Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Emilio De Marchi
Oggi si recita in casa dello zio Emilio

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

UN UOMO AMANTE DEL QUIETO VIVERE

 

(SCHERZO IN UN ATTO PER GIOVINETTI).

 

 

 

ATTORI.

 

Don Tranquillo, signore sulla quarantina tra il linfatico e il bilioso.

Don Ippolito, suo cognato, deputato al Parlamento, carattere attivo e pieno di buon senso.

Il pittore.

Melchisedecco, servitore, ragazzetto non troppo furbo e non troppo svelto.

 

Avvertenze per la rappresentazione.

 

La scena è lo studio di Don Tranquillo, cioè un salotto con un unico ingresso e una finestra. C'è anche un caminetto nascosto da un telajo. Oltre ai mobili soliti d'uno studio (scrivania, libreria, libri. sedie, ecc.) occorre un'ampia poltrona a bracciuoli con cuscini.

Lo scherzo è ordito in modo che la rappresentazione si può fare in un angolo d'una sala grande, basta determinare la scena con qualche paravento opportunamente collocato.

Occorre anche un campanello elettrico, il bottone del quale si finge collocato a fianco del caminetto, un poco in basso, per la ragione che si vedrà.

Nella stanza vicina al teatro devono essere pronte alcune persone per eseguire tutti gli atti e i frastuoni delle ultime scene.

 

NB. Con pochi mutamenti il personaggio di Don Ippolito può esser trasformato con vantaggio in quello di Donna Teresa, moglie di Don Tranquillo.

 

 

 

SCENA PRIMA.

 

Don Tranquillo, poi il servo.

 

Don Tranquillo.

 

vestito in abito nero da gala, con guanti chiari o cappello a tuba entra agitando un parapioggia grondante. Mentre asciuga i piedi nella stuoia, grida:

 

Melchisedecco, Melchisedecco, dovo sei? Bel divertimento, proprio! un gusto matto! E lo chiamano progresso! Melchisedecco!

 

Viene avanti,

 

Il Servo entra correndo

 

Eccomi, signor conte.

 

Don Tranquillo.

 

To', prendi, aprilo....

 

Consegna l'ombrello.

 

Chiudi l'uscio.

 

Il servo.

 

spiega l'ombrello e sta per collocarlo in un angolo.

 

Don Tranquillo.

che passeggia tutto stizzito.

 

Chiudi, ti dico.

 

Il Servo.

intende che debba chiudere l'ombrello.

 

Ah, scusi, aveva capito d'aprirlo....

 

Chiude l'ombrello.

 

Don Tranquillo.

 

Chiudi l'uscio, ti dico.

 

Il Servo.

 

Ah l'uscio....

 

Coll'ombrello sotto il braccio corre a chiudere l'uscio.

 

Don Tranquillo.

 

E ora, apri bene le orecchie o ascolta quello che ti dico.

 

Il Servo.

 

torna correndo presso il padrone.

 

Don Tranquillo.

 

Che ne fai di questo ombrello? Mettilo giù.

 

Il Servo.

 

torna c.s. a collocare l'ombrello in un cantuccio.

 

Don Tranquillo.

 

Aperto....

 

Il Servo eseguisce.

 

Don Tranquillo.

 

Senti dunque. Hai aperto....

 

Il Servo interrompendo.

 

Sissignore....

 

indica l'ombrello.

 

Don Tranquillo.

 

Dico se hai aperto le orecchie?

 

Il Servo.

 

confuso porta macchinalmente lo mani alle orecchie come se facesse l'atto di aprirle.

 

Sissignore.

 

Don Tranquillo.

 

Bene, ascolta. Venisse anche il papa, venisse anche l'imperatore di tutte le Russie, guarda che non voglio essere più seccato.

 

Il Servo.

 

Sissignore.

 

Don Tranquillo.

 

Dammi ora la mia veste di flanella.

 

Il Servo.

 

va per pigliarla, ma il padrone

lo chiama indietro.

 

Don Tranquillo.

 

Vieni qua, prima aiutami a levare questi guanti che mi fanno nascere le formicole nel sangue.

 

Colloca il cappello nuovo sulla sedia dietro il servo che tira le punte del guanto. Battono due colpi nell'uscio.

 

Il Servo.

 

Hanno picchiato.

 

Vorrebbe correre ad aprire, ma il padrone lo arresta per una falda della livrea.

 

Don Tranquillo.

 

Fermati!

 

Alzando la voce.

 

Chi è? che un galantuomo non possa vivere un momento in santa pace?

 

Una voce di dentro.

 

Signor conte, c'è quel vecchio pittore che si raccomanda alla sua carità.

 

Don Tranquillo.

 

Anche i pittori adesso. Ho dato duecento lire al piovano perchè soccorra i bisognosi, Vada da lui....

 

quasi pentito della sua durezza

 

o torni un altro momento.

 

Più aspro.

 

Non potete intanto dargli da colazione?

 

Continuando da .

 

Più un uomo è amante del suo quieto vivere e più si direbbe che la gente abbia gusto di tormentarlo. Adesso levami anche questo.

 

Porge l'altra mano al servo che tira rovesciando il guanto.

 

Don Tranquillo.

 

asciugandosi la fronte e contorcendosi.

 

Son bagnato di sopra e di sotto, stretto, strozzato nell'amido, soffocato dal colletto, intricato nelle maniche.... Tira.

 

Il servo.

 

nel dar l'ultima strappata al guanto perdo l'equilibrio e va a sedere sul cilindro del padrone.

 

Don Tranquillo fuori di .

 

Asinaccio.... va a spaccar della legna.

 

Il servo piagnucolando.

 

Ho creduto che fosse una sedia.

 

Don Tranquillo.

 

alzando i pugni.

 

Meriteresti....

 

A un tratto muta tono o si rabbonisce.

