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Ernesto Ragazzoni Buchi nella sabbia e pagine invisibili IntraText CT - Lettura del testo |
Pirenei. Una spianata fra i dirupi. Foreste. Monti. Mare lontano, da un picco scosceso perduto in fondo all'orizzonte un castello si profila colle sue torri brune e severe. Crepuscolo.
Un esercito sosta sulla spianata. Gruppi di cavalieri.
RE CARLO (vestito di ferro colla visiera abbassata contempla il castello lontano)
Mio saggio consigliere, Namur, signor d'Orcano,
Mi sai tu dire il nome di quel castel lontano?
Quella bicocca ritta come una sentinella
Tra la Francia e la Spagna val ben cento castella.
Soltanto un'ala d'aquila, varcando abissi e forre
Potrebbe, affaticando, raggiungerne la torre...
Ebben dovessi perdere dieci anni in questi monti,
Io vi giuro miei fidi, duchi, marchesi e conti,
E prendo a testimonio San Giorgio e San Dionigi,
Che senza quel castello non tornerò a Parigi.
NAMUR (inchinandosi al Re)
Ebben sire, compratelo, perchè il castello è forte.
Lassú dietro alle torri nascondesi la morte:
Piú di seimila Mori armati di balestre
Sapranno ben difendere quella fortezza alpestre.
In quanto a noi, Re Carlo, abbiamo vinto un giorno
Ma stanchi adesso e laceri pensiamo a far ritorno.
Pur troppo! gli anni e i triboli ci curvano le spalle,
I nostri paladini son morti a Roncisvalle,
Manchiam d'armi e di macchine, la fame ci scolora...
RE CARLO (interrompendo Namur bonariamente)
Il nome del castello non mi dicesti ancora?
Re Carlo andiamo avanti. Noi tenteremmo Iddio:
I nostri duci cadono, sono avviliti, ed io
Che son forse il piú vecchio, son forse il meno stanco.
Già qualche spada ruppesi, già qualche capo è bianco;
Torniam! Da quelle torri perdute in fondo ai cieli
Di noi si riderebbero davvero gl'infedeli!
Contro alle roccie inutili son macchine e cavalli.
Di là tre sotterranei discendono alle valli,
Che vanno, il primo, a Froila nella vallata d'Erno
E l'ultimo?
All'inferno.
Tu non dicesti ancora il nome del castello.
Ed io l'avrò. Lo voglio!
(Si volge al gruppo di cavalieri)
Il vostro braccio, un giorno, guidò più d'una schiera.
Questo buon duca Namur invecchia, a quanto pare;
Ma voi siete ancor forte! Di là si guarda il mare.
Son pochi i vostri? ebbene? che importa? sono eroi!
Pigliatemi il castello ed io lo dono a voi.
Voi siete valoroso! Andiam! mano alle scale!
IL SIGNOR DI BAVIERA (melanconicamente)
O sire, se sapeste come mi sento male!
Son le mie gambe inferme, le braccia mie son scarne!
Tenetevi il castello, io non saprei che farne.
Sì, la mia spada è forte, è splendido il mio scudo,
Ma son piú di quattr'anni che non mi corco nudo!
RE CARLO (senza mostrare né turbamento, né collera, cerca coll'occhio un cavaliere)
Ugo di Benevento, prendetemi il castello
E ve lo do.
Re Carlo, certo pugnare è bello,
Ma non contro alle rocce. Corsi la terra intera,
E piú d'un re ha tremato davanti alla mia schiera:
Sconfissi Ahmed in Africa, Duncano in Inghilterra;
In mano mia s'arresero Orviedro e Finisterra;
Ho combattuto Adelchi e ho vinto; a Roncisvalle
Caddi ferito al petto, e pur sovra le spalle
Portai Rolando morto; in ogni torneamento
Brillò sempre la lancia del ser di Benevento;
Uccisi Welf l'Ardito; vinsi Ruy Gil, lo Scaltro:
Re Carlo, omai son stanco, date il castello a un altro.
