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Anton Giulio Barrili Il ritratto del diavolo IntraText CT - Lettura del testo |
X.
L'anno era trascorso dacchè madonna Fiordalisa era morta per lo sventurato Spinello. Ed egli, il fedele, l'inconsolabile amante, circuito, spronato, incalzato, oppresso dalle esortazioni di tutti, dava tregua al lutto del suo cuore, per impalmare un'altra donna.
Così finiscono, direte, così finiscono gli eroi da romanzo! Ma, di grazia, umani lettori (e vorrei soggiungere umane lettrici), sentite un pochino le ragioni del narratore. Si grida tanto alla debolezza dei romanzieri, che si son fitti in capo di presentare al pubblico dei tipi perfetti, soprannaturali, impossibili! E i romanzieri, che sono uomini veri, cioè a dire imperfetti la parte loro, si seccano di questa chiacchiera, oramai troppo ripetuta. Ah, volete del vero? Eccone. Voi pretendete, osservatori giudiziosi della natura, che il dolore non duri eterno nell'anima umana. L'esempio costante di ciò che vedete intorno a voi sembra dirvi che la gioventù della carne, mortificata a lungo da un profondo rammarico, si ribella un bel giorno al suo tormentatore e ripiglia i suoi diritti? Ammettiamo che sia vero, e rifacciamo i nostri poveri eroi su questo grazioso esemplare. Noi dunque dicevamo....
No, non dicevamo nulla; o piuttosto, dicevamo che non è proprio così. Il senso morale si ribella anche lui, respinge queste superficialità dell'osservazione quotidiana, ed anche in un atto di debolezza vuol vedere le ragioni di un grande sacrifizio. Andate coll'indagine minuta e paziente, andate in fondo a queste apparenti infedeltà che sono portate dai casi e consigliate dagli obblighi della vita, e troverete ancora il dolore, più profondo e più grave che mai, poichè i contrasti degli affetti lo avranno mutato in rimorso.
Lo abbiamo tutti, non dubitate, lo abbiamo tutti, un alto ideale nell'anima. Lo si nega da molti, a cui pesa di nutrire un ospite così ragguardevole, e di apparire poco padroni in casa propria. Ma la coscienza lo svela a tutti e col testimonio della coscienza non c'è negazione che tenga. Quando la commedia del giorno è finita e l'attore si trova solo nel suo camerino, dove non ha più da ingannare nessuno, spoglia le vesti e gitta gli arnesi della sua parte, incominciando da quei mustacchi neri e arroncigliati che gli davano un'aria di gradasso, o da quelle fedine bionde, che lo facevano parere un inglese annoiato. Quando tacciano intorno a voi le voci del mondo, ascoltate la voce arcana che è dentro di voi e che vi dice: Così devi essere, non come ti sei dato a vedere. Nobiltà, grandezza, culto della virtù, non sono vuote parole. Perchè vuoi mostrarti spregiatore delle cose invisibili, solo perchè non si riflettono nello specchio che ti rappresenta la tua immagine arcigna? E chi credi tu d'ingannare, con questa tua scettica asseveranza? Chi ti dice che tutto ciò che fu, sia morto davvero e per sempre? Chi ti assicura che gli occhi vigili, di là dalla tomba, non guardino ancora, con tristezza o pietà, ciò che tu fai di malvagio o di sciocco?
Spinello Spinelli vedeva la propria condizione e pensava con raccapriccio che avrebbe dovuto mentire davanti ad una povera fanciulla un affetto che non sentiva nel cuore. Ma gli soccorreva in quel punto l'esempio di Parri della Quercia. Già condannato ad una fine immatura, non impalmava egli una ragazza, col nobile proposito di liberarla dalle strette della miseria e dai mali trattamenti della famiglia? E Spinello, dal canto suo, condannato al lutto eterno delle sue morte speranze, non avrebbe assicurato a monna Ghita dei Bastianelli uno stato di gran lunga superiore a ciò che ella poteva ripromettersi? Perchè, infine, egli era giunto in breve ora all'eccellenza dell'arte e ne raccoglieva i frutti ogni giorno. La sua medesima tristezza, appartandolo dal mondo, gli recava il benefizio inestimabile di una febbrile operosità. La ricchezza si faceva incontro a Spinello, più che egli non andasse a cercarla; e quella ricchezza egli avrebbe data a monna Ghita, in compenso di un amore che non era in poter suo di offerirle.