 

Ma non voglio arrabbiarmi, voglio essere filosofo a vostro dispetto. La prima e più sicura pace, ha detto un sapiente, è quella che viene da noi stessi. Io dirò dunque, per non guastarmi il sangue, coll'antico Epitetto: "Se il tuo servo sederà sul tuo cappello e lo schiaccerà, non meravigliarti. Non sapevi tu, uomo ragionevole, che il tuo cappello è di feltro e che il tuo servo è un balordo?" - Alzati, libellula, e va a pigliare la mia veste di camera.

 

Il servo.

 

si alza con un senso di paura.

 

Don Tranquillo.

 

Prende il cappello schiacciato, lo contempla un istante e mentre lo colloca sulla scrivania dice con serenità filosofica:

 

Fragilità delle umane cose.

 

Il servo tra .

 

M'è capitato un bell'originale.

 

Don Tranquillo.

 

nell'atto di togliersi la giubba.

 

Aiutami a levare questo panno mortuario.

 

Si slaccia il colletto, infila la veste, mette al collo un fazzoletto di seta.

 

Dammi il mio berretto di lana.

 

Il servo eseguisce in fretta.

 

Don Tranquillo.

 

Guarda se trovi la mia tabacchiera.

 

Il servo.

 

fa un giro intorno alla scrivania.

 

Don Tranquillo.

 

sentendosi volontà di starnutare si palpa indosso.

 

Il fazzoletto da naso, presto prest....

 

Starnuta.

 

Il servo

 

corre col fazzoletto saltando sopra l'ombrello.

 

Don Tranquillo.

 

E ora....

 

con calma

 

portami le pantofole.

 

Il servo nell’uscire.

 

Fortuna che è un uomo amante del quieto vivere; Dio mi salvi dai padroni furiosi!

 

 

 

SCENA SECONDA.

 

Monologo di Don Tranquillo.

 

Si accomoda prima la veste indosso, fa un nodo al fazzoletto del collo, si schiaccia in testa la callotta, piglia un pizzico di tabacco, e con tono di filosofo rassegnato comincia:

 

Proprio un bel divertimento! crescentino era un paesetto quieto, solitario, quasi perduto in mezzo ai boschi, di costumi pastorali e semplici, dove un galantuomo amante del quieto vivere poteva sperare di trovare un vero e perfetto riposo nel seno innocente della natura.

Crescentino era un'oasi in mezzo a questo arido deserto che si chiama il mondo degli intrighi, dei pettegolezzi, degli affari, delle invidie, delle ambizioni, dove io venivo tutti gli anni in questa mia villa a rifarmi lo spirito nella contemplazione di queste praterie belle, verdi, fiorite,

 

le farà quasi vedere col gesto

 

dove non odi che il gorgoglio dei ruscelli, qualche gorgheggio o cip cip d'uccellino, e il dlen, dlen, dlen....

 

con voce delicata

 

degli armenti pascolanti....

 

Rimane un istante come beato in contemplazione.

 

Ma era scritto che doveva spuntare anche per Crescentino il giorno del progresso. Mio cognato Ippolito, deputato. consigliere, segretario, tre o quattro volte cavaliere, uomo omnibus, venuto un giorno a far colazione da noi, scoprì che a Crescentino non c'era nemmeno una strada ferrata e una stazione.

 

Affrettando il discorso.

 

Presto, presto, carta, penna e calamaio, scriviamo una petizione al Consiglio di Stato, un'altra al Parlamento, si aprono sottoscrizioni d'azionisti; si facciano subito i rilievi, ed ecco arrivato il beatissimo giorno della inaugurazione.... S'invitano le autorità, la banda, ed il clero e cim e cim andiamo ad inaugurare il progresso di Crescentino.... Oh! un bel gusto: alzarsi presto, infilare l'abito a coda, i guanti chiari, metter tanto di cravattino bianco, per rimanere poi due ore e mezzo sotto la pioggia esposti ai colpi del vento, coi piedi nel fango, in mezzo ai villani che ti pigiano, ti urtano, ti ammaccano le costole e tutto ciò per il profitto di.... di.... di....

 

starnuta

 

di prendere un bel raffreddore....

 

Chiamando verso l'uscio.

 

Melchisedecco, le mie pantofole! ....un raffreddore e forse anche una bron.... bron....

 

tossisce

 

bronchite e tutto questo per il piacere d'intendere il signor vice - prefetto a proclamare il progresso economico delle nostre castagne. Bah! ne troveremo sette per guscio adesso.... e c'è della gente che si diverte! Povera umanità! Se Crescentino era prima un paesello simpatico ed idilliaco come un'egloga virgiliana, adesso colle sue quattro corse al giorno di arrivo e quattro corse di partenza, coi treni merce, gli espressi, gli straordinari, ecc., è un paesaccio come tutti gli altri. Anche quelle poche quaglie scapperanno via.

La mattina non avrai ancora aperti gli occhi che sentirai fiiii

 

imita il fischio

 

di qui, poi di nuovo fiiii di , poi dlen dlen, dlen dlen, dlen dlen

 

con voce aspra

 

e poi ciuff.... ciuff.... bum.... bum.... La sera lo stesso;

 

affrettando il discorso

 

starai per chiudere gli occhi quando di nuovo.... fiiii.... dlen, dlen, dlen.... perepèè bum, bum.... La domenica sarà un andare e venire di villani e di borghesucci festajoli

 

c. s.

 

che prima stavano a casa loro a rosicchiare castagne; d'autunno sarà una persecuzione di visite nojose, tutta gente che prima si contentava di scrivere e che adesso vorrà approfittare di questa comodità per riempirti la casa, per....

 

Forte.

 

E queste pantofole?

Per me son dell'opinione del Chinesi, che dopo averlo provate le hanno strappate tutte le ferrovie. Gran paese la China! Vorrei anch'io poter innalzare una gran muraglia di porcellana intorno alla mia casa per tener lontani questi nuovi barbari del progresso. Mio cognato è di questi. Egli farebbe una strada ferrata anche sotto il tuo letto. E mia moglie gli va dietro, si scalda la testa e per qualche libro francese che ha letto, per qualche elogio che le hanno fatto i giornali, crede d'essere la regina Teodolinda.

