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Michele Lacetera
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C

 

Il verbo leggere non sopporta l’imperativo,

avversione che condivide con alcuni

altri verbi: il verbo amare e il verbo

sognare. (D. Pennac)

caargatora, s. f. sella. (v. bardella).

cacaceci (a), loc. avv. sulle spalle. Portare

qualcuno “a cacaceci. A Roma si dice

a cavacecio”.

càcalu, s. m. cispa, secrezione mucosa

degli occhi. Fr. id. “leà li cicali a li mici

(pulire gli occhi dei gatti). Si riferisce ad

azioni inutili, considerate soltanto una

perdita di tempo.

cacannitu, s. m. l’ultimo nato. Il più giovane

dei bambini, quello ancora in fasce

che sporca ancora il nido.

cacchiacciu, s. m. sciocco, credulone,

sempliciotto.

cacchiettu, s. m. germoglio, getto. In italiano

c’è il termine cacchio.

cacchione, s. m. un vitigno.

caccià, 1) v. tr. tirare fuori, levare, togliere.

Si “cacciail vino dalla botte o dalla

grotta Fr. id. “Non se cacciano capre. Il

detto è preso dal mondo della pastorizia.

Le capre rimanevano negli ovili nelle

giornate troppo fredde o piovose. La

frase, quindi, è sinonimo di cattivo

tempo. 2) v. intr. germogliare, emettere

getti nuovi. 3) v. intr. farcela, riuscire a

fare. Fr. id. “Non ce la caccio manco a

sta’ assisu(sono tanto stanco che non

riesco nemmeno a stare seduto). 4) v. rifl.

cacciasse (‘n capu) fissarsi ostinatamente

su un’idea.

cacciadebbitu, s. m. un vitigno che portava

tanta uva da permettere al proprietario

di estinguere i suoi debiti.

caccia e metti, fr. id. con tale espressione

si indicava la condizione di chi possedeva

un unico vestito che veniva rimosso (cacciato)

affinché fosse pulito e subito dopo

reindossato.

cacciaèntula, s. f. una sorta di ventaglio

fatto con penne di animali, usato per ravvivare

la fiamma nel camino.

caccialèperi, s. m. pl. una specie di indivia

che mista ad altre verdure viene consumata

in insalata. Si tratta della Reichardia

Picroides, volgarmente denominata Caccialepre

o anche Lattughino o Grattalingua.

Raramente viene consumata cotta,

condita con olio e sale.

cacciasete, s. f. pl. (le), un fabbricato, in

via Borgo S. Martino, dove un tempo

c’era una filanda. Da quella casa si “cacciava

la seta.

cacciata, s. f. 1) germoglio, getto nuovo

di una pianta. 2) striscia di vigneto lunga

venti metri.

cacciunellu, s. m. cagnolino, cucciolo.

Lat.catulu(m)”, cagnolino.

caciara, s. f. 1) chiasso, baraonda.

Probabilmente da gazzarra. 2) luogo dove

si faceva stagionare e si conservava il

cacio. In Toscana usano il termine

caciaia.

cacini, s. m. elegante di un’eleganza vistosa

e un po’ pacchiana e anche sbruffone,

spaccone. Il termine prende origine da

Romolo Cacini famoso attore che si esibiva

al teatro Iovinelli in parti di guappo e di altri

personaggi beceri e volgari. Il vocabolo è

largamente usato nel dialetto romanesco e

si riferisce a persone che, pur non avendone

le qualità, si atteggiano a tuttofare.

cacio, s. m. formaggio. Dava il nome al

gioco del lancio delle forme di cacio che

ancora oggi viene praticato in alcuni comuni

toscani. Vinceva chi lanciava più lontano.

La corsa del cacio era accompagnata da


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stuoli di ragazzini che speravano che la

forma si spezzasse onde poterne prendere

alcuni pezzi. La gara si concludeva con

grandi mangiate di formaggio e di altro e

con ancora più abbondanti libagioni.

Ca(v)e, cittadina a pochi km da Zagarolo

con una parlata che in qualche modo

ricorda la cadenza del dialetto barese. Fr.

id. “Ritta comme la ‘ia de Ca’e” (di strada

piena di curve).

caffè, s. m. bar.

cagnà, v. tr. cambiare.

caìcchia, s. f. bullone, chiavarda.

cainella, s. f. il frutto del carrubo, la carruba,

un legume commestibile che di solito

si dava come foraggio agli animali. Ne

erano ghiotti i ragazzi. Erano esposte su

tutte le bancarelle nei giorni di festa.

caioffa, s. f. barbatella, talea di vite pronta

per essere trapiantata.

calà, v. intr. calare, abbassare, diminuire.

Fr. id. “ calà a canne(di cosa che si

consuma rapidamente, come rapidamente

si consumano le canne al fuoco).

calamitone, s. m. vagabondo, fannullone.

calammaru, s. m. 1) calamaio. 2)

occhiaia livida per malattia o stanchezza.

Usato per lo più al pluraleli calammari”.

Il vocabolo italiano calamaro indica

la stessa cosa.

calcio, sport molto seguito e praticato dai

ragazzi di Zagarolo, organizzati in una

Società sportiva detta U. S. (Unione

Sportiva) fondata nel 1968, a seguito

della fusione con una preesistente Società

chiamata Libertas. Le squadre di calcio

che hanno partecipato a tornei più o meno

prestigiosi fino alla Promozione si avvalgono

delle prestazioni di atleti locali e di

altri provenienti da altre località. Un fiorente

vivaio che annovera alcune centinaia

di ragazzi permette la partecipazione

a campionati provinciali e regionali: pulcini,

esordienti, allievi, ragazzi ecc.

Alcune decine di volontari tra dirigenti e

allenatori consentono lo svolgimento di

un’attività altamente significativa sia

sotto l’aspetto squisitamente sportivo che

sotto il profilo educativo e formativo.

