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Anton Giulio Barrili
Il ritratto del diavolo

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XII.

 

Tra i pensieri del giovine pittore c'era anche quello che Tuccio di Credi dovesse andare quella sera, o la mattina seguente, a cercarlo. Infatti era naturale supporre che Tuccio fosse venuto a Pistoia per lui, e non avendolo trovato subito, ed essendosi imbattuto a caso nel Buontalenti, vecchia conoscenza, di Arezzo, si fosse accompagnato un tratto con quest'ultimo.

Se non che per ammettere questa spiegazione, bisognava dimenticare che Tuccio di Credi andava dicendo a messer Lapo: - "ho reputato necessario di darvene avviso" e che messer Lapo gli aveva risposto, come uomo che riconosceva il pregio dell'avviso ricevuto: - "partirò, non dubitate, partirò". Donde appariva evidente che Tuccio di Credi non fosse venuto a Pistoia per vedere il suo compagno d'arte, ma per abboccarsi con messer Lapo Buontalenti, a cui si professava fedel servitore.

Comunque fosse, era da credere che Tuccio di Credi, venuto a Pistoia, non avrebbe potuto altrimenti, voluto, cansare l'amico. E Spinello Spinelli lo attese per tutta la sera; lo attese per tutta la mattina seguente; ma invano. Tuccio di Credi non si era fatto vivo con lui; forse, quella stessa mattina egli aveva lasciato Pistoia.

Spinello rimase sconcertato, con una fiera curiosità in corpo, e con tutta l'impazienza che no doveva conseguire. Che cosa significava quel misterioso viaggio? E non era possibile che risguardasse anche quella povera vittima, che portava il nome gentile della sua Fiordalisa?

Agitato da questi sospetti, uscì verso l'ora di vespro dalla porta del Borgo. Messa la sua spada al fianco e il pugnale alla cintola, gittato un mantello sulle spalle e calata la berretta sugli occhi, andò di buon passo verso la collina. Ma come fu alle falde del Poggiuolo, non ascese altrimenti per l'erta, e proseguì il suo cammino verso il letto della Brana.

Aveva portata, per ogni buon fine, la sua cartella da disegno. Appena ebbe passato il torrente e fu in vista del castello dei Buontalenti, andò a sedersi sulla proda d'un campo, fingendo di copiare qualche cosa dal vero, ma volgendo gli occhi curiosi qua e , e più spesso al muro nerastro che girava torno torno alla villa. Un terrazzino di pietra sporgeva dal ciglio del muro. Se la donna del castello usava uscire ogni sera all'aperto, come diceva Pasquino, certamente doveva andar , ed egli, dal suo osservatorio, l'avrebbe veduta senz'altro.

Il sole calava, in una gloria di fiamme, dietro la collina di Serravalle, che chiude la valle dell'Ombrone da quella della Nievole. Tutto ad un tratto, Spinello vide comparire sul ciglio del muro nerastro una figura di donna. Era la dama del castello Buontalenti; lo dimostrava assai chiaramente la nobiltà delle vesti e l'eleganza delle forme.

Giunta al terrazzino, la dama si fermò. Quella doveva essere la meta delle sua passeggiate quotidiane. Era venuta con passo lento, come persona stanca; poscia, rimasta un tratto in piedi davanti alla balaustrata, si era adagiata sopra un sedile, sporgendo per mezzo il busto dal davanzale di pietra.

Spinello si alzò dal suo posto, col cuore tremante, e andò verso il recinto della villa. Che cosa intendeva di fare? In verità non lo sapeva neppur egli. A mano a mano che si accostava al muraglione e la figura s'innalzava davanti a lui, uscendo in risalto sul fondo azzurro chiaro del cielo, la commozione del giovane si andava tramutando in stupore. Dei immortali! Quel viso bianco, che gli appariva da lunge, non rammentava il tipo di madonna Fiordalisa, ma dell'antica, della figliuola di mastro Jacopo, della sua fidanzata? Già gli pareva di riconoscere l'atteggiamento consueto di quella graziosa testa, il cui contorno era così armoniosamente rigirato. Accostatosi vieppiù, riconobbe il profilo soave del volto, la fronte prominente, incoronata dalle ciocche ricciolute dei capegli neri e lucenti, l'occhio profondo e pieno d'espressione, la bocca tenue, aperta ad un languido sorriso, che non era sempre di gioia, e il mento, sì anche il mento, quel mento arguto e tondeggiante di paggio, che era stato una volta l'argomento delle sue ammirazioni.

Ma egli, per allora, non doveva ammirare con occhi d'artista, o d'innamorato, come prima faceva. Era attonito, abbacinato da quella stessa rassomiglianza, che gli cresceva allo sguardo. Come fu a cinquanta passi dal muro, si fermò, levando gli occhi, per guardare più attentamente la dama. Dio santo! Era lei, era la sua Fiordalisa, o uno spirito maligno ne aveva assunta la forma, per farsi giuoco di lui.

Confuso, sbalordito, e nondimeno anche più attratto da quella cara visione, Spinello tese le braccia verso il terrazzino e con impeto di amore gridò:

- Fiordalisa!

- Chi mi chiama? - domandò la gentildonna, chinando gli occhi a' piedi del muro, dond'era venuta la voce.

Vide allora l'atto supplichevole e riconobbe Spinello. Ma in quella che metteva gli occhi su lui, lo vedeva cadere a terra come fulminato. Il povero Spinello aveva riconosciuta la voce di madonna Fiordalisa, della sua fidanzata. Era dunque lei? Lei, tornata dalla tomba, per farlo morire d'angoscia? Agitò le braccia, come se tentasse di aggrapparsi a qualche cosa, balbettò alcune parole die non avevano senso, e cadde tramortito al suolo.

Disgraziato Spinello! Compatitelo. Non accade a tutti di avere perduta una donna fieramente amata e di vederla di punto in bianco ritornare dai regni della morte.

Quando il povero giovane ricuperò i sensi smarriti, si trovò accanto la dama, escita dal recinto della villa per recargli soccorso.

- Mio Dio, messere, che avete? - diceva ella, sbigottita. - Fatevi animo! -

Spinello Spinelli, senza darsi ragione di quel che faceva, e tratto solamente da una forza quasi istintiva prolungò di qualche istante il suo smarrimento, per ascoltare la musica di quelle parole che escivano dalle labbra di Fiordalisa. Gli pareva, in udirla, di rassicurarsi meglio che era lei.

- Ah, madonna! - esclamò finalmente. - Non sogno io? Non sono io il ludibrio di una visione? Iddio misericordioso vi restituisce al vostro povero Spinello? -

Madonna Fiordalisa, commossa da quel grido, in cui parlava un amore infinito, chinò la testa su lui. E il povero Spinello, insieme con la certezza di avere ritrovata la sua Fiordalisa, ebbe il secondo deliquio.

