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Giovanni Battista Casti Animali parlanti IntraText CT - Lettura del testo |
Infin da quell'età che il re Lione
s'assise dei quadrupedi sul soglio,
zelo, culto, pietà, religione
all'avido interesse ed all'orgoglio,
ed al desio di dominar soverchio,
serviron di pretesto o di coperchio.
Perciò potente ipocrita vid'io,
se zel, religion, pietà gli giova,
zelo ostentar religioso e pio;
e se util poi nell'empietà ritrova,
culto distrugge, abbatte altare e tempio,
e sua gloria ripon nell'esser empio.
Santa religion, del cielo figlia,
color, in petto a cui fissa tu stai,
col mostro reo che tanto a te somiglia,
certo non te confonderan giammai;
nè d'uopo è dir che questo mostro sia
la madre di ogni vizio, ipocrisia.
Falsa religion il capo tuffa
d'ogni ria passion nella sentina,
e come sui teatri itala buffa,
or si veste da schiava or da regina;
vera religion la stessa è sempre,
ed aspetto non cangia, indole e tempre.
Voi che ben distinguete il gran dal gioglio,
dalla zucca il melon, voi ben capite
di qual religion favellar voglio,
qualor degli animai parlar m'udite;
ma soprattutto della Volpe iniqua,
sempre nell'opre sue falsa ed obliqua.
Volle colei pertanto in opra porre
lochi topici usati in casi tali,
e per la via della pietà disporre
tutti i fedeli sudditi animali
a farsi trucidar allegramente,
per far Corte al ministro e alla Reggente.
E per tre dì con simulato zelo
furo ordinate pubbliche preghiere,
l'alto favore ad implorar del cielo
sopra le regie lionine schiere;
onde far stragi gloriose e belle
sugl'inimici e sullo stuol ribelle.
Fra le macerie di muraglie rotte
era presso colà buca profonda,
ove con rauco suon s'udian la notte
rane e rospi gracchiar nell'acqua immonda;
sacro è il loco, e credean che quella buca
del Gran Cucù al tumulo conduca.
Attorno a quella specie di Pagoda
feron procession di penitenza
con sassi al collo e strascichi alla coda,
nenie cantando in flebile cadenza;
ed invocato per tre giorni fu
solennemente il Corvo e il Gran Cucù.
Anzi bestie vi fur che in sacrifizio
offrir se stesse, e si gettar nel fosso,
render credendo il Gran Cucù propizio;
come a caval coll'armatura indosso
Curzio, secondo le romane pagine,
precipitossi dentro alla voragine.
Se v'è talun che dell'insana e cieca
superstizion le stravaganze ignora,
legga la storia ebrea, legga la greca
e la romana, e un po' la nostra ancora;
vedrà l'enorme insulto e il torto immenso
che fassi alla ragione ed al buon senso.
Pur troppo in ogni tempo, in ogni loco
fur di stranezze venerati esempi:
chi nudo andò fra spine e chi sul foco,
e chi fe' di sue carni orridi scempi;
quasi che goda il cielo a tanti orrori,
o che stoltezza e atrocità l'onori.
Vi furon poi molti animai divoti,
e non saprei ben dir se scaltri o sciocchi,
che andar pellegrinando a porger voti
al sacro Corvo; indi ai romiti Allocchi,
prostrandosi con pelle tosa e nuda,
fegati e pezzi offrian di carne cruda;
acciò interporre i lor possenti offici
volesser presso al gran profeta Uccello,
che lor conceda far degl'inimici
religiosamente ampio macello,
e mercè un santo zelo distruttivo,
se fia possibil, non lasciarne un vivo.
Propizio quel sinedrio allor si mostra
al zelo lor, che l'util suo procura;
le fanatiche bestie in cruda giostra
spinge, ch'ei tutto può finch'ella dura;
e tenta il trono agl'interessi suoi
associar, per soggettarlo poi.