Tutte le attività si svolgono presso il centro

sportivo di Via del Formale. Degno di

menzione il torneo internazionale che si

svolge tutti gli anni con la partecipazione

di squadre provenienti da diversi paesi

europei.

calecagnu, s. m. calcagno. Dim. “calecagnittu”.

calecara, s. f. calcara, fornace per cuocere

la calce.

calima, s. f. favilla.

callafredda, s. f. il caratteristico odore

della terra subito dopo una pioggia estiva.

callallessa, s. f. 1) castagna lessa. I toscani

dicono caldallessa. 2) solenne sbornia.

callara, s. f. caldaia, grosso recipiente

metallico usato per far bollire liquidi.

callararu, s. m. calderaio, artigiano che

confezionava e riparava le caldaie.

callarella, s. f. recipiente di lamiera o di

plastica usato dai muratori per trasportavi

la calce. Detta anche còfana(v.).

callarozza, s. f. pentola di rame. Dim.

callarozzella”.

callarozzu, s. m. caldaia di piccole

dimensioni. Dim. “callarozzellu”.

callaru, s. m. paiolo. Lo si teneva in casa

appeso ad una catena dentro il camino.

Soprattutto per cuocervi la polenta.

calletta(a), loc. avv. al tepore di una fonte

di calore, sia esso il sole o la fiamma del

camino.

callo callo, agg. appena fatto.

callura, s. f. calura, caldo asfissiante.

Prov.San Lorenzo la gran callura/

Sant’Antogno la gran freddura/ l’una e

l’altro poco dura(il gran caldo di S.

Lorenzo -10 agosto - e il gran freddo di S.

Antonio Abate -17 gennaio - durano

poco, passano in fretta).

camarra, s. f. bacchettona, bizzoca.

camarru, s. m. che respira a fatica, di

salute malferma.


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camiciolinu, s. m. camiciola per neonati.

Cammillo, s. m. Camillo.

cammiu, s. m. camion.

càmmora, s. f. camera.

campana, s. f. gioco infantile praticato in

tutta l’Italia.

campanaru, s. m. sordo (a causa del

rumore assordante delle campane).

campanili, s. m. pl. intreccio di canne per

sostenere le viti. I campanili si tendevano

(“tenne li c.”) ed era una vera arte, conosciuta

da pochi. Non si utilizzavano paletti

e fili di ferro. Occorrevano moltissime

canne e ciò non era un problema dato che

ogni vigneto era corredato da abbondanti

canneti. Prov.la ‘igna senza cannetu è

‘n debbitu segretu(il vigneto senza il

canneto è un debito nascosto, ma pur

sempre un debito). In tempi di carestia e

di scarsi raccolti si tendevano i campanili

a l’oscurue ciò voleva dire che si usavano

le stesse canne dell’anno precedente

perché non si disponeva della somma

necessaria per procurarsene di nuove. “A

l’oscuruperché le canne usate con il

tempo si ricoprono di una sorta di fuliggine

e diventano nere.

canale, s. m. gola.

Prov.La madre pelu fiju se lu lea lu

mocconcellu/ ma lu fiju pe’ la madre se lu

passa pelu canale(una madre per il

figlio è disposta a qualsiasi sacrificio, non

così il figlio per sua madre).

canassa, s. f. 1) guancia. 2) mascella. In

it. ganascia.

càncanu, s. m. 1) cerniera in cui gira la

porta. Cardine. Fig. persona poco affidabile

che non merita alcun credito e nessuna

fiducia. 2) cancro, tumore.

cane puzzolu, s. m. puzzola.

canestru spasu, s. m. cesto molto largo

senza manici usato per mettervi il pane

appena sfornato. Detto perciò anche

canestru da sfornapà”.

cànganu, s. m. noioso, seccatore, scocciatore,

tormento.

canevacciu, s. m. strofinaccio da cucina,

canovaccio.

canigà, v. tr. candeggiare la tela usata per

fare le lenzuola, più genericamente fare il

bucato.

canna, s. f. 1) unità di misura di lunghezza

equivalente a m. 2, 23. 2)gola. Fr. id.

bullì ‘n canna(lett. bollire in gola, non

poter più resistere ad una tentazione di

gola).

canna fénula, s. f. erba spontanea.

Anticamente veniva filata e se ne ricavavano

tessuti di modesto pregio.

cannarellu, s. m. gola, gozzo.

cannarolu, s. m. v. cannarellu.

cannellu, s. m. cappuccio di canna applicato

alle dita dei mietitori per proteggerle

da possibili colpi dati con la falce durante

la mietitura.

Cannelora, s. f. festività religiosa del due

di febbraio. Una volta in questa circostanza

con una solenne cerimonia venivano

benedette delle candele che ognuno poi

portava a casa come atto di devozione. La

messa veniva celebrata alle prime luci del

giorno per dar modo ai contadini di assistervi

prima di recarsi al lavoro nei

campi. Molto noto il proverbio che dice

Cannelora, cannelora dall’inverno

semo fora, ma se pio’e e tiraentu nell’inverno

stemo dentro”.

cannulicchiu, s. m. tipo di pasta corta.

Cannolicchio.

canonatu, agg. canonato, sottoposto al

canone, alla prestazione in danaro per il

godimento di un bene. Il termine ricorre

nei contratti di compravendita e nelle

scritture private relative a doti o a donazioni.

cantasilena, s. f. cantilena.