- Dio, soccorretemi! - gridò madonna Fiordalisa. - Questo poveretto mi muore nelle braccia. Permettete che io mi discolpi a' suoi occhi e poi datemi la morte, che da tanto tempo vi chiedo. -

Monna Cia, chiamata da lei, giunse prontamente in aiuto. Era la contadina che il giorno innanzi Spinello aveva veduta, intenta a lavare i suoi pannilini nel letto della Brana. Le braccia di monna Cia erano robuste: il giovine fu trasportato entro il recinto e adagiato su d'un sedile di pietra, in quel medesimo terrazzino donde pur dianzi gli era apparsa la figura di madonna Fiordalisa.

- Va, te ne prego, va, mia buona Cia; prendi un po' d'acqua, dell'aceto, quello che troverai, per ridar la vita a questo poveretto.

- Sì, madonna, vo subito. Oh, disgraziato giovane! Così buono, così gentile! Non si direbbe l'arcangelo Gabriele! L'ho conosciuto ieri.... Chi m'avrebbe mai detto che oggi....

- Va, corri, - gridò madonna Fiordalisa. - Ma bada, non una parola al castello!

- Non dubitate, madonna; prenderò ogni cosa nelle mie stanze. -

Così dicendo, monna Cia, ottima donna, andò speditamente lungo la redola che metteva al castello. Madonna Fiordalisa rimase sola accanto a Spinello, che, povero lui, durava fatica a riaversi.

Infelice Fiordalisa! Anche lei, che il caso metteva di punto in bianco, senza preparazione, a faccia a faccia con Spinello Spinelli, anche lei era degna di compassione. Lo stato dell'animo suo non si descrive, come non si descrivono le commozioni violente. In qual modo era avvenuto quel ravvicinamento improvviso? Spinello aveva dunque ritrovato il suo nascondiglio, dopo tre anni di ricerche? Quando mai gli era balenato il sospetto che ella non fosse morta? E quando, e come, il sospetto si era tramutato in certezza? Anch'egli aveva profanata la santità d'una tomba, per giungere alla scoperta del vero? E come era vissuto fino a quel giorno? E come, e perchè, quella cerimonia nuziale, per cui Spinello si era allontanato da lei? Ma anche ella non si era allontanata da lui? Non apparteneva ella ad un altro? Ahimè, triste cosa; le due anime che un primo amore aveva congiunte, il destino le aveva separate per sempre.

Com'era avvenuto ciò? Spinello, tornato finalmente in , doveva udirlo dalle labbra di madonna Fiordalisa. Fu un doloroso racconto, che lo fece fremere di raccapriccio e di sdegno.

Fiordalisa era morta per i suoi cari; messer Giovanni da Cortona, chiamato al letto della vergine, aveva dato il triste responso. E morta appariva per tutti, e la compagnia della Misericordia era andata a prendere con gran pompa la bella salma, per chiuderla in un modesto avello, nel chiostro del Duomo vecchio. Ma Fiordalisa, come vi sarà facile immaginare, non aveva memoria di ciò. Rammentava l'improvviso malore ond'era stata colpita, in mezzo alle gioie domestiche, e rammentava d'essersi risvegliata alla coscienza di , in una camera sconosciuta. Si sentiva spossata, senza volontà, con una gran propensione a riaddormentarsi. Infatti, le era avvenuto di assopirsi, e di quelle ore non ricordava che brevi intervalli, come pallidi chiarori in un buio fitto, nei quali si sentiva trasportata verso una meta ignota, da uomini prezzolati, tra cui non spiccavano che due figure: quella del Buontalenti, che l'aveva turbata, e quella d'uno scolaro di suo padre, che l'aveva atterrita, poichè le lasciava indovinare il tradimento, ond'era stata vittima, e tutto il peggio che doveva toccarlo in futuro, senza alcuna speranza di salvezza. Infine, che più? Ella si era veduta in balla di due feroci che l'avevano amata; e uno di costoro la dava in preda all'altro; il più povero la vendeva al più ricco.

E non poteva resistere; le mancava perfino la forza di gridare al soccorso. Poco stante, non aveva più veduto uno dei due traditori. L'altro, messer Lapo Buontalenti, restava padrone del campo. Ella era chiusa in una lettiga, che viaggiava di notte, scortata da un drappello d'uomini armati, secondo l'uso del tempo, per le vie maestre, così poco sicure al paragone d'adesso. Evidentemente, quelli erano i servi, i masnadieri di messer Lapo Buontalenti. A che le sarebbe giovato il gridare?

Messer Lapo era grave all'aspetto, severo ed arcigno come la vendetta che gli covava nel cuore. Ma quando gli occorreva di rivolgersi a lei, in atto di chiederle se avesse mestieri di nulla, assumeva un'aria tra impacciata e cortese. Non c'ora, per altro, da ingannarsi a quelle apparenze,

Quando Fiordalisa potè finalmente parlare, gli chiese risoluta:

- Dove mi conducete voi? Dov'è mio padre? -

Il Buontalenti increspò le labbra ad un mezzo sorriso e pacatamente rispose:

- Madonna, voi siete morta per tutti, così per vostro padre, come per ogni altro cittadino d'Arezzo. Vi hanno sepolta l'altro , con pompa solenne, entro il chiostro del Duomo vecchio. Gli sciocchi! Pareva che avessero fretta di liberarsi di voi. Ma vigilava per la vostra salvezza un amore antico e gagliardo. Il mondo vi ha composta sotterra, per dimenticarsi di voi; io vi ho restituita alla luce del giorno; siete mia, finalmente. -

Fiordalisa fremette, pensando a ciò che era accaduto di lei. Ma indovinò in pari tempo che la sua morte apparente era stata procurata dalle arti d'un tristo, che lavorava a benefizio d'un altro. E il senso che questa scoperta doveva produrre nell'animo suo, le si dipinse nel viso.

- Comunque vediate la cosa, datevi pace, madonna; - ripigliò messer Lapo, che notava ogni moto più lieve. - Vi ho detto che siete morta pel mondo.

- E per opera vostra, non è vero? - chiese ella, fissandolo negli occhi.

- Mettete pure che sia così; - disse di rimando il Buontalenti. - Credete che un amatore par mio sia disposto a perdervi, dopo avervi ottenuta con un delitto? Datevi pace, vi ripeto, datevi pace, madonna. Lapo Buontalenti, vostro fedel servitore, non imiterà messer Gentile dei Carisendi, che, dopo aver disseppellita la donna sua, la restituì scioccamente al marito. -

Messer Lapo non poteva citare il caso di Ginevra degli Amieri, che era ancora di da venire. E poi foss'anche avvenuto prima d'allora, esso non poteva servirgli come argomento di persuasione con madonna Fiordalisa. Ginevra degli Amieri, gentildonna fiorentina d'alto lignaggio, sotterrata per morta, da per stessa uscì fuori dall'avello, e andò a picchiare a casa di Francesco degli Agogolanti, suo marito, che la credette un'ombra e non la volle ricevere. In quella vece, gli serviva benissimo l'esempio di Catalina Caccianimico, gentildonna bolognese, amata da messer Gentile dei Carisendi. Essendo il cavaliere andato podestà a Modena e avendo colà ricevuto il doloroso annunzio della morte di lei, tratto fuor di dall'angoscia, fece disegno di rapire all'estinta il bacio che mai non aveva avuto da lei viva. Andato di notte tempo a Bologna con un suo famigliare, aperse la sepoltura, e ivi, con molte lagrime, baciò il viso di madonna Catalina. La quale non era altrimenti morta, siccome tutti avevano creduto; laonde, messer Gentile, che aveva sentiti i battiti del suo cuore, soavemente quanto più gli venne fatto la trasse dal sepolcro, e postosi il dolce peso in arcione, cavalcò speditamente io città, dove, commessa l'amatissima donna alle cure di sua madre, potè vederla presto rifiorita in salute, E perchè la bella Catalina, per quello stesso amore che egli le aveva portato, lo pregava di rimandarla a casa sua, messer Gentile, da quel prode cavallero che egli era e veramente degno del suo nome, la restituì al marito, in quella commovente maniera che sanno tutti coloro i quali hanno letto la bellissima storia nel Decamerone di messer Giovanni Boccaccio.

