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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Lo re Danebruno, veduto il gran danno che il suo campo aveva ricevuto, parevagli grande vergogna di partire di campo; e per la triegua ch'era fatta mandò ambasciadori in Ispagna e in Africa e in Bellamarina e in Libia e in Egitto e in Arabia e in Persia e in Soria e in Turchia e in Grecia e per tutte parti, significando la battaglia e la morte di molti re e signori, e la triegua che era fatta. E in tutte le parti mandò a significare la morte de' loro signori; e la morte d'Arcaro mandò a dire in Turchia. E partiti, quegli ch'andarono in Turchia ebbono alquanto di fortuna, per modo che il vento gli puose in Barberia; e furono al figliuolo del re di Tunizi ch'aveva nome Achirro, e dissongli tutta la battaglia come era stata, e la morte di Gloriardo suo padre, di cui si fe' grande pianto; e dissongli la morte d'Arcaro, el quale era tenuto molto valente e forte, e la morte di molti altri; e pregorono Achirro che dovesse soccorrere Danebruno, acciò che la fede cristiana non moltiplicasse, e in vendetta di suo padre Gloriardo e del suo cugino Arcaro: ed egli promisse di soccorrerlo con ogni sua possanza. La reina, madre d'Achirro, la quale era turca, zia d'Arcaro (e però era questo re cugino d'Arcaro), ella mandò per gli ambasciadori per sapere la morte d'Arcaro e del suo fratello Tidion, re di Turchia, padre d'Arcaro e di Basirocco; e giunti dinanzi da lei, ogni cosa le dissono. Ella piagnendo domandò chi aveva morto il nipote, ch'era tanto possente; e eglino rispuosono: «Uno giovanetto che ancora nonn'ha ventidue anni e nonn'ha pelo in viso, ed è chiamato Riccieri, primo paladino di Francia, ed ha preso arme novellamente; ed è il piú bello giovanetto ch'io vedessi mai». Era per disavventura di Riccieri allato alla reina una donzella ch'era sua figliuola e sorella del re Achirro. Come ella diede orecchie alle parole dello ambasciadore, innamorò tanto di Riccieri, che ella cominciò a sospirare, e disse agli ambasciadori: «Voi lo lodate per modo, che parrebbe che voi l'avessi veduto». Disse l'ambasciadore: «cosí piacesse a Maometto che egli fosse saraino, come io l'ho veduto armato e disarmato per la fatta triegua; ed è molto piú gagliardo e piú bello che noi non diciamo. Cosí sia egli passato d'una lancia, il primo colpo che si fará in campo!» La damigella disse pianamente: «Prima siano morti quanti pagani sono in campo!» Gli ambasciadori si partirono; e da ivi a pochi dí andarono a loro viaggio.
La damigella, che aveva nome Fegra Albana ed era d'etá di quattordici anni, cominciò a pensare la grande possanza d'Arcaro e la grande nominanza che egli aveva. E apresso diceva: «Quanta franchezza debbe regnare in quello franco e bello Riccieri, da poi che egli ha morto Arcaro! Onde io voglio al tutto ch'egli sia il mio amante». E fra sé medesima diliberò di mandargli una lettera segretamente e uno bello dono. E chiamato uno suo donzello che la serviva inanzi, d'etá di ventiquattro anni, ella lo fece giurare sopra a molte cose sagrate ai loro iddei, che di quello ch'ella gli dicesse mai non lo paleserebbe; e 'l giovinetto pauroso giurò ogni cosa, ch'ella gli comandasse, fare. Ella gli disse: «A te conviene andare a Roma e menare il mio bello e nobile destriere e uno scudo e una gioia di perle, cioè una ghirlanda; e da mia parte la presenterai a quello cavaliere cristiano, chiamato Riccieri paladino». E di questa imbasciata scongiurò il messo, e fecelo da capo giurare per Balain loro iddio e per Belzebú e per tutti gl'iddei che mai non lo paleserebbe a persona: e diegli una lettera, che egli la desse a Riccieri, iscritta di sua propia mano in barbero parlare; e poi gli disse: «Se niuno ingegno di parlare mai in te regnò, ti priego che l'adoperi a questa volta, e che tu a lui mi raccomandi, notificandogli a bocca come io non amerò mai altro uomo che lui; e priegalo, se alcuna piatá o niuno amore lo piglia mai di me, che mi venga a vedere. Benché la lettera lo dica, ma forse lo 'ngegno delle tue parole lo faranno di me piú innamorare». E diegli danari; e sanza saputa della madre o del fratello lo mandò via con lettere piene da passare per tutto loro paese; e l'altro giorno entrato in una nave, passò in Cicilia, e poi passò in Italia, tanto che giunse alla cittá di Roma. E andando per la cittá dimandando del paladino Riccieri, lo scontrò con uno suo compagnone a cavallo con molti famigli drieto; e Riccieri lo domandò quello ch'andava domandando. El famiglio rispose: «Cerco Riccieri paladino». Riccieri si gli appalesò, e parvegli piú bello che Fegra non diceva; e preselo per la mano, e tirollo da lato, e salutollo da parte di Fegra; e poi gli pose la lettera in mano. El franco Riccieri la lesse, la quale in questa forma e modo parlava.