Cantina vinicola, sorta per iniziativa

della Federconsorzi, in attività dal 1957 al

1963 in località Colle San Pietro (oggi nel

comune di San Cesareo). Vi conferirono

l’uva i produttori di Z. Durante quegli

anni la produzione ricavata dalle vigne


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degli zagarolesi ammontava a molte

migliaia di quintali e la cantina incontrò

per alcuni anni un discreto successo

riuscendo a raccogliere fino a 34. 000 q. li

d’uva. L’uva raccolta veniva lavorata

all’interno della struttura.

cantoncellu, s. m. angoletto della pagnotta

del pane formato da poca mollica e

tanta scorza.

canuccellu, s. m. cagnolino, cucciolo.

caoni, s. m. pl. strada che da Valle della

foresta porta a Colle Villa. Il nome che

suona come cavoni, grosse cave, deriva

dal fatto che sul luogo c’erano grosse

cave di pozzolana che devono aver fornito

molto materiale per la costruzione del

paese.

capà, v. tr. selezionare, scegliere, dividere

la parte buona da quella cattiva di un

frutto, di verdura e altro. Reg. merid.

capare.

capannaru, s. m. abitante nella capanna.

Il termine è usato, un po’ per scherzo e un

po’ per dileggio, per indicare gli abitanti

del comune di S. Cesareo, (v.) una volta

frazione del comune di Zagarolo. Il vocabolo

ricorda le origini del paese allorché i

primi contadini che vi si insediarono vissero

per alcuni anni in abitazioni di fortuna

a mo’ di capanne. Per la necessaria

completezza dell’informazione si aggiunge

che i sancesaresi ricambiavanoaffettuosamente

il nomignolo dileggiando gli

zagarolesi chiamandolicessi volanti

per via dei gabinetti che fanno brutta

mostra di sé sulle vallate del paese.

capannola, s. f. piccola capanna usata

come ricovero di fortuna dai pastori.

cape, v. intr. contenere. Lat.càpere”. Fr.

id. “ Cche c’entra? C’entra perché ci

cape, se non c’entrea non ci capèa”.

Botta e risposta. Qui l’elemento più significativo

è la risposta che serve a ribadire

con forza qualcosa di fronte ad un ascoltatore

dubbioso.

capezza, s. f. cavezza, finimento per tenere

legato per la testa un animale da soma

o da tiro.

capezzaglie, s. f. pl. lavori iniziati e non

portati a termine, lasciati a metà.

Specialmente lavori agricoli.

capifochi, s. m. pl. alari.

capiscione, s. m. che capisce tutto. Si usa

in tono ironico e si riferisce alla persona

che pretende di sapere tutto e di fornire

una spiegazione e una soluzione a qualunque

problema.

capisteru, s. m. vassoio di legno più

lungo che largo usato per “capà(v.) il

grano, il granturco, legumi ecc. Dim.

capisterellu”. Con l’identico significato

esiste un termine regionale toscano che è

capisteo”. Lat.capisteriu(m)” (arnese

per vagliare le granaglie).

capitonnu, s. m. capitombolo, rovinosa

caduta.

càpitu, s. m. tralcio della vite.

capoccione, s. m. 1) chiodo usato dal calzolaio

per fissare il tacco. 2) testone, duro

di comprendonio, testardo.

caporale, s. m. la prima pallina della fila

nel gioco della “filaccetta(v.)

cappellu, s. m. 1) cappello. 2) nuvoloni

che coprono il cielo. Prov.Se de sotto ci

sta lu cappellu/ portate l’ombrellu”.

capranicottu, s. m. abitante di Capranica

Prenestina. L’appellativo viene rivolto, a

mo’ di scherno, agli abitanti di S. Cesareo

in quanto all’origine quasi tutti provenienti

da Capranica, comune posto a

nord-est di Z. a 900 metri di altitudine sui

monti prenestini.

caprareccia, s. f. stalla per capre. Il corrispondente

termine italiano indica 1) una

varietà di capre. 2) una strada percorsa da

capre e pecore.

capu, s. m. capo, testa.

carafa, s. f. caraffa, recipiente di vetro e

provvisto di manico per acqua, vino e

bevande in genere.

carafulella, s. f. bolla d’aria.

caraghè, s. m. gioco infantile con monete


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detterotoni. (v.) Il giocatore sorteggiato

lanciava due monete per aria annunciando

testa o croce. Se le monete, giunte

a terra, avevano assunto entrambe la posizione

annunciata, il lanciatore diventava

padrone di tutte e due le monete. In caso

contrario il tiro era dichiarato nullo e ci

provava un altro. Alcuni testi in romanesco

registrano un gioco simile e lo chiamano

garaghè”.

caraìna, s. f. piccone.

carapistà, v. tr. calpestare in lungo e in

largo lasciando piste.

carapistato, s. m. terreno sul quale si è

camminato lasciando tracce ben evidenti.

caratellu, s. m. botticella di diverse capacità.

Da sette, da nove barili ecc.

Caratello è parola italiana.

carciòfanu, s. m. carciofo. In senso fig.

sta per sciocco, ingenuo. Tipicamente

zagarolese cuocerli alla brace o alla fascinella.

Conditi con olio extra vergine di

oliva, mentuccia e aglio. Sistemarli sulla

brace viva e innaffiarli con olio man mano

che questo si consuma. In effetti il carciofo

cuoce nell’olio che bolle al suo interno.

cardella, s. f. pianta dalle foglie larghe e

pungenti. Appartiene alla famiglia dei

cardi.

cardelluzzi, s. m. pl. erba commestibile

dallo stelo alto. Dopo le piogge vi si trovano

attaccatili crastatelli(v.)

cardinu, s. m. il gambo con la foglia del

carciofo che rimane bianca perché interrata.

Dopo averli fatti bollire e tagliati a

pezzettini si passano in padella con

un’ombra di pomodoro, olio, aglio, sale e

peperoncino.

cardu, s. m. riccio della castagna.

cardu somarinu, s. m. Cardo Mariano

(Silybum marianum). Simile al carciofo,

se ne consuma il gambo dopo averlo spellato.

carettu, s. m. carretto per il trasporto del

vino. Un “carettu de ‘inoequivaleva a

500 o 600 litri di vino con 10 barili da 50

o da 60. Il vino veniva trasportato soprattutto

a Roma per rifornire trattorie e fraschette

in alcuni casi gestite da zagarolesi.