Quant'era distante il Buontalenti da messer Gentile dei Carisendi! Madonna Fiordalisa, udito il beffardo racconto, conobbe di essere irremissibilmente perduta.

Giunta a Pistoia e rinchiusa nel castello che messer Lapo aveva ereditato da Rosellino Sismondi, la povera fanciulla visse dentro come in una prigione, senza aver più contezza di ciò che era avvenuto de' suoi. Era una debole creatura; ma ai deboli soccorre spesso il coraggio della resistenza inerte, e Fiordalisa anche fuor di speranza com'era, si chiuse nel suo triste silenzio, aspettando la morte che la liberasse dalle istanze del feroce amatore.

Il quale, un giorno, stanco della ripulsa di lei, se fece a parlarle in tal guisa:

- Voi piangete, madonna, e turbate il riso divino della vostra bellezza. A qual pro' se tutti vi hanno dimenticata?

- Non parlate così! - diss'ella con accento severo. - Quando tutti m'avessero dimenticata, non mi abbandonerebbe il pensiero di mio padre.

- Ahimè, madonna! - replicò il Buontalenti. - Vostro padre.... -

E s'interruppe tosto, chinando la fronte a terra, in segno di grande rammarico. Fiordalisa ebbe una stretta violenta al cuore.

- Mio padre! - ripetè ella, turbata. - Orbene, che volete voi dire? Che volete tacermi?

- Madonna, - ripigliò allora il Buontalenti, - sa Iddio se mi pento di ciò che ho fatto, e se non darei la mia vita per restituirvi il vostro ottimo padre. Ma egli, almeno, è ora più felice di me, che mi trovo così povero della grazia vostra e non ispero di ottenerla mai più. -

Argomentate il pianto e la disperazione della infelice creatura. Suo padre era morto da sei mesi, ed ella soltanto allora ne aveva notizia. Povero padre! Ed ora morto di crepacuore, sperando di ricongiungersi all'anima della sua diletta figliuola.

Passarono giorni, passarono settimane, e le lagrime di madonna Fiordalisa si rasciugarono. Ma non cessava altrimenti il dolore.

- Di che vi accorate? - le disse un giorno il suo carceriere. - Spinello, a cui pensate in silenzio, di cui vagheggiate l'immagine, Spinello non pensa più a voi. -

Ella rizzò la testa, e diede al Buontalenti un'occhiata sdegnosa.

- Oh! non v'inalberate; - riprese egli freddamente. - La cosa è così, com'io vi racconto, che credete voi, madonna? Che l'amore sopravviva alla morte della persona amata? Spinello si consolerà.

- Che non mi dite ch'egli ha già data la sua mano ad un'altra donna? - diss'ella. - Voi mentite, messer Lapo. La menzogna è chiara nelle vostre parole. Spinello si consolerà, voi dite. Egli non si è dunque consolato. -

Messer Lapo si morse le labbra. Il colpo gli era andato fallito. Ma egli promise a stesso che quella donna non si sarebbe più oltre beffata di lui.

Due mesi passarono, tristi coma gli altri che la povera donna aveva vissuti nella sua solitudine di Colle Gigliato. Ahi, non era una solitudine, quella, se ogni giorno ella doveva vedersi davanti agli occhi messer Lapo Buontalenti. Meno infelice di lei, una povera eroina della favola era stata abbandonata su d'uno scoglio, dannata ad esser la preda d'un mostro. Per Andromeda, infatti, vedere il suo nemico ed esserne divorata era quasi tutt'uno; laddove madonna Fiordalisa doveva scorgere il suo ad ogni istante, appostato in attesa, come una fiera all'agguato, e tremare ogni giorno, pensando che nessuna difesa avrebbe più avuta contro di lui; pensando che suo padre era morto e che Spinello, il suo fidanzato, non avrebbe potuto far altro per lei che piangere su d'una tomba.

E il Buontalenti osava dire che il suo rivale si sarebbe consolato! No, non era possibile, Fiordalisa era una fanciulla inesperta e non aveva anche potuto giudicare la vita nei disinganni che questa può offrire a mano a mano, in compenso d'ogni nostra speranza. Ma ella si era sentita così fortemente amata, che veramente l'affetto di Spinello Spinelli doveva parerle una cosa eterna. Argomentiamo così facilmente dai nostri i sentimenti degli altri! Eppure, le beffarde parole di messer Lapo, anche respinte da un'intima convinzione, non potevano essere dimenticate, e l'eco doveva restarne in quel povero cuore. E in quella guisa che noi tutti raccogliamo con superstiziosa paura ogni frase, udita a caso, la quale si riferisca ad un pensiero dominante dell'anima nostra, avvenne a lei che altre parole, e non da messer Lapo, ridestassero i dubbi suscitati da lui. "Chi muore giace e chi vive si pace." Questo proverbio, che ella aveva udito le cento volte, senza avvertirne la dolorosa filosofia, accennato sbadatamente da quell'umile contadina che sapete, e che era l'unica donna con cui madonna Fiordalisa scambiasse qualche parola nel castello Buontalenti, la ferì profondamente, più che non avrebbe fatto ogni altro discorso del suo carceriere. Chi vive si pace! Era proprio vero così! E perchè, infine, sarebbe stato diverso? È in noi potentissimo l'istinto della conservazione; la fibra umana ha qualche cosa in , che la persuade a resistere, a desiderare la vita. Il dolore opprime lo spirito; ma la fibra si ribella al dolore; la schiava non obbedisce al padrone. E non è forse così in tutti gli ordini di natura? Non è legge comune che tutto si rinnovi, e che ogni forza depressa si prepari a risorgere? È possibile che la natura umana ci condanni a morte, e che la gioventù non trovi in medesima quella forza di risurrezione che trova la più umile pianta, nella vicenda delle stagioni? L'oblio è fatale come il sonno, e il tempo è rimedio per tutti gli affanni dell'esistenza. Del resto, se per una creatura viva si può soffrire aspettando, come si potrebbe soffrire eternamente per una creatura morta? Aspettare è sperare; e non si aspetta più, quando non si spera più nulla.

E Fiordalisa era morta, per il suo fidanzato. Spinello poteva, dunque, doveva cedere anch'egli alla legge comune. Triste cosa, ma vera. Restava solamente di vedere quanto sarebbe durato il lutto in quell'anima solitaria.