 - Melchisedecco, lumaca.

Mia moglie vorrebbe che anch'io mi agitassi, mi scalmanassi, mi facessi portare candidato in qualche cosa.... Io! pazienza benedetta! non mi fido nemmeno degli asini che mi portano e devo farmi portare dagli elettori!

Se è necessario soccorrere il poverello e far del bene al popolo, eccovi la mia borsa, pigliatevi pure un pezzo della mia terra, fabbricatevi pure scuole, asili, ospedali....

 

con rilievo

 

manicomi, fin che volete. Se vi son lagrime da asciugare pigliatevi pure tutti i miei fazzoletti o anche qualche lenzuolo, ma per carità, non mi seccate con idee incomode e ambiziose.

Mol....chi....sedecco! lumacone.

 

 

 

SCENA TERZA.

 

Don Tranquillo, il servo.

 

Il servo.

 

rientra correndo colle pantofole in mano.

 

Don Tranquillo.

 

E non ti basta di avere un nome lungo come il serpente boa che tu voglia essere lungo anche a servirmi?

 

Il servo.

 

Non sono ancora molto pratico della casa.

 

Don Tranquillo tra .

 

Ha fatto molto male a morire il povero Anselmo.

 

Al servo.

 

Animo, tirami fuori queste scarpe che sembrano due spugne.

 

Siede sulla poltrona e alza una gamba, Il servo nel tirare la scarpa trascinerà un poco anche il padrone e la poltrona sulle ruote.

 

Il servo.

 

La signora contessa mi ha detto di dirle....

 

Don Tranquillo.

 

Che cosa ti ha detto di dirmi? Una nuova seccatura?

 

Il servo.

 

Se deve invitare al pranzo degli ufficiali anche l'organista.

 

Don Tranquillo.

 

Tu vuoi dire al pranzo ufficiale. Dille che lo inviti pure. Per me son già malato d'indigestione. Anzi, aspetta; intanto che sono a tempo, scriveremo a buon conto a donna Teresa un bel bigliettino, come, qualmente....

 

Con un piede in una pantofola e l'altro calzato va alla scrivania e piglia la penna.

 

"Cara Teresa, per tua regola e norma io sono morto. Di' a tutti questi bravi signori, che mi dispiace tanto, ma non posso prendere parte alla nobile festa del progresso, perchè...."

 

S'interrompe e pensa

 

Che cosa devo dirle? se mi per malato mia moglie mi manda qui tutti i medici del Circondario. Ne ho riconosciuti tre nella folla.... E d'altra parte non ho proprio voglia di fare il grande cerimoniere....

 

Seguendo il filo de' suoi pensieri, si alza e viene più innanzi simulando una specie di ricevimento.

 

È un mestiere abbastanza nojoso quello del padron di casa in queste circostanze. Ti piantano sulla porta o mentre gli altri mangiano i tuoi sandwiches e bevono il tuo Marsala, tu devi fare riverenze a destra, riverenze a sinistra, salutare, chieder scusa, ringraziare, e non sai di che e perchè.... - Oh troppo onore! prego, prego, restino serviti. - Commendatore, anche lei? io sono mortificato. - Caro direttore generale! Avvocato, mi rallegro, ho letto il suo articolo sullo Scarafaggio.... Chi vedo, anche la baronessa Struzzi - Merluzzi.... Io son commosso.... Posso servirla in qualche cosa? un caffè, una tazza di birra? un sorbetto? un catino per la barba? uno scaldaletto? presto, Martino, Gaspare, Melchiorre, Baldassare, Melchisedecco....

 

Il servo.

 

Durante la scena era rimasto in piedi colla scarpa nelle mani, cogli occhi in aria. Sentendo il suo nome, si scuote da una specie di sogno e grida:

 

Comandi.

 

Don Tranquillo.

 

Che fai con una scarpa in mano?

 

Il servo.

 

Aspetto l'altra.

 

Don Tranquillo.

 

Hai detto alla signora Contessa ciò che ti ho detto di dirle?

 

Il servo.

 

Il signor conte non mi ha detto nulla da dire alla signora contessa.

 

Don Tranquillo stizzoso.

 

Va a dirle dunque che t'ho detto di dirle che non posso salutare e ricevere quei signori, perchè....

 

cercando un pretesto

 

perchè sono in pantofola.

 

 

 

SCENA QUARTA.

 

Don Tranquillo, Don Ippolito, il servo

 

Don Ippolito dal di fuori.

 

Don Tranquillo, siete qui?

 

Don Tranquillo spaventato.

 

Misericordia, mio cognato.

 

Don Ippolito c. s.

 

Perchè vi siete chiuso dentro? vi sentite male?

 

Don Tranquillo.

 

No, scusate, adesso vengo....

 

Al servo, sottovoce,

 

Presto, tira avanti la poltrona....

 

Il servo.

 

mette la scarpa sotto il braccio e spinge la poltrona verso il caminetto.

 

Don Tranquillo sottovoce.

 

Ora dammi il mio bastone.

 

Il servo porta il bastone.

 

Don Tranquillo.

 

zoppicando, come se avesse male al piede.

 

Togli quel brutto ombrello.

 

Il servo.

 

piega l'ombrello e va per aprire.

 

Don Tranquillo stizzoso.

 

Melchisedecco.

 

Lo richiama.

 

Il servo.

 

colla scarpa e l'ombrello sotto i bracci torna indietro.

 

Don Tranquillo.

 

Mettimi un cuscino in terra.

 

Il servo

 

nel prendere il cuscino lascia cadere l'ombrello in terra.

 

Don Tranquillo stizzoso.

 

Presto, serpente boa.... e ora sta attento.

 

Lo afferra per un braccio.

 

Vedi tu questo piede?

 

Siede, mette il piede sul cuscino.

 

Il servo.

 

Sissignore.

 

Don Tranquillo.

 

Dirai a tutti che mi son fatto male.

 

Il servo compassionando.

 

O povero padr....

 

Don Tranquillo.