Ah pur troppo il sacrilego costume
a noi pervenne, e avvalorossi e crebbe,
che formarsi un crudel sicario Nume,
e protettor d'iniquità vorrebbe,
e l'empie preci e i voti sanguinari
intuona avanti agl'insultati altari!
Nè ancor ti scuoti onnipotenza ultrice?
Ed oziosa ancor ti resti e dormi?
Ed ancor l'ira tua sterminatrice
lascia impunite le bestemmie enormi
che di religion tentan con velo
associare ai gran delitti il cielo?
Vi venero e v'adoro, o sacri arcani
della divinità, dentro il profondo
abisso ascosi agl'intelletti umani;
vi venero, v'adoro, e mi confondo;
più vi medito, io men v'intendo, e dentro
i confin del mio nulla io mi concentro.
Al ciel far voti acciò eseguir ci accordi
impunemente atti esecrandi ed empi?
Dar lode al ciel, perchè di sangue lordi,
commesse abbiam rapine, incendi e scempi?
Come sì abominevole e sì orrendo
culto, o cielo, tu soffri, io nol comprendo.
Ma che direm se ipocrisia talora
portenti a suo piacer fabbrica e finge?
Onde il furor ne' popoli accalora,
e a scellerate atrocità lo spinge,
e collo zel, colla pietà mentita,
la propria specie a sterminar gl'incita?
Che direm se menzogna ed impostura
giuoco si fa dell'ignoranza altrui?
Ed al pensiero libero procura
il giogo impor degli artifizi sui?
E a dogmi assurdi di tiranno Nume
le timide alme assoggettar presume?
Ah, s'egli è ver che dagli eterni scanni
religion, com'è pur ver, scendesti,
come, ah, come mai fia che a tanti inganni
e a tante iniquitadi il manto presti?
Se inspiri tu santo timor, non panico...
ma stiam cheti, altrimenti usciam dal manico.
Quelle ed altre funzioni diverse e molte
fer gli animali ed altre liturgie;
cose che or presso noi passan per stolte
e passavano allor per sante e pie;
che gli oggetti ciascun giudica a norma
d'una qualunque idea che se ne forma.
Fe' ancor la Volpe altra imitabil cosa,
che par da' nostri imitator s'imiti:
dopo la funzion religiosa,
e le pie cerimonie e i sacri riti,
altri editti produsse, altri proclami
portanti imposizion, pesi e gravami.
Tutti obbligò a recar le vettovaglie,
e gl'incoli privonne ed i coloni;
e a forza stabilì molte marmaglie
presso alla reggia in varie stazioni:
e i lamenti eccitò d'ogni animale,
e meritossi l'odio universale.
Ella è pertanto incomprensibil cosa
che si soffrisse una spregevol Volpe,
gonfia del favor regio ed orgogliosa,
perfida, iniqua, e rea di mille colpe,
sola cagion di quel fatal dissidio
e del totale animalesco eccidio;
e che i più formidabili e possenti
animai del quadrupede reame
non sapesser che in taciti lamenti
l'odio sfogar contro il ministro infame,
e di quel popol sanguinario e fiero
tutto il rancor si riducesse a zero;
e un santo artiglio mai non si trovasse,
una pietosa zanna, un corno pio,
un salutar velen, che liberasse
colla punizion del mostro rio
da sì crudel sterminatrice guerra
tutte quante le bestie della terra.
Ma con occhio scorgea freddo, indolente,
dei stupidi animai la turba schiava
perir la moltitudine innocente,
e di punirne i rei mai non osava;
quando pensar così, così oprar vuole,
non ha ragion chi del destin si duole.
Circostanze sì fatte, a vero dire,
io non saprei, nè di saper mi curo,
se siansi viste mai ricomparire;
sol d'una verità son ben sicuro,
ch'ove gl'istessi i mali son, gl'istessi
rimedj sempre esser dovriano anch'essi.
Ma della Volpe ai barbari usuali
ordini, dati a nome della Corte,
l'universalità degli animali,
avvezza a farsi strascinare a morte,
d'un riparo che pronto ognor avea,
la possibilità neppur vedea.
