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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Riccieri, primo paladino di Francia, e Fioravante furono messi in prigione nel fondo d'una torre a Balda. Ed era in quello tempo tra' signori usanza, quando alcuno cavaliere era preso in fatti d'arme, che le chiavi della prigione si davono a guardia alla piú giovine damigella della corte, cioè del parentado di quello signore che l'avevano prigione; e però furono date le chiavi di questa torre a due damigelle; l'una era figliuola del re Balante, e aveva nome Drusolina; l'altra figliuola del re Galerano, e aveva nome Galerana. E queste damigelle mandavano la vivanda alla prigione a questi dua cavalieri, non sappiendo però come avevano nome, ma bene avevano udito ch'egli erano di Francia. Essendo stati questi dua cavalieri presso a uno mese in prigione, intervenne uno giorno che queste damigelle, come coloro ch'avevano poca faccenda, dissono l'una all'altra: «Deh! quanta viltá è la nostra che noi abbiamo dua cavalieri prigioni e non gli abbiamo mai veduti! Vogliangli noi andare a vedere noi dua nella prigione?». E furono d'accordo d'andarvi, e segretamente tolsono le chiavi, che altra persona non se ne avvide, e andarono a una cateratta della torre, dove con una scala si poteva andare dov'erano i due cavalieri; e aperto la cateratta, si puosono a sedere, e istavano a scoltare quello che costoro dicevano. E Fioravante, non credendo essere udito, fra l'atre parole cominciò a dire: «Carissimo padre mio, perché se' istato cagione della mia morte? E volesse Iddio che queste pene toccassono a me solo, e non morisse con meco colui che ha difesa tutta la nostra fede al tempo del l'avolo mio, e difese mio padre, e me ha campato di morte!» Riccieri, udendo il lamento di Fioravante, disse: «O caro mio signore, non dite cosí!». E molto lo confortò, «imperò che poco danno omai sará di me, che sono invecchiato e pieno di vecchiezza, e tu vieni in fortezza. Volesse Iddio che a me fussi tagliata la testa e tu campassi, che certo sono che la mia morte sarebbe vendicata per la virtú della vostra persona». Fioravante rispuose a lui le simile parole; apresso disse: «O quanti vassalli mangiano il mio pane e bevono il mio vino! E noi, miseri, moiamo di fame in prigione!». Per queste parole le due damigelle cominciarono a piangere. Disse Drusolina: «Per mia fede, noi facciamo grande peccato a lasciare morire due tali gentili uomini di fame, che certamente a loro parlare debbono essere gentili uomini. Andiamo e porteremo loro da mangiare». E d'accordo tornarono alle loro camere, e feciono arrecare pane, vino e carne, e pure loro dua tornorono alla prigione, e missono alla cateratta una scala. E quando Fioravante e Riccieri le vidono venire nella prigione, molto si maravigliorono. Le donne gli salutarono cortesemente, ed egli rispuosono loro onestamente e molto vergognosi, perch'erano molto male vestiti. E le donne domandarono s'eglino volevano da mangiare. Rispuosono di sí. E le donne diedono loro la vivanda ch'elleno avevano portata, e perch'ellino mangiassino sicuramente, feciono loro la credenza, ed eglino mangiarono. E quando ebbono mangiato, elleno si fermarono a guatargli amendua, e avevano l'occhio a dosso a Fioravante, perché era tanto bello, e amendune innamorarono di lui, e con alquanti sospiri si partirono e infiammate d'amore ardente ritornarono nella camera. La maggiore, cioè Galerana, udendo sospirare Drusolina, ebbe sospetto: domandò perché sospirava; ed ella, non potendo celare la fiamma d'amore, non pensando che la cugina fosse innamorata, rispuose: «Io sono forte innamorata d'uno di quegli cavalieri». Subito Galerana la domandò: «Di quale?» Ed ella disse: «Di quello piú giovane». Galerana alzò la mano e dielle una grande guanciata, e minacciava di farle peggio, che Galerana era maggiore di tempo; e disse: «Io ne innamorai prima di te». Drusolina le rispuose e disse: «E' non è vero, imperò che, come entrammo nella prigione, ne innamorai, ch'egli guatò me ed io lui, ed ero giá di lui innamorata, quando l'udimmo parlare. Però dissi prima: portiamo loro da mangiare». Disse Galerana: «E cosí innamorai ancora io; e perché io sono la maggiore, de' rimanere a me». Disse Drusolina: «Anzi egli debbe rimanere a quella che piú gli piace; e però andiano a lui, e domandiallo a quale di noi egli vuole meglio». E cosí d'accordo ritornarono alla prigione dinanzi a' dua cavalieri. Galerana appellò Fioravante, e disse: «O giovane gentile, odi uno poco la nostra quistione. Sappi ch'io sono di te tanto innamorata, ch'io temo di non morire pello tuo amore; però ti priego che ti sia di piacere darmi il tuo amore, come io honne dato il mio a te». Disse Drusolina: «Tu non di' la ragione mia e nonne imponi la quistione come ella sta». Allora pregò ch'egli udisse la sua ragione e narrò tutta la quistione come ella istava, e poi disse: «Or giudica quale è di noi piú bella, che piú ti piaccia, e a quella dona il tuo amore. E io ti prometto che, se tu non doni il tuo amore a me, come io honne donato il mio a te, che, come io sarò fuori di questa torre, colle mie propie mani m'ucciderò». Galerana le comandò ch'ella non parlassi piú, «imperò che gli è ragione che sia mio, perch'io sono maggiore di te». Ognuna lo pregava ch'egli rispondesse. Fioravante cominciò a ridere, ed elleno pure lo pregavano ch'egli asciogliessi la loro quistione: ed egli rispuose e disse: «Voi siete amendua belle quanto si possa dire; ma s'io fussi messo alle prese, io piglierei questa», e puose le mani a dosso a Drusolina, la quale come lo intese, sanza riguardo niuno, vinta dall'amore, sí gli si gittò al collo colle braccia istringendolo. E Galerana uscí della prigione, e tornossi alla camera, e giunta dinanzi alla figura d'Apollino, disse queste parole lagrimando: «O padre Apollino, a voi rendo l'anima mia dalla falsa Venus abbandonata, percossa dalla infernale Furia. Omè! misera a me, avvolta nel tristo ammanto degli abbandonati amanti in compagnia della abbandonata Adriana e della iscacciata Medea! O misera Isifile, o ingannata Enone, o cortese Didona, ricevete la misera compagna ch'a voi viene; e voi tutte, ingannate da traditori amanti, siate della mia morte testimoni dello incredibile amore, ch'io avevo posto a questo traditore cavaliere. E cosí prego i grandi iddei del cielo che per vendetta della mia morte Drusolina vada per lo mondo mendica pellegrinando, come ella è bene cagione della mia morte». E levata la faccia verso la figura d'Apollino, strinse le pugna, e cadde morta pella grande abondanza del sangue che le corse al cuore; e di sua mano, mentre ch'ella aveva dette queste parole, le aveva scritte, perché si sapesse la cagione della sua morte. Drusolina cancellò la scrittura e tennelo celato.