I trasportatori si davano appuntamento

di sera e partivano in convoglio, uno dietro

l’altro. Il viaggio durava alcune ore e

si giungeva nella Capitale alle prime luci

del giorno. Si stabilivano turni per decidere

a chi spettasse aprire la fila poiché

gli altri, quelli che seguivano, potevano

schiacciare un pisolino durante il percorso.

La sicurezza del viaggio era affidata, a

turno, al primo della fila.

cargi, s. f. calce.

cargiarolu, s. m. il manovale addetto ad

impastare la calce.

carià, v. tr. carreggiare, trasportare con il

carro.

Carlotte, s. m. personaggio quasi leggendario

che si era guadagnato la fama di

giocatore (di carte) sprovveduto e poco

accorto. Non riusciva a trattenersi dal giocare

le sue carte migliori e non sempre la

cosa funzionava. Di conseguenza nacque

il modo di direfa’ comme Carlotteper

indicare la persona che sperpera in un

baleno le proprie fortune.

carne(v)ale, in poco più di dieci anni i

festeggiamenti per il carnevale sono

diventati un appuntamento importante.

Alla riuscita della manifestazione concorrono

la Pro-Loco, l’Amministrazione

comunale, la Protezione civile e gruppi di

cittadini. Si inizia il giovedì grasso con la

sfilata per le vie del paese dei bambini

della scuola materna ed elementare

accompagnati dai loro insegnanti. La

Domenica successiva e il martedì grasso

il paese è attraversato da gruppi mascherati

e da carri allegorici. Fuochi artificiali

a dare la buona notte.

carpìa, s. f. muschio.

carracciu, s. m. solco, fossetto scavato

nel terreno dalla pioggia o fatto appositamente

per far defluire l’acqua.

carrara, s. f. carrareccia, strada di campagna


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attraversata da carri agricoli.

carrettone, s. m. carro funebre.

carta totale, s. f. elenco completo e assai

dettagliato della dote di una sposa.

Scrittura privata redatta in carta da bollo.

Una sorta di contratto con l’impegno a

contrarre matrimonio. (v. La dote)

càrtica, s. f. erba che si trova in luoghi

paludosi, presso stagni e corsi d’acqua.

Appartiene alla famiglia delle

Thyphaceae ed è la Typha latifoglia. I

vignaioli la usavano per chiudere e saldare

piccole falle tra le doghe della botte.

cartoccia, s. f. vedi anghetta. Con questo

termine si indica anche un tipo di

mestolo usato una volta dai commercianti

per prelevare dal sacco i legumi, la farina,

il sale o altro, quando questi generi

venivano venduti sfusi e non in pacchetti

confezionati.

carufule, s. f. pl. occhiali.

carza, s. f. guancia, mascella.

carzolaretta, s. f. coltello da calzolaio.

carzolaru, s. m. calzolaio.

casaccia, s. f. vecchia costruzione ormai

diruta a Colle Mainello.

casa-cupellu, s. f. piccola bigoncia usata

come arnia per le api.

casalinu, s. m. vicolo cieco che finisce in

un piazzale.

cascarella (a), loc. avv. gioco infantile

nel quale si usavano gli ossi delle pesche.

Questi venivano fatti cadere da una certa

altezza su altri ossi che stavano già per

terra. Gli ossi che venivano colpiti diventavano

proprietà del lanciatore.

casciu, s. m. balla di fieno.

case no’e, s. f. pl. quartiere di case popolari

risalente agli anni ’50 situato in via

Gabinova. La costruzione di questo complesso

di abitazioni costituì il primo

assalto al bosco comunale e l’inizio della

sua distruzione proseguita inesorabilmente

nel corso degli anni con la costruzione

di alcuni edifici scolastici.

cassa, s. f. baule.

cassamortaru, s. m. impresario di pompe

funebri.

Cassa rurale, s. f. banca di credito

cooperativo fondata a Zagarolo nel corso

degli anni venti del secolo scorso dal

sacerdote don Girolamo Mannucci. La

sua nascita fu accompagnata dalla speranza

degli zagarolesi di aver trovato finalmente

l’istituzione di cui potersi fidare e

alla quale affidare i propri risparmi. La

banca riscosse unanimente la fiducia dei

cittadini e sembrava avviata verso successi

economici di una certa importanza specialmente

quando presso la banca venne

istituito un fondo per consentire ai contadini

l’acquisto dei prodotti anticrittogamici

per la cura delle malattie della vite a

condizioni vantaggiose. Il successo

riscosso tra la popolazione non piacque,

però, alle autorità fasciste, che mal tolleravano

quel prete che non perdeva occasione

per far risaltare la propria indipendenza

di giudizio. Sorsero le prime difficoltà

e tra la gente cominciò a serpeggiare

la sfiducia. Ci furono altresì alcuni

investimenti sbagliati e ben presto le fortune

della banca si avviarono verso un

irrimediabile declino. Contro il sacerdote

fondatore vennero sparse calunnie di ogni

tipo al punto che fu costretto ad affrontare

un giudizio presso il tribunale di Roma.

Il fallimento fu inevitabile e molta gente

perdette le sue piccole ma importanti fortune.

Molte famiglie videro andare in

fumo i risparmi di una vita. Ci furono

tumulti e disordini in paese. Probabilmente

ha origine da questo episodio la

sfiducia degli zagarolesi verso ogni forma

di cooperazione.

Don Girolamo Mannucci morì qualche

anno dopo investito da un camion. Forse,

disse qualcuno, non è stata una disgrazia.

cassu, s. m. rotonda forma di legno per

deporvi il formaggio.

castagna americana, s. f. ippocastano.

