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Michele Lacetera Persone Storie Parole IntraText CT - Lettura del testo |
Il verbo leggere non sopporta l’imperativo,
avversione che condivide con alcuni
altri verbi: il verbo amare e il verbo
caargatora, s. f. sella. (v. bardella).
cacaceci (a), loc. avv. sulle spalle. Portare
qualcuno “a cacaceci”. A Roma si dice
“a cavacecio”.
càcalu, s. m. cispa, secrezione mucosa
degli occhi. Fr. id. “leà li cicali a li mici”
(pulire gli occhi dei gatti). Si riferisce ad
azioni inutili, considerate soltanto una
cacannitu, s. m. l’ultimo nato. Il più giovane
dei bambini, quello ancora in fasce
cacchiacciu, s. m. sciocco, credulone,
cacchiettu, s. m. germoglio, getto. In italiano
caccià, 1) v. tr. tirare fuori, levare, togliere.
Si “caccia” il vino dalla botte o dalla
grotta Fr. id. “Non se cacciano capre”. Il
detto è preso dal mondo della pastorizia.
Le capre rimanevano negli ovili nelle
giornate troppo fredde o piovose. La
frase, quindi, è sinonimo di cattivo
tempo. 2) v. intr. germogliare, emettere
getti nuovi. 3) v. intr. farcela, riuscire a
fare. Fr. id. “Non ce la caccio manco a
sta’ assisu” (sono tanto stanco che non
riesco nemmeno a stare seduto). 4) v. rifl.
cacciasse (‘n capu) fissarsi ostinatamente
su un’idea.
cacciadebbitu, s. m. un vitigno che portava
tanta uva da permettere al proprietario
di estinguere i suoi debiti.
caccia e metti, fr. id. con tale espressione
si indicava la condizione di chi possedeva
un unico vestito che veniva rimosso (cacciato)
affinché fosse pulito e subito dopo
cacciaèntula, s. f. una sorta di ventaglio
fatto con penne di animali, usato per ravvivare
caccialèperi, s. m. pl. una specie di indivia
che mista ad altre verdure viene consumata
in insalata. Si tratta della “Reichardia
Picroides”, volgarmente denominata Caccialepre
o anche Lattughino o Grattalingua.
Raramente viene consumata cotta,
cacciasete, s. f. pl. (le), un fabbricato, in
via Borgo S. Martino, dove un tempo
c’era una filanda. Da quella casa si “cacciava”
la seta.
cacciata, s. f. 1) germoglio, getto nuovo
di una pianta. 2) striscia di vigneto lunga
cacciunellu, s. m. cagnolino, cucciolo.
caciara, s. f. 1) chiasso, baraonda.
Probabilmente da gazzarra. 2) luogo dove
si faceva stagionare e si conservava il
cacio. In Toscana usano il termine
cacini, s. m. elegante di un’eleganza vistosa
e un po’ pacchiana e anche sbruffone,
spaccone. Il termine prende origine da
Romolo Cacini famoso attore che si esibiva
al teatro Iovinelli in parti di guappo e di altri
personaggi beceri e volgari. Il vocabolo è
largamente usato nel dialetto romanesco e
si riferisce a persone che, pur non avendone
le qualità, si atteggiano a tuttofare.
cacio, s. m. formaggio. Dava il nome al
gioco del lancio delle forme di cacio che
ancora oggi viene praticato in alcuni comuni
toscani. Vinceva chi lanciava più lontano.
La corsa del cacio era accompagnata da
stuoli di ragazzini che speravano che la
forma si spezzasse onde poterne prendere
alcuni pezzi. La gara si concludeva con
grandi mangiate di formaggio e di altro e
con ancora più abbondanti libagioni.
Ca(v)e, cittadina a pochi km da Zagarolo
con una parlata che in qualche modo
ricorda la cadenza del dialetto barese. Fr.
id. “Ritta comme la ‘ia de Ca’e” (di strada
caìcchia, s. f. bullone, chiavarda.
cainella, s. f. il frutto del carrubo, la carruba,
un legume commestibile che di solito
si dava come foraggio agli animali. Ne
erano ghiotti i ragazzi. Erano esposte su
tutte le bancarelle nei giorni di festa.
caioffa, s. f. barbatella, talea di vite pronta
per essere trapiantata.
calà, v. intr. calare, abbassare, diminuire.
Fr. id. “ calà a canne” (di cosa che si
consuma rapidamente, come rapidamente
si consumano le canne al fuoco).
calamitone, s. m. vagabondo, fannullone.
calammaru, s. m. 1) calamaio. 2)
occhiaia livida per malattia o stanchezza.
Usato per lo più al plurale “li calammari”.
Il vocabolo italiano calamaro indica
la stessa cosa.
calcio, sport molto seguito e praticato dai
ragazzi di Zagarolo, organizzati in una
Società sportiva detta U. S. (Unione
Sportiva) fondata nel 1968, a seguito
della fusione con una preesistente Società
chiamata Libertas. Le squadre di calcio
che hanno partecipato a tornei più o meno
prestigiosi fino alla Promozione si avvalgono
delle prestazioni di atleti locali e di
altri provenienti da altre località. Un fiorente
vivaio che annovera alcune centinaia
di ragazzi permette la partecipazione
a campionati provinciali e regionali: pulcini,
esordienti, allievi, ragazzi ecc.
Alcune decine di volontari tra dirigenti e
allenatori consentono lo svolgimento di
un’attività altamente significativa sia
sotto l’aspetto squisitamente sportivo che
sotto il profilo educativo e formativo.
Tutte le attività si svolgono presso il centro
sportivo di Via del Formale. Degno di
menzione il torneo internazionale che si
svolge tutti gli anni con la partecipazione
di squadre provenienti da diversi paesi
calecagnu, s. m. calcagno. Dim. “calecagnittu”.
calecara, s. f. calcara, fornace per cuocere
la calce.
callafredda, s. f. il caratteristico odore
della terra subito dopo una pioggia estiva.
callallessa, s. f. 1) castagna lessa. I toscani
dicono caldallessa. 2) solenne sbornia.
callara, s. f. caldaia, grosso recipiente
metallico usato per far bollire liquidi.
callararu, s. m. calderaio, artigiano che
confezionava e riparava le caldaie.
callarella, s. f. recipiente di lamiera o di
plastica usato dai muratori per trasportavi
la calce. Detta anche “còfana” (v.).
callarozza, s. f. pentola di rame. Dim.
callarozzu, s. m. caldaia di piccole
dimensioni. Dim. “callarozzellu”.
callaru, s. m. paiolo. Lo si teneva in casa
appeso ad una catena dentro il camino.
Soprattutto per cuocervi la polenta.
calletta(a), loc. avv. al tepore di una fonte
di calore, sia esso il sole o la fiamma del
callo callo, agg. appena fatto.
callura, s. f. calura, caldo asfissiante.
Prov. “San Lorenzo la gran callura/
Sant’Antogno la gran freddura/ l’una e
l’altro poco dura” (il gran caldo di S.
Lorenzo -10 agosto - e il gran freddo di S.
