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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Essendo in su l'ora della mezza notte, Berta fu assalita e presa da quelli sopradetti famigli, e minacciandola d'ucciderla, ella timorosa, ripiena di paura di morte e di non essere conosciuta, non sapeva che si fare. Costoro la 'mbavagliarono e menaronla fuori del giardino e trassonla fuori della cittá, che le porte di Parigi stavano aperte la notte come il dí. Ed eglino la menarono nel bosco del Magno, ch'era presso a Parigi a due leghe galeesche. Quando l'ebbono grande pezza nel bosco, e nel piú oscuro luogo, egli era il giorno chiaro; ed eglino le cavarono il legno del bavaglio di bocca, e l'uno diceva inverso l'altro: «Per nostra fe', e' sará grande peccato!». Berta intese queste parole, ch'eglino la volevano uccidere; per questo ella tremando di paura cominciò a fare grandissimo pianto, e cominciò a dire: «O padre mio, re Filippo, in che paese m'avete mandata! O nobilissima reina, come si spanderá il sangue della vostra figliuola!». Quando costoro che l'aveano condotta ivi, sentirono che costei dicea essere figliuola del re d'Ungheria, l'uno guatava l'altro. Disse l'uno di loro: «O che hai tu a fare col re Filippo d'Ungheria?». Ella rispuose: «Egli è mio padre». Disse un altro: «Tu non di' vero, imperò che tuo padre fu Guglielmo di Maganza». Ed ella disse: «Guglielmo fu padre di Falisetta, mia compagna». A costoro parve avere male fatto, e dimandaronla: «Or che facevi tu nel giardino?». Ed ella raccontò tutto per ordine la cosa com'ella stava. Allora incominciarono avere paura, e dicevono: «Noi siamo morti, imperò che, se lo re Filippo e lo re Pipino san questa cosa, eglino ci faranno morire; e se noi la campiamo, quelli di Maganza ci faranno morire». E alla fine diliberorono d'ucciderla, dicendo: «Egli non se ne saprá mai niente, e Falisetta sará imperatrice». Allora s'avidde Berta che Falisetta l'avea tradita per lo consiglio de' sua zii. Ella si gittò ginocchioni dinanzi a' micidiali, e dimandava misericordia, e disse: «Abbiate almeno uno poco di riverenzia al padre mio e a re Pipino, ch'è mio marito; e io vi giuro, se voi mi perdonate la vita, che mai per questo voi non morrete; e se voi ne fussi mai presi, io vi prometto di farvi liberare per quella fede donde io sono reina e imperadrice, figliuola di re e di reina». A costoro pareva fare male a ucciderla e pareva loro maggiore pericolo di loro campandola. Ed ella disse a loro: «Fate almeno una cosa: non vogliate mettere le vostre mani a spandere il sangue mio. Legatemi a uno albero e lasciatemi mangiare alle fiere salvatiche. Costoro cominciarono a lagrimare, e l'uno dicea all'altro: «Uccidianla». E l'altro dicea: «Bene è o meglio; ma dálle tu, ch'io non le darei». Infine eglino le cavarono la cotta e poi la legarono in uno vallone, il piú scuro di tutto il bosco del Magno, a uno albero con le braccia di drieto, e ivi la lasciarono; e portaronne la sua cotta; ed essendo presso alla cittá, forarono la cotta con le coltella, e del sangue d'uno cane la 'nsanguinarono, e portarono quella cotta al conte Grifone e dissono che l'avevano morta. Ed egli gli abracciò e domandò s'ella avea detto loro niente; ed eglino rispuosono di no, imperò che l'era imbavagliata. Grifone disse: «Or vedi che non ci fará piú vergogna!». E costoro mostrarono pure di non l'avere conosciuta. Egli avea promesso loro certo tesoro, e disse loro: «Venite meco, ch'io vi voglio attenere la promessa»; e mostrava loro grande amore, promettendo loro molto meglio. E quando gli ebbono nel suo palazzo, e' sua frategli diedono loro il prezzo, imperò che, partiti l'uno dall'altro, tutti a quattro gli uccisono, acciò che mai non ne potessino dire niente. E questo fu il tesoro ch'eglino ne guadagnarono.