E poi, che cosa doveva ella sapere delle cose d'amore, quella vergine creatura, vissuta sempre rinchiusa tra le pareti domestiche? Così pensava egli, ingannandosi; ma in quella stessa guisa che si ingannano tutti, credendo che amore sia una scuola, mentre esso è una rivelazione. Una donna, anche più facilmente e meglio dell'uomo, si inizia all'amore da sè, Non ne ha imparati i segreti; eppure ella sente subito, appena il suo cuore abbia incominciato a dare i battiti più frequenti dell'usato, ella si addestra a discernere l'amore vero dal falso, l'accento della passione da quello della tenerezza e della pietà. Ma infine, ve l'ho detto, Spinello s'ingannava come tanti e tanti altri, e poteva credere che quella innocente fanciulla non gli avrebbe saputo chiedere più di quello che egli poteva darle in ricambio. E all'ombra di Fiordalisa, che gli stava sempre negli occhi, mostrava gli amici, i protettori, messer Dardano, suo padre, tutti collegati nell'opera di volerlo ammogliato. E le soggiungeva, quasi a finire di persuaderla: vedete, la donna che io ho, non già trascelta fra mille, ma accettata dalle mani del caso, è una povera creatura, a cui mancano le grazie della persona, e nessuno potrà credere che il mio cuore, ancor pieno di voi, si sia infiammato per una donna così poco paragonabile a voi.
In questo modo e con questi ragionamenti, Spinello Spinelli si acconciò al nuovo proposito. Messer Luca, a mala pena ne ebbe il felicissimo annunzio, si partì da Arezzo, per venire a Firenze. Gli antichi odii partigiani che lo avevano cacciato dall'ombra del suo bel San Giovanni erano da gran tempo sopiti. Riabbracciò il suo figliuolo e gli parve di vederlo tornato da morte a vita; nè si dolse, nel suo cuore di padre, aperto a tutte le ammirazioni come a tutte le tenerezze, di dover mandare il rispetto di costa all'amore, trovando Spinello così grande, per le sue opere, nella estimazione di tutti.
- Figliuol mio, - gli dicea, non sapendo saziarsi mai di guardarlo e di baciarlo sul viso, - sei tu? proprio tu? il dipintore famoso, che contende la palma ai migliori della scuola di Giotto? E sono io tuo padre? -
Dopo una così lunga notte di amaro sconforto, Spinello Spinelli ebbe i primi sorrisi di gioia, vedendo l'allegrezza di quel povero vecchio, che per lui, per suo figlio, tornato alla quiete dell'animo, cresciuto alla gloria dell'arte, dimenticava perfino le ebbrezze del fuoruscito, che dopo tanti anni d'esilio rivede finalmente la patria.
Messer Dardano Acciaiuoli accolse anche lui amorevolmente il padre del suo giovine amico e gli fece gran festa. Ambedue andarono dal Bastianelli che lavorava, come vi ho detto, in una botteguccia d'orafo sul Ponte Vecchio.
Il bravo e modesto artefice cascò dalle nuvole udendo quella domanda di matrimonio fatta a sua figlia da un pittore famoso e recata a lui da un uomo così ragguardevole, da uno dei maggiorenti di Firenze, qual era messer Dardano Acciaiuoli. Non accettò lì, su due piedi, perchè voleva interrogare sua figlia, ma in fondo in fondo perchè non credeva a' suoi medesimi orecchi. Non poteva darsi che quei due visitatori avessero preso un granchio e fossero andati da lui, scambio dì andare da un altro?
- La mia figliuola, non fo per dire, è un'angiola; - rispose il Bastianelli, com'ebbe udita la domanda di messer Dardano. - Ma forse messer Spinello, di cui mi parlate, non l'ha vista bene. Agli occhi del mondo, che non conosce il suo cuore, la mia Ghita è una povera ragazza, senza garbo, come senza sostanze. Troppo le manca di ciò che può far piacere una donna, specie ai pittori, che s'innamorano di veduta, anteponendo, com'è naturale, i pregi della persona a quelli del cuore.
- Via, mastro Zanobi, - rispose l'Acciaiuoli, - non fate così poca stima del sangue vostro. Spinello conosce la vostra Ghita e ne è innamorato morto. E poi l'ho veduta anch'io, che me ne intendo, per antica esperienza; - soggiunse usando dei diritti che concede l'età. - Non vi date dunque pensiero di certi nonnulla. Piuttosto chiedete a lei che cosa pensi di questa proposta. Si sa, poichè col marito ci ha da vivere lei, è anche giusto che sia interrogata la sua volontà.