Antonio Abate -17 gennaio - durano
camarra, s. f. bacchettona, bizzoca.
camarru, s. m. che respira a fatica, di
camiciolinu, s. m. camiciola per neonati.
campana, s. f. gioco infantile praticato in
tutta l’Italia.
campanaru, s. m. sordo (a causa del
rumore assordante delle campane).
campanili, s. m. pl. intreccio di canne per
sostenere le viti. I campanili si tendevano
(“tenne li c.”) ed era una vera arte, conosciuta
da pochi. Non si utilizzavano paletti
e fili di ferro. Occorrevano moltissime
canne e ciò non era un problema dato che
ogni vigneto era corredato da abbondanti
canneti. Prov. “la ‘igna senza cannetu è
‘n debbitu segretu” (il vigneto senza il
canneto è un debito nascosto, ma pur
sempre un debito). In tempi di carestia e
di scarsi raccolti si tendevano i campanili
“a l’oscuru” e ciò voleva dire che si usavano
le stesse canne dell’anno precedente
perché non si disponeva della somma
necessaria per procurarsene di nuove. “A
l’oscuru” perché le canne usate con il
tempo si ricoprono di una sorta di fuliggine
Prov. “ La madre pe’ lu fiju se lu lea lu
mocconcellu/ ma lu fiju pe’ la madre se lu
passa pe’ lu canale” (una madre per il
figlio è disposta a qualsiasi sacrificio, non
così il figlio per sua madre).
canassa, s. f. 1) guancia. 2) mascella. In
it. ganascia.
càncanu, s. m. 1) cerniera in cui gira la
porta. Cardine. Fig. persona poco affidabile
che non merita alcun credito e nessuna
canestru spasu, s. m. cesto molto largo
senza manici usato per mettervi il pane
appena sfornato. Detto perciò anche
cànganu, s. m. noioso, seccatore, scocciatore,
canevacciu, s. m. strofinaccio da cucina,
canigà, v. tr. candeggiare la tela usata per
fare le lenzuola, più genericamente fare il
canna, s. f. 1) unità di misura di lunghezza
equivalente a m. 2, 23. 2)gola. Fr. id.
“bullì ‘n canna” (lett. bollire in gola, non
poter più resistere ad una tentazione di
gola).
canna fénula, s. f. erba spontanea.
Anticamente veniva filata e se ne ricavavano
cannarellu, s. m. gola, gozzo.
cannarolu, s. m. v. cannarellu.
cannellu, s. m. cappuccio di canna applicato
alle dita dei mietitori per proteggerle
da possibili colpi dati con la falce durante
la mietitura.
Cannelora, s. f. festività religiosa del due
di febbraio. Una volta in questa circostanza
con una solenne cerimonia venivano
benedette delle candele che ognuno poi
portava a casa come atto di devozione. La
messa veniva celebrata alle prime luci del
giorno per dar modo ai contadini di assistervi
prima di recarsi al lavoro nei
campi. Molto noto il proverbio che dice
“Cannelora, cannelora dall’inverno
semo fora, ma se pio’e e tira ‘entu nell’inverno
stemo dentro”.
cannulicchiu, s. m. tipo di pasta corta.
canonatu, agg. canonato, sottoposto al
canone, alla prestazione in danaro per il
godimento di un bene. Il termine ricorre
nei contratti di compravendita e nelle
scritture private relative a doti o a donazioni.
cantasilena, s. f. cantilena.
Cantina vinicola, sorta per iniziativa
della Federconsorzi, in attività dal 1957 al
1963 in località Colle San Pietro (oggi nel
comune di San Cesareo). Vi conferirono
l’uva i produttori di Z. Durante quegli
anni la produzione ricavata dalle vigne
degli zagarolesi ammontava a molte
migliaia di quintali e la cantina incontrò
per alcuni anni un discreto successo
riuscendo a raccogliere fino a 34. 000 q. li
d’uva. L’uva raccolta veniva lavorata
cantoncellu, s. m. angoletto della pagnotta
del pane formato da poca mollica e
tanta scorza.
canuccellu, s. m. cagnolino, cucciolo.
caoni, s. m. pl. strada che da Valle della
foresta porta a Colle Villa. Il nome che
suona come cavoni, grosse cave, deriva
dal fatto che sul luogo c’erano grosse
cave di pozzolana che devono aver fornito
molto materiale per la costruzione del
capà, v. tr. selezionare, scegliere, dividere
la parte buona da quella cattiva di un
frutto, di verdura e altro. Reg. merid.
capannaru, s. m. abitante nella capanna.
Il termine è usato, un po’ per scherzo e un
po’ per dileggio, per indicare gli abitanti
del comune di S. Cesareo, (v.) una volta
frazione del comune di Zagarolo. Il vocabolo
ricorda le origini del paese allorché i
primi contadini che vi si insediarono vissero
per alcuni anni in abitazioni di fortuna
a mo’ di capanne. Per la necessaria
completezza dell’informazione si aggiunge
che i sancesaresi ricambiavano “affettuosamente”
il nomignolo dileggiando gli
zagarolesi chiamandoli “cessi volanti”
per via dei gabinetti che fanno brutta
mostra di sé sulle vallate del paese.
capannola, s. f. piccola capanna usata
come ricovero di fortuna dai pastori.
cape, v. intr. contenere. Lat. “càpere”. Fr.
id. “ Cche c’entra? C’entra perché ci
cape, se non c’entrea non ci capèa”.
Botta e risposta. Qui l’elemento più significativo
è la risposta che serve a ribadire
con forza qualcosa di fronte ad un ascoltatore
capezza, s. f. cavezza, finimento per tenere
legato per la testa un animale da soma
o da tiro.
capezzaglie, s. f. pl. lavori iniziati e non
portati a termine, lasciati a metà.
capiscione, s. m. che capisce tutto. Si usa
in tono ironico e si riferisce alla persona
che pretende di sapere tutto e di fornire
una spiegazione e una soluzione a qualunque
capisteru, s. m. vassoio di legno più
lungo che largo usato per “capà” (v.) il
grano, il granturco, legumi ecc. Dim.
“capisterellu”. Con l’identico significato
esiste un termine regionale toscano che è
“capisteo”. Lat. “capisteriu(m)” (arnese
capitonnu, s. m. capitombolo, rovinosa
càpitu, s. m. tralcio della vite.
capoccione, s. m. 1) chiodo usato dal calzolaio
per fissare il tacco. 2) testone, duro
di comprendonio, testardo.
caporale, s. m. la prima pallina della fila
nel gioco della “filaccetta” (v.)
cappellu, s. m. 1) cappello. 2) nuvoloni
che coprono il cielo. Prov. “Se de sotto ci
sta lu cappellu/ portate l’ombrellu”.
capranicottu, s. m. abitante di Capranica
Prenestina. L’appellativo viene rivolto, a
mo’ di scherno, agli abitanti di S. Cesareo
in quanto all’origine quasi tutti provenienti
nord-est di Z. a 900 metri di altitudine sui
caprareccia, s. f. stalla per capre. Il corrispondente
termine italiano indica 1) una
varietà di capre. 2) una strada percorsa da
carafa, s. f. caraffa, recipiente di vetro e
provvisto di manico per acqua, vino e
carafulella, s. f. bolla d’aria.
caraghè, s. m. gioco infantile con monete
dette “rotoni”. (v.) Il giocatore sorteggiato
lanciava due monete per aria annunciando
testa o croce. Se le monete, giunte
a terra, avevano assunto entrambe la posizione
annunciata, il lanciatore diventava
padrone di tutte e due le monete. In caso
contrario il tiro era dichiarato nullo e ci
provava un altro. Alcuni testi in romanesco
registrano un gioco simile e lo chiamano
“garaghè”.
carapistà, v. tr. calpestare in lungo e in
carapistato, s. m. terreno sul quale si è
camminato lasciando tracce ben evidenti.
caratellu, s. m. botticella di diverse capacità.
Da sette, da nove barili ecc.
carciòfanu, s. m. carciofo. In senso fig.
sta per sciocco, ingenuo. Tipicamente
zagarolese cuocerli alla brace o alla fascinella.
Conditi con olio extra vergine di
oliva, mentuccia e aglio. Sistemarli sulla
brace viva e innaffiarli con olio man mano
che questo si consuma. In effetti il carciofo
cuoce nell’olio che bolle al suo interno.
cardella, s. f. pianta dalle foglie larghe e
pungenti. Appartiene alla famiglia dei
cardelluzzi, s. m. pl. erba commestibile
dallo stelo alto. Dopo le piogge vi si trovano
attaccati “ li crastatelli” (v.)
cardinu, s. m. il gambo con la foglia del
carciofo che rimane bianca perché interrata.