 

Sta zitto. Dirai che un asino poco fa nella folla ci ha camminato su.

 

Il servo.

 

Sissignore.

 

Don Tranquillo.

 

Lo dirai anche alla Contessa.

 

Il servo.

 

Un asino, sissignore, anche alla Contessa.

 

Don Tranquillo.

 

E che faccia le mie scuse....

 

 

Il servo mezzo stordito.

 

All'asino, sissignore.

 

Nell'uscire.

 

Intanto l'asino sono io.

 

Don Tranquillo.

 

Apri, fa presto....

 

Tra .

 

È scritto nel libro del mio destino ch'io non abbia mai da avere un minuto di riposo. Un'altra volta voglio nascere frate. Ma fingeremo d'aver un piede ammaccato....

 

 

 

SCENA QUINTA.

 

Don Ippolito e Don Tranquillo.

 

Don Ippolito entrando.

 

Si può venire?

 

Don Tranquillo.

 

Don Ippolito, venite pure.

 

Don Ippolito.

 

raccoglie l'ombrello caduto in terra e lo colloca in un cantuccio.

 

Mi rincresce disturbarvi, Vostra moglie vi cerca per mare e per terra, caro don Tranquillo, Ha cento cose da dimandarvi.

 

Don Tranquillo.

 

A me basta questo piede da grattare.

 

Don Ippolito.

 

Che ci avete fatto a quel piede?

 

Don Tranquillo.

 

Non sapete! poco fa, laggiù, nella folla, una bestia ferrata l'ha creduto un ciottolo.... e paf! sicuro.... Un male, vi dico, che fa vedere tutte le stelle come un telescopio.

 

Don Ippolito con interesse.

 

O diavolo, vi siete fatto molto male? Lasciate vedere.

 

Don Tranquillo.

 

Ahi ah! non toccate.... La bestia dalle lunghe orecchie ha voluto vendicarsi.

 

Don Ippolito.

 

Perchè vendicarsi?

 

Don Tranquillo.

 

Ora che hanno fatta la ferrovia ci sarà meno lavoro per lei; e poichè si sa che anch'io sono azionista.... ahi! ahi!

 

Don Ippolito.

 

Volete che faccia venire il dottor Cerotti? è qui.

 

Don Tranquillo.

 

No, no, è quasi passato: è una semplice contusione. Vedete la differenza, cognato mio, tra noi; io li porto gli asini, e voi.... vi fate portare.

 

Don Ippolito.

 

Pare che il vostro piede non v'impedisca di fare dello spirito. Comincio quasi a dubitare che sia un male, dirò così, diplomatico.

 

Don Tranquillo.

 

Pigliatelo come volete, ma non toglietemi alle mie pantofole.

 

Don Ippolito.

 

E se invece io vi pregassi d'un piccolo sacrificio?

 

Don Tranquillo.

 

Volete che io sottoscriva ancora diecimila lire per una strada ferrata nelle nuvole?

 

Don Ippolito.

 

Vi ringrazio: nelle nuvole ci si va anche senza strade. Vengo a darvi la bella notizia che avremo tra i nostri invitati anche il Segretario generale del Ministero dei Lavori Pubblici.

 

Don Tranquillo.

 

Davvero? è un onore che mi fa dolere anche l'altro piede.

 

Don Ippolito.

 

Io devo molta gratitudine al Segretario generale perchè, si può dire, è merito suo se Crescentino oggi ha una strada ferrata.

 

Don Tranquillo.

 

Davvero? se mi capita nelle mani sta fresco.

 

Don Ippolito.

 

Egli viene apposta per voi.

 

Don Tranquillo.

 

Per me? io non ho strada in aria.

 

Don Ippolito.

 

Nella mia molto specificata relazione al Ministero, intorno all'esecuzione di questo nuovo tronco che allaccia Crescentino coi principali centri industriali dell'Alta Italia....

 

Don Tranquillo brontolando.

 

E colla casa del diavolo....

 

Don Ippolito seguitando.

 

....insieme ai sacrifici compiuti dai diversi comuni ho dovuto naturalmente tener conto delle offerte dei privati e specialmente di quelle date a premio perduto. Quindi il vostro nome figura primo nella lista.

 

Don Tranquillo.

 

Dovevate dire ch'è stata mia moglie.

 

Don Ippolito.

 

O voi o vostra moglie poco importa nel caso nostro. Il fatto è questo: che Sua Eccellenza il Ministro, sensibile come sempre per tutti coloro che cooperano direttamente o indirettamente alla prosperità e al miglioramento morale e materiale del paese, ha preso nota della mia relazione e

 

con rilievo

 

vi manda oggi per mano del suo Segretario generale le insegne di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro....

 

Don Tranquillo.

 

Ahi! ahi! queste sono pugnalate al cuore d'un galantuomo che ama il suo quieto vivere. Caro cognato, e non potreste pigliarle voi queste insegne?

 

Don Ippolito ridendo.

 

Vi farei volentieri questo piacere se potessi.

 

Don Tranquillo.

 

E perchè non potete?

 

Don Ippolito.

 

Son già cavaliere.

 

Don Tranquillo.

 

Guarda che disgrazia! anche questa mi doveva capitare quest'oggi.

 

Don Ippolito.

 

Io capisco, caro cognato, che un uomo possa amare il suo quieto vivere; ma ci sono dei doveri sociali, ai quali un buon cittadino non può sottrarsi senza incorrere nel biasimo delle persone oneste.

 

Don Tranquillo.

 

Tra i doveri del buon cittadino mettete anche quello di lasciarsi crocifiggere?

 

Don Ippolito.

 

Capisco la semplicità della vita o dei costumi, ma guardate che questo eccessivo amore al riposo non sia poi in fondo della poltroneria bella e buona. E la poltroneria è sorella dell'egoismo.

 

Don Tranquillo.