Frutto usato per l’alimentazione degli


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animali.

castellucci, s. m. pl. 1) raggruppamento

di case. 2) cumulo di oggetti.

càsula, s. f. l’insieme delle “gregne(v.)

pronte per la trebbiatura, disposte sul terreno

in modo da formare delle casette. .

Dim. di “casa, capanna.

catamenasse, v. rifl. rivoltarsi continuamente,

non trovare pace. Ricorda il termine

catameniale del linguaggio medico per

mestruale, da katamenia(mestruazioni).

Rievoca lo stato d’ansia che spesso

prende le donne in quel periodo. Prov.

Chi ‘a a lu lettu senza cena/ tutta notte

se catamena”.

catella, s. f. erba spontanea non commestibile.

catellu, s. m. erba spontanea commestibile.

Si consumava passata in padella con

pomodoro, aglio, olio, sale e peperoncino.

catibuna, s. f. platano.

catorciu, s. m. relitto, oggetto o anche

persona malandata. In italiano catorcio sta

per persona malconcia, in cattiva salute.

càula, s. f. cannella di legno applicata al

foro della botte usata come un vero rubinetto.

Prov.Quanno la càula canta e fa

remore, luignarolu se cambia de colore

(la cannella applicata alla botte comincia

a far rumore quando il vino sta per finire

e la cosa certo non fa piacere al contadino).

caulellu, s. m. erba infestante tipica di

luoghi aridi. È il “Chenopodium album

della famiglia delle Chenopodiacee.

Usata una volta in cucina come verdura

cotta.

caulu, s. m. cavolo. Usatissimo nella

cucina zagarolese e coltivato in ogni pezzetto

di terra, anche tra i filari del vigneto.

Si consumavano in zuppa, nella pizza

di polenta, attufati (attufatu, v.) e strascinati.

Fr. id. “ci manca càuli(manca assai

poco per…)

cazzabbùbbulu, s. m. sciocco, tonto,

buono a nulla.

cazzarola, s. f. 1) casseruola, tegame. 2)

stupidaggine, cavolata. 3) escl. porca

miseria!

cazzetta, s. f. calza, calzino.

Prov.La cazzetta fa la femmina poeretta

(non ci si può arricchire confezionando

calzette).

cazzi de frati, s. m. pl. pianta selvatica

con larghe foglie e con una specie di rossa

pannocchia al centro. Si davano da mangiare

ai maiali. Si tratta dell’Arum italicum

della famiglia delle Araceae.

cazzimberiu, s. m. pinzimonio. Il cazzimperio

o cacimperio è un regionalismo

dell’Italia centrale e indica un piatto a

base di formaggio fuso, burro, latte e

uova

cazzumattone, s. m. ingenuo, credulone,

sciocco.

cecagna, s. f. sonnolenza. Da cecaggine

che è “ la sensazione di pesantezza delle

palpebre provocata dal sonno” (De

Mauro)

cecca, s. f. sbornia, ciucca (comune nel

linguaggio popolare).

c’èco, voce verbale del verbo essere che

viene ricordata solo nella frasec’èco

pàtremu, c’èco màtrema, c’èco tutti de

casa(c’erano tutti, non mancava nessuno).

ceculinu, s. m. foruncolo, pustola, brufolo.

cegna, s. f. corda messa sotto la pancia

degli animali da soma per mantenere

fermo il basto o la sella. Cinghia. Reg.

tosc. cigna”.

cella, s. f. organo sessuale femminile.

cellettu, s. m. uccellino. Prov.Chi ’a

appressu a lu cellettu che vola/ non porta

lu saccu a la mola(se ti farai distrarre

dal tuo lavoro, non riuscirai a portare

pane a casa).

celu, s. m. 1) cielo. 2) volta, soffitto. “Lu

celu de lu fornuera un ambiente ricavato

sulla volta del forno che veniva utilizzato


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per mettervi ad asciugare cose

bagnate o solo umide come olive, castagne.

noci ecc.

céngulu, s. m. cintura usata per sostenere

i bambini e aiutarli nei loro primi passi.

cenice, s. f. ciniglia, cenere calda mista a

brace ardente.

cenichellicchiu, avv. pochissimo, microscopico

pezzettino di qualcosa.

cenichellu, avv. un po’ di qualcosa, un

pezzetto.

cenicu, avv. un po’ di qualcosa.

cennerinu, s. m. infreddolito, che cerca

di riscaldarsi vicino alla cenere del camino.

Fr. id. “esse comme ’n cennerinu

(soffrire molto il freddo).

cento scudi, s. m. 1) sostegno usato dal

calzolaio per poggiarvi la scarpa da risuolare.

Si favoleggia di una donna che si era

rivolta ad un calzolaio perché le liberasse

la mano rimasta incastrata in una “pilocca

(v.) L’artigiano dopo aver chiesto e

ottenuto cento scudi ruppe la “pilocca

con il legno sul quale poggiava le scarpe

per la risuolatura. Da quel giorno l’arnese

prese il nome di cento scudi. 2) osso, probabilmente

di cane, usato dal calzolaio

per lisciare il margine delle suole nuove.

Centro anziani, in attività da molti anni è

frequentato da un cospicuo numero di

anziani che vi trovano un ambiente confortevole

con opportunità di svago e di

relazioni sociali. Il Centro organizza

manifestazioni a favore dei suoi utenti,

come ad esempio il cenone di fine anno,

il ballo di carnevale oltre a gite di istruzione

a Roma e altrove.

Centro sociale “La pigna”, organizzazione

di tipo comprensoriale a favore di

persone diversamente abili situato ancora

in viale Gabinova, in attesa della nuova

sede tra i palazzi di Colle Barco. Il Centro

è frequentato da disabili provenienti dai

10 comuni della ASL RM G e si compone

di diverse sezioni dai laboratori di tipo

artigianale a quelli teatrali e fotografici.