In virtù dunque delle facoltà
concesse a lei dalla Regina madre,
la Volpe fe' con dura autorità
d'animalesche collettizie squadre
immensa moltitudine adunare
dall'Indo ai monti Altai, dal Tauro al mare.
Della Police i barbari famigli
trasser d'in sullo strame egri parecchi;
dalla mammella della madre i figli
staccaro a forza, e dai lor covi i vecchi:
e colla violenza e coll'asprezza
destaro il mal umor, la scontentezza.
Quei miseri diceano: e qual crudele,
barbara legge mai noi forzar puote
la vita a spander per le lor querele,
nè appartenenti a noi nè a noi pur note?
E a forza trar può gl'innocenti a morte
il capriccio dispotico del forte?
Che se tormenta ed agita i potenti
ansia, interesse, odio, rancor privato,
perchè dai lor privati irritamenti
la ruina seguir dee dello stato?
Perchè immolar di vittime uno stuolo
alla feroce passion d'un solo?
Ma sol con voce tacita e dimessa
sfogar poteano il malcontento interno,
che al lagno libertà non è concessa
dal duro e pusillanime governo;
e intanto a forza gian spinti al macello
dal brusco birro e dal crudel bargello.
Voi v'indignate? E tuttodì fra noi
accader non veggiam forse lo stesso?
L'uom non è forse da' tiranni suoi
spinto a crudel carnificina anch'esso?
Ed ei (chi creder lo potria?) l'infame
giogo non soffre sol, ma par che l'ame.
Dannato dal destin sembra all'ignavo
stato di schiavitù; talor si scuote,
sorger tenta, ricade, e torna schiavo,
e trar dal ceppo antico il piè non puote:
qual domestico augel, per poco ch'abbia
svolazzato al di fuor, ritorna in gabbia.
Ah giacchè più d'onor stimoli in seno
non senti, ed esser libera non sai,
o mandra vil, sappi esser schiava almeno,
e servi e taci, e non lagnarti mai;
alla sonante sferza offri la schiena;
soffri, e bacia la man che t'incatena.
Fa per ignavia tu ciò che l'agnello
per indole far suol, se da inumano
beccajo scannator tratto è al macello:
lambisce al suo carnefice la mano,
mentre di sangue tinto il ferro stringe
che nella gola a immergergli s'accinge.
Tu di dispota altier prosegui intanto
i dispregi a soffrir, gl'insulti e il giogo,
chiunque sei, che con imbelle pianto
e con sospir compressi inutil sfogo
vai cercando al dolor nel comun lutto:
tu sei schiavo, ei padron; tu nulla, ei tutto.
Veniano innumerabili, infinite
bestie, parte che in boschi alberga ed erra
o in rupi o in erte balze, e parte uscite
dai cavernosi seni della terra,
varie di pel, d'aspetto e d'armatura,
d'indole, di grandezza e di figura.
Molte eran forti e giovani, ma molte
giovin non più, nè a guerreggiar gagliarde;
onde venian con teste al suol rivolte,
meste, restie, di mala voglia e tarde;
e confusa moltiplice brigata
dir si potea con più ragion, che armata.
Tutte queste quadrupedi marmaglie
s'accampar della Reggia in vicinanza,
e tutte consumar le vettovaglie
ch'ivi eransi ammassate in abbondanza,
perchè attender dovean vari drappelli
promessi già dagli alleati Uccelli.
Quei però non venian; che stanchi omai
di guerreggiar per le querele altrui:
Perchè dicean, perchè ir cercando guai?
Cosa abbiam coi quadrupedi a far nui?
Qual v'è connession fra noi ed essi
d'affari, di rapporti e d'interessi?
Per tai ragion quegli animai pennuti,
disgustati ognor più delle alleanze,
gian ritardando i già promessi ajuti;
pur, dopo molte e ripetute istanze,
dopo note, proteste, indugi vari,
lo stuolo comparì degli ausiliari.
