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Andrea da Barberino
I reali di Francia

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Capitolo LXVII.

Come il dus Namo e' compagni ritrovarono Berta e Orlandino nella grotta

a Sutri, ed egli e Salamone e Uggieri si feciono suoi campioni.

 

Orlandino ne portò il piattello alla stanza dov'era Berta, e scendendo giú per lo viottolo, entrò nella usata stanza. Quando Berta vidde la coppa, incominciò a piagnere e disse: «Omè, figliuolo, tu m'hai disubidito! O donde hai tu auta questa coppa d'oro? Perché pure vorrai che io sia morta?». E Orlandino diceva come egli aveva tolto il piattello, e quello che egli fece a Carlo: «e uno che v'era dallato mi die' questa coppa piena di vino». E disse alla madre che non avesse paura di quello Carlo, «che io lo presi per la barba; e s'egli vi volesse fare male, io gli darei del mio bastone». E corse a pigliare una mazza che egli aveva nella grotta: e non faceva Orlandino conto se non di Carlo, e non degli altri, come fanno i fanciulli.

In questo mezzo li tre baroni giunsono in su la grotta e smontarono; e 'l duca Namo trasse la spada e andonne giú per lo viottolo. E giunto in su la cavata grotta, disse: «Chi sta qua drento?». Come Berta lo vide, subito lo riconobbe e fuggí in un canto della caverna. Orlandino volle pigliare il bastone, e la madre non lo lasciò fare e abracciollo. Orlandino diceva al duca: «Che venite voi a fare in questa nostra caverna?». E Berta gli dava nella bocca e diceva ch'egli stesse cheto. E 'l duca andò piú inanzi e disse: «Chi siete voi, che abitate come bestie per le caverne de' boschi e per le grotte?». E intanto giunse Salamone e Uggieri, e Berta gli conobbe tutti a tre. Allora ella cominciò uno dirotto pianto, vedendo non potere fuggire, ed eglino la guatavano, e da capo la domandarono chi ella era. Ed ella si gittò a' piedi del duca Namo e facevagli croce delle braccia e gridò misericordia, e aveva in dosso uno vestimento di panno grosso tutto stracciato e rotto, e in piú parte mostrava le carni, e nessuno non la riconoscea, e pure avevano pietá del suo piagnere. La domandarono: «Donna, chi se' tu?». Ed ella con grande vergogna disse: «Io sono la sventurata Berta, figliuola del re Pipino, sorella di re Carlo Magno, moglie del duca Milon d'Angrante; e questo è suo figliuolo e mio». Quando e' baroni sentirono queste parole, tutti s'inginocchiarono piangendo dinanzi da lei e dimandarono che era di Milon d'Angrante. Ed ella contò loro come egli s'era partito da lei come disperato, perché nulla persona non lo voleva racettare per la scomunica che egli aveva; e disse come ella partorí questo fanciullo in quella grotta, e perché egli ebbe nome Rooland, e come, quando Milon si partí, il fanciullo aveva cinque anni. Non v'era niuno di loro che non piagnesse dirottamente; ed ella gli pregava per l'amore di Dio che eglino non lo dicessino a Carlo; e Orlandino piagneva, perché vedeva piagnere la madre. Allora questi tre baroni si tirarono da parte e parlorono insieme e diliberarono al tutto d'aiutarla, e che Carlo le perdonasse per amore di questo garzonetto. E tutti a tre s'impalmorono d'essere suoi campioni e d'Orlandino e in loro difensione; e cosí la confortorono. Tutti a tre di concordia ne vennono a Sutri; e domandati certi cittadini, e' mandorono a Berta vestimenta reali, e mandaronvi delle maggiori donne di Sutri, e fu come reina adorna e rivestita. Orlandino la guatava come ismemorato, e diceva: «Madre, voi siete pure bella; deh non piangete!»; e abracciavala. Gli uomini e le donne, che v'erano iti, si maravigliavano vedendo questa cosa. Il duca Namo e' compagni se ne vennono inanzi allo imperadore. Orlandino non volle altra vestimenta che la sua a quartiere, quale ebbe dalla puritá.




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