Dopo averli fatti bollire e tagliati a
pezzettini si passano in padella con
un’ombra di pomodoro, olio, aglio, sale e
cardu, s. m. riccio della castagna.
cardu somarinu, s. m. Cardo Mariano
(Silybum marianum). Simile al carciofo,
se ne consuma il gambo dopo averlo spellato.
carettu, s. m. carretto per il trasporto del
vino. Un “carettu de ‘ino” equivaleva a
500 o 600 litri di vino con 10 barili da 50
o da 60. Il vino veniva trasportato soprattutto
a Roma per rifornire trattorie e fraschette
in alcuni casi gestite da zagarolesi.
I trasportatori si davano appuntamento
di sera e partivano in convoglio, uno dietro
l’altro. Il viaggio durava alcune ore e
si giungeva nella Capitale alle prime luci
del giorno. Si stabilivano turni per decidere
a chi spettasse aprire la fila poiché
gli altri, quelli che seguivano, potevano
schiacciare un pisolino durante il percorso.
La sicurezza del viaggio era affidata, a
cargiarolu, s. m. il manovale addetto ad
carià, v. tr. carreggiare, trasportare con il
Carlotte, s. m. personaggio quasi leggendario
che si era guadagnato la fama di
giocatore (di carte) sprovveduto e poco
accorto. Non riusciva a trattenersi dal giocare
le sue carte migliori e non sempre la
cosa funzionava. Di conseguenza nacque
il modo di dire “fa’ comme Carlotte” per
indicare la persona che sperpera in un
carne(v)ale, in poco più di dieci anni i
festeggiamenti per il carnevale sono
diventati un appuntamento importante.
Alla riuscita della manifestazione concorrono
la Pro-Loco, l’Amministrazione
comunale, la Protezione civile e gruppi di
cittadini. Si inizia il giovedì grasso con la
sfilata per le vie del paese dei bambini
della scuola materna ed elementare
accompagnati dai loro insegnanti. La
Domenica successiva e il martedì grasso
il paese è attraversato da gruppi mascherati
e da carri allegorici. Fuochi artificiali
carracciu, s. m. solco, fossetto scavato
nel terreno dalla pioggia o fatto appositamente
carrara, s. f. carrareccia, strada di campagna
attraversata da carri agricoli.
carrettone, s. m. carro funebre.
carta totale, s. f. elenco completo e assai
dettagliato della dote di una sposa.
Scrittura privata redatta in carta da bollo.
Una sorta di contratto con l’impegno a
contrarre matrimonio. (v. La dote)
càrtica, s. f. erba che si trova in luoghi
paludosi, presso stagni e corsi d’acqua.
Appartiene alla famiglia delle
Thyphaceae ed è la Typha latifoglia. I
vignaioli la usavano per chiudere e saldare
piccole falle tra le doghe della botte.
cartoccia, s. f. vedi ’anghetta. Con questo
termine si indica anche un tipo di
mestolo usato una volta dai commercianti
per prelevare dal sacco i legumi, la farina,
il sale o altro, quando questi generi
venivano venduti sfusi e non in pacchetti
carza, s. f. guancia, mascella.
carzolaretta, s. f. coltello da calzolaio.
casaccia, s. f. vecchia costruzione ormai
casa-cupellu, s. f. piccola bigoncia usata
casalinu, s. m. vicolo cieco che finisce in
un piazzale.
cascarella (a), loc. avv. gioco infantile
nel quale si usavano gli ossi delle pesche.
Questi venivano fatti cadere da una certa
altezza su altri ossi che stavano già per
terra. Gli ossi che venivano colpiti diventavano
proprietà del lanciatore.
case no’e, s. f. pl. quartiere di case popolari
risalente agli anni ’50 situato in via
Gabinova. La costruzione di questo complesso
di abitazioni costituì il primo
assalto al bosco comunale e l’inizio della
sua distruzione proseguita inesorabilmente
nel corso degli anni con la costruzione
di alcuni edifici scolastici.
cassamortaru, s. m. impresario di pompe
Cassa rurale, s. f. banca di credito
cooperativo fondata a Zagarolo nel corso
degli anni venti del secolo scorso dal
sacerdote don Girolamo Mannucci. La
sua nascita fu accompagnata dalla speranza
degli zagarolesi di aver trovato finalmente
l’istituzione di cui potersi fidare e
alla quale affidare i propri risparmi. La
banca riscosse unanimente la fiducia dei
cittadini e sembrava avviata verso successi
economici di una certa importanza specialmente
quando presso la banca venne
istituito un fondo per consentire ai contadini
l’acquisto dei prodotti anticrittogamici
per la cura delle malattie della vite a
condizioni vantaggiose. Il successo
riscosso tra la popolazione non piacque,
però, alle autorità fasciste, che mal tolleravano
quel prete che non perdeva occasione
per far risaltare la propria indipendenza
di giudizio. Sorsero le prime difficoltà
e tra la gente cominciò a serpeggiare
la sfiducia. Ci furono altresì alcuni
investimenti sbagliati e ben presto le fortune
della banca si avviarono verso un
irrimediabile declino. Contro il sacerdote
fondatore vennero sparse calunnie di ogni
tipo al punto che fu costretto ad affrontare
un giudizio presso il tribunale di Roma.
Il fallimento fu inevitabile e molta gente
perdette le sue piccole ma importanti fortune.
Molte famiglie videro andare in
fumo i risparmi di una vita. Ci furono
tumulti e disordini in paese. Probabilmente
ha origine da questo episodio la
sfiducia degli zagarolesi verso ogni forma
di cooperazione.
Don Girolamo Mannucci morì qualche
anno dopo investito da un camion. Forse,
disse qualcuno, non è stata una disgrazia.
cassu, s. m. rotonda forma di legno per
castagna americana, s. f. ippocastano.
Frutto usato per l’alimentazione degli
castellucci, s. m. pl. 1) raggruppamento
di case. 2) cumulo di oggetti.
càsula, s. f. l’insieme delle “gregne” (v.)
pronte per la trebbiatura, disposte sul terreno
in modo da formare delle casette. .
catamenasse, v. rifl. rivoltarsi continuamente,
non trovare pace. Ricorda il termine
catameniale del linguaggio medico per
mestruale, da “katamenia” (mestruazioni).
Rievoca lo stato d’ansia che spesso
prende le donne in quel periodo. Prov.
“Chi ‘a a lu lettu senza cena/ tutta notte
se catamena”.
catella, s. f. erba spontanea non commestibile.
catellu, s. m. erba spontanea commestibile.
Si consumava passata in padella con
pomodoro, aglio, olio, sale e peperoncino.
catorciu, s. m. relitto, oggetto o anche
persona malandata. In italiano catorcio sta
per persona malconcia, in cattiva salute.
càula, s. f. cannella di legno applicata al
foro della botte usata come un vero rubinetto.
Prov. “Quanno la càula canta e fa
remore, lu ‘ignarolu se cambia de colore”
(la cannella applicata alla botte comincia
a far rumore quando il vino sta per finire
e la cosa certo non fa piacere al contadino).
caulellu, s. m. erba infestante tipica di
luoghi aridi. È il “Chenopodium album”
della famiglia delle Chenopodiacee.
Usata una volta in cucina come verdura
caulu, s. m. cavolo. Usatissimo nella
cucina zagarolese e coltivato in ogni pezzetto
di terra, anche tra i filari del vigneto.
Si consumavano in zuppa, nella pizza
di polenta, attufati (attufatu, v.) e strascinati.
Fr. id. “ci manca càuli” (manca assai
poco per…)
cazzabbùbbulu, s. m. sciocco, tonto,
buono a nulla.
cazzarola, s. f. 1) casseruola, tegame. 2)
stupidaggine, cavolata. 3) escl. porca
cazzetta, s. f. calza, calzino.
