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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Per lo diletto ch'ebbe lo re Carlo d'Orlandino quando tolse la tazza, ridendo comandò che ogni volta fusse lasciato entrare. E l'altra mattina Orlandino tornò alla cittá, e andando acattando, non gli era data limosina. Ognuno gli diceva: «Vanne alla corte». E andò alla corte. E quando fu il tempo, entrò in su la sala, e fuvvi inanzi che Carlo si ponesse a tavola, e posesi in uno canto della sala; e molti lo guatavano e dicevano infra loro: «Egli s'avezza a furare». L'altro dicea: «Egli è gaglioffo di nidio». Alcuno diceva: «Egli sará ancora 'impendu' per la gola». Ognuno diceva la sua; e quando venne la vivanda, fece come avea fatto il dí dinanzi, e gli tolse la tazza. E uno barone nel fuggire si gli parò dinanzi; egli gli die' d'urto per modo che cadde, ed egli ne portò la tazza con la carne. Vedendo Carlo il grande ardire e la grande forza del fanciullo, disse, presente la baronia: «Per certo che questo fanciullo debbe essere figliuolo di qualche povero gentile uomo, e non è meno che grande fatto questo segno». E poi disse: «Stanotte m'apparí una strana visione. Io sognai che noi savamo in campo contro a molti animali, e pareva di avere perduta la battaglia della mia gente, e uno dragone venne meco alle mani e in tutto mi disarmò, in tanto che per suo cibo mi voleva divorare. E uno lioncello usciva d'una grotta, che era in uno bosco, e uccise quello dragone e liberommi; e tornava con vettoria dalla mia gente». Per queste parole fu tra' baroni uno grande mormoramento. Molti dicevano: «Parole d'imperio e sogno d'imperadore non sono sanza grande sentenzia». E con queste parole Carlo si levò da tavola e andossene in camera; e mandò per lo duca Namo e per lo re Salamone e per lo valente Uggieri Danese, poi ch'ebbe mangiato.