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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Quando Riccieri giunse alla pericolosa battaglia vestito di sopravesta nera, vidde in fuga li Brettoni, e vidde Giliante che molto gli offendeva: e Riccieri gli diede un colpo di lancia, e aspramente ferito lo gittò per terra; e per questo gli Brettoni rincorati si volsono alla battaglia; e fu Giliante a pericolo di morte, e con grande fatica uscí delle mani de' Brettoni, e all'ultime bandiere n'andò. Riccieri, presa la spada in mano, s'aboccò col re Sagramonte di Ragona, e insino al petto lo divise; e gittatosi lo scudo dopo le spalle, apriva tutte le nimiche ischiere, e a colpo che egli donasse non era riparo. Egli percosse tra la gente persiana, e vidde Salardo che si sarebbe arrenduto a uno re, chiamato Lionagi l'Indiano. Riccieri, come uno drago, gli si gittò a dosso, e a due mani lo percosse col brando, e levògli la testa e la spalla ritta in questo solo colpo con tutto il braccio della spalla, e 'l cavallo si volse fuggendo tra gl'Indiani e' Persiani. Tanto di spavento e tanta paura misse Riccieri in questa gente, ch'eglino gli fuggivano dinanzi gridando: «Ecco la morte vestita a nero!». Egli non dava colpo invano; egli partiva e profondava e atterrava cavagli e cavalieri. Egli arrivò dov'era Giambarone, ed erasi arrenduto a Darchin lo Bruno, e giá gli cominciava a dilacciare l'elmo, e avevagli tolta la spada. E Riccieri misse uno strido quando vidde il padre, e strinse la spada con grande furore. Incontro a lui si feciono piú di cento cavalieri saraini; ma egli alcuno n'uccisse e alcuno ne gittò per terra, e per lo mezzo di loro s'avventò a dosso a Darchino lo Bruno, e per lato gli giunse a dosso, e diegli della spada in sul collo, e amendue le spalle gli partí insíno alle sene sotto ambe le braccia; e 'l petto cadde col capo in sul collo del cavallo, e urtò certi che tenevano il padre. La spada sua parea di fuoco a' paurosi nimici. Giambarone, vedendosi libero, riprese la spada ch'avea in mano Darchino, e prese il cavallo, e gittò Darchino a terra, e in su questo cavallo montò, e Riccieri gli fece tanto compagnia, che lo rimisse nelle cristiane schiere. Allora Giambarone, trovato Fiovo, gli disse le smisurate prodezze che faceva questo cavaliere vestito a nero, e a dito gliele mostrò. E convennesi Giambarone disarmare e rinfrescare molte ferite; ma non erano dubbiose. Fiovo diceva fra sé: «Chi potrá essere questo vestito di nero, che significa prima morire che fuggire?». E dimandò alcuno se lo conoscevano. Fugli risposto che no; «ma veramente alla sua virtú egli dimostra essere quello medesimo, che gli altri giorni v'ha dato soccorso e tanto aiuto». Allora Fiovo chiamò quello famiglio detto di sopra, il quale mandò drieto a Riccieri a sapere dove tornava a casa, e dissegli: «Vanne a Roma, a casa di quello romano, dove tu dicesti che tornava Riccieri, figliuolo di Giambarone; e tieni modo che tu cerchi la sua camera, e poni mente se egli ha arme o cavallo; ma se tu vedi lui, non cercare di niente altro, che il cuore mio crede che questo vestito di nero sia desso. E però ti mando imprimamente che tu vadi a Gostantino; e dirai che mi mandi ventimila Romani per nostro rietiguardo». El famiglio cavalcò presto, e fece l'ambasciata a Gostantino; e poi andò alla stanza dove Riccieri tornava, e tutta la casa cercò, e trovò nella sua camera la vesta bianca e la rossa e la cilestra, tutte tagliate e forate delle percussioni che avea ricevute in campo, e parte sanguinose del sangue de' nimici. Ed egli domandò quello della casa: «Di cui sono queste veste?» Rispuose: «Sono di Riccieri, figliuolo di Giambarone Scipio». Ed egli allegro tornò a Fiovo suo signore, e dissegliele; di che Fiovo fu molto allegro, e andò dove era Giambarone, e ogni cosa gli disse. In questo mezzo e' cristiani avevano ricevuto gran danno in questa forma, e durava la battaglia circa a due miglia, e combattevasi di sotto da Roma presso al Tevero verso la piaggia e al pari di Roma verso le piagge urvietane. Intervenne che nel mezzo di tutto il campo presso alle schiere di Danebruno s'aboccò Arcaro con Attarante della Magna, e molti colpi si fedirono: alla fine s'abracciorono amendue e tiraronsi da cavallo. Attarante fu abbandonato dalla gente cristiana. Per questo Arcaro, avendo da' suoi aiuto, gli spezzò l'elmo, e con uno coltello l'uccise, e morto che l'ebbe, lo fece disarmare; e perché Attarante aveva morti molti signori e lui aveva in piú parti ferito, fece tutto il suo corpo istraziare a pezzo a pezzo e gittare per lo campo; e non contento a questo, ficcò la sua testa in su la punta di una lancia, ed egli proprio la portò verso e' cristiani.
E in questo entrò nella battaglia Danebruno con tutto il resto del suo campo; e in prima dinanzi alla schiera entrò nella battaglia lo re Canador d'Ungheria e lo re Adrimon d'Arcimenia e lo re Artifon di Rambania e l'amostante di Cordoa. Per questo assalto e per la morte d'Attarante tutti e' cristiani, ripieni di paura, volgevano le reni; e non pure in questa parte, ma in tutta la battaglia si tiravono indrieto; e la novella era giá palese per tutto, come Attarante era morto: e i cristiani vedevano la sua testa. Quando Fiovo sentí che Attarante era morto, si mosse come disperato, e contro alla schiera di Danebruno n'andò con Oro e fiamma. Allora fu terribile battaglia inverso questa parte. Fiovo vide venire le 'nsegne di Danebruno: diliberò d'andare insino a quelle bandiere e uccidere Danebruno e ivi morire. E mosse il cavallo con una grossa lancia in mano, e percosse uno franco re, chiamato Adrimon d'Arcimenia, e morto l'abatté; e passò con la spada in mano tutte queste prime brigate, e verso le bandiere di Danebruno n'andava dicendo: «Che mi varrá piú combattere? che ho perduto Attarante, che era il migliore combattitore del mondo». E come disperato combatteva, non ponendo mente al suo pericolo. E giunto in su la ghiaia d'uno piccolo fiumicello, fue attorniato da molta gente, e fugli morto sotto el cavallo. Aveva questo fiume poca acqua, e rasente al fiume aveva una ripa molto alta, e sopra a questa ripa era uno bosco, pieno di spine molto folto. Fiovo, vedendosi abattuto, si tirò accosto a quella ripa; e se non fosse le grandi siepe e spine ch'erano sopra la ripa, e' saraini l'arebbono morto con le pietre: ma non vi potevano andare, e se v'andavano, non lo potevano offendere. Qui si difese grande pezza, e fue piú volte coperto di lance e di saette e di spade a lui gittate.