Prov. “La cazzetta fa la femmina poeretta”
(non ci si può arricchire confezionando
calzette).
cazzi de frati, s. m. pl. pianta selvatica
con larghe foglie e con una specie di rossa
pannocchia al centro. Si davano da mangiare
ai maiali. Si tratta dell’Arum italicum
cazzimberiu, s. m. pinzimonio. Il cazzimperio
o cacimperio è un regionalismo
dell’Italia centrale e indica un piatto a
base di formaggio fuso, burro, latte e
cazzumattone, s. m. ingenuo, credulone,
cecagna, s. f. sonnolenza. Da cecaggine
che è “ la sensazione di pesantezza delle
palpebre provocata dal sonno” (De
cecca, s. f. sbornia, ciucca (comune nel
c’èco, voce verbale del verbo essere che
viene ricordata solo nella frase “c’èco
pàtremu, c’èco màtrema, c’èco tutti de
casa” (c’erano tutti, non mancava nessuno).
ceculinu, s. m. foruncolo, pustola, brufolo.
cegna, s. f. corda messa sotto la pancia
degli animali da soma per mantenere
fermo il basto o la sella. Cinghia. Reg.
cella, s. f. organo sessuale femminile.
cellettu, s. m. uccellino. Prov. “Chi ’a
appressu a lu cellettu che vola/ non porta
lu saccu a la mola” (se ti farai distrarre
dal tuo lavoro, non riuscirai a portare
celu, s. m. 1) cielo. 2) volta, soffitto. “Lu
celu de lu fornu” era un ambiente ricavato
sulla volta del forno che veniva utilizzato
per mettervi ad asciugare cose
bagnate o solo umide come olive, castagne.
noci ecc.
céngulu, s. m. cintura usata per sostenere
i bambini e aiutarli nei loro primi passi.
cenice, s. f. ciniglia, cenere calda mista a
cenichellicchiu, avv. pochissimo, microscopico
pezzettino di qualcosa.
cenichellu, avv. un po’ di qualcosa, un
cenicu, avv. un po’ di qualcosa.
cennerinu, s. m. infreddolito, che cerca
di riscaldarsi vicino alla cenere del camino.
Fr. id. “esse comme ’n cennerinu”
cento scudi, s. m. 1) sostegno usato dal
calzolaio per poggiarvi la scarpa da risuolare.
Si favoleggia di una donna che si era
rivolta ad un calzolaio perché le liberasse
la mano rimasta incastrata in una “pilocca”
(v.) L’artigiano dopo aver chiesto e
ottenuto cento scudi ruppe la “pilocca”
con il legno sul quale poggiava le scarpe
per la risuolatura. Da quel giorno l’arnese
prese il nome di cento scudi. 2) osso, probabilmente
per lisciare il margine delle suole nuove.
Centro anziani, in attività da molti anni è
frequentato da un cospicuo numero di
anziani che vi trovano un ambiente confortevole
con opportunità di svago e di
relazioni sociali. Il Centro organizza
manifestazioni a favore dei suoi utenti,
come ad esempio il cenone di fine anno,
il ballo di carnevale oltre a gite di istruzione
a Roma e altrove.
Centro sociale “La pigna”, organizzazione
di tipo comprensoriale a favore di
persone diversamente abili situato ancora
in viale Gabinova, in attesa della nuova
sede tra i palazzi di Colle Barco. Il Centro
è frequentato da disabili provenienti dai
10 comuni della ASL RM G e si compone
di diverse sezioni dai laboratori di tipo
artigianale a quelli teatrali e fotografici.
La struttura è fornita di servizio psicologico
permanente di cui fruiscono i disabili
e i loro familiari. La frequenza del centro
ceppa, s. f. volg. organo sessuale maschile.
cerasa, s. f. ciliegia. Il termine è largamente
usato in tutto il centro-sud. Tra le
tante varietà di cliegie presenti nel territorio
di Z. meritano rilievo quelle che si
chiamano “cerase de lo mete” letteralmente
ciliegie del mietere intese come
quelle che maturano al tempo della mietitura,
tra la metà e la fine del mese di giugno.
cerasu, s. m. ciliegio. Nel dialetto di
Zagarolo è ben chiara la distinzione tra
l’albero e il suo frutto come si vede in
“cerasa” e “cerasu”. Ciò non accade in
altri dialetti nei quali non v’è distinzione.
In genere prevale il genere femminile sia
per il frutto che per la pianta.
cerchiu, s. m. cerchio, attrezzo come un
grosso anello che i bambini facevano
rotolare guidandolo con una specie di
manubrio o con una semplice bacchetta.
Giocattolo diffusissimo tra i ragazzi che
si riunivano a gruppi e si sfidavano in
cerigna, s. f. cesto, canestro costruito una
volta con le “torte d’abbio” (v.) che si
applicava al basto o alla sella.
cerignolu, s. m. 1) cestino, canestrello. 2)
cerne, v. tr. setacciare (passare la farina al
setaccio). Lat. “cèrnere” (separare, scegliere).
cernerellu, s. m. asse di legno di forma
rettangolare sul quale si faceva scorrere il
setaccio per cernere la farina. Fr. id. “jì ‘n
giru comme ‘n cernerellu” (avere il moto
cerqua, s. f. quercia. Si noti la metatesi
(inversione di suoni nella parola). A
Zagarolo c’è la “cerqua de Giggino” che è
una località di campagna verso Gallicano e
lu cerquone” a Colle dei quadri.
cesa, s. f. piccolo appezzamento di terreno
chiappa, s. f. gluteo, natica.
chìcchera, s. f. 1) tazza per assumere
bevande. Fr. id. “in chicchere e piattini”
(ostentare lusso ed eleganza). 2) sbornia
chicchiarellu, s. m. bambino assai piccolo
e grazioso. Lo si riferisce anche al dito
Chiocchiò, s. m. personaggio che dà il
nome ad una piazzetta di viale Ungheria
all’altezza dei numeri civici 66/70. C’era
anche un grande abbeveratoio detto “la
fontana de Chiocchiò”, demolito per fare
chiodu a chirica de prete, s. m. chiodino
con la testina rotonda usato dal calzolaio.
chirichettu, s. m. 1) un tipo di vitigno. 2)
ciaatta, s. f. pantofola, ciabatta. Fr. id.
“co’ ‘na scarpa e ‘na ciaatta” (alla
ciaffu, s. m. cianfrusaglie, paccottiglia,
ornamenti vistosi ma di scarso pregio. Di
origine toscana dove ciaffo è straccio e in
senso figurato cosa di poco valore.
ciafrujà, v. intr. fare confusione, disordine,
parlare in maniera confusa e incomprensibile.
Questo vocabolo viene anche
ciafrujone, s. m. disordinato, confusionario.
Si dice anche “nciafrujone”.
ciafrùju, s. m. caos, confusione, baraonda.
ciammaruca, s. f. lumaca. Fr. id. “tené le
saccocce a ciammaruca” (essere avaro.
Avere le tasche come una scala a chiocciola:
i soldi scivolano facilmente in giù e difficilmente
trovano la strada per risalire).
ciammaruca nudacchia, s. f. lumaca
ciammella, s. f. ciambella. Una delle specialità
dolciarie del paese. Impasto di farina,
uova, zucchero, nocciole e olio. Cotte
al forno. Venivano dette “degli sposi”
perché, in occasione di matrimoni, le
famiglie degli sposi le mandavano in
regalo agli invitati qualche giorno prima
delle nozze. Insieme ai confetti. Quella
classica era detta “ciambella alla zagarolese”,
altre varietà sono le ciambelle al
ciammellone, s. m. grossa ciambella, pan
di Spagna. Fig. sempliciotto, gonzo,
ciampicone, s. m. chi inciampa spesso e
tende a cadere, malaccorto, sgraziato nei
ciamurru, s. m. cimurro, forte raffreddore.