La struttura è fornita di servizio psicologico

permanente di cui fruiscono i disabili

e i loro familiari. La frequenza del centro

è assolutamente gratuita.

ceppa, s. f. volg. organo sessuale maschile.

cerasa, s. f. ciliegia. Il termine è largamente

usato in tutto il centro-sud. Tra le

tante varietà di cliegie presenti nel territorio

di Z. meritano rilievo quelle che si

chiamanocerase de lo meteletteralmente

ciliegie del mietere intese come

quelle che maturano al tempo della mietitura,

tra la metà e la fine del mese di giugno.

cerasu, s. m. ciliegio. Nel dialetto di

Zagarolo è ben chiara la distinzione tra

l’albero e il suo frutto come si vede in

cerasa” e “cerasu. Ciò non accade in

altri dialetti nei quali non v’è distinzione.

In genere prevale il genere femminile sia

per il frutto che per la pianta.

cerchiu, s. m. cerchio, attrezzo come un

grosso anello che i bambini facevano

rotolare guidandolo con una specie di

manubrio o con una semplice bacchetta.

Giocattolo diffusissimo tra i ragazzi che

si riunivano a gruppi e si sfidavano in

gare di abilità nella guida.

cerigna, s. f. cesto, canestro costruito una

volta con le torte d’abbio(v.) che si

applicava al basto o alla sella.

cerignolu, s. m. 1) cestino, canestrello. 2)

tipico cestino del pescatore.

cerne, v. tr. setacciare (passare la farina al

setaccio). Lat.cèrnere(separare, scegliere).

cernerellu, s. m. asse di legno di forma

rettangolare sul quale si faceva scorrere il

setaccio per cernere la farina. Fr. id. “ ‘n

giru comme ‘n cernerellu(avere il moto

perpetuo, non riposare mai).

cerqua, s. f. quercia. Si noti la metatesi

(inversione di suoni nella parola). A

Zagarolo c’è la cerqua de Gigginoche è

una località di campagna verso Gallicano e


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lu cerquonea Colle dei quadri.

ceru, agg. acerbo.

cesa, s. f. piccolo appezzamento di terreno

coltivato a grano.

chiae, s. f. chiave.

chiappa, s. f. gluteo, natica.

chìcchera, s. f. 1) tazza per assumere

bevande. Fr. id. “in chicchere e piattini

(ostentare lusso ed eleganza). 2) sbornia

solenne. 3) sonoro ceffone.

chicchiarellu, s. m. bambino assai piccolo

e grazioso. Lo si riferisce anche al dito

mignolo

Chiocchiò, s. m. personaggio che il

nome ad una piazzetta di viale Ungheria

all’altezza dei numeri civici 66/70. C’era

anche un grande abbeveratoio dettola

fontana de Chiocchiò, demolito per fare

posto ad alcune palazzine.

chiodu a chirica de prete, s. m. chiodino

con la testina rotonda usato dal calzolaio.

chirichettu, s. m. 1) un tipo di vitigno. 2)

chierichetto.

ciaatta, s. f. pantofola, ciabatta. Fr. id.

co’ ‘na scarpa e ‘na ciaatta(alla

buona, senza alcuna pretesa).

ciaffu, s. m. cianfrusaglie, paccottiglia,

ornamenti vistosi ma di scarso pregio. Di

origine toscana dove ciaffo è straccio e in

senso figurato cosa di poco valore.

ciafrujà, v. intr. fare confusione, disordine,

parlare in maniera confusa e incomprensibile.

Questo vocabolo viene anche

pronunciatonciafrujà”.

ciafrujone, s. m. disordinato, confusionario.

Si dice anche “nciafrujone”.

ciafrùju, s. m. caos, confusione, baraonda.

ciambana, s. f. pantofola.

ciammaruca, s. f. lumaca. Fr. id. “tené le

saccocce a ciammaruca(essere avaro.

Avere le tasche come una scala a chiocciola:

i soldi scivolano facilmente in giù e difficilmente

trovano la strada per risalire).

ciammaruca nudacchia, s. f. lumaca

nuda, senza guscio.

ciammella, s. f. ciambella. Una delle specialità

dolciarie del paese. Impasto di farina,

uova, zucchero, nocciole e olio. Cotte

al forno. Venivano dette “degli sposi

perché, in occasione di matrimoni, le

famiglie degli sposi le mandavano in

regalo agli invitati qualche giorno prima

delle nozze. Insieme ai confetti. Quella

classica era dettaciambella alla zagarolese”,

altre varietà sono le ciambelle al

vino e quelle al latte.

ciammellone, s. m. grossa ciambella, pan

di Spagna. Fig. sempliciotto, gonzo,

sprovveduto.

ciampicone, s. m. chi inciampa spesso e

tende a cadere, malaccorto, sgraziato nei

movimenti.

ciamurru, s. m. cimurro, forte raffreddore.

cianca, s. f. gamba.

Fr. id. “cianca cianca(a piedi, piano

piano). Il vocabolo è diffuso in tutta

l’Italia meridionale. Prov.Chi pija moje

e non sa l’usu/ affila le cianche e allonga

lu musu(della moglie è necessario fare

un uso saggio e oculato; in caso contrario

se ne ricaveranno solo svantaggi).

ciancicà, v. tr. 1) masticare lentamente. 2)

spiegazzare panni, biancheria. It. ciancicare.

ciancicagnocchi, s. m. 1) distratto, svagato,

che dorme in piedi. 2) balbettante,

che ha difficoltà nel parlare.

ciancicaticcio, s. m. che sa di vecchio,

rimasticato.

ciancicatu, agg. 1) masticato. 2) sgualcito.

ciàncicu, agg. sgualcito, spiegazzato.

cianghetta, s. f. sgambetto.

ciarciapone, s. m. qualunque pasto preparato

in casa, alla buona e senza pretese.

Bevande o cibi di scarso pregio.

ciarec’è, v. intr. ritorna, c’è. Fr. id. “lo

giusto ciarec’è” (alla fine la giustizia

trionfa).

ciaulà, v. intr. ciarlare, spettegolare, malignare.


