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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Morando di Riviera avendo quasi tutto il mondo cercato, e mai sentito non aveva novelle di Carlotto, se non dal sopradetto pastore, lo domandò che via aveva tenuta, ed egli con mano disegnò: «Andò in qua verso Orliens». La fatica di Morando era il pensare; e partissi da questo pastore, e per ventura, non sappiendo in che piú sicuro luogo andare, n'andò la sera alla badia di Santo Omero. E smontò, e quando l'abate lo conobbe, lo corse abracciare, e fece mettere el suo cavallo nella stalla. Ma Carlotto si fuggí in camera, perché sempre fuggiva dinanzi a' forestieri, per non essere conosciuto.
Morando si cavò l'elmo di testa, e l'abate lo prese per la mano, e andavano per la badia in qua e in lá: e cominciarono a ragionare della signoria di Franza, e della morte del re Pipino; e molto se ne doleva Morando con l'abate, e sopra a tutto si dolea di Carlotto. E cominciò a piagnere, dicendo all'abate quanto paese aveva cerco per trovarlo; e contògli come aveva la mattina trovato uno pastore che aveva in dosso il suo farsetto, e quello ch'el pastore gli aveva detto, come cambiò e' panni con lui. L'abate, udendo il grande amore che Morando portava a Carlotto, e sapeva ch'egli l'avea allevato da piccolino e conosceva ch'egli non era bene sicuro in questo luogo, diliberò scoprire a Morando la cosa, e preselo per la mano, e solo loro dua n'andarono nella camera dell'abate ed entrarono drento.
Carlotto era tanto cresciuto e anche aveva vestimenti monacili; Morando non lo conosceva, ma Carlotto cognobbe subito lui; e non potè aspettare che l'abate lo palesasse, anzi si gittò al collo a Morando piagnendo, e disse: «O padre mio, a che sono io venuto!». Quando Morando lo ricognobbe e udí la parola ch'egli disse, ebbe molta allegrezza e tanto dolore mescolatamente, ch'egli agghiacciò e non gli potè rispondere, e di botto sarebbe caduto, s'egli non si fusse posto in su una cassa a sedere. E quando potè parlare, disse: «O figliuolo mio, tu se' bene figliuolo della fortuna: quanti oltraggi ti sono stati fatti!». L'abate gli pregò che tacessino, per lo pericolo che gli portavano, e disse a Morando: «Perché i monaci non lo conoschino, vada al modo usato alla cucina per le vivande». Morando molto ringraziò l'abate di tanto amore e di tanto bene, quanto egli avea mostrato in verso di Carlo, dicendogli: «Se la fortuna ci presta grazia tanto, che si possa adoperare la giustizia, ancora ve ne renderemo doppio guiderdone». E mentre che cenavano, disse Carlotto a Morando: «Padre mio, io ne voglio venire con voi». E l'abate lo chiamava pure Mainetto; e piacque molto a Morando questo nome, e disse: «Sempre ti chiamerò Mainetto, per insino ch'el tuo nome si potrá palesare». L'abate molto lo raccomandò a Morando, e disse a Mainetto: «Figliuolo, fa' che tu sia ubidiente a Morando, e non ti partire dal suo comandamento, se tu vorrai fare tristi li tuoi nimici». E la mattina si levò l'abate inanzi il dí, e trovò tutte l'arme a Mainetto, e Morando l'armò di sua mano; e poi che furono armati, e l'abate diede a Mainetto piangendo la sua benedizione. Morando sellò il destriere che l'abate avea comperato per Mainetto, e allacciatisi gli elmi, si partirono dalla badia. L'abate gli accomandò a Dio. Morando disse all'abate: «Non ne parlate né a' monaci, né a' nimici, né a persona, e pregate Iddio che ci dia buona ventura».