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Andrea da Barberino
I reali di Francia

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Capitolo XXVII.

Come Fioravante capitò al romito, e rendégli l'arme

e 'l cavallo e 'nsegnògli la via d'andare in Iscondia.

 

Poi che Fioravante ebbe veduto levare il Signore e udita la messa, tornò di fuori della chiesa, e guatava in giú e in su dello famiglio; e non lo vedendo, domandò alcuna persona. E fugli detto: «Egli legò questo ronzino, e ratto se ne va per la strada». Allora cognobbe Fioravante che 'l famiglio l'aveva ingannato e rubato, e tra sé disse: «Or che farai, isventurato Fioravante? Andrai tu alla ventura, o tornerai indrieto? E hai perduta la tua nobile spada e 'l tuo franco cavallo e le tue belle arme! Certo io voglio inanzi morire, che non lo seguitare». E montò in sul portante, e fecesi il segno della santa croce, e raccomandossi a Dio dicendo: «Io debbo provare la mia ventura»; e seguitò la traccia del famiglio, e in molte parti ne dimandava. E giunto in una parte dove gli fu detto non essere passato, tornò indrieto, e ritrovò le pedate del cavallo, e drieto a lui si misse per la selva, e poco l'aveva inanzi.

Alla fine, passata la notte, l'altro , essendo giá il sole ito sotto, giunse a quello romitoro, dove il famiglio era suto impiccato; e picchiato l'uscio, e il romito uscí fuori armato, e disse: «Tu debbi essere di questi rubatori, ma io farò a te com'io feci poco fa a quello altro». Disse Fioravante: «Santo romito, per Dio, non mi offendere, che tu faresti peccato». E il romito lo guatò e disse: «Chi se' tu?». Disse Fioravante: «Io sono uno disavventurato cavaliere, assai gentile di sangue»; e dissegli come uno suo famiglio l'aveva rubato, e come alle pedate del cavallo l'aveva seguito, sanza mangiare e sanza bere, «e dalla fame sono assaltato». Quando il romito lo intese, gliene venne piatá, e misselo nel romitoro, e 'l ronzino menò dov'era l'altro; e tornò a Fioravante, il quale gli chiese per Dio s'egli avesse un poco di pane. E il romito gli die' di quello che egli aveva, che era tanto aspro a mangiare, che Fioravante non ne potè mangiare se non uno boccone, e domandò di che faceva questo pane. Il romito disse: «Io piglio erbe, e pestole insieme con certe semenze pur d'erbe, e impastole, e seccole al sole, e quando al fuoco; e di questo sono grande tempo vivuto per la grazia di Dio». Fioravante gli chiese da bere, e egli gli diede d'una acqua tanto fredda, che Fioravante teme ch'e' denti non gli cascassino di bocca; e disse: «Io ho mangiato e beuto, e sto bene: lodato sia Iddio!». E andorono a dormire in su certe bracciate di frasconi e di sermenti di vite salvatiche, e una grande pietra avevano per capezzale; e con tutto questo disagio Fioravante s'addormentò. E 'l romito stette in orazione, e l'agnolo di Dio gli venne a parlare, e dissegli: «Questo giovane si è figliuolo del re di Franza, e l'arme che tu togliesti a quello ladrone, sono sue, e 'l cavallo e la spada. Rendigli ogni cosa, e digli che vada francamente sanza pagura, che Iddio gli dará buona ventura». La mattina lo romito lo chiamò, e dissegli come l'agnolo gli aveva detto, e rendégli l'arme e 'l cavallo, e mostrògli il famiglio impiccato. Disse Fioravante: «Se non mi fossi vergogna, io gli taglierei la testa cosí morto com'egli è». E 'l romito gl'insegnò la via d'andare verso Scondia: Fioravante donò il cavallo portante al romito, e verso Scondia cavalcò. E in quello giorno giunse in luogo che egli mangiò, egli e 'l cavallo, dove gli fu detto che la cittá di Scondia era assediata da grande gente di saraini, tutti di lontani paesi, per amore di Drusolina.




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