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Ernesto Ragazzoni
Buchi nella sabbia e pagine invisibili

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De Africa

 

Vi dirò dunque dell'Affrica,

la qual Affrica è il paese

dove sta il senegalese,

l'ottentotto ed il niam-niam;

ed ha un clima cosí torrido

che, pel sole e i gran calori,

tutti i neri sono mori

ed in piú, figli di Càm.

 

Gli abitanti – detti indigeni –

cosí in uggia han panni e gonne

che, sí uomini che donne,

vanno nudi, o giú di lí;

ed han gusti cosí semplici

che, talor, se è necessario,

mangian anche il missionario

che li accolse e convertí.

 

Pur ve n'ebbero, di celebri

affricani, e di cartello:

Amonasro, il moro Otello,

la regina Taïtú,

e fra tutti memorabile

quel Scipione l'Affricano

cosí detto, perché un sano,

vero e buon romano fu.

 

Fattispecie di triangolo

con la punta volta in basso,

mezzo arena e mezzo sasso

e padul l'altra metà

(tre metà?), caos di polvere

con dentro iridi di fiori,

tale è l'Affrica, o signori,

nella sua complessità.

 

L'Ibi, il tropico del Canchero

l'equatore, l'Amba rasa

sono là come di casa,

con il ghibli, il Congo, Assab;

col cammello, con il dattero

e la tanto celebrata

adamonia digitata,

che sarebbe il baobab.

 

Sono là. E là – tartufolo

minerale – c'è il diamante,

c'è la pulce penetrante,

e la ria mosca tsè-tsè.

Ed è là che a volte càpita

di veder, tra arbusto e arbusto,

quel pulcino d'alto fusto

che lo struzzo è detto... ed è.

 

Ma la cosa che c'è in Affrica

e piú merita attenzione

è il terribile leone,

ruggibondo e divorier.

Non è ver che di proposito

sia malevolo e cattivo,

ha un carattere un po' vivo,

e va in bestia volentier.

 

Ed allora, Dio ne liberi

incontrarlo per la strada!

Se per lí non ci si bada

si finisce entro il leon.

Affamato, quei vi stritola

vi trangugia a larghe falde

poi, tra ciuffi d'erbe calde,

digerito vi depon.

 

Sono cose che succedono.

Ma l'ardito cacciatore

col fucil vendicatore

spaccia il mostro – e come no! –

Urli, spari, capitomboli!

Crolla il re della foresta.

Alla sera... Allah! gran festa

di tam-tam e di falò.

 

Viva l'Affrica ed il semplice

suo figliolo, l'affricano.

Non ancora buon cristiano

veramente come va;

un po' lesto di mandibola,

un po' lento nel lavarsi,

coi capelli crespi ed arsi,

... ma... speriamo... si farà.

 

Già, pel bianco nostro merito

ei, selvaggio ebano ignavo

si piegò, percosso e schiavo,

nella pelle del zio Tom,

ed – onore per lui inclito –

importato or ora in Francia

s'ebbe a far bucar la pancia

sulla Marna e sulla Sòm.

 

Benvenuto dal tuo Senegal,

fratel nero, e dal Sahara;

dalla tua contrada avara

benvenuto a crepar qui.

Vien! L'Europa qui ti prodiga

(giú la barbara zagaglia!)

la civile sua mitraglia

che già tanto suol nutrí!

 

Ti vogliamo eroe... Rallegrati.

Pur, se mai, ti si dà il caso

che tu porti fuori il naso

da quest'orgia, o almeno un piè,

quando torni ai tuoi, ricòrdati:

(quando là sarai tranquillo)

– Tante cose al coccodrillo,

per mio conto, e al cimpanzè!




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