L'amabil Lioncin, finchè là presso
stettesi la real oste accampata,
s'intrattenea buffoneggiando spesso
con tutti i bagaglion di quell'armata,
che la bontà esaltar concordemente
di principe sì affabile e clemente.
Le cortigiane bestie aristocratiche
temer che il principin non fosse infetto
di massime dannose e democratiche;
ma sepper poi che spesso ben affetto
al nobile o al plebeo sembra un re scaltro,
ma in sostanza non è nè l'un nè l'altro.
Non già che scaltro il Lioncino fosse;
ma i re certi attributi hanno in se stessi,
radicati nell'anima e nell'osse,
e inseparabilmente al grado annessi,
del tutto, a vero dir, straordinari,
connaturali, innati, ereditari.
Il rio ministro, il cortigian fallace,
l'adulator, lo scrittorel venale,
il ciarlatan soperchiator mendace,
e ogni altro pedantucolo animale,
che all'error dominante offrir costuma
la schiava lingua e l'avvilita piuma,
fin dai primi anni alla real bestiola
ripetean, che di Marte la palestra
è di gloria immortal sublime scuola,
delle più memorande opre maestra,
che l'alma a grandi alti pensieri estolle,
nemica capital dell'ozio molle.
che perciò, dacchè il ciel, dacchè la terra,
e dacchè in somma l'universo esiste,
guerra fu sempre, e sarà sempre guerra,
di natura finchè l'ordin sussiste;
e che guerra ai mortali è più dell'aria
utile, indispensabil necessaria:
ella in gran monarchia cangia il gran furto,
ella cangia in eroi fino i birboni,
solo di lei l'irresistibil urto
distrugge e crea gl'imperi; i suoi padroni
ella assegna alla terra, abbatte ostacoli,
rovescia il mondo intero e fa miracoli.
Ella dei più gran prenci e più eminenti
è la cura diletta e la tremenda
ragion dei lor voleri, onde potenti
e temuti e famosi avvien li renda;
nè onorevol magnanimo mestiero
degno è di lor, seppur non è il guerriero.
Anzi un certo animal filosofastro
scarabocchiò con gravità un volume
per provar che non sol flagel, disastro
guerra non è, come talun presume,
ma ch'ell'è, che fu sempre essenzialmente
lo stato natural d'ogni vivente.
Da questi detestabili modelli
si propagò la stravaganza infame
dei moderni bisbetici cervelli,
che la peste lodarono e la fame,
o infezione oscena e vergognosa
che onesta lingua nominar non osa.
Di là l'insipidissima farragine
degli assurdi sofismi ebbe l'origine,
onde scrittor moderni empion le pagine
per mantener la torbida vertigine
che agita i capi ed i cervelli insani,
panegiristi degli eccidi umani.
Dunque vero non è che la natura
porta i viventi a conservar se stessi?
dunque distrugger solo ella procura
l'ordin suo fisso e i suoi lavori stessi?
dunque distruzion è il suo diletto,
il suo primario e favorito oggetto?
Perchè nell'opre sue dunqu'ella osserva
le immutabili ognor leggi sue prime?
Perchè rinnova, genera, conserva,
e le impronte di vita in tutto imprime?
Dunque, o savi, abjurate i dogmi vostri,
disparisca ragion, più non si mostri.
Ma voi che fate applauso al pianto, al lutto,
voi l'obbrobrio confuti ed il disprezzo
e l'abominazion del mondo tutto,
che con orror vi guarda e con ribrezzo;
ragion di confutar l'infame sdegna
dottrina rea, che atrocitadi insegna.
Ah se pur anche, o feccia letteraria,
non cessi vomitar bestemmie atroci,
giacchè ti soffre ancor la terra e l'aria,
foco ardente divengan le mie voci,
che incenerisca li scrittori e i scritti
sostenitor dei pubblici delitti.
Intanto il Lioncin, che i vari nomi
di quanto spetta al marzial mestiero
udia sovente, e gli ampollosi encomi
che si fean della guerra e del guerriero,
ogni dì più rendeasi appoco appoco
familiar con quel feroce giuoco.
