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Andrea da Barberino I reali di Francia IntraText CT - Lettura del testo |
Mentre che questa guerra era in Iscondia, Fioravante, partito dal romito, cavalcò verso Iscondia. E giunto nel campo de' saraini, fu menato dinanzi al soldano, il quale lo domandò donde egli era e quello ch'andava facendo. Rispose che era borgognone e che andava alla ventura, e che starebbe volentieri con uno signore al soldo. El soldano lo domandò che condotta voleva; e Fioravante domandò condotta di cento cavalieri. Disse il soldano: «E' basterebbe cotesta condotta a Riccieri, primo paladino di Francia. Ma vattene drento a Scondia dal re Balante, che n'ha maggiore bisogno di me». Fioravante s'infigneva di non vi volere andare, ma el soldano, mezzo per forza, ve lo mandò. Quando Fioravante fu presso alla cittá, disse a quelli che lo menavano: «Ancora si pentirá il vostro soldano di non mi avere dato soldo». Rispose uno cavaliere: «E' non sará il terzo giorno, che tu e il re Balante dinanzi al soldano sarete impenduti per la gola». Fioravante se ne rise, e chiamate le guardie della porta, addimandò se egli poteva entrare drento, dicendo che era forestiere e cercava d'avere soldo. Le guardie mandorono al re Balante, ed egli rispose: «S'egli è solo, lasciatelo entrare»; e fu lasciato entrare. Quelli del campo tornarono al soldano, e dissongli quello che Fioravante gli aveva detto; e 'l soldano se ne fece beffe.
Fioravante disse a quegli che lo menassino al migliore abergo della cittá; e fu menato a uno abergo, ch'era dirimpetto a una finestra della camera di Drusolina, a lato al palagio reale. E giunto all'abergo, l'ostiere gli tenne la staffa, pensando l'oste maliziosamente che questo cavaliere fosse mandato drento per lo soldano, e cominciògli a proferere tutta la sua roba, temendo che la terra in poco tempo si perderebbe. Fioravante disse: «Oste, come hai tu vettovaglia?». Disse l'oste: «Io non credo che in questa cittá sia uomo che abbia tanta vettuvaglia quanta ho io; e promettovi darvela per metá, e rimettomi nelle vostre braccia, perché io so certo che domane o l'altro il soldano ará questa cittá, imperò che ella non si può piú tenere». Disse Fioravante: «Taci, ostiere, che 'l soldano non l'ará di qui a uno anno, non che domane, se la mia spada non ha perduta sua virtú. Ma lasciamo stare queste parole, e andiamo a mangiare, che io n'ho grande bisogno, perché da ieri a nona in qua non ho mangiato». L'ostiere fe' dare della biada al cavallo e apparecchiare. Fioravante mangiò per tre persone, e confortossi molto bene; e dinanzi gli serviva una damigella molto bella, figliuola dell'ostiero. Fioravante domandò l'oste della condizione in che era la cittá, e l'oste ogni cosa gli disse. E poi ch'ebbe cenato, Fioravante disse: «Io sono stanco, e vorrei andarmi a riposare». L'oste lo menò in una bella camera, e fece recare alla figliuola uno bacino d'argento, e fece lavare e' piedi a Fioravante; e quella donzella, lavando e' piedi a Fioravante, innamorò fortemente di lui. E quando Fioravante fu ito a letto, l'oste si partí con la figliuola. E quando fu tornato alla sua camera e fornito gli altri ch'erano nello abergo, ognuno andò a dormire.
E sendo quasi sul primo sonno, la figliuola dell'oste si levò, e sola n'andò nella camera di Fioravante, e coricossigli allato. Fioravante dormiva: ella l'abracciò e baciollo. Egli si destò, e domandò chi ella era; ed ella gliele disse. Quando sentí chi ella era, egli le disse: «Damigella, perdonami, ch'io non ti toccherei per tutto l'oro di questa cittá, perché io sono stanco». E die' questa scusa, perché ella era saraina, e la fede cristiana lo vieta, e per lo amore ch'aveva giurato a Drusolina. La damigella si partí e disse: «O cavaliere, temo ch'io mi morrò per vostro amore». Fioravante per confortarla disse: «Domane farò vostra volontá». Com'ella fu partita, Fioravante serrò l'uscio drento, e dormí insino al chiaro giorno; ed ella sospirando se ne andò.