Fr. id. “cianca cianca” (a piedi, piano
piano). Il vocabolo è diffuso in tutta
l’Italia meridionale. Prov. “Chi pija moje
e non sa l’usu/ affila le cianche e allonga
lu musu” (della moglie è necessario fare
un uso saggio e oculato; in caso contrario
se ne ricaveranno solo svantaggi).
ciancicà, v. tr. 1) masticare lentamente. 2)
spiegazzare panni, biancheria. It. ciancicare.
ciancicagnocchi, s. m. 1) distratto, svagato,
che dorme in piedi. 2) balbettante,
che ha difficoltà nel parlare.
ciancicaticcio, s. m. che sa di vecchio,
ciancicatu, agg. 1) masticato. 2) sgualcito.
ciàncicu, agg. sgualcito, spiegazzato.
cianghetta, s. f. sgambetto.
ciarciapone, s. m. qualunque pasto preparato
in casa, alla buona e senza pretese.
Bevande o cibi di scarso pregio.
ciarec’è, v. intr. ritorna, c’è. Fr. id. “lo
giusto ciarec’è” (alla fine la giustizia
trionfa).
ciaulà, v. intr. ciarlare, spettegolare, malignare.
cibboriu, s. m. ciborio, tabernacolo,
ostensorio. Fr. id. “Co’ tuttu lu cibboriu”
(cianfrusaglie e bagattelle).
ciccia, s. f. carne (nel linguaggio infantile).
ciccià, v. intr. germogliare.
cicciu, s. m. 1) germoglio. 2) verdura
ciciarellu, s. m. bacca di sambuco. Fil.
“Da Nanaccia non sa manco de ramoraccia/
da Pollastrellu è tutta acqua e ciciarellu/
da Marana è tutta acqua de fontana/
da Pizzacchiellu se po’ bè co’ lu sorellu”.
(versetti composti da chi voleva denigrare
la qualità del vino prodotto da altri).
cicia, agg. solitamente femminile che
significa svenevole, smorfiosa, sdolcinata
e anche lamentosa, che non sopporta il
ciciata, s. f. moina, coccola, smanceria.
ciciu, s. m. granello, chicco di cereale.
Possibile collegamento con il latino “ciccum”
(cosa da niente).
cifrignolu, s. m. pugno, cazzotto.
cigu, avv. poco, una piccola porzione di
qualcosa. Fr. id. “facci a cigu” (vacci
cimarolu, s. m. 1) carciofo che si sviluppa
al centro della pianta. Nel diz. De
Mauro si legge “ cimarolo, capolino terminale
della pianta del carciofo, più grosso
e precoce di quelli laterali”. 2) sommità
cimata, s. f. estremità superiore della
canna a forma di pennacchio. La mangiavano
cinema, Z. non ha una sala cinematografica.
Ne ha avute addirittura due contemporaneamente
1967. Due sale nate per iniziativa, una
dell’ENAL (Ente Nazionale Assistenza
Lavoratori) e gestita dal circolo culturale
Antonio Fabrini (v.) a cui faceva dichiarato
riferimento l’allora P.C.I. (Partito
comunista italiano) in un salone al primo
piano di Palazzo Rospigliosi, intitolata a
Giuseppe Verdi, l’altra in un locale annesso
alla chiesa di S. Pietro (v.) e intitolata
a Mario Fani, il giovane viterbese fondatore
della Società della Gioventù cattolica,
“lu cinema de li compagni e la parrocchietta”.
Le due sale, in feroce concorrenza…
politica, aprivano il sabato e la
Domenica. Al Verdi drammoni napoletani
con lancinanti storie di amori e di coltelli,
nell’altra sala edificanti storie di santi, di
orfani abbandonati e simili. Chiusa la
parentesi Peppone e don Camillo, in
tempi più recenti ha funzionato un’altra
sala: il cinema Helen, pochi anni e poi la
chiusura. Tra gli anni Cinquanta e gli anni
Sessanta svolse una certa attività una sala
di cinema all’aperto in locali poi assorbiti
dalla Trattoria Giardino. Si chiamava
semplicemente “L’arena”.
cinquina, s. f. schiaffo inferto a mano
ciocca, s. f. radice della canna.
cioccà, v. tr. estirpare, cavare.
cioccu, s. m. 1) grosso pezzo di legno da
ardere. 2) tronco d’albero. 3) grossa radice.
Fig. persona poco sensibile, tonto. Fr.
id. “si n’è cioccu è lopu” (se non è un
tronco è lupo. La battuta esprime l’ironia
nei confronti di chi racconta di aver visto
cose fantastiche che possono essere sia un
ciocco d’albero che un lupo!).
Circolo A. Fabrini, intitolato al martire
delle Fosse Ardeatine il circolo aveva una
funzione eminentemente ricreativa. Fondato
dal PCI era frequentato per lo più da
persone anziane che avevano l’opportunità
di scambiare idee e opinioni, fare una
partita con le carte e bere un bicchiere di
vino. L’attività del Circolo si svolgeva in
un locale di palazzo Rospigliosi.
Circolo cattolico, fondato dal sacerdote
don Girolamo Mannucci, situato in locali
annessi alla chiesa di San Pietro, per tenere
viva nella popolazione la voglia di partecipare
Nell’ambito delle attività promosse dal
Circolo si distinsero alcuni meritevoli
tentativi di organizzare spettacoli teatrali
tramite una filodrammatica intitolata ad
Eleonora Duse. Dopo il 1919, anno della
fondazione del Partito popolare ad opera
di Luigi Sturzo, il Circolo, per dimostrare
la sua adesione alle ideee propugnate dal
sacerdote di Caltagirone, assunse il titolo
Circolo Giuseppe Calandrelli, associazione
culturale intitolata all’illustre matematico
e astronomo zagarolese fondata da
un gruppo di giovani studenti universitari
e giovani laureati. Nato verso la fine degli
anni Sessanta promosse l’incontro tra la
cultura cattolica e quella di ispirazione
marxista, in un tempo in cui la forza delle
ideologie costituiva la stella polare di
ogni iniziativa culturale. In campo politico
si cominciava a parlare di compromesso
storico e sembrava che per la società
italiana stesse per cominciare un’epoca
basata non più sulle acerrime divisioni ma
sul dialogo e la collaborazione. Questo
processo poi venne tragicamente interrotto
dal sequestro e dall’assassinio dell’on.
Aldo Moro. Nel Circolo che aveva la sede
a Palazzo Rospigliosi si tennero conferenze,
incontri e dibattiti sui principali
temi suggeriti dall’attualità politica dei
Circolo Kennedy, sorto dopo l’assassinio
del Presidente americano (1963), svolse
una breve attività e promosse alcuni
incontri e dibattiti tra le forze politiche
nell’imminenza di consultazioni elettorali
Circolo Nuova Gabio, nato per volontà
di alcuni giovani che intendevano movimentare
l’atmosfera culturale, invero un
po’ stagnante del paese nel corso degli
anni Sessanta, ebbe vita breve e contribuì
poco allo scopo per il quale era sorto.
Circolo Progetto 77, associazione culturale
di orientamento cattolico sorta sulle
ceneri del Calandrelli. Derivò la sua
denominazione dalla Charta 77, il documento
programmatico firmato da alcuni
intellettuali, specialmente cecoslovacchi,
dopo l’invasione di Praga da parte delle
truppe sovietiche. Si trattava di un vero
inno alla democrazia, all’autodeterminazione
dei popoli e suonava come dura
condanna al totalitarismo moscovita.
cirignòccula, s. f. nuca.
cirignolu, s. m. cestino usato dai pescatori
per deporvi il pescato. Anche cerignolu.
ciriella, s. f. testa. Fr. id. “Fa’ girà la
ciriella a quadunu” (dare ai nervi, far
montare la rabbia a qualcuno).
cispadanu, s. m. che parla in maniera
incomprensibile. Lett. chi abita nelle
cisternaccia, s. f. il nome di una scorciatoia
che da Piazza S. Martino porta giù a
Città nostra, periodico locale di informazione
pubblicato a Z. durante gli anni
Sessanta. Diretto dal giornalista Franco
Fedeli che alcuni anni dopo, quando si
iniziò a parlare di sindacato di polizia, fu
tra i fondatori del periodico di ispirazione
sindacale Polizia e Democrazia.