- È giusto, sicuro, è giusto; - disse il Bastianelli, che non sapeva raccapezzarsi, tra il dubbio e l'allegrezza.
Siamo dunque intesi; - ripigliò l'Acciaiuoli. - Chiedete l'avviso della vostra figliuola. Noi ripasseremo domani da voi.
- No, messere, so il debito mio; - replicò il Bastianelli facendo un inchino. - Passerò io alle vostre case, messere. -
Quel giorno mastro Zanobi chiuse bottega alle undici del mattino, quantunque non fosse giorno di festa. Ma era festa per lui, a bastava. Gli sapeva mill'anni di essere a casa, di avere interrogata sua figlia e di saperne l'intiero.
Monna Crezia, che tale era il nome della moglie dell'orafo, fece le meraviglie, vedendo ritornare in casa a quell'ora insolita il marito.
- Domine! - gridò ella, inarcando le ciglia. - Che cos'è stato? Perchè avete lasciata la bottega?
- La bottega è la bottega e la casa è la casa; - sentenziò mastro Zanobi. - Dov'è la Ghita?
- È di là, che lavora. Ma si può sapere che cosa abbiate, Zanobi!
- Crezia, voi saprete ogni cosa a suo tempo. Venga la Ghita; ho bisogno di parlarle. -
Venne la Ghita. Una bella ragazza, a non guardare che la testa; capegli neri come l'ebano, occhi neri e pieni d'espressione; nobili e delicati i lineamenti, bianca la carnagione, e soave il sorriso, che prendeva lume in giusta misura dalla bontà dell'animo e dalla bellezza della bocca. Peccato che il collo non fosse lungo abbastanza, ma in fine, era un collo bianco e tondeggiante, indizio di forte e serena maternità. La vita era un po' tozza, ma seguitava anch'essa il carattere e l'espressione del collo, quasi preparando l'occhio a quella andatura impacciata, che in parte lasciava indovinare e in parte nascondere il difetto già noto ai lettori. Un difetto da nulla, in verità, quello che aveva meritato a monna Ghita il soprannome di zoppina, e si poteva dimenticarlo, quando essa non si muoveva; condonarlo, e trovarci anzi una certa grazia, quando ella si faceva innanzi, con quella sua andatura di persona stanca e svogliata.
- Ghita, - incominciò gravemente mastro Zanobi, - dimmi la verità. Conosci tu un giovane, qui presso, che ti fa.... mi capisci?
- Babbo, io non capisco; - rispose la Ghita.
- Vo' dire che ti fa l'occhiolino. Capisci ora? -
La Ghita si fece rossa come una fravola montanina.
- Padre mio... - balbettò ella, più confusa che mai.
- Rispondi! Non voglio mica mangiarti. Qui presso alla nostra casa, abita forse un giovanotto, che tu vedi qualche volta?
- Non so.... Io non conosco nessuno; - rispose la fanciulla. - Ce ne stanno due, qui presso, nella casa degli Ammannati. Si vedono qualche volta sulla terrazza, senza volerlo, stando quassù, presso al balcone.
- Il loro nome!
- Non lo so. Si dice che siano due pittori. Ma la mamma potrà saperlo meglio di me. Io non parlo con nessuno, lo sai.
- Che c'è? che c'è? - entrò a dire monna Crezia. - Perchè domandate il nome dei vicini, Zanobi?
- Perchè? Perchè uno di costoro ha chiesta la Ghita in moglie. Vi pare che io non abbia il diritto di domandarvi qualche ragguaglio?
- Ah! - gridò monna Crezia. - Messer Spinello Spinelli?...
- Bene! Voi sapete già il nome? - ripigliò ironicamente, ma senza sdegno il marito. - E tu, Ghita, lo sapevi anche tu, non è vero? -
Ghita chinò la testa, arrossendo di bel nuovo. Voi capirete, lettori discreti, che, alla sua età e nella sua condizione di figlia al cospetto del babbo, la fanciulla non poteva far altro.