Dalle gazzette udir prendea piacere
le nuove e i militari avvenimenti,
e i moti della tattica vedere
e i finti attacchi e i vari avvolgimenti
che le bestie accampate là vicino
facean per divertire il Principino.
Nè l'imbecille sovranel capisce
che da guerra real la guerra finta
tanto è diversa, quanto differisce
figura natural dalla dipinta,
e credea che ambo fossero trastulli
fatti per divertir regj fanciulli.
Ma perchè almen fosse un pochino instrutto
in quel mestier crudele e sanguinario,
un giorno venne in libreria condutto,
ove da quel real Bibliotecario
in succinto gli furono spiegati
di tattica e balistica i trattati.
E al tempo stesso l'ingegner Castoro,
mostrando certe macchine di statica,
argani e suste, ch'eran suo lavoro,
spiegogli come por doveansi in pratica
per muover pesi enormi o immensi massi,
e scagliar lungi accesi tizzi o sassi.
Fisso alcun tempo il Lioncin si stette
a riguardar le macchine e gli attrezzi;
nojato alfin, non comprendendo un ette,
si lancia a un tratto, e colle zampe in pezzi
pone gli ordigni, e i manoscritti strappa;
sghigna, beffeggia, insolentisce e scappa.
Onde il Bibliotecario e il Matematico,
ad un estro fantastico sì fatto,
l'uno e l'altro riman confuso, estatico;
ma che altro attender si dovea da un matto?
Pur ferono passar quella pazzia
per giovanil vivace bizzarria.
Quella volta per altro, a vero dire,
da Lion Primo in poi, l'unica fu
che comparisse in libreria quel sire:
nè il re, nè i cortigian v'apparver più;
nissuno al Sorcio omai disturbo reca,
e libero ei passeggia in biblioteca.
Pur quando al Lioncin venne proposto
di porsi dell'esercito alla testa,
gradì l'offerta, ed accettò quel posto,
tutto esultante per la gioja, e in festa;
e di già in suo pensier s'immaginò
d'esser gran Capitan: stupite? Io no.
Pianser d'accoramento i Scimmiottini,
che un tanto re perdean lor protettore;
ritenerlo volean i poverini,
ma l'eroe bestiuolin spiegò vigore,
nè con alma più forte e cor più saldo
la bella Maga abbandonò Rinaldo.
Consolatevi, amici ei disse loro
e le amorose lagrime tergete;
parto, ma in breve a voi tornar d'alloro
me incoronato e vincitor vedrete;
e allor di nuovo, e infino all'ore estreme,
ruzzerem, sì, noi ruzzeremo insieme.
Così dicendo (o virtù insigne egregia!),
pieno di sentimenti eccelsi e magni,
e con fermezza veramente regia,
dai Scimmiottini, suoi cari compagni,
con un bel capitombolo si tolse,
e fra le braccia sue gloria l'accolse.
E allor con marzial pompa solenne,
sghignando e canticchiando e saltellando,
quell'Eroe bestiuolino al campo venne
per prender dell'esercito il comando,
fra i clamorosi evviva universali
di tutti quei belligeri animali.
La madre, a prevenir qualunque fallo,
il Bufalo gli diè per assistente,
assieme col magnanimo Cavallo,
che ad accettar fu schivo e renitente;
ma la Volpe, onde aver di che accusarlo,
indusse la Reggente ad obbligarlo.
Costoro al bimbo duce assister denno,
che l'uno e l'altro reputossi degno,
per robustezza l'un, l'altro per senno,
di sostener sì delicato impegno;
come se lieve e facil cosa sia
i slanci prevenir della pazzia.
Ma il Bufalo al Cavallo, acciò s'adatti,
dicea: collega amico, io ti prevengo
che non m'impegno a dar giudizio ai matti;
s'ei vuol rompersi il collo, io nol ritengo.
Accettar dunque, e al principin di più
un consiglio di guerra aggiunto fu.