RE CARLO (lascia cadersi la testa sul petto. I cavalieri si sono aggruppati intorno a lui e lo guardano, spingendosi l'un l'altro col gomito)
Barone Ricimero, re delle due Lusazie
Prendetevi il castello! voi siete prode...
Queste avventure, sire, le lascio alle persone
Che non son nate nobili: io son nato barone.
RE CARLO (cercando ancora nel gruppo)
Conte di Gand, Ruperto, le porte di Studgarda
San già come sapete tenere l'alabarda.
Il giorno in cui nasceste compieronsi prodigi;
Voi siete conte in Fiandra e principe a Parigi;
Indomito, gagliardo, col braccio e l'occhio attento,
Voi non siete caduto fuorché per tradimento;
Voi non sapete ancora di mali e di perigli;
In tutta Europa, forse, non v'è chi v'assomigli;
Sul vostro scudo è scritto: Pel cielo e per l'Onore:
Conte, prendete Byvar e ve ne fo signore.
Io vi son grato, sire, ma sono stanco anch'io.
Da un pezzo vorrei essere al focolar natio!...
La rocca è inespugnabile, lasciamola e partiamo.
I miei soldati han fame; l'inverno è stato gramo,
Non mangiammo che nottole, che topi e ceci secchi...
Ma in cambio divorammo molti stivali vecchi.
E poi quel sol di Spagna ci ha cotti dentro e fuori
Re Carlo, e noi cattolici rassomigliamo ai Mori;
E a Gand, dove mia moglie ha forse qualche amante
Sarò irriconoscibile con questo bel sembiante.
Oh! quand'anche mi deste l'oro di Salomone,
Io torno a Gand, Re Carlo, dove si fan le buone
Focacce di farina che assodano le tempre!
Questi buoni Fiamminghi sono affamati sempre!
(Torna a guardare – vede Nancy e grida con gioia)
Oh! perché vado in cerca di duci avendo qui
Il mio vecchio predone Boemondo di Nancy?
Boemondo a me! La vedi? quella bicocca è forte;
Ha cinque torri altissime, ha fossi e dieci porte:
Sei mila Mori aspettano lassù! che te ne pare?
Non val forse la pena d'attendere e pugnare?
Re Carlo, sono senza denari: questo è il guaio!
Oggi il mestier dell'armi è quello del merciaio,
E la mia vecchia schiera pezzente ed infingarda
Non mi vuol piú far credito di un colpo d'alabarda.
In quanto a me, Signore, son triste ed annoiato;
Voglio asciugarmi il pugno da un pezzo insanguinato,
Ritirarmi tranquillo nel mio natal maniero,
Cambiare in un berretto da notte il mio cimiero,
E recitar l'uffizio vicino al focolare!
Mi son tanto battuto che posso riposare.
A me più non dilettano la guerra e la rapina;
Sono partito falco..., ritornerò gallina.
(Volgendosi ad un altro cavaliere)
Vi piglierete Byvar?
(Gerardo di Rossiglione guarda melanconicamente la sua vecchia maglia arruginita, il piccolo numero dei suoi uomini fermi davanti a lui, la sua bandiera lacerata, il suo cavallo zoppicante, e non risponde)
E non mi rispondete? La preda non è bella?
Re Carlo, vi ringrazio, possiedo altre castella.
RE CARLO (cercando ancora fra i suoi duci)
Re Carlo, e son dieci anni ch'ella m'attende a Pisa.
Non c'è dunque nessuno? Nessuno dunque andrà?
Quella rocca è imprendibile!