Mastro Zanobi seppe quel che voleva sapere, e rimase lì un tratto senza parole, guardando la moglie e la figlia, con una cert'aria che voleva parere arcigna, e con una gran voglia in corpo di abbandonarsi alle più matte dimostrazioni di gioia. Maritare una figlia, levarsi di casa la zoppina, che vi pare? Non c'era da far le capriole? Il re David, uomo gravissimo pel suo tempo e per la sua dignità in Israele, ballò davanti all'Arca per molto meno.
- Sicchè, - disse finalmente mastro Zanobi, conchiudendo ad alta voce un suo ragionamento mentale, - non sarà neanche il caso di chiedervi se siete contente? Meglio così. Io, tanto e tanto, avrei risposto di si, anche senza il vostro consenso. Vi ho interrogate perchè la cosa mi pareva strana, e ancora adesso non so capacitarmi in che modo sia nato questo innamoramento del pittore.
- Oh, non stiate a credere che noi si sia fatto un passo per andargli incontro; - rispose prontamente monna Crezia. - Si vedevano qualche volta i due giovani sulla terrazza degli Ammannati, nella casa qui presso dove sono venuti da qualche mese ad abitare. Uno di essi ci restava a lungo seduto, guardando in Arno, come se aspettasse una barca, che non veniva mai. L'ho capito un po' tardi, che barca aspettasse! Ma come indovinarlo subito, Dio buono, se non guardava mai in alto, salvo una volta in principio, per salutarci, come s'usa tra buoni vicini? Bisogna proprio dire che ci abbia gli occhi sulla fronte, alla guisa delle chiocciole!
- Abbreviate, Crezia! - disse mastro Zanobi. - Quando incominciate a parlar voi, benedetta donna!
- Oh, vi contento subito. Un giorno, sarà forse due settimane fa, è venuta da noi monna Tessa, la cognata di vostro fratello, povero Meo, che Iddio abbia in gloria l'anima sua, e m'ha detto che nel Borgo si faceva un gran parlare d'una tavola esposta in Santa Lucia de' Bardi. - Che importa a me di quella tavola? - Può importarvi perchè la faccia della Santa è il ritratto puro e pretto della vostra figliuola. - Che volete, Zanobi? La curiosità ci ha prese e siamo andate a vedere anche noi questa Santa Lucia. Monna Tessa aveva ragione; la Santa somigliava alla Ghita come... come... aiutatemi a dire!
- Abbreviate, Crezia, abbreviate! Il paragone non serve a nulla.
- Che uomo impaziente siete voi! Ci avete sempre vent'anni. Basta, sappiate che, dopo la faccenda del ritratto, monna Tessa, che conosce i due pittori, è venuta a dirmi dell'altro. I pittori le avevano chiesto di noi, chi fossimo, che cosa facessimo, se la Ghita avesse già un fidanzato, ed altre scioccherie di questa fatta.
- E non mi avevate avvertito di nulla? Brava la mia Crezia!
- Madonna delle poerine! O che volevate che io venissi subito a confidarmene con voi! Monna Tessa me ne aveva parlato così in aria, senza assicurarmi nulla. Erano chiacchiere fatte tra noi donne, ed io credevo che non ci avessero neanche ombra di fondamento, perchè dopo quel discorso avevo incominciato a fare un po' di guardia e non m'ero avveduta di nulla. Il giovanotto non veniva neanche più a sedersi sulla terrazza. Oh, per questo, non dubitate, dev'essere un uomo dabbene.
- Meglio così; - sentenziò mastro Zanobi; - senza contare che è un artista di grido e che la domanda di matrimonio mi è stata fatta da suo padre, venuto a bella posta d'Arezzo, e accompagnato alla mia bottega da uno dei più ragguardevoli cavalieri di Firenze. Non capisco come una sorte così grande sia toccata alla nostra casa. Ma già, dice il proverbio: fortuna e dormi. Siete contente voi altre? Io sono arcicontento. Preparatevi a ricevere il fidanzato, che un giorno o l'altro bisognerà pure aprirgli l'uscio di casa. E a due battenti, se lo accompagna messer Dardano Acciaiuoli. Voi, Crezia, mi direte poi che cosa gli bisogna alla nostra figliuola, non siamo ricchi, ma grazie a Dio, tanto da non farla sfigurare lo avrà. -
Così ebbe fine il primo dialogo dei coniugi Bastianelli intorno al matrimonio di monna Ghita. La quale, poverina, ci perdette l'appetito, tanto era sconvolta dall'idea di quelle nozze, che certamente l'avrebbero fatta invidiare da tutte le ragazze del vicinato.