 

Non è la prima volta che noi disputiamo su questo argomento o pur troppo, come due filosofi di scuole diverse, siam fatti per non intenderci. Voi avete scritto (scusate la mia franchezza), sulla vostra bandiera: Seccare il prossimo come stesso. Io invece: Vivere e lasciar vivere. Son due bandiere che possono liberamente sventolare all'aria libera. Io non impedisco che voi conduciate in casa mia non soltanto il Segretario generale, ma anche il Ministro se vi garba, il prefetto, il maresciallo e tutta la guarnigione di terra e di mare, non esclusa l'artiglieria e qualche fregata. Similmente non impedisco a mia moglie d'invitare non solo il sindaco e il segretario comunale, ma anche, se occorre, l'organista, il sagrestano e il facente funzione di vice - campanaro. Ma invoco per me.... un pajo di pantofole.

 

Don Ippolito un poco irritato.

 

Nessuno vuol rubarvele le vostre pantofole.

 

Don Tranquillo.

 

Ma non posso ricevere quei bravi signori in questo arnese.

 

Don Ippolito c. s.

 

Non vi manca nemmeno un pajo di scarpe.

 

Don Tranquillo più eccitato.

 

Mi manca la volontà di metterle.

 

Don Ippolito c. s.

 

Son cose di convenienza, meno faticose di quel che credete.

 

Don Tranquillo.

 

Ho io cercato qualche cosa al signor Ministro?

 

Don Ippolito.

 

E allora perchè siete venuto al mondo, se vi seccano tanto gli uomini?

 

Don Tranquillo.

 

Ho io domandato al buon Dio che mi mettesse al mondo?

 

Don Ippolito stizzosamente.

 

Voi fareste uscire gli usci dai gangheri.

 

Don Tranquillo irritato.

 

E voi pure se la mia pazienza non avesse gangheri d'acciaio.

 

Don Ippolito.

 

E non vi pare che per troppo amore al vostro quieto vivere facciate vivere molto incomodamente gli altri?

 

Don Tranquillo.

 

Lasciatemi nel mio guscio.

 

Don Ippolito.

 

Forse che è minor fatica calzare una scarpa, infilare un abito, che fingere la parte di zoppo, tossire e starnutare per forza, inventare bugie e paradossi, tormentare il vostro servo con centomila bisognini e fare innanzi al mondo la figura d'un orso selvatico?

 

Don Tranquillo.

 

E aggiungete: ascoltare delle prediche noiose....

 

Don Ippolito.

 

Noblesse oblige.

 

Don Tranquillo seguitando.

 

....con citazioni.

 

Don Ippolito.

 

Voi non siete un egoista, no....

 

Don Tranquillo.

 

Meno male.

 

Don Ippolito.

 

Il vostro cuore è aperto a tutti i buoni affetti del bene.

 

Don Tranquillo con ironia.

 

Grazie!

 

Don Ippolito.

 

La vostra mano soccorre e benefica largamente; ma avete un gran torto....

 

Don Tranquillo c. s.

 

Oh, oh!

 

Don Ippolito.

 

Invece di lasciar venire da quella pace che tien dietro naturalmente ad ogni buona azione, vi affaticate a cercarla dove non c'è....

 

Don Tranquillo.

 

con curiosità e ironia.

 

Dove?

 

Don Ippolito.

 

con un senso di sarcasmo.

 

Nelle pantofole.

 

Don Tranquillo offeso.

 

Ah cognato! che direste di me s'io vi rinfacciassi tutto quel che penso di voi in questo momento?

 

Don Ippolito.

 

Avrei la pazienza d'ascoltarvi e di perdonarvi.

 

Don Tranquillo.

 

Credete forse che non vi sia un mestiere più degno di un libero cittadino, di quello di mettere il naso

 

con sarcasmo

 

nelle pantofole altrui!..

 

Don Ippolito.

 

Scusate, non lo farò più. Dirò dunque al Segretario generale che una bestia ferrata....

 

Don Tranquillo.

 

Dite pure un asino.

 

Don Ippolito.

 

Come vi piace. Dirò che un asino vi ha morsicato....

 

Va via con passo risoluto.

 

 

 

SCENA SESTA.

 

Don Tranquillo solo

 

agitato, fuori di , passeggiando in fretta e zoppicando senza accorgersi.

 

Egli ha voluto fare della satira e della morale, egli l'uomo indispensabile, l'uomo omnibus, il seccatore perpetuo, il distillatore del buon senso, il sale, la canfora della virtù. E a un povero uomo non deve essere concesso di vivere a modo suo, in casa sua, no, no....

 

Lancia lontano il bastone.

 

Abbiamo fatto il quarantotto, il cinquantanove, il sessanta per conquistare questa santa libertà

 

stringe tra le due mani la callotta

 

e sono questi signori liberaloni, che non permettono a un galantuomo di morire senza la croce di cavaliere. No, ci deve essere una croce prima di morire e una croce dopo sul tuo povero corpo....

 

Butta in alto la callotta. Scalmanato.

 

Melchisedecco! Mi sento già la febbre addosso, son rauco, ho freddo; ma no, miserabile, tu non hai più diritto di avere i polmoni in disordine, di tossire e di star.... star....

 

Starnuta forte.

 

I tuoi polmoni sono proprietà del ministro dei lavori pubblici, e il tuo stomaco è una assicella per l'esposizione delle decorazioni e delle Grazie Ricevute. È un'infamia, un'ignominia, una barbarie che l'eguale non si è data nemmeno ai tempi dei Goti, degli Ostrogoti, dei Visigoti,

 

Colla voce più rauca.

 

Melchidesecco! (Nota bene l'errore).

 

Pigliando la giubba nera dalla sedia.

 

Volete decorare il mio palandrone? pigliatelo!

 

Getta il vestito contro l'uscio.

 

Pigliatevi anche la mia pelle e fatene il

tamburo del progresso.

 

Più rauco ancora.

 

Melsichedecco! visigoto.

 

Cercando intorno.

 

Non c'è più nemmeno un campanello! Una volta c'era un cordone qui.... Melsidechecco! sei qui, visigoto?

 

 

 

SCENA SETTIMA.

 

Don Tranquillo e il Pittore.

 

Il pittore.