ALTRA VOCE
RE CARLO (levando la testa, rizzandosi sugli arcioni, tenendo la spada, pallido, terribile, con accento aspro e sordo di sdegno, fulminando collo sguardo il suo esercito spaventato grida)
O conti o paladini caduti in queste valli,
O forti sempre ritti fra l'urto dei cavalli,
E fra il cozzar dei brandi delle battaglie informi,
Giganti dalle lance terribili ed enormi,
Che correste la terra, piú fulgidi del dí,
Rolando ed Oliviero, perché non siete qui?
Voi non invecchiavate, non eravate lassi!
Voi andavate avanti senza contare i passi!
O miei compagni scesi nel baratro profondo,
Se voi foste ancor vivi, conquisteremmo il mondo!
Invano cerco un prode tra le mie schiere, invano!
Tutti son muti, tutti ritrassero la mano!
Non voglio piú! non voglio! Marchesi d'Alemagna,
Voi tutti che scendeste con me verso la Spagna,
Normanni, Lorenesi, Piccardi, Borgognoni,
Fiamminghi, Franchi, Bretoni, ponetevi in arcioni,
Lasciatemi! fuggite! tornate al vostro suolo!
Io resto e saprò bene pigliare Byvar da solo!
Io piú non voglio! andate! dormite i vostri sonni!
Sedetevi al camino e diventate nonni!
Io resto solo; e quando, di sera al focolare,
Vi piacerà coi vostri fanciulli novellare,
E ricordar le imprese passate ed il valore,
Se mai vi si chiedesse del vostro imperatore,
Voi direte, abbassando lo sguardo sulla maglia:
Così ratti fuggimmo il dì della battaglia,
Che più non rammentiamo dove l'abbiam lasciato.
Fuggite pure, io solo non fuggo, e disperato
Combatterò fin quando mi resterà una lancia!
I guerrieri costernati fissano l'occhio al suolo e non rispondono. Ad un tratto un giovane – Corrado – esce dalle file e si pone avanti il re.
Che il signor San Dionigi conservi il re di Francia!
I baroni lo guardano stupiti ed il re lo contempla con benevolenza. Corrado vestito semplicemente non porta pennacchio, non porta scudo; ha l'aria tra il chierico e il soldato.
Oh! guarda! è Corraduccio...
Figliolo chi sei tu?
CORRADO (accennando il Castello)
Colui che potrà dire: m'arrampicai lassú.
(I guerrieri ridono sommessamente)
Ma tu come ti chiami?
Null'altro che Corrado?
Null'altro.
(La folla ride, i baroni mormorano tra loro schernendo)
– È Corraduccio!
– È quasi cappellano!
– Non giuoca.
– È Corraduccio!
– È un chierico...
– Che aspira a cappellano.
(Le risa aumentano. Qualcuno canticchia beffando)
CORRADO (senza badare ai mormorii crescenti della folla, e continuando il suo discorso)
Son quasi cappellano, m'han fatto baccelliere
Perché scrivo in latino, non sono cavaliere...
Io qui ti faccio conte di Byvar.
Tutti di me si ridono, perché non so che dire
L'uffizio e il De profundis. La sorte che a voi diede
Città, regni, castelli, non mi ha voluto erede.
La mia buona giumenta, che ha cinquant'anni – appena –
Ha la pelle stecchita come una pergamena:
Io sono povero, dormo per terra, e se v'aggrada
Come tengo la penna, posso impugnar la spada.
Ti dono Montpellieri, mio prode... e vuoi tentare...
CORRADO (con semplicità)
D'arrampicarmi a Byvar, di battermi... e tornare
Se il cielo vorrà assistermi.
Sí!
Ti do in feudo la marca d'Ancona...
CORRADO (con fermezza fissando il re)
Io giuro qui,
Davanti ai miei signori: il Re di Francia e Dio,
Che il castello di Byvar domani sarà mio.
I cavalieri che hanno cessato di scherzare guardano Corrado con stupore e si tengono in disparte. Agli ultimi raggi del giorno il lontano castello di Byvar splende superbamente dal suo picco dirupato.