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cibboriu, s. m. ciborio, tabernacolo,

ostensorio. Fr. id. “Cotuttu lu cibboriu

(cianfrusaglie e bagattelle).

ciccia, s. f. carne (nel linguaggio infantile).

ciccià, v. intr. germogliare.

cicciu, s. m. 1) germoglio. 2) verdura

spontanea commestibile.

ciciarellu, s. m. bacca di sambuco. Fil.

Da Nanaccia non sa manco de ramoraccia/

da Pollastrellu è tutta acqua e ciciarellu/

da Marana è tutta acqua de fontana/

da Pizzacchiellu se po’ colu sorellu”.

(versetti composti da chi voleva denigrare

la qualità del vino prodotto da altri).

cicia, agg. solitamente femminile che

significa svenevole, smorfiosa, sdolcinata

e anche lamentosa, che non sopporta il

più leggero malessere.

ciciata, s. f. moina, coccola, smanceria.

ciciu, s. m. granello, chicco di cereale.

Possibile collegamento con il latinociccum

(cosa da niente).

cifrignolu, s. m. pugno, cazzotto.

cigu, avv. poco, una piccola porzione di

qualcosa. Fr. id. “facci a cigu(vacci

piano, sii parco).

cimarolu, s. m. 1) carciofo che si sviluppa

al centro della pianta. Nel diz. De

Mauro si leggecimarolo, capolino terminale

della pianta del carciofo, più grosso

e precoce di quelli laterali”. 2) sommità

della capriata di un tetto.

cimata, s. f. estremità superiore della

canna a forma di pennacchio. La mangiavano

asini, muli e cavalli.

cinema, Z. non ha una sala cinematografica.

Ne ha avute addirittura due contemporaneamente

a partire dal 1946 e fino al

1967. Due sale nate per iniziativa, una

dell’ENAL (Ente Nazionale Assistenza

Lavoratori) e gestita dal circolo culturale

Antonio Fabrini (v.) a cui faceva dichiarato

riferimento l’allora P.C.I. (Partito

comunista italiano) in un salone al primo

piano di Palazzo Rospigliosi, intitolata a

Giuseppe Verdi, l’altra in un locale annesso

alla chiesa di S. Pietro (v.) e intitolata

a Mario Fani, il giovane viterbese fondatore

della Società della Gioventù cattolica,

lu cinema de li compagni e la parrocchietta”.

Le due sale, in feroce concorrenza

politica, aprivano il sabato e la

Domenica. Al Verdi drammoni napoletani

con lancinanti storie di amori e di coltelli,

nell’altra sala edificanti storie di santi, di

orfani abbandonati e simili. Chiusa la

parentesi Peppone e don Camillo, in

tempi più recenti ha funzionato un’altra

sala: il cinema Helen, pochi anni e poi la

chiusura. Tra gli anni Cinquanta e gli anni

Sessanta svolse una certa attività una sala

di cinema all’aperto in locali poi assorbiti

dalla Trattoria Giardino. Si chiamava

semplicemente “L’arena”.

cinquina, s. f. schiaffo inferto a mano

aperta.

ciocca, s. f. radice della canna.

cioccà, v. tr. estirpare, cavare.

cioccu, s. m. 1) grosso pezzo di legno da

ardere. 2) tronco d’albero. 3) grossa radice.

Fig. persona poco sensibile, tonto. Fr.

id. “si n’è cioccu è lopu(se non è un

tronco è lupo. La battuta esprime l’ironia

nei confronti di chi racconta di aver visto

cose fantastiche che possono essere sia un

ciocco d’albero che un lupo!).

cioppa, s. f. zolla.

cioppara, s. f. ceppaia.

Circolo A. Fabrini, intitolato al martire

delle Fosse Ardeatine il circolo aveva una

funzione eminentemente ricreativa. Fondato

dal PCI era frequentato per lo più da

persone anziane che avevano l’opportunità

di scambiare idee e opinioni, fare una

partita con le carte e bere un bicchiere di

vino. L’attività del Circolo si svolgeva in

un locale di palazzo Rospigliosi.

Circolo cattolico, fondato dal sacerdote

don Girolamo Mannucci, situato in locali

annessi alla chiesa di San Pietro, per tenere

viva nella popolazione la voglia di partecipare


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alla vita della chiesa.

Nell’ambito delle attività promosse dal

Circolo si distinsero alcuni meritevoli

tentativi di organizzare spettacoli teatrali

tramite una filodrammatica intitolata ad

Eleonora Duse. Dopo il 1919, anno della

fondazione del Partito popolare ad opera

di Luigi Sturzo, il Circolo, per dimostrare

la sua adesione alle ideee propugnate dal

sacerdote di Caltagirone, assunse il titolo

di Circolo popolare.

Circolo Giuseppe Calandrelli, associazione

culturale intitolata all’illustre matematico

e astronomo zagarolese fondata da

un gruppo di giovani studenti universitari

e giovani laureati. Nato verso la fine degli

anni Sessanta promosse l’incontro tra la

cultura cattolica e quella di ispirazione

marxista, in un tempo in cui la forza delle

ideologie costituiva la stella polare di

ogni iniziativa culturale. In campo politico

si cominciava a parlare di compromesso

storico e sembrava che per la società

italiana stesse per cominciare un’epoca

basata non più sulle acerrime divisioni ma

sul dialogo e la collaborazione. Questo

processo poi venne tragicamente interrotto

dal sequestro e dall’assassinio dell’on.

Aldo Moro. Nel Circolo che aveva la sede

a Palazzo Rospigliosi si tennero conferenze,

incontri e dibattiti sui principali

temi suggeriti dall’attualità politica dei

tempi.