Cittanuova, periodico locale di informazione
politica e culturale con cadenza
mensile diretto da Wladimiro Settimelli.
Pubblicato dal 1985 al 1995. Nato come
foglio autogestito e ciclostilato nella
sezione dell’allora PCI in vicolo del mercato
nel corso degli anni Settanta e distribuito
gratuitamente conobbe una radicale
trasformazione diventando anche nella
struttura tipografica un vero giornale e si
aprì al contributo di più voci rimanendo
saldamente ancorato ai valori del riformismo
progressista. Stampato in un migliaio
di copie si reggeva economicamente con i
proventi della pubblicità, con le vendite
presso le edicole e con le quote degli
abbonamenti. Difficoltà economiche e
organizzative ne decretarono la chiusura.
Nell’area prenestina vengono pubblicati
Il corriere del cittadino (mensile), Il
nuovo corriere prenestino e La notizia
entrambi settimanali.
ciuccà, v. intr. 1) ubriacarsi. 2) sonnecchiare.
ciucia (a), loc. avv. 1) riferito alle mani
che non hanno presa e lasciano cadere
tutto ciò che toccano. “tenè le mano a ciucia”.
2) inezia, niente. “attaccase puro a
ciucia” (di chi non rinuncia a nulla pur di
ricavare un vantaggio per sé).
ciuetta, s. f. civetta. Fig. donna vanitosa e
ciufeca, s. f. bevanda di pessima qualità,
ciufulà, v. intr. zufolare, fischiare, borbottare,
ciufulante, s. m. suonatore di zufolo,
flautista, musicante. Prov. “De li morti e
de li santi/ so’ ferniti ciufulanti/ manichi,
manicotti e guanti” (ai primi di novembre
la bella stagione è finita e si fa ricorso a
tutto ciò che serve per riscaldarsi).
ciùfulu, s. m. zufolo, fischietto, flauto.
Fr. id. “moje, lu ciufulu de la notte” (l’irrefrenabile
voglia di chiacchierare delle
coatera, s. m. uccello notturno, gufo.
cocchiu, s. m. insieme di piante raccolte
in un’area limitata che fanno molta
cocci, s. m. pl. pezzi smembrati di qualcosa
che è stato rotto. Fr. id. “fa’cocci” (sfasciare,
coccia, s. f. buccia. Fr. id. “ci jetto le
cocce” (non ne butto via nemmeno la corteccia).
cocciara, s. f. negozio di casalinghi dove
si vendono oggetti di terracotta. Il cocciaio
è l’artigiano che confeziona vasi e
cocciu, s. m. buccia dell’uva. Fr. id. “Chi
se magna l’ua d’agostu, de settembre
caca lu cocciu” (l’uva di agosto non è
ancora matura e perciò è indigesta. Se ne
mangerai impiegherai un mese per digerirla).
còcese, v. rifl. tormentarsi, affliggersi,
cocina, s. f. stanza adibita a cucina.
cocòmmaru, s. m. cocomero. Fig. babbeo.
cocuzza, s. f. zucca, zucchina. Ottime
codarizzu, s. m. coccige, l’ osso che chiude
la colonna vertebrale, sacro.
codì, avv. cong. perché?, poiché. Prov.
“Non entro quanno sona la campana/
codì conoscio quillu che la sona”. (non
riuscirete ad ingannarmi, vi conosco troppo
bene).
codone, s. m. semicerchio di legno che
veniva fatto passare sotto la coda dell’animale
da soma per tenere ben fermo il
basto. Faceva parte della groppiera.
còfana, s. f. v. callarella
cognuntura, s. f. congiuntura delle ossa.
coiemocilla, v. intr. imp. andiamocene.
còiesela, v. intr. andarsene, filarsela. Es.
coje, v. tr. raccogliere. p. rem. Eo cozzi, tu
cojisti, issu cozze, noa cojemmo, voa
cojeste, issi còzzeno. p.p. “coto”.
cojonà, v. tr. prendere in giro, deridere,
colecasse, v. rifl. coricarsi.
còlicu, agg. coricato, disteso, sdraiato.
Colle, s. m. il quartiere compreso tra
Porta S. Martino e piazza M. D’Azeglio.
La parte più antica del paese. I suoi abitanti
si chiamano collesi. In questa zona
attualmente (2006) si trovano l’ospedale,
l’ufficio postale, il laboratorio di analisi
con alcuni uffici della ASL, l’istituto
delle suore canossiane e l’ex scuola elementare
E. De Amicis, in via di trasformazione
Colle Barco, per gli zagarolesi “lu
Barcu”. A seguito del piano per l’edilizia
economica e popolare approvato dall’Amministrazione
Colle Barco, ormai totalmente urbanizzato,
è riuscito a saziare la fame di case dei
cittadini di Z. Espropriati 85 ettari, edificati
80. 000 mc con una densità di poco
più di 70 abitanti per kmq. La zona di
completamento che grava quasi tutta su
viale Ungheria brulicante di palazzine e
palazzoni ha contribuito a formare un
altro paese, un paese nuovo. Costruzioni
organizzate da privati, enti pubblici e
cooperative edilizie. Viale Ungheria ormai
si può considerare il cuore pulsante delle
attività economiche di Z. Supermercati,
negozi di ogni genere, locali di intrattenimento,
agenzie immobiliari, studi professionali,
una vera migrazione dal centro
storico. Su questo viale si scarica tutto il
traffico proveniente da Colle Barco con
gravi e pesanti problemi alla viabilità e
agli spostamenti della popolazione. Una
nota di colore: tutto il nuovo quartiere è un
inno al cinema. Viale del cinema è l’arteria
principale che costeggia la caserma dei
carabinieri e ad alcuni grandi registi del
cinema italiano (Fellini, Germi, Leone,
Pasolini, Rossellini, Visconti). sono intestate
le vie che attraversano l’abitato.
collèra, s. f. oìdio, malattia della vite
dovuta all’attacco di un fungo. Viene combattuta
con abbondanti irrorazioni di zolfo.
collese, agg. abitante del Colle.
Colonna, paese a pochi chilometri da
Zagarolo sulla via Casilina. Produzione di
uva da tavola. Prov. “Colonna, non capisci
colonnetta, s. f. comodino per camera da
colu, s. m. 1) filtro per il vino. 2) erba selvatica
non commestibile.
combinazione, s. f. sottoveste. Il nome
prende origine dal fatto che nel corredo di
una sposa la sottoveste era sempre in
combinazione con altri capi di biancheria.
comesisia, cong. in qualunque modo,
commannà, v. intr. 1) comandare, dare un
ordine qualsiasi. 2) avvertire le “socce”
(v.) che il forno era pronto a ricevere il
pane appena impastato per la cottura.
commannezza, s. f. comando, autorità,
commannu, s. m. servizio, commissione,
commare, s. f. comare, madrina di battesimo
o di cresima.
commatte, v. intr. combattere, competere,
avere a che fare con qualcuno, provare
a fare qualcosa.
comm’è?, comunissimo interrogativo che
sta per “come va?”. La persona interrogata,
se vuol dire che non ci sono novità da
segnalare, risponde “comm’era”.
commeddiante, s. m. f. attore, attrice.
còmmedu, s. m. recipiente necessario nel
tinello, attrezzo da lavoro. Es. “quillu tè
tutti li commedi” (quella persona ha tutto
l’occorrente).
Commercio (piazza del), l’attuale piazza
G. Marconi, la piazza del Comune.
companaio, s. m. companatico, contorno.
companià, v. intr. consumare con discrezione
e moderazione. Tipica la forma
imp. “companìatelu” (usalo con moderazione,
come si fa con il companatico).
compare, s. m. padrino di battesimo o
compru, agg. comprato nel senso di non
fatto in casa. Una cosa “compra” è stata
acquistata bell’e confezionata.
concallà, v. intr. andare a male, diventare
concallatu, agg. andato a male, stantio,
concià, v. tr. pulire il grano, il granturco, i
fagioli e simili liberandoli dalle impurità.
conciatura, s. f. residuo della pulitura del
grano o di altri cereali. La parte da buttare.
