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Michele Lacetera
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I DIALETTI DEL LAZIO

     Per molti secoli le parlate dei popoli che vivevano intorno a Roma furono schiacciate dalla presenza dominante della “capitale” che impose una tendenza uniformatrice che anche linguisticamente vide la città dei Cesari svolgere un ruolo di assoluta supremazia. Alcuni fatti politici di grande rilevanza come la caduta della monarchia si rivelarono sconvolgenti non solo per la storia politica ed economica di Roma ma anche per quella linguistica.

            Cominciarono ad affermarsi tendenze particolaristiche con differenze, fonetiche e lessicali, sempre più accentuate, tra il centro e la periferia. Un’importante e decisiva testimonianza ci è fornita dalla Fibula Prenestina del VII secolo a. C. dove si rintracciano elementi latini ma anche osco-umbri. La lingua di Roma che si era naturalmente affermata in tutta la regione subì i duri contraccolpi della perdita di autorità conseguente alla cacciata di Tarquinio il Superbo. Il latino prese strade diverse e nel giro di qualche generazione la lingua parlata a Roma diverrà una parlata straniera per le stesse popolazioni del Lazio. La iscrizione del vaso di Dueno appartiene, come osserva il Devoto, a quel latino per noi “incomprensibile”. Il latino di Roma riconquistò la sua dominanza solo verso la metà del IV secolo a.C. Si riappropriò del territorio linguistico perduto e anzi estese il suo dominio in tutto il mondo occidentale. Tuttavia non fu possibile evitare un generale rimescolamento di elementi latini di Roma con le parlate dei Volsci e dei Sabini.

            L’area geografica interessata fu tutto il Lazio meridionale. Si trattò di un fenomeno di contaminazione generale con prestiti linguistici trasversali che superarono i confini regionali e interessarono anche le parlate umbre e marchigiane. Termini come bardasso o bardassa per dire ragazzo, cupella per recipiente, vago per acino, ferraiolo o faraiolo per mantello, zappo o zappu per montone sono familiari a popolazioni dislocate in aree geografiche molto vaste. A completamento di queste brevi osservazioni possiamo aggiungere che con il trascorrere del tempo alcune parole nate a Roma sono divenute patrimonio addirittura nazionale. Basta ricordare pennica, erbetta, abbacchio solo per accennare a qualche esempio.

            Si può concludere affermando che le parlate locali del Lazio sono state nel tempo particolarmente esposte a influenze vicine e lontane e che tutte hanno risentito della forza politica ed economica di Roma.

 

(Queste note sono un libero adattamento di un capitolo del libro “I dialetti delle regioni d’Italia” di G. Devoto e G. Giacomelli, Sansoni Università, 1972).

 




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