Mastro Zanobi temeva un pochino quantunque non lo lasciasse trapelare a nessuno, che il pittore, entrato una volta in casa, non gli girasse nel manico, trovando, come suol dirsi, il vino troppo diverso da quello che prometteva l'insegna. Spinello venne, e fu proprio il caso di aprir l'uscio a due battenti poichè messer Dardano Acciaiuoli si era degnato di accompagnare il suo giovane amico. Per fidanzato gli parve un po' grave; ma forse era da attribuirlo alla timidità del carattere e alla confusione di un primo incontro. Infatti, come il ghiaccio fu rotto, Spinello Spinelli parve rasserenarsi a grado a grado, e mezz'ora dopo non c'era in lui più traccia di musoneria.
Comunque, egli l'aveva voluta; doveva pensarci lui. Mastro Zanobi andò bravamente all'ultimo esperimento. Bisognava far onore agli ospiti, ed egli mandò le sue donne a prendere nell'armadio una bottiglia di vin Santo. Monna Ghita dovette muoversi dalla sedia, su cui era rimasta a così dire inchiodata, e andare attorno come avrebbe fatto Ebe nell'Olimpo, o Briseide nella tenda di Achille. Gli occhi del babbo seguirono la fanciulla che camminava più stenta del solito; indi si volsero a indagare il viso di Spinello Spinelli. Lo credereste? Il giovinetto non parve darsi per inteso del difetto; anzi, da quel momento, incominciò a mostrarsi più franco, e poco stante si alzava anche lui, chiedendo licenza di aiutar la fanciulla in quell'umile ufficio di servitù familiare.
E bisognava vederlo, con che garbo ci si adoperava. Forse un osservatore più diligente e più acuto avrebbe trovato che Spinello Spinelli mirava a dissimulare con quella mostra di operosità un sentimento di freddezza che poteva benissimo essersi impadronito di lui. Perchè gli uomini son fatti così, e si cavano volentieri d'impaccio fingendo una gran voglia d'esser utili, che li dispensa dal rimanere estatici. La sollecitudine s'inventa lì per lì; l'estasi non si comanda. Essa, è come quel tal segreto degli artisti, che
A cui natura non lo volle dire
Nol dirian mille Ateni e mille Rome.
Per fortuna, mastro Zanobi non era un osservatore di quei tali, e a lui la spigliata sollecitudine del fidanzato poteva e doveva parere tutt'altro.
- Non siete scontento di noi? - gli chiese in un momento che potè averlo in disparte. - Siamo povera gente, messere, e ancora tutti confusi dal grande onore che ci fate. -
Spinello Spinelli si commosse a tanta semplicità di parole.
- Che dite mai, padre mio? - esclamò. - Son io che debbo esser confuso di gratitudine. E che io lo sia davvero ve lo dimostra il non avere ancora saputo trovar l'occasione di dirvelo. Nel seno della vostra cara famiglia io troverò la pace che non ho potuto avere nella mia, da troppi anni disfatta. Mia madre è morta, quando io ero ancora bambino; mio padre, esule dalla sua Firenze e triste come tutti gli esuli, non ha potuto circondare di gioie domestiche la mia fanciullezza. Son venuto su triste come lui e lo sono rimasto, come vedete. Egli e messer Dardano potranno dirvi che questa è la mia indole. Ma io vi prego di credere una cosa, mastro Zanobi; la vostra figliuola non avrà mai a dolersi di me. Questo posso promettere, sulla mia fede d'onest'uomo. -
Mastro Zanobi, intenerito, strinse fra le sue braccia il futuro suo genero.
- L'avete detto, - rispose, - l'avevo detto fin dal primo momento che vi ho veduto: ecco un giovine dabbene! -
Le nozze furono affrettate quanto più si potè, senza danno dei consueti apparecchi. C'era in tutti una gran furia di far presto. Furia del Bastianellì, a cui non parea vero di allogare la figliuola in quel modo; furia di messer Luca, che non vedeva l'ora di veder suo figlio sottratto ai pericoli dell'umor nero; furia di messer Dardano, che adempiva con coscienza a tutti i suoi uffici di protettore; finalmente (e forse era da metter questa innanzi alle altre) furia di Tuccio di Credi, il quale voleva riconquistare la sua libertà. Non già per abbandonare la bottega di Spinello Spinelli, che miglior principale di lui non avrebbe trovato in tutta Firenze; ma per liberarsi, diceva lui a messer Dardano, da quel faticoso mestiere di angelo custode, che messer Luca gli aveva appioppato.