Così avvenne che, quando messer Lapo le annunziò le nozze di Spinello Spinelli, Fiordalisa tremò tutta, ma non osò più negare la possibilità del fatto. L'anima sua era preparata a quel tristissimo evento.

- Madonna, - le disse il Buontalenti, - che io vi ami, e quanto, lo sapete da un pezzo. Voi farete quel che vi parrà meglio; chi può aspettare, non vi domanderà nulla anzi tempo. Giuratemi soltanto che se io vi farò vedere Spinello al fianco d'un'altra donna, voi non tenterete cosa alcuna per fuggirmi.

- Che mi chiedete voi? - gridò ella, turbata.

- Nessuna cosa che non possiate fare, rimanendo per me quella che siete stata finora. Vi chiedo una promessa semplicissima, per condurvi fino a Firenze, dove Spinello impalmerà fra due giorni un'altra donna.

L'istinto della resistenza lampeggiò negli occhi di Fiordalisa.

- Ah! - gridò ella. - Spinello è libero ancora?

- Sì e no; - rispose freddamente messer Lapo. - Un uomo che andrà doman l'altro all'altare non è già impegnato oggi? Non è già risoluto di fare ciò che vi torna tanto increscevole sapere di lui! Non ama già egli la donna a cui darà la sua mano?

- È vero; - diss'ella chinando la fronte. - Messere, conducetemi pure a Firenze; io vi giuro per la memoria di mio padre che non tenterò di fuggirvi. -

Madonna Fiordalisa pianse dirottamente, quel giorno, stemperò il suo povero cuore; indi segui Messer Lapo a Firenze.

Una mattina, la chiesa di San Nicolò, in via della Scala, era parata a festa. Madonna Fiordalisa, con un fitto zendado sugli occhi, entrò in quella chiesa e andò a sedersi sulla tribuna dell'altar maggiore. Stette immobile lassù, senza volger neppure uno sguardo ai dipinti che tutti ammiravano, aspettando ciò che tutti aspettavano e pregando Iddio, nell'amarezza del suo cuore, che fosse delusa la sua aspettazione. Ma Iddio fu sordo alle preghiere della povera fanciulla.

Quando apparve nella navata di mezzo il suo fidanzato, tenuto per mano da un vecchio gentiluomo che ella non conosceva, ma seguito da una donna, la cui bianca veste e la ghirlanda di fiori dicevano chiaramente chi ella fosse e perchè si trovasse colà, Fiordalisa si sentì venir meno. Supplicò Iddio che dettasse nella sua misericordia onnipotente un'altra parola a Spinello. Se avesse udito un no, come sarebbe morta volentieri! Ma Spinello appartenere ad un'altra! E , davanti agli occhi suoi! Ma era insensibile, quell'uomo? Ma niente gli diceva che la sua Fiordalisa era vicina, e lo vedeva, e lo udiva! Ahimè, Dio poteva essere sordo, se non aveva cuore Spinello! La povera creatura non resse più oltre all'angoscia; un grido straziante le ruppe dal petto, all'udire quel sì che le rapiva per sempre il suo fidanzato; e in quel grido le vennero meno le forze.

Quando ritornò in , la chiesa era vuota. Restavano soltanto presso a lei alcune pietose gentildonne, che le avevano spruzzato il viso d'acque nanfe e lo prodigavano le più sollecite cure.

Lo svenimento di madonna Fiordalisa era stato attribuito al caldo soffocante che aveva prodotto nella chiesa quella calca straordinaria di persone. Altri pensava che le avesse dato sui nervi l'odore della calce, trattandosi d'una chiesa nuova, che da poco tempo era uffiziata. Infatti, parecchie dame accennavano di aver sofferto, durante la cerimonia, un pochettino di mal di capo. E tutti gli astanti si dolsero che non si fosse pensato da nessuno ad aprire qualche spiraglio, nelle invetriate dei balconi. La colpa era tutta di messer Dardano Acciaiuoli e dello scaccino di San Nicola; innocenti ambedue, come potete immaginarvi. Ma che farci? Si era così lontani dall'indovinare la vera cagione, che ogni congettura otteneva fede presso gli astanti.

Madonna Fiordalisa volle ritornare quello stesso giorno a Pistoia. E messer Lapo non indugiò a farla contenta nel suo desiderio, che tanto s'accordava co' suoi fini. I cavalli erano pronti, e la partenza seguì di poche ore l'arrivo.

Intanto, nel cuore della povera bella si era fatto uno strano mutamento. L'immagine di Spinello Spinelli, che vi era così profondamente scolpita, si cancellò a grado a grado. Così presente a' suoi occhi quando era lontano, egli rimpiccioliva improvvisamente dopo esserle stato vicino. Madonna Fiordalisa non l'odiava ancora, e già lo aveva discacciato dal sacrario delle sue ricordanze. Lo sposo di Ghita Bastianelli era diventato uno straniero per lei.

E lo aveva amato tanto! Nessun uomo al mondo avrebbe potuto vantarsi d'essere amato di più. Ma quell'animo fiacco aveva avuto ribrezzo della morte! L'ingrato, dopo aver posseduto quel cuore di vergine, pieno per lui di tenerezza ineffabile, non aveva saputo serbar fede alla tomba!

Immaginate quel che seguì da questo mutamento improvviso. Il dispetto contro Spinello fu più forte dell'odio contro Lapo Buontalenti. Madonna Fiordalisa aveva consentita la sua mano a quell'uomo, a cui parve grande fortuna ottenere dall'ira ciò che non avrebbe potuto dargli l'amore. A quell'uomo bastava di possedere; poco gl'importava del modo.

Ed anche madonna Fiordalisa aveva avuta la sua cerimonia nuziale. Ma gli echi di San Giovanni di Pistoia non la avevano recato nessun grido d'angoscia, quando ella aveva profferito il sì che doveva legarla per sempre. La vittima era immolata; il sacrificio piaceva agli uomini, com'era accolto da Dio.

Era naturale che così fosse. Spinello ignorava come sanno ignorare i felici. Non aveva egli dimenticata l'estinta! Eppure, sarebbe stato così bello in lui serbarsi fedele alla tomba! L'uomo che si ama ha da essere perfetto. E costa così poco esser tale! Ma non è egli possibile, Dio santo, che un forte amore vi occupi l'anima e vi renda insensibile ad ogni lusinga della vita? E perchè non si potrebbe amare eternamente una persona morta, quando ella, vivente, è stata tutto per voi? Ci sono delle donne che hanno questa virtù di raccoglimento; e non l'avranno gli uomini?

Così pensava, e l'amarezza di quel pensiero la vinse. L'immagine di Spinello fu cancellata dal suo cuore. Nello stordimento che l'ira contro di lui e la vergogna di medesima avevano recato nell'animo suo, madonna Fiordalisa non solamente si diede animosa in balia del Buontalenti, ma disse il suo sì con un ardore, che parve impeto d'affetto, tanto più forte, quanto più repentino. Cose che avvengono! Questi inganni del cuore son più comuni che la gente non creda.