Ma in verità quel militar consiglio,
che la Reggente Lionessa madre
prudentemente assegnar volle al figlio,
finchè alla testa fosse delle squadre,
era per la real rappresentanza
più di quel fosse in fatti ed in sostanza:
che un consiglio di pubblica salute,
consiglio fisso in Corte e permanente,
instituissi, alle di cui sedute
intervenia la Volpe e la Reggente;
acciò quel che si fa, tutto combine
colle sublimi massime Volpine.
L'Asin, la Scimmia, il Mulo, il Gatto, il Toro
secondo le occorrenze eranvi ammessi,
se udir vuol la Reggente il parer loro;
ivi trattar si deggion gl'interessi
d'economia, d'amministranza interna,
e la real corrispondenza esterna.
Quanto spetta all'armata ed alla guerra
decider vi si de'; sino agli estremi
del quadrupede impero e della terra
si spediscon di là gli ordin supremi,
e a quel consiglio ognor subordinato
esser dovea qualunque affar di stato.
Della campagna il pian di là si manda;
di là e il tempo e il loco e la maniera
per l'esecuzion se ne comanda;
di tutto la motrice e la primiera
cagione è quel Consiglio, ed indi emana
tutta la regia autorità sovrana.
Che la Volpe, riguardo a cose tali
era gelosa, e non volea che in nulla
s'ingerisser ministri e generali,
di tutto per dispor come le frulla:
lo che esser un sistema assai balordo,
generali e ministri eran d'accordo.
Ma dican pur, e ciò che vuol ne avvenga;
se ambiziosa bestia in auge monta,
purchè in posto si regga e si sostenga,
l'altrui ruina e il sangue altrui che conta?
Tanto un ministro è glorioso e grande,
quanto più mali sulla terra spande.
Allor seguì promozion solenne:
e il Mulo, che da tempo era in favore,
presidente di guerra allor divenne;
la Reggente il promosse a quell'onore,
che ritenerlo appo di se bramava,
e le sue grazie naturali amava.
E quantunque non fosse assai fornito
di bellicosi militar talenti,
come mostrollo allor che fu spedito
contro il famoso club dei malcontenti,
se gli credette quanto è necessario
per un impiego fisso e sedentario.
La Volpe, come udiste, era in sostanza
di quel sovran Consiglio anima e mente;
nondimen, per la forma, ogni ordinanza
a nome si spedia del Presidente,
vo' dir del Mulo, il cui merito raro
a ingelosir giungea sino il Somaro.
Tai fenomeni inver tutti i cervelli
talmente riempian di maraviglia,
che proposti tuttor come modelli
eran dai vecchi padri alla famiglia:
Se a grandi onor, dicean, giunger bramate
il Mulo, o figli, e l'Asino imitate.
Il Mulo inver, pretension risibile,
fra i molti avea vaneggiamenti suoi,
che un Presidente ognor fosse infallibile;
e da lui forse derivaron poi
in altre dignitadi e presidenze
d'infallibilità le pretendenze.
In lui total mancanza è inver di grandi
cognizion di tattica e di lochi;
orgoglio sprezzator, duri comandi,
molta prosunzion, talenti pochi;
ma gode l'alto onor di favorito,
e ciò supplisce a ogni altro requisito.
Quindi spedia sovente ordin pressanti
ch'eseguir non avria potuto un mago,
d'ir, per esempio, ad accampar più avanti,
senza saper che v'era un fiume, un lago.
e se i duci dicean: Non v'è più strada;
Che importa? il Mulo rispondea, si vada.
Ordinava talor che delle armate
tutte le innumerabili marmaglie
facesser per più dì marcie forzate
su nuda arena e senza vettovaglie;
e se i duci chiedean: Come si mangia?
V'hanno essi da pensar, l'ordin non cangia.
Se subalterno sei, tu sei passivo;
dei sol ricever gli ordini e obbedire,
ed esser solo in eseguire attivo
anche il pazzo voler di pazzo sire;
l'ordin t'è legge, e s'hai per esso avuto
esito infausto, taci, o sei perduto.
