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Ernesto Ragazzoni
Buchi nella sabbia e pagine invisibili

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Prose

Memorie inedite del primo naso di Falasagna

 

Io sono, o, per meglio dire, ero un grand'uomo; ma io non sono né l'autore delle Odi Barbare, né l'uomo dalla maschera di ferro; imperocché il mio nome è, credo, Agabio Tegamini, e sono nato a Falasagna, piccola città lombarda dove da tempo immemorabile si fa tutto a lume di naso.

La prima azione della mia vita fu di impugnare il mio naso a due mani. Mia madre mi vide e mi chiamò un genio; mio padre pianse di gioia e mi donò un trattato di nasologia. Prima di portare i calzoncini lo sapevo già a memoria dalla prima all'ultima pagina.

Da allora incominciai a presentire la via che mi sarei aperta nella scienza, e compresi ben tosto come un uomo, purché possieda un naso sufficientemente visibile, possa, lasciandosi guidare da lui, giungere alle prime dignità di Falasagna. Ma i miei studi non si limitarono alle teorie. Ogni mattina tiravo due o tre volte la mia proboscide, e, per colorirla, ingoiavo una mezza dozzina di bicchierini d'acquavite.

Quando fui maggiorenne, mio padre mi ordinò un giorno di seguirlo nel suo studio.

– Figliuol mio, – dissemi, quando fummo seduti – qual è lo scopo principale della vostra esistenza?

– Padre mio, – risposi – è lo studio della nasologia.

– E che cos'è la nasologia, Agabio?

– Signore, – dissi – è la Scienza dei Nasi.

– E potete voi dirmi, – domandò egli – qual sia il senso della parola naso?

– Un naso, padre mio, – replicai abbassando la voce – è stato definito diversamente da un migliaio d'autori. (Qui trassi l'orologio). Ora è mezzogiorno: posso, se lo credete necessario, enumerarveli tutti prima di mezzanotte. Io dunque incomincio: – Il naso, secondo Bartholinus, è quella protuberanza, quella gobba, quell'escrescenza, quella punta, quella...

– Benissimo, Agabio – interruppe il buon vecchio. – Io sono fulminato dall'immensità delle vostre cognizioni; lo sono positivamente; sí, sull'anima mia. (Qui chiuse gli occhi e si pose la mano sul cuore). Avvicinatevi. (Qui mi prese per il braccio). Ora la vostra educazione può essere considerata come compiuta; è giunto il tempo in cui voi potete gettarvi liberamente nell'alta società, e, per aver fortuna, voi non avrete a far altro che seguire il vostro naso, semplicemente. Cosí, cosí... (E qui mi condusse a pedate lungo la scala fino alla porta); cosí partitevene da me, e Dio vi benedica.

Sentendo in me il soffio della divinità, considerai quell'avventura come una fortuna. Pensai che l'avvertimento paterno era buono, e risolsi di seguire il mio naso. Lo tirai prima due o tre volte, poi scrissi in meno di cinque settimane un volume sulla nasologia.

Tutta Falasagna trasecolò.

– Splendido genio! – disse la «Gazzetta Domenicale».

– Ammirabile fisiologo! – disse il «Cittadino Falasegnese».

– Scrittore valente! – disse il «Corriere di Falasagna».

– Profondo pensatore! – disse il corrispondente del «Secolo».

– Grand'uomo! – disse il corrispondente della «Gazzetta del Popolo».

– Anima divina! – disse il «Quaresimalista di Falasagna».

– Uno dei nostri! – disse la «Rivista nasologica».

– Chi potrà mai essere? – disse la signora Sorbettini.

– Che cosa può essere? – disse la grande signorina Sorbettini.

– Dove potrà mai essere? – disse la piccola signorina Sorbettini.

Ma io non accordai alcuna attenzione a quella plebaglia, e corsi dritto dritto allo studio di un pittore.