Ma quando ella appartenne a quell'uomo, quando conobbe di avergli data la sua libertà, la sua vita, e tutto ciò che vale assai più della vita e della libertà, Fiordalisa vide che la sua promessa d'amore e di fede le era stata carpita da un sentimento bugiardo. Si pentì, ma era tardi, e la poveretta ebbe paura. Ah, non era così l'amore che ella aveva sognato. L'amore è l'abbandono consapevole e volenteroso del nostro essere; l'amore e una profonda allegrezza, anche in mezzo ai tormenti; l'amore è una superba rinunzia di ad una creatura che si crede superiore a tutte le altre, o solamente uguale a noi medesimi. Che cos'era invece messer Lapo Buontalenti? Un codardo, che non aveva saputo vincere in guerra leale, e si faceva forte d'un sotterfugio, un astuto che giungeva dopo e faceva suo pro d'un movimento di sdegno. E quell'uomo era diventato il suo signore e padrone. Abbominevole cosa! E la bellezza di lei, che aveva infiammato il più nobile dei cuori, si sarebbe data a lui, avrebbe patite le sue ardenti carezze!

Pure, così doveva essere. La vita ha più drammi che non si pensi; drammi tanto più dolorosi, quanto più inavvertiti. Perchè egli c'è qualche cosa di grande nei dolori patiti alla luce del sole, con migliaia di sguardi rivolti su voi e di cuori compassionevoli che s'inteneriscono per voi, imprecando ai vostri oppressori. Ma il dramma intimo, il dramma rinchiuso nelle quattro pareti d'una casa, senz'altro testimonio che la vostra coscienza abbattuta, quello è il più orribile dei drammi. Rammentate la leggenda, che narra di donne rapite dagli abitatori delle selve? Anche certi animali, a noi vicini nell'ordine della creazione, sentono come noi la bellezza. Sommessi al suo potere e terribili nelle ire gelose, amano e digrignano i denti; proteggono, nutrono, e sono disposti a percuotere, ad uccidere per un nonnulla che svegli i loro sospetti. Ma di tali belve non sono popolate solamente le boscaglie africane. In ogni consorzio umano è dato di trovare l'uomo feroce dei boschi. Gran mercé sentirsi amate in tal guisa! E come fuggire a quella forma d'affetto? La donna, si sa, è debole e paurosa. Quanto meno è saldo in lei il vincolo che lega la vita alla carne, tanto più grande è il timore di perderla. Desdemona trema. Peggio ancora, ella non osa dire a stessa di amar Cassio, così dolce e così buono; il dramma finisce, e finisce la vita per lei, nella persuasione di avere amato il suo furibondo carnefice.

Così la bella Fiordalisa apparteneva a messer Lapo Buontalenti. La povera anima tentò a quando a quando di ribellarsi, ma finalmente si spense nella sommissione a quella volontà, volgare ma forte. Il suo signore e padrone la soggiogava con la sua stessa ferocia. Qualche volta le avvenne di sentire la forza di quell'amore violento, e (debbo dirvi ogni cosa, per l'ossequio che merita la verità) si compiacque di essere amata in tal guisa. Se in uno di quei momenti le fosse capitato davanti il povero Spinello, essa gli avrebbe detto: Sai? Io amo quell'uomo, che un giorno o l'altro mi ucciderà; lo amo, perchè egli mi ucciderà. Ma altre volte ella sentiva un odio profondo, e, insieme con l'odio, il desiderio di mormorare all'orecchio messer Lapo: Sai, uomo feroce? Io ti disprezzo, quanto tu mi ami. Checchè tu faccia, non cancellerai dal mio cuore l'immagine di Spinello. Uccidimi pure, poichè questo è il tuo diritto; ma, io amo quell'uomo.

E certo ella avrebbe parlato in tal forma, se Lapo le avesse domandato quali pensieri passavano per la sua mente, nelle ore più segrete, in cui il signore d'una donna s'atteggia più superbamente a padrone. Ma Lapo Buontalenti non chiedeva nulla. Egli era uno di quegli spiriti volgari, destinati a vincere nelle battaglie della vita, perchè hanno un'idea sola, e in quella appuntano tutti i loro desiderii, tutte le forze della loro volontà. Siffatti uomini, quando l'occasione li fa innalzare a più grandi propositi, appaiono anche uomini insigni, e si chiamano Cesare, o Napoleone, perchè, scambio di vincere una donna, hanno soggiogata la patria, caduta, per effetto di tristi circostanze, nelle condizioni miserande di una povera donna, che deve cedere senza fallo al più forte, e al più temerario. Per essi, nessun dubbio, nessuna perplessità, nessuna esitanza nell'animo; vanno diritti alla meta, godere e comandare, comandare e godere. L'impero del mondo è una posta, essi la giuocano. Non hanno guadagnato ciò che giuocano; l'hanno trovato sul tappeto verde e se ne sono impadroniti, approfittando della disattenzione di tutti. Che cos'è la morale per essi? Non sentono che il loro egoismo. E il mondo crede a queste povere teste; il mondo s'innamora di questi giuocatori audacissimi, da qualunque parte essi vengano, a qualunque fazione si ascrivano. Ed è forse perciò che tanti pensatori modesti, i quali hanno lungamente vagliato dentro di il pro ed il contro, delle cose umane non credono agli entusiasmi del mondo e vivono a giornata in questa cara Babele, senza pigliarla sul serio.

Spinello aveva ascoltata la confessione di madonna Fiordalisa, e le aveva fatta sinceramente la sua. La bella creatura udì per quali vie l'amor paterno di Luca Spinelli e l'odio astuto di Tuccio di Credi avessero vinto l'animo del suo fidanzato e fossero giunti a strappargli un sì che doveva renderlo felice per tutto il rimanente de' suoi giorni.

- Povera donna! - esclamò Fiordalisa. - Voi dovete amarla, oramai. -

Spinello crollò malinconicamente la testa.

- Ahimè, non è possibile; - risposa egli. - Ed ella lo sa.

- Come? Avete avuto il coraggio di dirglielo?

- Sì, madonna; era il debito mio. Veramente, - soggiunse Spinello, - vi parrà che il debito mio fosse anche di non condurla all'altare. Ma questo, voi sapete oramai come andasse. Lo stato dell'animo mio non poteva sfuggire all'occhio attento della povera Ghita; mi chiese che cagioni di turbamento fossero in me, e come avvenisse che nulla poteva rimuoverle dal mio spirito; ed ho parlato, le ho aperto, schiettamente, il mio cuore.

- E lei?

- Povera Ghita! Mi ha inteso e mi ha perdonato. Vedete, Fiordalisa, il suo perdono mi pesa. Oh, se m'avesse odiato! Se mi avesse tradito! Credetelo pure, io l'avrei benedetta, anche prima che voi foste viva, mia bella e dolce fidanzata. Rinchiudermi nel mio lutto, senza esser cagione di rammarico a lei, vivere con le immagini del passato, lasciando altrui di trovare le sue gioie nel presente, era questo il mio voto, era questo il mio sogno. -

Fiordalisa non rispose parola. Chinò la fronte e rimase pensosa, quasi ascoltando dentro di l'eco delle ultime parole di Spinello Spinelli.

