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Andrea da Barberino
I reali di Francia

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Capitolo VII.

Come una figliuola del castellano innamorò di Gisberto,

e mandò per lei lettere a Parigi, ed ebbe grande soccorso.

 

Essendo Gisberto in pregione a monte Arbineo con Sibilla sua donna, aveva maggiore dolore della donna che di sé propio, temendo che nolle fusse fatto vergogna. E stando Sibilla con la donna del castellano, faceva grande lamento e diceva: «O che gran tradimento è questo d'avere preso a tradimento uno nobile re come è Gisberto, re di Franza, il quale è il piú bello uomo del mondo e il piú gagliardo!». E contava le battaglie ch'egli aveva fatte in Sibilla. Una figliuola del castellano udí queste parole, e pensando quanto Sibilla lo lodava, fu tentata d'amore verso Gisberto. E la notte vegnente, che era la terza notte che Gisberto fu preso, ella imbolò le chiavi della camera al padre, che aprivano la prigione; ed essendo passato il primo sonno, andò sola con una candela in mano a Gisberto; e aperta la prigione, lo salutò, e portogli certe confezioni, e stette uno poco con lui, domandando chi egli era e come egli aveva nome, e poi gli disse: «Se tu farai la mia volontá, io cercherò modo di cavarvi di prigione». Disse Gisberto: «O gentile damigella, io sono tanto pieno di dolore, che io amo piú la morte che la vita, e non sarebbe possibile che in me fosse al presente caldo d'amore; nondimeno sempre ti vorrò dolce bene. Ma io ti priego che tu mi dica come sta la donna che fu presa con meco». Rispose la damigella: «Ella sta bene, imperò ch'ella sta con la mia madre e con meco, e le sue parole m'hanno fatto innamorare di voi, e per lei so io che voi siate re di Franza». Disse Gisberto: «Se tu facessi quello che io vorrei, io ti prometto che tu saresti tutto il mio bene e 'l mio amore». Disse la fanciulla: «Messer lo re, e' non è cosa che io non faccia per lo vostro amore, pure che io possa». Disse il re: «Io vorrei mandare una lettera in Franza segretamente; e se tu la mandi, beato a te!». Ella promisse di mandarla per uno segreto famiglio, e portò la carta e 'l calamaio e la penna a Gisberto, ed egli fece una lettera ch'andava a Riccieri, significando tutte le sue disavventure, e come era guarito della lebra, e dov'era stato e dov'era capitato, e come era in prigione a monte Arbineo. La damigella gli disse: «Mio padre ha mandata una lettera in Sibilla al re di Spagna». «Omèdisse Gisberto, «se voi non mandate tosto questa, io sarò menato in Ispagna». Disse la damigella: «Non sarete, che io la manderò». Tutto questo scrisse in su la lettera Gisberto. La damigella riserrò la prigione, e non ebbe altro da Gisberto, se non che egli la baciò due volte.

La mattina ella chiamò uno donzello, lo quale l'aveva tre anni amata, e dissegli: «Se tu mi volessi fare un grande servigio, io non amerei mai altro uomo che te, e non arei mai altro marito». Disse il donzello: «Se io dovessi morire, vi servirò»; e cosí gli giurò per tutti gli dei tenere segreto il suo comandamento. Allora ella gli diede la lettera, e diegli oro ed argento da spendere: e 'l donzello, vinto dallo amore, avvisato della fretta che era, si partí celatamente. E passò a pie' delle montagne Perinee, e passò a Lunella, e andonne a Ciersal, e poi a Sanpotamio e a Mittaboccon, e giunse a Parigi dinanzi al paladino Riccieri, ch'era molto vecchio, e dissegli a bocca come lo re Gisberto era in prigione a monte Arbineo, e diegli la lettera. Quando Riccieri vidde la lettera di mano di Gisberto, subito mandò la lettera propia a Bovetto, figliuolo d'Ottaviano, e mandò lettere in Bretagna e nella Magna e 'n Sansogna e a Provino, come Gisberto era vivo e 'n prigione, ed era guarito, e 'l bisogno dell'aiuto, e 'l tempo ch'era corto, e che ognuno s'afrettasse e andasse a Lunella, e ivi s'aspettasse l'uno l'altro.

Tutta cristianitá fece allegrezza che 'l re Gisberto era vivo, e ognuno s'afrettò d'essere con tutta sua forza a Lunella. Vennevi Bovetto con venticinquemila cavalieri; ma egli aveva seco Ughetto di Dardenna, che fu figliuolo di Tibaldo de Lima; e vennevi Eripes di Brettagna, figliuolo di Salardo (in questo tempo morí Salardo); e vennevi Corvalius, figliuolo di Giliante, in compagnia di Bovetto; e 'l franco Riccieri si mosse da Parigi con trentamila cavalieri, e Eripes di Brettagna ne menò cinquemila; e ritrovoronsi tutti questi signori a Lunella con sessantamila cavalieri cristiani. Tra' quali vi venne uno abate di Sansogna, chiamato l'abate Riccardo, che fu figliuolo del valente Folicardo di Marmora, el quale Riccieri fece battezzare a Pisa e morí a Parigi. Quando Riccieri vidde tanta bella gente, non volle dare indugio, ma presto fece le schiere per passare per la Ragona. La prima ordinò quindicimila cavalieri, e questa diede all'abate Riccardo per onore del suo padre; la seconda volle per sé con le bandiere di Franza, e mandò tutto il carriaggio inanzi alla sua schiera, sicché andava presso all'antiguardo; e mandò Ughetto pella sopraguardia della vettuvaglia con diecimila; e 'l rietiguardo fece Bovetto ed Eripes di Brettagna con quindicimila. E passarono in dieci giorni tutta la Ragona, e giunsono al monte Arbineo tre giorni inanzi ch'el re di Spagna; e la prima schiera salí il monte, e diedono gran battaglia al castello. Ma il terzo giorno giunse il re di Spagna con centocinquanta migliaia di saraini; e non poterono andare al castello, ma ordinorono di combattere co' cristiani.




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