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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Giá s'apressavano le schiere l'una all'altra, e Carlo si fece inanzi tanto, ch'egli parlò ch'e' cittadini lo intesono, e disse: «O nobili cittadini, perché mi venite voi incontro? Io sono Carlo, vostro signore». Per queste parole incominciarono tra loro uno grande mormorio e favellare; a l'ultimo cominciarono a gridare: «Viva Carlo Magno, e muoiano e' traditori!». Carlo comandò loro che si tirassino da parte e lasciassino la battaglia a loro, e fece grande allegrezza, e comandò a' banditori che per tutta l'oste gridassino che veruna persona non offendesse i borgesi di Parigi. Allora Carlo e Salamone con la loro ischiera vennono contro a Lanfroy. Carlo spronò il cavallo contro a Lanfroy, ed egli contro a lui, e diedonsi grandi colpi. Lanfroy ruppe la sua lancia sopra a Carlo, e Carlo gli passò tutte l'armi e abattello morto a terra del cavallo; e passato fra l'altra gente, faceva grande pruova della sua persona, e cosí Salamone di Brettagna e 'l marchese Berlinghieri e Agnentino e Milone d'Angrante. Salamone iscontrò Guerrino di Mongrana e dieronsi delle lance: Salamone cadde a terra del cavallo, e Guerrino entrò tra la gente di Carlo, facendo molte prodezze. L'una gente si mescolava con l'altra: ahi quanti gentili uomini e cavalieri morirono da ogni parte! Dice l'autore, gridando verso i cittadini di Parigi: «O nobili franceschi, o fortissimi cittadini di Parigi, di quanto male foste voi cagione, quando Pipino volle fare ardere Lanfroy e Oldrigi con la traditrice madre, e voi non gli lasciasti ardere! Ora vi specchiate in quello che n'è seguito».
Combattendo le due schiere, Carlo e Milone e Agnentino e Berlinghieri rimissono Salamone a cavallo, il quale per vergogna come disperato entrò tra' nimici. E diliberorono questi cinque d'andare insino alle bandiere di questa schiera, e per forza v'andarono con grande fatica, perché erano intorno alle bandiere tremila cavalieri serrati insieme. Alla fine le gittarono per terra con grande compagnia che avevano di cavalieri con loro. Nondimeno furono accerchiati, e grande fatica sostennono, e molti cavalieri vi perderono; e maggiore perdita arebbono fatta, ma Uggieri e Morando con la loro schiera entrarono nella battaglia e per forza apersono i nimici e sospinsogli indrieto; e Carlo e' compagni si tornarono alla loro gente. Intanto entrò nella battaglia Bernardo di Mongrana; e benché la sua schiera fosse la quarta, Gherardo da Fratta volle entrare nella battaglia e passò inanzi alla terza, e con loro Milone da San Moris. Allora si cominciò terribile battaglia, la quale teneva presso a uno miglio; e 'l romore era grande. La terra si copriva di morti, e 'l pregio della cavalleria era di Carlo e di Guerrino. E apresso entrò nella battaglia il duca di Baviera con grande compagnia di gentili uomini, e dall'atra parte Ghinamo di Baiona e Milon della Magna, fratello di Gherardo da Fratta, e con loro Lionetto e Dionigio di Maganza. La battaglia rinforzava, e Gherardo uscí della battaglia per a dare a confortare la sua gente. In questo Guerrino, fratello minore di Gherardo da Fratta, si scontrò con Guido di Guascogna, e fedillo crudelmente nel capo e gittollo da cavallo; e abatté il marchese Berlinghieri; e aboccossi con Uggieri, e molti colpi di spada si diedono, ma tanta fu la moltitudine de' cavalieri da ogni parte, che gli spartirono l'uno dall'altro. E aspra battaglia si cominciò: da ogni parte moriva grande gente. E giá era il giorno amezzato, quando Guerrino allato a Carlo uccise uno parente del duca Namo, chiamato Lamberto le Bavier. Carlo lo vidde, e avendo grande amistá giá con Lamberto, e veduto giá fare a Guerrino tanti fatti d'arme, adirato corse sopra di lui con la spada in mano, gridando: «Voltati a me, cavaliere, che tanto nimichi coloro che desiderano ch'io torni in casa mia!». Guerrino domandò chi egli era, ed egli rispuose: «Io sono Carlo, figliuolo del re Pipino». Allora disse Guerrino: «O come puoi tu essere figliuolo di Pipino, che fusti generato in uno bosco, e non sai chi si sia tuo padre? Ma per questa tua dimostranza non aspettare di ritornare in Parigi». Carlo domandò chi egli era, ed e' rispuose: «Io sono Guerrino, figliuolo di Guerrino, del sangue di Mongrana, e sono fratello di Gherardo da Fratta, il quale te ucciderò con le mie mani». E strinse la spada e percosse Carlo d'uno grande colpo sopra l'elmo che fu di Bramante. E Carlo adirato piú contro a lui che a uno altro strano, perché erano d'uno legnaggio, cioè di Gostantino, nati, egli prese la spada a due mani e ferí Guerrino di tanta forza, che gli divise l'elmo e la faccia per lo mezzo; e nel cadere a terra le cervella n'uscirono de l'osso del capo. Cosí morí Guerrino di Savoia, di cui rimase uno pitetto infante, ch'ebbe nome Ugon d'Avernia, padre di Buoso d'Avernia.