Concordia, s. f. cooperativa di consumo
istituita soprattutto per venire incontro
alle necessità dei contadini. Era possibile
l’acquisto di generi alimentari e di prodotti
per l’agricoltura a prezzi agevolati e
a condizioni di favore. Ha cessato la sua
attività agli inizi degli anni Sessanta del
conicella, s. f. piccola nicchia.
conocchia, s. f. 1) rocca usata per filare.
2) sistema di legatura delle viti e di altre
piante, specie ortaggi, per cui un insieme
di piante assume la forma di una rocca per
la filatura. 3) canna schiacciata all’estremità.
Le punte disunite vengono a formare
come una cavità simile alla figura che
si ottiene volgendo verso l’alto il pollice,
l’indice e il medio. Usato per raccogliere
Consorzio strade vicinali, associazione
costituita nel 1935 con lo scopo di provvedere
alla costruzione e alla manutenzione
di strade interpoderali. Ne erano
soci tutti i proprietari di terreni che, in
misura proporzionale alle superfici agrarie
possedute, contribuivano finanziariamente
alle spese sopportate dall’associazione.
Per la costruzione delle strade si
attingeva a fondi stanziati da Enti locali o
ministeriali. Grazie all’opera del
Consorzio il territorio di Z. fu ben presto
fornito di una rete di strade di primaria
importanza. Il Consorzio è stato sciolto.
consuprinu, s. m. cugino di secondo
contrafonnu, s. m. “acquaténgulu”. (v.)
Convento Santa Maria delle Grazie,
risale agli ultimi anni del 1200 e venne
eretto per volere del cardinale Giovanni
Colonna. Al suo interno c’è una pregevole
immagine della Madonna che la leggenda
vuole donata alla chiesa da San
Francesco di Assisi di passaggio da Z. e
proveniente da un pellegrinaggio in Terra
Santa. Questa immagine detta Santa
Maria delle Grazie è oggetto di profonda
venerazione. Nella cripta sono sepolti
alcuni componenti della famiglia
Colonna e un pittore del 1700, Ludovico
Gemignani. La chiesa è affidata ai frati
minori francescani. Annesso alla chiesa
una pregevole costruzione utilizzata fino
agli anni Novanta per ospitare ragazzi
orfani assistiti dall’ENAOLI (Ente
Nazionale per l’Assistenza agli Orfani
dei Lavoratori Italiani). Ulteriori modifiche
sono state apportate recentemente
all’intera struttura che sta assumendo
sempre più i contorni di un vero albergo.
coppa, s. f. porzione di terreno equivalente
coppietta, s. f. carne di asino o di cavallo
essiccata e condita con peperoncino,
pepe, pitàrtima (coriandolo) e sale. La
carne deve essere tagliata a striscioline
còppula, s. f. 1) coppola, berretto rotondo
con visiera. 2) copertura con terra smossa
di un tratto di terreno non vangato. Durante
la vangatura di un terreno poteva capitare
che un vangatore, per alleggerire la fatica
di un lavoro davvero massacrante, o per
recuperare il suo ritardo su altri operai
“facea le còppule”. L’azione consisteva
nel ricoprire con terra smossa un pezzetto
di terreno che, così ricoperto con terra fresca,
sembrava vangato senza esserlo.
corame, s. m. cuoio lavorato. In alcuni
paesi del nord-Italia è la striscia di cuoio
usata dai barbieri per affilarvi i rasoi. La
parola era usata anche per vantare la qualità
della tela usata per confezionare le
lenzuola del corredo e si diceva “rinzola
corbu, s. m. colpo apoplettico, paralisi.
cordoju, s. m. cordoglio, preoccupazione,
sofferenza. Fr. id. “da’ lu cordoju”
(procurare sofferenza a qualcuno, annoiare
qualcuno con la propria presenza o con
le proprie chiacchiere).
corìnula, s. f. matassa di lino.
cornetta (uva), s. f. pizzutello.
coroja, s. f. cèrcine, panno attorcigliato a
forma di ciambella che le donne ponevano
sulla testa per portare più agevolmente
oggetti pesanti. A Roma le mamme lo
disponevano intorno alla testa dei bambini
che stavano imparando a camminare
per impedire che si facessero male.
corpettinu, s. m. gilet.
Fr. id. “corpu lisciu” (gran mangiatore).
corrisposta, s. f. (v. risposta).
corsè, s. m. corsetto, busto con stecche.
Evidente francesismo “corselet”, bustino
e anche armatura.
corte, s. f. corte. Zagarolo che ha conosciuto
famiglie e dinastie principesche,
Colonna, Pallavicini, Rospigliosi, conserva
nella denominazione dei luoghi del
paese il ricordo della corte dei signori che
la governarono per tanti anni e la centralissima
piazza Indipendenza viene comunemente
indicata comme “piazz’e corte”
cortellu, s. m. coltello. Fr. id. “mette li
sordi a cortellu”: 1) sistemare le banconote
nel portafogli in ordine perfetto. 2)
cortelluzzu, s. m. 1) temperino, piccolo
coltello. 2) una particolare forma di contratto
che regolava il rapporto tra il padrone
della vigna e il contadino che la lavorava.
Il contratto era definito “mezzo a
mezzo e mezzo a cortelluzzu”. Una metà
del prodotto veniva divisa in parti uguali
tra il padrone e il lavorante (“mezzo a
mezzo”). L’altra metà spettava al padrone
a fronte di una somma di denaro che quest’ultimo
concordata veniva corrisposta in tre rate
annuali (Pasqua - San Lorenzo e Natale).
A totale carico del padrone le spese
occorrenti all’acquisto dei prodotti necessari
alla coltivazione della vite come concimi,
anticrittogamici e altro. Il vignaiolo
aveva il diritto di conservare la sua parte
di vino nel tinello del padrone di cui
custodiva anche le chiavi. Se il contratto
veniva rescisso il vignaiolo doveva provvedere
a togliere la sua parte di vino dal
tinello e doveva farlo entro il 21 di marzo.
Entro la stessa data doveva essere riconsegnata
al padrone la chiave del tinello.
cortili, s. m. pl. con questo nome si intendeva
Rospigliosi (v.), una volta frequentatissimo
dai bambini.
corvatta, s. f. piccolo scialle. Contaminazione
da cravatta, per estensione indica
cosindo, avv. così. (voce del tutto scomparsa).
Fr. id. “è cosindo, disse Argante”
(lo si voglia o no, le cose stanno proprio
così).
costa, s. f. terreno in pendenza. fianco,
costa d’asinu, s. f. pianta dalle larghe
foglie che si consumano crude. È il
“Leontodon hispidus” della famiglia
delle Compositae, chiamato comunemente
costa de Bizzochi, s. f. porzione di Colle
costa de Ciogni, s. f. strada che da viale
Ungheria conduce ai quartieri nuovi di
colle Barco. Detta anche “la salita di
costa de lu sfrociatu, s. f. strada di collegamento
tra Casa romana e via Casilina,
ora territorio del comune di S. Cesareo.
Costarella, s. f. via Marzio Colonna.
cota, s. f. raccolta. Es. “‘na cota de
fogni” (una raccolta di funghi).
co’ teco, con te. Forma pleonastica derivata
coti, s. m. pl. appezzamenti di terreno
seminati a grano per due anni consecutivi.
còtica, s. f. cotenna di maiale.
Fr. id. “che te so’ ditto cotica!” (non te la
coticchia, s. f. cote, pietra abrasiva di
forma romboidale usata per affilare arnesi
taglienti come la falce e il coltello.
cottoncinu, s. m. cotone molto leggero di
modesta consistenza. Si usava soprattutto
per ricavarci “zinali” (v.) da usare in cucina.
cozza, s. f. 1) zolla di terra. 2) ignorante,
cozzumbrillu, s. m. fico acerbo.
