beni a talun tolti
ad altri assegni, e i possessor dislochi:
Police; altro non è che inquietar molti,
acciò dorma tranquillo un solo o pochi.
Equilibrio; figliuol di gelosia,
che mal soffre che alcun più grande sia.
Quest'opra, che i politici andamenti
del lionino minister dipigne,
diè vasto campo a farvi aspri comenti,
riflessioni e allusion maligne;
che più s'ama talor l'altrui difetto
udir deriso, che veder corretto.
D'opera di sì critica arditezza
creduto fu qualche Cagnazzo autore,
ma non potero averne mai certezza;
la Volpe ricercarne, e con rigore,
quante potè, ne fe' arrestar le copie,
e le bruciò colle sue zampe propie.
Destossi allor di scriver la mania,
e una bestia real che aborre ed odia
dei Cagnazzi la torbida genia,
di quell'opera fe' la palinodia,
e pubblicò, di censurar non sazia,
cinico supplemento, exempli grazia.
Libertà; forte ed inquieto istinto
di sottrarsi da chi governa e regge;
intolleranza di restare avvinto
ai dover del buon ordine, alla legge,
e a quel fren che ciascun pel comun bene
ne' sui prefissi limiti ritiene.
Eguaglianza; desir connaturale,
per cui cerca ciascun ch'è sottoposto,
livellar tutto e farsi ai primi eguale,
o torlo ad essi, ed occuparne il posto,
e il pubblico ordin sul disordin posa.
Fratellanza; vocabolo e non cosa.
Tale al gergo politico sovente
i critici scrittor dei due partiti
chiosa facean satirica e pungente;
non già però coi lor comenti arditi
la cosa definian, ma sol l'abuso
ch'erasi nelle lor pratiche intruso.
Tutti questi politici sarcasmi
in oggi, a vero dir, non han più luogo;
non v'è chi i minister screditi o biasmi
e si permetta in ciò critico sfogo:
lagnarsi dei governi in quest'età
è un lagnarsi del ben che Dio ci dà.
Ben sovente anche noi nella gazzetta
manifesti leggiam, proclami, editti;
ma la giustizia e la ragion li detta,
e con leal semplicità son scritti.
o gabinetti delli tempi nostri,
io me ne appello ai tribunali vostri!
Una certa unzion esala e spira
fin dai lor scartafacci e scarabocchi,
un ingenuo candore ivi s'ammira,
e un tuon di probità, che salta agli occhi;
e in somma vi si sente a ogni parola
non so che, che convince e che consola.
Mendicavansi allora i sentimenti,
ora sono sinceri e naturali;
perchè i tempi e gli attor son differenti,
vo' dir che uomini siam noi, quegli animali;
ed ognun sa quanto ragion negli uomini
in paragon degli animali predomini.
Che se riflession, comento o glossa
faccio talor sopra il brutal governo,
lo fo perchè ciascun confrontar possa
con quei tempi antichissimi il moderno,
onde felicitarci appien possiamo
dei fortunati secoli in cui siamo.