Il sole si era nascosto allora dietro i monti pisani. Una brezza soave incominciava a spirare dal piano, recando alla giovine coppia le acute fragranze degli orti pistoiesi.

- E voi, Fiordalisa, - mormorò Spinello, dopo un lungo silenzio, - pensavate al vostro povero amico?

- Sempre; - rispose ella con un filo di voce.

- Angelo, ed io l'ho meritato, sapete? Ogni giorno della mia triste vita è stato un assiduo pensiero per voi, un ricordo continuo, doloroso e caro, delle mie speranze perdute. Oh Fiordalisa, come t'ho amata, e come t'amo tuttavia! Sorriso della mia giovinezza, ti ho dunque ritrovato? E non sei più mia! L'ira dei tristi ci ha separati. Ma è forse vero? L'amore che mi legava a te, dal giorno che ti ho veduta per la prima volta e ti ho votato il mio cuore, non dura eterno qui dentro? Fiordaliso, anima dell'anima mia, senti, è il destino che ci ha divisi, è il destino che ci ricongiunge. Non è desso che m'ha chiamato a Pistola? E contro il desiderio dell'infame Tuccio di Credi? Oh, quell'uomo, quell'uomo! Come dovrà pagar caro il suo tradimento! Perchè io lo ucciderò, sai, lo ucciderò come si uccide un rettile schifoso e malefico! -

Fiordalisa fremette a quelle parole di minaccia.

- No, Spinello, amico mio, non giurate la morte di nessuno. È la vostra Fiordalisa che ve ne prega. Chi siamo noi per farci giudici, dov'è la mano di Dio? E tu ed io, - soggiunse ella abbassando la voce, - siamo forse così puri, nel profondo dell'anima, per non aver mestieri di perdono davanti alla giustizia degli uomini ed alla misericordia di Dio?

- Ah! - gridò egli, colpito da quelle parole, e più dall'accento con cui erano stato profferite. - -Tu m'ami dunque, o Fiordalisa! Mi ami... come t'amo?

La bella creatura gli volse uno sguardo in cui si dipingeva tutta la confusione dell'animo suo, e cadde perduta nello braccia dell'innamorato Spinello.

Ore soavi, ore di cielo, chi potrebbe descrivere la vostra dolcezza infinita? Parole sussurrate da labbro a labbro, quasi paurose di essere udite dall'aria, chi potrebbe ridirvi? Quei due nobili cuori, separati dalla tristizia degli uomini, erano dunque resi a stessi, e si confondevano allora tanto più infiammati l'uno dell'altro, quanto più lunghi erano stati il desiderio e la pena? Si erano amati; si amavano. Il doloroso intervallo spariva; quei due cuori non avevano mai cessato di amarsi.

La luna, apparsa pur dianzi dal colmo del poggio, s'innalzò lentamente su per la volta azzurra: Ed essi erano , immobili, ebbri di amore, gli occhi cupidamente fisi negli occhi, le braccia intrecciate alle braccia. Il mite chiarore dell'astro notturno, che pioveva sui due felici e pareva involgerli d'una velatura bianca, li faceva rassomigliare a due figure di marmo, che, aggruppate dal sentimento d'un gentile artefice, eternassero il loro amplesso nella radura d'un bosco; delizioso spettacolo d'amore, e veramente degno di essere contemplato dalle stelle. Quete notti della bella Toscana, in mezzo al cupo smeraldo dei poggi digradanti, al biancheggiare dei nitidi borghi in lontananza, al luccicare dei fiumi, serpeggianti in fascia d'argento lunghesso le valli, avevate mai accolta e accarezzata dal vostro raggio amoroso una felicità così piena?

Ella guardando lui, ed egli vedendo il creato negli occhi di lei, avevano dimenticato ogni cosa. Ma che cos'altro è un vero e forte amore, se non un profondo oblio! Respirare le dolci fragranze d'una guancia adorata, farsi collana di due candide braccia, è come affogare nell'infinito; anticiparsi il maraviglioso nirvana dei filosofi indiani. Sopra tutto, se duri tra voi e intorno a voi un grande silenzio, che vi l'illusione d'esser cullati sul flutto, in un mare senza sponde, e senza tempeste. Ogni piena allegrezza è naturalmente muta, la beatitudine non si dice; è la cosa sublime, ineffabile, che si tiene gelosamente in serbo, nel segreto dell'anima, per rammentarla nei giorni malinconici, d'ogni luce muti.

E poi, che bisogno avrebbero avuto di manifestarsi i loro pensieri a vicenda? Un linguaggio più tenero e più efficace parlavano quelle labbra ardenti, quegli occhi confusi di voluttà. E tacevano, intanto, ed ogni cosa taceva intorno a loro. Da lunge, si udiva solamente lo stridio dei grilli, monotono ma lene, che non urtava l'orecchio, ma conciliava il raccoglimento, e pareva la voce della natura, la nota della realtà, che dicesse loro: voi siete persone vive, non ombre vane; quel che sentite, è gaudio consapevole, non illusione del sogno.

Amore, amore! Quanti inni non ha sciolti per te l'anima umana ne' suoi impeti di poesia! Ma tu sei così vario e profondo, che nessuna forma dell'arte basterebbe a comprenderti. Tu non sei intiero in nessuno dei nostri cantici, perchè ogni cantico è in te. Scioglierò anch'io, gramo poeta, il mio inno alla tua potenza infinita? No, chiuderò gli occhi, e contemplerò i tuoi miracoli nella penombra delle mie ricordanze: evocherò il caro fantasma che meglio risponde alla tua immagine non mai ritratta da umano pennello. E a me, pur troppo, non risponderà da lontano il monotono e lene stridìo dei grilli canterini; la voce della natura, la cara nota della realtà, sarà muta per questo povero cantastorie.

Mentre io parlo, ricordando troppo, ed essi tacciono, dimenticando ogni cosa e vivendo un'eternità nello spazio d'un'ora, un fruscio della frappa s'è udito tra le piante.

All'improvviso rumore, Fiordalisa tremò; Spinello balzò prontamente in piedi tendendo l'occhio sospettoso e l'orecchio. Ambedue rimasero lungamente in ascolto, rattenendo il respiro; ella più innanzi, e pronta ad allontanarsi dal terrazzo; egli più indietro, ma con la mano agli elsi della spada.

- Non è nulla; - diss'ella poco stante; - forse il vento tra i rami.

- Ah! - sospirò egli. - Povera vita! Tremare, nascondersi.... E perchè? Tu verrai meco, non è vero, amor mio! -

Fiordalisa si strinse al petto di Spinello, e non rispose parola.

- Dimmi, te ne prego, - ripigliò Spinello, - verrai?

- Verrò, sì, non dubitare, verrò; - rispose ella, turbata. - Ma, per amor del cielo, per me, non cedere alla tua impazienza! Una cosa ti sia certa; - soggiunse, parlandogli all'orecchio come se vergognasse di udire il suono delle proprie parole, - che io non vivrò con quell'uomo, non profanerò l'impronta dei tuoi baci. -

Spinello premette al seno quella fronte adorata e depose un bacio tra i suoi bruni capelli. Ma Fiordalisa, non bene rassicurata, stava ancora in ascolto.