Ma perduto tu sei, se taci ancora,
che delle instruzioni altrui le colpe
imputate a te sol verranno ognora,
non alla Lionessa ed alla Volpe;
e o reo supposto o parlatore ardito,
delle colpe non tue sarai punito.
In quell'età, tanto da noi distanti,
tal fu lo stil delle brutali Corti;
la ragion era ognor dei governanti,
e ognor dei governati erano i torti;
e se fra noi v'è ancor qualche uso tale,
un resto egli è di quello stil brutale.
La Lionessa poi più d'un gagliardo
bravo animal in cui fiducia pone,
la Iena, la Giraffa e il Leopardo,
bestie della maggior distinzione,
nominò generali e condottieri
dei suoi prodi quadrupedi guerrieri.
Promossi al grado fur di colonnello
l'Orso robusto ed il Capron barbuto,
per le ritorte corna altero e bello,
ed il Lupo Cervier dall'occhio acuto,
che del Nemico la postura e l'opre
e i movimenti da lontan discopre.
Era questi quel tal Lupo Cerviero
che Lince dal comun chiamato venne,
e che finchè regnò Lion Primiero,
d'interprete la carica sostenne;
l'impiego sotto il successor fu estinto,
perchè era matto il successor, non finto.
Solennemente la Pantera noma
duce supremo delle regie armate,
gran gentil bestia sua, o Maggiordoma;
come ancor delle anarchiche brigate,
ch'ella ben tosto a sterminar s'appresta,
l'ex-maggiordoma Tigre era alla testa.
Che persuasa, ed a ragione, er'ella
che, finchè eserce carica attuale,
qualunque bestia di gran lunga a quella
che perduta ha la carica, prevale:
la carica fa tutto, e chi l'eserce
è qual insegna ch'indica la merce.
Qualche tempo però dovendo assente
la Pantera restar, di quella invece
per supplemento ed interinalmente,
gentil-bestia-maggior la Zebra fece,
ch'ell'ama con amor particolare,
più che femina suol femina amare.
La Zebra, per lo suo rigato manto,
asin ti sembra in abito di gala:
Zebra, Mulo, Somar scorrean pertanto
per le stanze di Corte e per la sala,
e parea che la Corte Lionina
divenisse bel bel Corte asinina.
Lieta dell'alt'onor fu la Pantera,
che omai contro la Tigre i suoi furori
sfogar e contro l'Ippelafo spera,
che non ignora i lor novelli amori;
onde al pubblico impegno in lei s'aggiunge
rancor privato, che l'irrita e punge.
Altri poi ricolmò di privilegi,
e ad altri pur concesse esenzioni,
e ranghi e gradi, o distintivi fregi,
ciondoli, ciondolini, ciondoloni,
titoli, marche, onor; cose che danno
merito a quei che merito non hanno.
Sulle bestie così colme e non sazie
dei sovrani favor dalla inesausta
real bontà piovean quel dì le grazie,
siccome suol refrigerante e fausta
in sul primo albeggiar della mattina
cader sui bacherozzoli la brina.
Eran sì fatti onori ambiti a segno,
che fin vi fur dei pretendenti esclusi,
che non sol ne provaro interno sdegno,
ma in veder i lor calcoli delusi,
n'ebbero tal rancor, dispetto tale,
che passaro al partito antireale.
E di che mai, di che non è capace
ambizion repressa e punto orgoglio?
Se l'inquieta avidità vorace
di sì esigenti passion non voglio
facil prestarmi a secondar, l'amico
tosto divien mio capital nemico.
Allor la Gazza ne' giornali sui
il nobil non mancò di celebrare
entusiasmo universal, per cui
le bestie a gara vollersi assoldare
sotto i vessilli dell'invitto sire
risolute di vincere o morire.