C.P.R. Comitato Palazzo Rospigliosi,
organismo composto da 5 elementi di
nomina del sindaco con il compito di promuovere
iniziative culturali. Il Comitato ha
anche la funzione di coordinare l’attività
della Biblioteca comunale. Sorto con l’impegno
preciso di organizzare spettacoli culturali
e ricreativi durante l’estate, nacque
infatti l’Estate a Palazzo Rospigliosi, con il
tempo ha allargato la sua sfera di azione ed
è divenuto il vero motore di un’attività culturale
intensa e intelligente che prevede per
tutti i mesi dell’anno iniziative di varia
natura che vanno dal cinema al teatro, dall’allestimento
di mostre alle esibizioni dei
bambini e dei ragazzi delle scuole.
crapòla, s. f. scanalatura delle doghe
della botte in cui va ad incastrarsi il fondo
della botte stessa. Dall’it. capruggine.
Esiste il verbo caprugginare. Il caprugginatoio
è la speciale pialla usata per praticare
la scanalatura.
crascia, s. f. abbondanza, ricchezza, guadagno.
Prov. “o crascia o carestia, ’na
botticella a la ‘igna mea” (comunque
vada, avrò sempre a disposizione una botticella
di vino).
crastà, v. tr. 1) castrare. 2) praticare con
apposite forbici un’incisione a collare
sulla vite. Questa pratica favoriva l’attecchimento
dell’uva e ne limitava la cascola
frenando la crescita della pianta. Una
sorta di castrazione.
crastatellu, s. m. piccola lumaca che si
trova su terreni incolti. Buona da mangiare.
cràstica, s. f. 1) piccolo uccello, probabilmente
si tratta della capinera grigia.
Fr. id. “’mpostatu comme ’na cràstica”
(impettito, col busto eretto). 2) ferita,
ulcerazione. In dialetto romanesco si dice
“castrica”. Nel passaggio al dialetto di Z.
si è verificata una metatesi.
credenzone, s. m. grosso armadio indispensabile
crespignu, s. m. crespigno, erba commestibile
che cresce spontanea. Se ne fa
un’insalata. Si tratta della Cicerbita del
genere Sonco (Sonchus asper). Prov. “Li
crespigni de gennaru non so’ ‘occa de
‘illanu” (nel mese di gennaio i crespigni
sono per il padrone, non per il villano).
Nel sonetto intitolato Li malincontri G.
Belli dice “m’aricordo quann’ero piccinino/
che Ttata me portava for de porta/a
cria, avv. un po’, un pezzetto.
crià, v. tr. creare, produrre, rendere.
Prov. “Che pazzia a fa’ la ‘igna andò la
‘igna non cria” (una vera pazzia impiantare
un vigneto in terreni improduttivi).
criellu, s. m. crivello, setaccio.
criellucciu, s. m. piccolo setaccio in dotazione
ad ogni tinello.
crinu, s. m. girello per avviare i bambini
ai primi passi. Crino è un reg. romano. In
Toscana chiamano crino il cesto di vimini
usato per trasportare pollame.
crocchià, 1) v. tr. picchiare, percuotere. 2)
v. intr. scricchiolare, cigolare, scrocchiare.
croscé, s. m. uncinetto. Dal fr. “crochet”.
crugnale, s. m. corniolo (Corpus mas).
Diffuso in tutta l’Europa centromeridionale,
su terreni calcarei. Ha una vistosa
fioritura di un giallo intenso. I frutti, le
corniole, sono commestibili e buoni, ma
devono essere molto maturi. Il legno è
duro e resistente. I ragazzi lo usavano per
costruirsi le “mazzafionne”(v.) Si può
crugnalinu, agg. duro, robusto, resistente.
Si dice anche del vino aspro, quasi
cuccà, v. tr. 1) picchiare. 2) rubare, sottrarre
soldi a qualcuno. 3) v. intr. battere
contro qualcosa rumorosamente.
cuccacardu, s. m. uccello di piccolissime
dimensioni. I cacciatori sconsigliano di
consumarne le carni poiché provocano
ritenzione di urina.
cucchi, s. m. pl. nel linguaggio dei bambini
pasta al sugo, maccheroni. Usato più
spesso al diminutivo “cucchetti”.
cucchiarella, s. f. 1) cucchiaio di legno
dal lungo manico usata in cucina. Spesso
le mamme usavano l’attrezzo per indurre
i bambini alla calma. 2) guscio vuoto
della castagna che di solito si trova in un
cardo contenente due frutti. Un modo di
dire suona così “Eravamo contenti di aver
trovato un cardo con due castagne e ci
siamo ritrovati con una cucchiarella”
come a dire che di tanti grandi progetti
non è rimasto nulla.
cuccu, s. m. vecchio. Abbreviazione di
cucculizzu, s. m. vetta di una collina o di
una montagna. Posto rialzato. Da cocuzzolo.
Composizione di oggetti in forma
cuccumettu, s. m. piccolo recipiente di
terracotta usato anticamente per preparare
il caffè. In it. cuccuma, bricco per contenere
il caffè.
cùccumu, s. m. caffettiera.
cuccunneu, s. m. arnese di legno usato a mo’
di martello per sistemare i cerchi della botte.
cucumà, v. intr. tramare, ordire un piano.
culotta, s. f. mutanda arricciata all’estremità
inferiore a forma di pantaloncino. Fr.
culubiancu, s. m. culbianco (Oenanthe
oenanthe). Uccello con il groppone e i lati
della coda di un bianco molto evidenti.
Sempre in movimento vola con la coda
aperta a ventaglio. Vive nei pascoli o in
collina. Nidifica nei buchi dei muri e
nelle pietraie. (Peterson e altri op. cit.)
cunculina, s. f. bacinella, recipiente di
rame usato per lo più per deporvi panni.
cùnnula, s. f. culla di legno. Dal lat.
“cunulae-arum”, piccola culla. Il termine
si trova in Prudenzio, poeta latino cristiano
del IV secolo.
cunnulà, v. tr. cullare. In Trilussa si
legge: “…pe’ fasse cunnalà come se sia/
dall’aria stessa che la porta via”
(Trilussa, La bolla di sapone).
cuntu, s. m. conto. Fr. id. quasi un intercalare
cupella, (de la senzarìa), s. f. recipiente di
legno a forma di fiasco che conteneva una
imprecisata quantità di vino (da 3 a 6 litri).
Quella detta “della senzaria” era più
capace, conteneva fino a 15 litri. Era quella
che si offriva, naturalmente piena, al
sensale che aveva combinato la vendita
del vino. Dim. “cupelletta”. In dialetto
romanesco la parola “coppella” indica un
recipiente, una specie di barilotto. I venditori
di tali recipienti si trovavano un tempo
quasi tutti riuniti in via delle Coppelle via
esistente ancora oggi”. (F. Ravaro).
cupellu, s. m. arnia. Fr. id. “tené lu capu
comme ’n cupellu d’ape” (comportarsi
come un pazzo). “pe’ ’n’ape vò ammazzà
tuttu lu cupellu” (non è giusto che la
colpa di uno solo ricada su tutti). “Co’’na
goccia de mele acchiappi ’n cupellu
d’ape/ co’ ’n barile de fele n’acchiappi
gnente” (conviene usare sempre la dolcezza
nei rapporti con gli altri, se ne ricavano
maggiori vantaggi).
cuppulinu, s. m. cupolino, piccola cupola.
curiolu, s. m. 1) laccio di cuoio per le
scarpe. 2) erba selvatica della famiglia
delle Poligonacee. Si tratta della
“Centinodia” (Polygonum aviculare L.)
Se ne ricavava un decotto usato per frenare
curre, v. intr. correre. p.p. “curzo”.
curridore, s. m. 1) corridoio. 2) corridore.
cutulasse, v. rifl. pavoneggiarsi, darsi
troppe arie.
Via Nazionale già via Maestra, poi via Costanzo Ciano
e infine via Antonio Fabrini. (foto del 1913).