- È il vento, dicevi, è il vento che stormisce nella frappa; - mormorò allora Spinello. - Di che temi tu dunque? Ma lui, a quest'ora dov'è?

- Non so; - rispose Fiordalisa; - forse ancora in città, dov'è andato a salutare un amico.

- È un fedel servitore; - notò amaramente Spinello; - il suo Tuccio di Credi, venuto a Pistoia per lui.

- Ah! forse per avvertirlo della tua presenza? - diss'ella, guidata da quel senso indovino che hanno in simili casi le donne.

- Orbene, sia pure così; - rispose Spinello. - Io lo aspetterò di piè fermo.

- No, te ne supplico, parti! Egli sarà qui tra poco. Potrebb'essere già ritornato, e cercare in questo punto di me.

- Andrò, - disse Spinello, sospirando. - Ma non intendi tu, Fiordalisa? Ieri ho colto a volo una sua frase, in risposta all'infame Tuccio di Credi. "Partiremo, diceva egli, partiremo." E se egli domani ti conducesse via da Colle Gigliato? Dove ti troverei io, adorata?

- È vero; - rispose ella perplessa. - Ma tu conosci Cia, la buona contadina. Ella mi ama; a lei posso confidarmi, ove sia necessario. Ella ti avvertirà d'ogni cosa. Ma parti, ora; che egli non abbia a ritrovarti qui! Saremmo perduti ambedue.

- Sì, partirò. Dio Santo! - mormorò Spinello, comprimendosi il petto, che pareva volesse scoppiargli dalla pena. - Ecco la luce degli occhi miei, e debbo ritornar nelle tenebre! Quando ti rivedrò, mia dolce signora?

- Se Iddio lo consente, domani. Ma non venire di giorno. Attendi il colmo della notte. Cia verrà ad aprirti. Io troverò un pretesto per escire in giardino.

- Pronta a seguirmi?

- Sì, pronta a tutto. Iddio mi usi misericordia, perchè io ti amo e farò ogni cosa per te. -

Parlavano a bassa voce, guancia a guancia, tenendosi per mano, come persone che vorrebbero separarsi e non sanno risolversi, tanto è forte l'affetto.

In quel mentre, un nuovo rumore si udì dalla rèdola. Spinello mise mano alla spada.

- Zitto! - diss'ella. - Sicuramente è tornato, e questa è Cia che viene a cercarmi.

- Vado a vedere: - bisbigliò Spinello, facendo atto di muoversi.

- No, fèrmati; essa non deve trovarti ancora qui, così tardi! Mio Dio, chi sa che cosa ella avrà già pensato di noi! Lascia almeno che io la disponga a domani. Tu rimarrai qui, fino a tanto che io non sia presso di lei, avviata al castello; indi scenderai verso il portone. Andrai a sinistra e troverai a scala di pietra. -

Così dicendo, si allontanò. Spinello la seguì un tratto, fino al limitare del terrazzo, per stringervi la sua mano e deporvi un ultimo bacio. Ella, si volse con moto rapidissimo, lo baciò in fronte e fuggì.

Il giovane innamorato rimase in sull'ali, pronto a muoversi, appena fosse sparita, e a discendere da quella parte che essa gli aveva accennata. Ma proprio nel punto che egli stava per togliersi di , udì un grido di spavento, che gli gelò il sangue nelle vene. E subito dopo vide riapparire madonna Fiordalisa, che correva a furia verso il terrazzo, come persona inseguita.

- Ah, salvami! - gridò ella. - Salvami! Egli mi ucciderà. -

Spinello fu pronto come la folgore. Con la spada nel pugno, si cacciò tra lei e il suo persecutore invisibile.

Ma appunto allora un uomo comparve dalla rèdola e venne a piantarsi sull'entrata del terrazzo. Veduto a lume di luna, in mezzo alla radura delle piante, pareva un fantasma.

- Chi siete voi, messere! - gridò egli, con accento impresso di sdegno. - Perchè vi trovo io con la mia donna, in quest'ora notturna, e senza avervi dato licenza di entrare?

- La vostra, donna! - ruggì Spinello Spinelli. - Voi parlate, messer Lapo Buontalenti, da quel ladro sfacciato che siete. Tenetevi indietro, o per la croce di Dio, è questa la vostra ultima ora. -

Ma in quella che faceva dare indietro il suo nemico, udì un gemito e vide Fiordalisa abbandonarsi sul fianco.

- Fatevi animo, madonna; - diss'egli; - il tristo non potrà nulla contro voi. Ma che è ciò! - soggiunse egli, con accento mutato, dalla baldanza al terrore, poichè aveva veduto luccicare nella mano di messer Lapo la lama d'un pugnale. - Ah! L'avete ferita? Vigliacco! Ferire un donna!

- È il mio dritto; - rispose il Buontalenti. - In mia casa son giudice e punisco senza il vostro beneplacito. -

Indi, alzando la voce gridò:

- A me la mia gente! A me!

- Vivaddio! - rispose allora Spinello. - Voi siete un giudice? Ed io sono la giustizia divina, in quest'ora. A voi, Lapo Buontalenti; io renderò cento per uno. -

E si avventò a messer Lapo, con la spada levata. L'impeto fu tale, che il Buontalenti non ebbe tempo a causarlo e ricevette il colpo nel bel mezzo del petto. La punta della spada si ruppe sul corsaletto di cuoio che messer Lapo indossava. Ma la violenza del colpo lo aveva fatto stramazzare a terra. Spinello, lesto come una tigre, gli fu addosso col ginocchio, e afferrata la spada sotto gli elsi, gli piantò il troncone nella gola, prima che quell'altro potesse menargli una pugnalata attraverso il costato.

I famigli del Buontalenti erano accorsi al frastuono. Tra i primi era la Cia.

- Vergine santa! - gridò ella atterrita. - Che è ciò? La mia signora?...

- È , sul terrazzo. Andate, buona donna, ella aspetta i vostri soccorsi; - rispose Spinello, balzando in piedi, col suo troncone di spada nel pugno. - E voi, - soggiunse, rivolgendosi agli uomini, che erano rimasti sbigottiti, davanti a quella scena di scompiglio nei buio, senza sapere con chi e con quanti avesse a fare, - andate subito al castello. Portate acqua, una lettiga, una scranna, quel che vi capita, per adagiarvi la vostra signora, che questo infame ha ferita.

- La mia signora! - gridò la contadina. - La mia signora ferita! Ah, Dio di misericordia! Andate, correte, obbedite a questo buon cavaliere. È un congiunto di sangue della nostra padrona. -

Quella povera donna non sapeva quel che si dicesse; parlava a caso, seguendo l'ispirazione della paura. Aveva sospettato, poche ore innanzi; ma in quel punto indovinava il triste dramma, a cui il destino aveva data una così dolorosa catastrofe. Mentre i famigli del castello ritornavano sui loro passi, per obbedire ai comandi dello sconosciuto, altrettanto storditi dall'accento di sicurezza della donna, quanto dallo spettacolo atroce che si era parato davanti ai loro occhi, la buona Cia accorreva presso la sua diletta signora.