Monna Ghita accettava la sua sorte con una allegrezza raccolta, e vorrei quasi dire concentrata, di cui ella stessa non misurava la profondità. Era sbalordita, oppressa, e la felicità si mostrava per la prima volta a lei sotto l'aspetto di una cosa inaudita. Perciò immaginate voi se monna Ghita avesse tempo o modo di studiar l'animo o il contegno di Spinello Spinelli. Era bello, famoso e aveva chiesto la sua mano. Che cosa avrebbe ella potuto cercare di più? Quel fidanzato era agli occhi di lei un essere soprannaturale.
Il matrimonio, per espresso desiderio di messer Dardano Acciaiuoli, si celebrò nella chiesa di San Niccolò, fatta edificare da lui e dipinta da Spinello Spinelli. Quelle Madonne, quei Santi e quelle glorie d'angioli, che coprivano le volte, dovevano assistere alla cerimonia che consacrava la felicità del loro celebre autore. E non erano i soli, poichè quel giorno ci fu gran concorso in chiesa e le tribune erano tutte piene di ragguardevoli cittadini e di donne gentili, che la fama del giovine pittore chiamava allo spettacolo della sua fine miseranda. Non parlo per celia. Il matrimonio di un artista è sempre un fatto luttuoso, un evento lagrimevole, come a dire un suicidio nella mente dei più.
Monna Ghita entrò in chiesa, vestita di bianco, secondo il costume delle spose. Il suo bel volto, per verità, rosseggiava un po' troppo, a cagione dello sforzo che ella faceva per camminare ritta e nascondere la lieve imperfezione del piede; ma quelle fiamme si potevano credere accese dalla verecondia, e la cosa appariva naturalissima. Spinello, per contro, era contegnoso, impacciato, quasi triste; ma quell'aria, che s'accordava così poco con la felicità del momento, poteva essere attribuita ad un pochettino di confusione. Già si sa, un uomo, con tutta la sua pratica del mondo, non può mica andar franco in una congiuntura così difficile, che gli capita per la prima volta in sua vita.
Quando giunse il momento di profferire il monosillabo che lo avrebbe legato per sempre, Spinello ebbe una stretta al cuore e rimase un istante perplesso. Intravvide, quasi in nube, l'immagine di Fiordalisa, e chiuse gli occhi, come se da quel moto di riluttanza infantile dovesse venirgli la forza di compiere il suo sacrifizio. Ma fu invece la paura che lo vinse; quel momento di esitazione gli era parso un secolo; ed egli si affrettò a rispondere un sì più vivo e più sonoro, che forse non avrebbe fatto in una diversa condizione di spirito. E più sonoro e più vivo glielo fece sembrare il rombo che sentiva negli orecchi, per effetto della commozione del sangue.
Era inganno dei sensi, o realtà? Gli parve che a quel sì rispondesse un grido dall'alto, un grido acuto e breve, come di persona colpita da un improvviso stupore,
- Ah! - pensò egli, sbigottito. - Non è questa la mia dolce Fiordalisa, che mi rimprovera di averla dimenticata? -
Ma proprio allora gli si fecero intorno congiunti ed amici, per congratularsi con lui e con la sua gentile compagna; e la confusione di quel momento e l'obbligo di rispondere a tante cortesie, soverchiarono in lui lo smarrimento dell'animo.
Poco stante, egli esciva dalla chiesa, dando il braccio alla sposa. Io veramente non saprei dirvi quale del due avesse maggior bisogno di essere sorretto dall'altro.
Tuccio di Credi presentò alla sposa un mazzolino di fiori.
- Li ha colti l'amicizia; - diss'egli inchinandosi. - Rammentando questo bel giorno, madonna, non dimenticate il fedel servitore della vostra casa. -
Quel caro Tuccio di Credi, a tempo e luogo, sapeva anche mostrarsi galante. Ma già quando si ha un cuore ben fatto, le son cose che vengono spontanee come... come.... Domandiamolo a mastro Zanobi, il paragone. Ed egli ci risponderà come fece a monna Crezia, sua moglie:
- Abbreviate, abbreviate! Il paragone non serve a nulla. -
E sia, facciamone dunque di meno.