La duchessa Tenerifa di Peperonilli posava per il suo ritratto, il marchese di Noli-me-Tangere teneva il cagnolino della duchessa, il conte Pistacchio di Pesafumo giuocherellava colla boccetta di profumi della signora, e Sua Eccellenza Aleramo Babbuino de Tappari dei principi Bruscolinari si dondolava in una poltrona.

Io m'avvicinai all'artista e sporsi il mio naso.

– Oh! quanto è bello – sospirò la duchessa.

– Splendido! – balbettò il marchese.

– Imponente! – mormorò il conte.

– Che cosa darei per averne uno simile! – borbottò Sua Eccellenza.

– Quanto ne volete? – domandò l'artista.

– Del suo naso! – gridò la duchessa.

– Mille lire – dissi, sedendomi.

– Mille lire?... – domandò l'artista facendo mentalmente alcuni calcoli.

– Mille lire – risposi.

– È bellissimo! – ripeté egli in estasi.

– Per mille lire ve ne lascio prendere lo schizzo – aggiunsi.

– E lo garantite voi? – domandò egli voltando il mio naso verso la luce.

– Lo garantisco – risposi, soffiandolo vigorosamente.

– Ed è proprio originale? – domandò egli toccandolo con rispetto.

– Originale – risposi, voltandolo a destra.

– E non ne è stata fatta ancora alcuna copia? – domandò egli studiandolo col microscopio.

– Giammai – dissi raddrizzandolo.

– Ammirabile! – gridò egli, stordito dalla sicurezza della mia manovra.

– Mille lire – disse.

– Precisamente – dissi.

– Mille lire? – diss'egli.

– Proprio – diss'io.

– Voi le avrete – egli aggiunse. – Quel naso è un capitale.

Mi fece immediatamente un buono per lire mille, e prese uno schizzo del mio naso. Io affittai un appartamento in via Cappelloni Municipali, e indirizzai a Sua Maestà l'ottantanovesima edizione della mia Nasologia con un ritratto della tromba.

Tutti gli scienziati italiani ed esteri m'offersero un pranzo.

Eravamo tutti uomini celebri.

C'era un neo-platonico. Egli citò Porfirio, Giamblico, Plotino, Procolo, Ierocle, Massimo di Tiro e Siriano.

C'era un viaggiatore africano. Egli parlò del Congo, dei selvaggi colla coda, di Stanley, dei cannibali e delle sorgenti del Nilo.

C'era il signor Positivo Paradossani, professore all'Università di Bologna. Egli opinò che tutti i filosofi erano pazzi, e che tutti i pazzi erano filosofi.

C'era Estetico Ethix, d'Atene. Egli parlò del fuoco, dell'unità atomica; d'anima doppia e preesistente; d'affinità e d'antipatia; d'intelligenza primitiva e di omoomeria.

C'era il teologo don Sabbato Tonsurati. Egli discusse su Eusebio e su Ario; sull'eresia e sul Concilio di Nicea; sul Puseismo e sul Consubstanzialismo; su Homoosius e su Homoiusios.

C'era Fricasseo Rocca d'Arrosti. Egli parlò di lingue affumicate, di cavoli alla salsa veloutée, di beccaccine allo spiedo e di gelati alla vaniglia.

C'era Bibulus O' Bumper, scozzese. Egli disse il suo parere sulla birra di Gratz e sulla birra di Baviera; sul vin di Spagna e sul vin di Cipro, sul Bordeaux, sul Marsala, sul Chianti e sul Lipari. Egli si vantò di distinguere ad occhi chiusi ed alla distanza di dieci metri il Gattinara del 1870 dal Gattinara del 1871.

C'era il signor Gaudenzio Cupoleri di Novara. Egli spiegò il modo con cui si fabbricano i biscottini e disse qualche parola intorno alla cantina del cav. Porazzi.

C'era il rettore dell'università di Falasagna. Egli disse che la luna si chiamava Bendis in Tracia, Diana a Roma, Artemis in Grecia, e Bubatis in Egitto.

C'era un gran turco di Costantinopoli. Egli non poteva impedirsi di credere che gli angeli avessero la forma di tori, di cavalli e di gatti; che esistesse nel sesto cielo qualcuno che avesse settantamila teste, e che la terra fosse sopportata da una vacca azzurra ornata da un numero incalcolabile di corna verdi.