 

È un vecchio malvestito, con una barba lunga e un'aria di mattoide. Ha sotto il braccio una cartella. Parla con voce flebile, riscaldandosi di tempo in tempo fino all'entusiasmo.

 

Sarei un uomo tinto della più nera ingratitudine se io partissi da questa casa senza aver baciata la mano del mio generoso benefattore....

 

Don Tranquillo.

 

Lo guarda un momento.

 

Di che cosa? chi siete? che cosa volete?

 

Il pittore.

 

Io sono quel vecchio pittore, Agenore Mangiastoppa, al quale la Signoria Vostra Illustrissima ha fatto avere un sussidio.

 

Don Tranquillo.

 

Andate alla parrocchia, non mi seccate....

 

Il pittore.

 

Sono già stato. Bastò ch'io pronunciassi il nome della Signoria Vostra Illustrissima perchè ottenessi un largo sussidio a' miei bisogni non solo, ma la commissione di una Via Crucis....

 

Don Tranquillo.

 

tra il dolce e il brusco.

 

Bene, mi rallegro: andate in santa pace....

 

Il pittore.

 

No, io sarei un uomo tinto della più nera ingratitudine se partissi da questi luoghi senza aver baciato almeno il lembo del mantello di colui che mi ha salvato dall'abbiezione....

 

Don Tranquillo.

 

Scusate, ho gente, ho molto da fare....

 

Il pittore.

 

riscaldandosi nel discorso.

 

Non è vero che il mondo sia popolato soltanto di serpi invidiosi e di ipocriti coccodrilli. V'è ancora qualche essere degno dell'ammirazione e dell'adorazione dei posteri.

 

Don Tranquillo.

Vi ringrazio.... A rivederci....

 

Tra .

 

Che peccato quasi di non essere un coccodrillo.

 

Il pittore.

 

Non ho voluto partire da questi paesi senza dare prima al mio generoso Mecenate un segno della mia abilità,

 

Comincia a sciogliere i nastri della cartella.

 

Io ero nato per percorrere la strada luminosa della gloria. Fin dagli anni più teneri una voce segreta andava dicendomi:

 

forte

 

Cammina, la tua strada è quella che hanno tracciata prima di te i Raffaelli, i Tiziani, i Michelangieli, i Van Dyck, i Rubens, i Murillo.... ma ahimè! il bisogno, le malattie, il tradimento o la verde Invidia dei maligni mi hanno ridotto a campare quasi di elemosina. Ma in mezzo a tante miserie non è spenta in me la viva scintilla dell'arte, no, no.... e quel giorno ch'io potrò immortalare in un ritratto le sembianze del mio benefattore, quel ritratto sarà per me il monte della gloria.

 

Don Tranquillo.

 

Abbandonandosi nella poltrona e sospirando.

 

O divina pazienza! egli comincia da me

la sua Via Crucis.

 

Il pittore.

 

Io sono nato il 10 agosto 1831 da poveri ma onesti genitori.

 

Don Tranquillo.

 

Adesso mi racconta tutta la sua vita.

 

Il pittore.

 

Mio padre faceva l'arrotino e mia madre lavava le robe di colore. Di qui la mia vocazione.

 

Don Tranquillo.

 

Oh in nome del cielo! non ho tempo di ascoltare queste favole.

 

Il pittore.

 

Favole? ah fossero favole, eccellenza! Fosse una favola questo mio viso macilento, questo mio abito logoro, queste mie scarpe che ridono e piangono sul mio destino. Fosse una favola il tradimento che mi hanno fatto nel 1867 quando per una congiura di potenti invidiosi mi fu tolto il premio che il voto unanime del popolo aveva assegnato al mio Trionfo dei Salamini.... Quel giorno che ai miei Salamini, dipinti col più classico stile che uscisse dalla scuola dei Canova e degli Appiani, preferirono uno scarabocchio di un certo Hayez, quel giorno che preso un affilato coltello io feci a pezzi i miei Salamini che mi erano costati un anno di studi.... quel giorno fu l'ultimo della mia vita. Io non sono più un uomo, un artista, un vivo.... Io sono lo scheletro, l'ombra di me stesso.... - Ma anche in questo scheletro palpita il sentimento dell'arte o della riconoscenza, o se la Signoria Vostra illustrissima vuol compiacersi a scorrere questi miei lavorucci....

 

Don Tranquillo tra .

 

(Pigliamolo colle buone.) - Potete, Mangiastoppa, lasciarmi quella cartella per qualche giorno? io vedrò, sceglierò, e vi prometto che riconoscerò generosamente i vostri meriti sconosciuti. Questa è la sorte dei genii. Anche Torquato Tasso morì in un ospedale! ma dopo la morte un glorioso tempio accoglie gl'immortali che hanno lasciato dietro di la traccia luminosa del loro genio.

 

Il pittore entusiasta.

 

Sì, un tempio.... oh fosse vero che io potessi salire i gradini di quel tempio....

 

Don Tranquillo tra .

 

Povero diavolo!

 

Il pittore.

 

Potessi vedere una parete di quel tempio decorato de' miei Salamini.... voi sapete, Eccellenza, la storia dell'antica vittoria riportata dai Greci contro il re persiano Serse nel golfo di Salamina.

 

Don Tranquillo.

 

La so benissimo. Ma io avrei un argomento ancora più grande da suggerire al vostro genio,

 

Il pittore.

 

Davvero?

 

 

Don Tranquillo.

 

Quella è storia antica, passata e trapassata e non rappresenta infine che il trionfo della forza materiale: ma accostatevi a quella finestra. Che cosa vedete voi? Ecco lontano una nuova stazione di ferrovia; ecco un viale addobbato a bandiere e una gran tavola preparata. Questa è la festa della pace, dell'industria, del lavoro: questa è la grande vittoria dei Salamini moderni....

 

Il pittore.

 

preso da improvviso entusiasmo.

 

È vero! una nuova via si schiude davanti a me.

 

Don Tranquillo.