Spinello non la seguì, prima di aver dato uno sguardo al suo rivale, disteso supino per terra a boccheggiante nel proprio sangue.

- Lapo Buontalenti, - diss'egli. - Domineddio non paga il sabbato, ma paga. Così gli piaccia di perdonare a me, se ho ardito di farmi suo ministro di giustizia. -

Ciò detto, andò anch'egli verso il terrazzo, ove giaceva madonna Fiordalisa, col capo già sollevato sulle ginocchia della fedel contadina.

- Fiordalisa! Angiola mia! - esclamò egli, con voce lagrimosa.

- Sei tu, Spinello! - mormorò Fiordalisa, volgendo languidamente la faccia verso di lui. - Sia ringraziato il cielo! Disperavo già di vederti.

- Amor mio, sempre daccanto a te! - rispose egli, chinandosi al fianco di lei.

- Sempre! - ripetè la bella creatura. - Ahimè, sarà per poco. Ormai, è finita, per me. Il crudele, sai, mi ha ferita.... qui! -

Aveva recata, in quel mentre, la mano al petto, e la mostrava a Spinello intrisa di sangue.

Così era, pur troppo. Messer Lapo Buontalenti, appostato dietro un cespuglio, si era scagliato su lei e l'aveva ferita, senza che ella se ne accorgesse. Era fuggita, la misera donna, credendo di cansare il colpo che aveva veduto balenare nell'ombra; ma il suo movimento di terrore non era servito che a mutare di breve distanza il punto a cui mirava il carnefice. Il ferro, che doveva colpirla a mezzo il petto, l'aveva colta nel fianco.

La buona Cia si era fatta da principio a sollevarle il busto, per aiutarla a respirare. Ma, veduto il sangue che grondava dal costato, si era affrettata a slacciarle la veste, e, appena giunsero i famigli con l'acqua, v'inzuppò un pannilino, che pose con ogni diligenza e raffermò sulla ferita. L'impressione del freddo parve ristorare la sofferente, ma non ristorò altrimenti le speranze de' suoi assistenti amorevoli. Poco stante, la bella creatura incominciò a rammaricarsi, e qualche goccia di sangue le apparve sugli angoli delle labbra.

Spinello si cacciò le mani nei capegli.

- Oh, per colpa mia! per colpa mia! - gridava egli, con accento disperato.

- No, amico mio; - mormorò Fiordalisa; - non ti accusare! È stato il destino. Perchè ti ho trattenuto io questa sera? Dio santo, ero così avida di questa felicità! Ho pianto, sai, ho durato tre anni tra il dolore dell'anima e la menzogna del volto, disperando di vederti, amandoti e odiandoti.... Perdonami, non si odia così, che quando si ama così. E dovevo io discacciarti, appena ritrovato? Non eri mio? Non mi eri reso? E non dovevo accettare il dono che mi era fatto dal destino? Oh, lo sapevo, sai, lo sapevo, che m'avrebbe uccisa. Ma in questa certezza è stata anche la mia scusa. Ti amo! ti amo! -

Un fiotto di sangue interruppe lo sfogo di quell'anima addolorata.

- Mia buona signora, chetatevi; - disse amorevolmente la contadina. - Voi vi affaticate troppo.

- No, no, lasciami parlare, ottima Cia; ho pochi istanti di vita. -

Il petto di Spinello parve rompersi dai singhiozzi.

- Amico mio, perchè ti lagni? - ripigliò Fiordalisa. - Non mi seguirai tu? Ho bisogno d'esser seguita da te. Ma bada, non sia per opera delle tue mani, e solo quando a Dio piacerà. Pregalo con tutta l'anima, digli che la tua Fiordalisa si sentirà troppo sola, senza di te. Ma no, son crudele; vivi, mio povero amico, vivi per i tuoi figli. Solo ti prego che tu non abbia a scordarti di me. Verrò a visitarti, ogni giorno, se Iddio lo permetterà; il mio pensiero ti sarà sempre vicino. Oh, misericordia divina! Quante cose da dire, e la vita mi sfugge!... -

La buona Cia le spruzzò acqua sul viso, ed ella si riebbe un tratto.

- Che è avvenuto... di lui? - domandò volgendosi alla contadina.

- Oh, mia dolce signora, di che vi date pensiero? Egli rende conto a Dio di ciò che vi ha fatto soffrire.

- Dici bene, mi ha fatto soffrire; molto mi ha fatto soffrire; tanto, che lingua umana non potrebbe ridire. Sono colpevole.... ma per lui. Dio perdoni all'anima sua! -

Quindi, volgendosi a Spinello, gli disse:

- Amico mio, vorrei esser sorretta da te. -

Spinello si affrettò a prenderla tra le sue braccia.

- Mia buona Cia, allontana quegli uomini. E allontanati anche tu, te ne prego. Vorrei dire qualche cosa a Spinello. Mi perdoni tu, non è vero? -

Cia baciò la mano della sua padrona e si tirò in disparte, dall'altro lato del terrazzo, dopo aver congedato i famigli. Spinello rimase solo accanto alla morente, sostenendola nelle sue braccia.

- Spinello, amico mio, amante mio, - diss'ella, - qua, la tua mano sul mio cuore! Oh, come sarebbe stato dolce vivere sempre così! Ma Iddio non l'ha voluto. Egli non consente che si ami troppo la vita. Ringraziamolo, poichè almeno egli ci ha dato quest'ora. Non basta, forse? Ci siamo amati. Ho dimenticato ogni cosa nelle tue braccia. Vedi, che notte serena! che splendore di stelle! E che bel giorno sarà domani! Ah, ma tu non lo vedrai tale, non è vero, amor mio? Se questa valle sorriderà del suo più amabile sorriso alla luce del sole, tu non vedrai che tenebre? Giuralo, perchè io muoia contenta. Sai, quando la persona amata non è più, il mondo non deve avere più nulla, più nulla, che lo faccia amare da chi resta.

- Oh, io ne morrò; - disse Spinello, con voce soffocata dalle lagrime.

- Vivi, le l'ho detto; vivi triste, ma vivi. Col desiderio di me, ricordati, col desiderio di me! Sentirei freddo, nella tomba, se il tuo amore non venisse a ricingere le mie povere ossa, dentro. Ahi, triste cosa, morire! Non voglio morire! Di grazia, ancora un giorno! Un'ora, almeno un'ora di vita! Spinello, mio fidanzato, amor mio, dove sei? Non mi lasciare! Non mi lasciare! Prega il Signore per me.... per l'anima della tua Fiordalisa. -

La bella creatura balbettò ancora poche parole, il cui suono si spense nel sangue che le gorgogliò sulle labbra, e la testa ricadde inerte tra le braccia dell'amato. le lagrime ardenti di lui valsero a trattenere quella vita che fuggiva; le sue grida disperate si perdettero nel gran silenzio della notte.

 

 

 




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