C'era Delphinus Poliglotti. Egli ci disse che cosa fosse avvenuto delle ottantatré tragedie perdute d'Eschilo, delle cinquantatré orazioni d'Iseo, dei trecentonovantuno discorsi di Lysia, dei centottanta trattati di Teofrasto, dell'ottavo libro delle sezioni coniche d'Apollonio, degli inni e dei ditirambi di Pindaro e delle quarantacinque tragedie d'Omero il Giovane.

C'era Ferdinando Fitz Fossylus Feldspar. Egli ci insegnò qualche cosa sui fuochi sotterranei e i sedimenti terziarii; sugli schisti, sul talco, sugli aeriformi, sui fluidiformi, sui solidiformi, sulla cicanite, sulla lepidolite, sull'ematite, sulla tremolite, sul calcedonio e sul manganese.

C'ero io. Io parlavo di me, di me, di me, e di me: di nasologia, del mio volume e di me. Io drizzavo il mio naso e parlavo di me.

– Uomo felice! Uomo miracoloso – gridavano tutti i convitati.

– Superbo! – dicevano i servitori.

– Oh! Ah! Eh! – grugnivano i guatteri.

Il mattino successivo la duchessa Tenerifa di Peperonilli mi fece una visita.

– Io v'amo, gentile creatura, verrete voi in campagna con me? – diss'ella.

– Sí, sul mio onore – risposi.

– Con tutto il vostro naso, senza eccezione?

– Com'è vero che vivo.

– Eccovi un biglietto d'invito, bell'angelo. Posso annunciare il vostro arrivo?

– Sí, verrò di cuore, ve lo giuro.

– Ma chi vi parla di cuore? con tutto il mio naso, dovete dire.

– Con tutto il mio naso.

Io lo tirai ben bene e il dí dopo andai alla villeggiatura ducale. Le sale erano piene da soffocare.

– Egli giunge! – disse qualcuno sullo scalone.

– Egli giunge! – disse un altro un po' piú in alto.

– Egli giunge! – disse un altro piú in alto ancora.

– Egli è giunto! – gridò la duchessa. – Egli è giunto il piccolo amore! – Ed impadronendosi fortemente di me colle sue mani, mi baciò tre volte sul naso.

Una sensazione d'invidia percorse tutta l'assemblea. C'erano dei gelosi.

Diavolo! – gridò il conte Capricornutti.

Dios guarda! – mormorò don Semaforos de la Vaianna.

Mille tonnerres! – gridò il principe Grennuille.

Mille tiafoli! – muggí il grande elettore di Bluddenduff.

La cosa non poteva continuare in tal modo. Io m'irritai. Andai bruscamente verso Bluddenduff.

– Signore! – gli dissi – voi siete un babbuino!

– Signore! – replicò egli dopo una pausa – duoni e lambi! Io non domandavo di piú. Ci sfidammo. Il dí dopo in duello io tagliai il naso all'elettore e mi presentai di nuovo a' miei amici.

– Bestia! – disse il primo.

– Sciocco! – disse il secondo.

– Ridicolo! – disse il terzo.

– Asino! – disse il quarto.

– Sconveniente! – disse il quinto.

– Intollerabile! – disse il sesto.

– Uscite! – disse il settimo.

Uscii mortificatissimo e corsi da mio padre.

– Padre mio, – gli domandai – qual è lo scopo della mia esistenza?

– Figlio mio, – egli rispose – è sempre lo studio della nasologia; ma voi, tagliando il naso a Bluddenduff, avete sorpassato il vostro scopo. Voi avete un magnifico naso, è vero, ma Bluddenduff non ne ha piú. Voi siete fischiato ed egli è divenuto l'eroe del giorno. Io vi accordo che a Falasagna la grandezza degli uomini è stabilita dal naso, ma bontà divina! non è piú possibile rivaleggiare in celebrità con un uomo che non ne ha affatto.




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