 

Eccovi la porta, non perdete tempo. Fatemi uno schizzo di questi nuovi Salamini e avrete in me un generoso protettore.

 

Il pittore.

 

Io sarei un uomo tinto dalla più nera ingratitudine se tardassi un momento a compiacere alla volontà di un signore che quasi nuovo sole viene a rischiarare la strada della mia gloria.

 

Don Tranquillo.

 

Vi ringrazio....

 

Procura di mandarlo via

 

Il pittore.

 

Mi sia intanto concesso di baciare questa mano che mi toglie dal fango. Voi siete per me il mio Leone X.

 

Va via.

 

Don Tranquillo.

 

Dio lodato, se ne va. Se rimaneva un poco ancora mi faceva scoppiare come una vescica. - Ora vediamo se ci riesce di stare in pace un momento.

 

Cercando intorno.

 

Una volta qui c'era un campanello. In questa casa non c'è più ordine e chi comanda meno è il padrone.

 

Chiama.

 

Melchisedecco....

 

 

 

SCENA OTTAVA.

 

Don Tranquillo e il servo.

 

Il Servo entra in furia.

 

Eccomi.

 

Don Tranquillo.

 

Chi ha levato il cordone del mio campanello?

 

Il Servo.

 

Ella sa: ora c'è il campanello elettrico qui....

 

Indica il luogo presso il caminetto.

 

Don Tranquillo.

 

non volendo ascoltare.

 

Che elettrico! vieni qua. Conosci tu i denari?

 

Toglie dal taschino del panciotto alcune monete.

 

Il Servo.

 

Un poco.... di vista.

 

Don Tranquillo.

 

aprendo il pugno.

 

Quante lire sono queste?

 

Il Servo conta.

 

Una, due, tre, quattro lire d'argento.

 

Don Tranquillo.

 

Piglia, son tue.

 

Il Servo sorpreso.

 

Mie?

 

Don Tranquillo.

 

Tue, a un patto, che tu faccia tutto ciò che ti dico....

 

Il Servo.

 

Comandi.

 

A ogni frase del padrone dirà: Sissignore.

 

Don Tranquillo.

 

Uscirai. Chiuderai l'uscio con due giri di chiave: metterai la chiave in tasca: senza lasciarti vedere da nessuno andrai all'osteria del Falchetto: e beverai alla salute del tuo padrone, fin che hai un soldo. Non tornerai che quando sarà bujo fatto.

 

Il Servo.

 

Sissignore. (È un bel matto).

 

Don Tranquillo.

 

E se ti chiedono di me, di' pure che ho un febbrone di quaranta gradi.

 

Il Servo.

 

Sissignore.... e il vino lo bevo rosso o bianco?

 

Don Tranquillo.

 

spingendolo verso la porta.

 

Andiamo, to' la chiavetta, va fuori, chiudi....

 

il servo eseguisce

 

gira la chiave.... un'altra volta.... crac.... Così.

 

Con un sospirone.

 

Ah! vediamo ora chi avrà coraggio d'entrare. Il signor Segretario generale, immagino, non vorrà passare per il buco della chiave. - Per le corna e per la coda del diavolo! bisogna proprio che un uomo si faccia chiudere in casa per salvarsi dalle persecuzioni?

 

Accomodandosi le pieghe della veste.

 

Vediamo ora se ci riesce di leggere una pagina del mio vecchio Virgilio.

 

Siede sulla poltrona e stende le gambe.

 

Benedetta pace! e dire che si sta tanto bene colle gambe distese, tra i suoi libri, colla coscienza tranquilla. Che cerco io agli uomini? lascio loro le locomotive, i telegrafi, i telefoni, le torpedini, la polvere, la dinamite e tutte le diaboliche invenzioni che fanno rumore....

 

A questo punto risuona nell'interno uno scampanio a festa.

 

Don Tranquillo continua.

 

....le campane....

 

Si rannicchia nella poltrona e prende un libro, legge forte:

 

"Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi.

"Silvestrem tenui musam....

 

 - Una volta le campane suonavano solamente per i santi, adesso suonano anche per il diavolo.

 

"Silvestrem tenui musam...."*

 

Appoggia un orecchio contro la poltrona.

Se si può tornerebbe a tempo un bel colpo di mortaio.

 

Don Tranquillo.

 

rivoltandosi nella poltrona.

 

Anche i mortaj! E chiamano questo un far allegria.

 

Risuonano molto grida di evviva.

 

Don Tranquillo.

 

Sì, evviva, evviva!

 

Colle cocche del fazzoletto si tura le orecchie e torna a leggere più forte.

Seguita lo scampanio.

 

"O Meliboee, Deus nobis haec otia fecit

Namque erit ille mihi semper Deus: illius aram.

 

Gridando.

 

Saepe tener nostris ab ovi....li....bus...."

 

Risuona in mezzo agli evviva una banda campestre.

 

Don Tranquillo.

 

Buon Dio, perdona loro perchè non sanno quel che suonano. Di legger non c'è maniera. Vediamo so almeno ci riesce di dormire.

 

Colloca una sedia presso il caminetto, e sopra mette un cuscino della poltrona in modo che si appoggi al bottone del campanello elettrico. Accosta un'altra sedia, sulla quale si siede o si sdraia, appoggiando la testa sul cuscino. Il campanello vibra. Don Tranquillo alza la testa un momento: il campanello cessa di suonare. Ripone la testa e il campanello torna a vibrare. Prende un altro cuscino, se lo mette sulla faccia. Per un quarto di minuto gli evviva, le campane, la banda, i mortai e il campanello elettrico fanno un chiasso indescrivibile.

 

 

 

SCENA NONA.

 

Don Tranquillo, Voci dal di fuori.

 

 

Don Tranquillo.

 

con voce soffocata e piagnucolosa.

 

Quale delitto ho io commesso ne' miei giovani anni, perchè debba scontarlo con questo inferno anticipato? quando ho io strappata la coda a una gallina, un'ala a una mosca, un pelo a un gatto? Ho io forse scritto dei poemi o delle tragedie noiose? ho io fatto mai dei discorsi politici agli elettori, dando loro a intendere lucciole per lanterne?