Poi ciascheduno degli eroi promossi
e della Corte i primi luminari
colmò di lodi, e massime i più grossi,
E Volpi celebrò, Muli e Somari;
indi fece infallibili presagi
di gloriose fortunate stragi.
Il romoroso strepito di tanti
preparativi dell'orribil guerra
si divulgò fra tutti gli abitanti
dell'ultime contrade della terra,
e fra gli altri uno strano forestiere
venne il grande spettacolo a vedere.
Er'egli un eteroclito animale,
non quadrupede già, non quadrimano,
non rettil, non amfibio od altro tale,
bipede sì, ma non volante o umano;
la forma, gli atti ha d'Uom, gli usi e l'aspetto,
ispida cute,34 e Orang-Utangh è detto.
Ritto su' piè, quando la notte imbruna,
esce dagli antri in cui solingo alloggia:
erra pe' boschi, ove più l'aria è bruna,
ed armasi del tronco a cui s'appoggia;
sfida chi incontra arditamente, e Pongo
chiamalo il negro abitator del Congo.
Quindi l'estro fantastico e fecondo
animator degl'ingegnosi Achivi,
deificò nel favoloso mondo
fauni silvestri e satiri lascivi,
e bionde immaginò dee boscherecce,
figlie delle selvatiche cortecce.
Da varie rispettabili persone
ei nel viaggio accompagnar si fea,
dal Patas, dal Magot e dal Mammone:
ma in incognito stretto si tenea:
onde color che stavangli vicino,
lo chiamavano il Conte Babbuino.
Venia dal Mindanao, dov'ei regnava:
che da molte Scimmiatiche tribù
di Sumatra, di Celebes, di Java,
di Borneo, di Ternate eletto fu
come Statolder della lor repubblica;
nè là volle apparir qual bestia pubblica.
Così anche oggi i gran prenci e i potentati,
sia smorfia o economia, han per usanza,
viaggiando fuor de' lor felici stati,
di non spiegar real rappresentanza;
nè alcun col titol di sovran l'annunzia,
nè altezza mai, nè maestà pronunzia.
Ma siccome arrogato erasi un regio
assoluto poter sui Babbuini,
dichiarato perciò fu dal collegio
de' teologi suoi, de' suoi Rabbini,
che assai potenti in quelle parti sono,
usurpator legittimo del trono.
Che per le loro opinion brutali
l'usurpazion riputat'era un dritto:
prova che in ogni specie d'animali
l'opinion consacra anche il delitto;
se fissi in tuo favor l'opinione,
fa quel che vuoi, che sempre avrai ragione.
Ma per spurio sovran dalla straniera
scuola dei pubblicisti ei fu tenuto,
e in lui verun legittimo non era
jus di sovranità riconosciuto;
ma mentre or contra, or pro si disputava
sul dritto suo, l'Orang-Utangh regnava.
Ed alle obbiezion del pubblicista
il Rabbino, a tai dispute più adatto,
rispondea che col fatto il jus s'acquista,
e che il jus di regnar nasce dal fatto,
e che il jus Isolano poco o niente
combina coll'idee del continente.
Giunto là presso, al Bertuccion, siccome
fra regi e prenci è l'etichetta, invia
un messo a far saper che, sotto il nome
di Conte Babbuin colà desia
incognito venir l'OrangUtango,
per evitar le dispute di rango.
La Scimmia dienne parte alla regina,
poi rispedì colla risposta il messo:
che libero alla Corte Lionina
era per cotant'ospite l'accesso;
che ogni riguardo a lui s'accorderebbe,
nè alcun nomato Orang-Utangh l'avrebbe.
E perchè avean rapporti di famiglia,
colei distinto accoglimento fegli,
anzi di deputati una pariglia
in tutto per assisterlo (sendo egli
dal cammin lungo affaticato e stracco)
incontro gli mandò Micco e Macacco.
La Gazza annunziò che fra momenti
in Corte il Conte Babbuin s'attende,
che della regia armata i movimenti
espressamente ad osservar si rende;
onde stavasi in grande aspettativa
del Conte Babbuin che in Corte arriva.