 

Voci dalla stanca vicina.

 

Don Tranquillo! - Signor padrone! - Signor conte! - È lei che chiama? - Si sente male? - Apra.

 

Voce di Don Ippolito.

 

È caduto sulla sedia, gli è venuto male: presto, scassinate l'uscio. Un fabbro, un fabbro.

 

Don Tranquillo.

 

balzando in piedi.

 

Si vuole anche scassinare l'uscio! un libero cittadino non è più sicuro nemmeno sotto due giri di chiave? Guerra per guerra! Voi adoperate i vostri grimaldelli, io edificherò le mie barricate.

 

Spinge la poltrona contro la porta: vi ammucchia alcune sedie rovesciate, e sopra vi pianta l'ombrello aperto.

 

La disperazione dei popoli è il castigo dei tiranni. Ma che sento di qua?

 

Verso la finestra.

 

Misericordia! il giardino è pieno di gente d'ogni colore. Tutti corrono verso la casa. Portano una scala. Ecco il signor segretario, il prefetto, il dottore, mia moglie, il campanaro. Cani barbini! danno la scalata alla finestra.

 

Sta un momento riflettendo, gira gli occhi intorno e trovata l'idea esclama:

 

Ingrata patria tu non mi farai cavaliere.

 

Toglie in fretta il telaio del caminetto e vi si rannicchia dentro, nel momento che Don Ippolito, spalancato l'uscio, si affaccia dietro la barricata.

 

 

 

SCENA DECIMA.

 

Don Tranquillo e Don Ippolito.

 

 

Don Ippolito.

 

passando dietro i mobili.

 

Don Tranquillo, dove siete? Cospetto! Egli era qui poco fa e se non è uscito dalla finestra.... Guarda, guarda: sembra la stanza delle streghe dopo la tregenda del sabato. Non si potrebbe essere più amanti dei propri comodi che mettendo le sedie colle gambe in su.... Don Tranquillo, dove vi siete cacciato voi? Nel cassetto, nel calamaio?

 

Guarda dietro la scrivania

 

Il telaio del caminetto si muove: Don Tranquillo nascosto dietro cerca di fuggire per la porta; ma trova il passo barricato. Non volendo che Don Ippolito si avveda di lui, si ferma appoggiato al muro. I due attori per un momento possono continuare la burla, traendo profitto dalle condizioni della scena. Finalmente Don Tranquillo lascia cadere il telaio e si rizza indolenzito col muso nero di fuliggine.

 

Don Ippolito.

 

con uno scoppio di risa.

 

Da che parte venite voi, caro cognato? Ah! ah! So di morti che sono usciti dal loro sepolcro, ma di gente nata da un caminetto, proprio non ho mai sentito parlare. O che muso, cognato mio! non avete uno specchio?

 

Don Tranquillo.

 

con voce d'uomo sofferente

 

Tacete, nell'andar sotto ho battuta la testa nel sasso. Mi sento tutto quanto dinoccolato. Colpa vostra! vi avevo pregato di lasciarmi stare.

 

Don Ippolito.

 

Voi ci avete fatto un gran spavento col vostro campanello.

 

Don Tranquillo.

 

grattandosi e zoppicando.

 

Io non ho suonato campanelli.

 

Va a sedersi sulla sedia presso il caminetto e il campanello vibra.

 

Don Ippolito.

 

Sentite?

 

Va verso l'uscio per avvertire i servitori che non c'è bisogno di loro.

 

Don Tranquillo.

 

saltando su, butta in terra il cuscino.

 

Anche questo un frutto del progresso! Un pover'uomo non può sedersi senza farlo sapere a tutto il mondo. Se si va innanzi così ci metteranno una locomotiva nella pancia, e un campanello elettrico per orecchio.... Ecco l'uomo dell'avvenire! ma per quel tempo io spero d'essere morto.

 

Con dolce mestizia.

 

O dolce riposo delle tombe!

 

Zoppicando va a prendere una sedia della barricata e la trascina avanti senza accorgersi che manca del cuscino. Il pubblico lo vedrà.

 

Continuando nella sua malinconica querela:

 

, due braccia sotto la terra, nessuno ti secca più con sottoscrizioni, e decorazioni, e mortaj e campane, e campanelli puoi stare in pantofole fino al giorno del giudizio, in cui il Signore Iddio ti giudicherà secondo i meriti tuoi. In quel io non chiederò al buon Dio che un angolo quieto, tra una nuvola e l'altra, dove si possa contemplare da lontano e in pace la gloria del Paradiso.

 

Quasi commosso.

 

Per avere quel posticino non mi farebbe nulla di morire stasera e lasciar tutto il mio in elemosina ai poveri.... Quale beatitudine di poter sedersi....

 

Così dicendo si abbandona sulla sedia e cade nel vuoto del fusto. Grida:

 

Ajuto, ajuto!...

 

 

 

SCENA ULTIMA.

 

Don Tranquillo, Don Ippolito e il servo.

 

Don Ippolito e il servo corrono, E aiutano a tirar fuori Don Tranquillo. Il servo ha sotto il braccio la scarpa del padrone.

 

Don Tranquillo piagnucoloso.

 

O me infelice!

 

Don Ippolito.

 

Vi siete fatto male?

 

Il servo.

 

Non si spaventi, caro padrone: ho già bevuto alla sua salute.

 

Don Tranquillo.

 

zoppicante, sconnesso, con una mano sul capo, l'altra sulla coscia, dice con voce da moribondo:

 

Tacete, conducetemi in letto. Chiamate il notajo. Voglio far testamento. Voglio morire.

 

Il servo accompagna via Don Tranquillo sorreggendolo.

 

Don Ippolito.

 

rimasto un poco indietro, esclama verso il pubblico:

 

Povero uomo, mi fa pietà, Forse egli ha imparato a quest'ora che il miglior modo per riposare è di lavorare e che la pace.... non viene in pantofola.

 

FINE.

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License