Circolo Kennedy, sorto dopo l’assassinio

del Presidente americano (1963), svolse

una breve attività e promosse alcuni

incontri e dibattiti tra le forze politiche

nell’imminenza di consultazioni elettorali

amministrative.

Circolo Nuova Gabio, nato per volontà

di alcuni giovani che intendevano movimentare

l’atmosfera culturale, invero un

po’ stagnante del paese nel corso degli

anni Sessanta, ebbe vita breve e contribuì

poco allo scopo per il quale era sorto.

Circolo Progetto 77, associazione culturale

di orientamento cattolico sorta sulle

ceneri del Calandrelli. Derivò la sua

denominazione dalla Charta 77, il documento

programmatico firmato da alcuni

intellettuali, specialmente cecoslovacchi,

dopo l’invasione di Praga da parte delle

truppe sovietiche. Si trattava di un vero

inno alla democrazia, all’autodeterminazione

dei popoli e suonava come dura

condanna al totalitarismo moscovita.

cirignòccula, s. f. nuca.

cirignolu, s. m. cestino usato dai pescatori

per deporvi il pescato. Anche cerignolu.

ciriella, s. f. testa. Fr. id. Fa’ girà la

ciriella a quadunu(dare ai nervi, far

montare la rabbia a qualcuno).

cispadanu, s. m. che parla in maniera

incomprensibile. Lett. chi abita nelle

regioni a sud del fiume Po.

cisternaccia, s. f. il nome di una scorciatoia

che da Piazza S. Martino porta giù a

Predicolle.

Città nostra, periodico locale di informazione

pubblicato a Z. durante gli anni

Sessanta. Diretto dal giornalista Franco

Fedeli che alcuni anni dopo, quando si

iniziò a parlare di sindacato di polizia, fu

tra i fondatori del periodico di ispirazione

sindacale Polizia e Democrazia.

Cittanuova, periodico locale di informazione

politica e culturale con cadenza

mensile diretto da Wladimiro Settimelli.

Pubblicato dal 1985 al 1995. Nato come

foglio autogestito e ciclostilato nella

sezione dell’allora PCI in vicolo del mercato

nel corso degli anni Settanta e distribuito

gratuitamente conobbe una radicale

trasformazione diventando anche nella

struttura tipografica un vero giornale e si

aprì al contributo di più voci rimanendo

saldamente ancorato ai valori del riformismo

progressista. Stampato in un migliaio

di copie si reggeva economicamente con i

proventi della pubblicità, con le vendite

presso le edicole e con le quote degli

abbonamenti. Difficoltà economiche e


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organizzative ne decretarono la chiusura.

Nell’area prenestina vengono pubblicati

Il corriere del cittadino (mensile), Il

nuovo corriere prenestino e La notizia

entrambi settimanali.

ciucca, s. f. sbornia.

ciuccà, v. intr. 1) ubriacarsi. 2) sonnecchiare.

ciucia (a), loc. avv. 1) riferito alle mani

che non hanno presa e lasciano cadere

tutto ciò che toccano. “tenè le mano a ciucia”.

2) inezia, niente. “attaccase puro a

ciucia(di chi non rinuncia a nulla pur di

ricavare un vantaggio per sé).

ciuetta, s. f. civetta. Fig. donna vanitosa e

frivola.

ciufeca, s. f. bevanda di pessima qualità,

disgustosa.

ciufulà, v. intr. zufolare, fischiare, borbottare,

bofonchiare.

ciufulante, s. m. suonatore di zufolo,

flautista, musicante. Prov.De li morti e

de li santi/ soferniti ciufulanti/ manichi,

manicotti e guanti(ai primi di novembre

la bella stagione è finita e si fa ricorso a

tutto ciò che serve per riscaldarsi).

ciùfulu, s. m. zufolo, fischietto, flauto.

Fr. id. moje, lu ciufulu de la notte(l’irrefrenabile

voglia di chiacchierare delle

mogli allorchè vien la sera).

coatera, s. m. uccello notturno, gufo.

cocchiu, s. m. insieme di piante raccolte

in un’area limitata che fanno molta

ombra.

cocci, s. m. pl. pezzi smembrati di qualcosa

che è stato rotto. Fr. id. “fa’cocci(sfasciare,

ridurre in pezzi qualcosa).

coccia, s. f. buccia. Fr. id. “ci jetto le

cocce(non ne butto via nemmeno la corteccia).

cocciara, s. f. negozio di casalinghi dove

si vendono oggetti di terracotta. Il cocciaio

è l’artigiano che confeziona vasi e

stoviglie.

cocciu, s. m. buccia dell’uva. Fr. id. “Chi

se magna l’ua d’agostu, de settembre

caca lu cocciu(l’uva di agosto non è

ancora matura e perciò è indigesta. Se ne

mangerai impiegherai un mese per digerirla).

coce, v. tr. cuocere.

còcese, v. rifl. tormentarsi, affliggersi,

darsi pena.

cocina, s. f. stanza adibita a cucina.

cocòmmaru, s. m. cocomero. Fig. babbeo.

cocuzza, s. f. zucca, zucchina. Ottime

quelle cotte al forno.

codarizzu, s. m. coccige, l’ osso che chiude

la colonna vertebrale, sacro.

codì, avv. cong. perché?, poiché. Prov.

“Non entro quanno sona la campana/

codì conoscio quillu che la sona”. (non

riuscirete ad ingannarmi, vi conosco troppo

bene).

codone, s. m. semicerchio di legno che

veniva fatto passare sotto la coda dell’animale

da soma per tenere ben fermo il

basto. Faceva parte della groppiera.

còfana, s. f. v. callarella

cognuntura, s. f. congiuntura delle ossa.

coiemocilla, v. intr. imp. andiamocene.

còiesela, v. intr. andarsene, filarsela. Es.

“me la cojo(vado via).

coje, v. tr. raccogliere. p. rem. Eo cozzi, tu

cojisti, issu cozze, noa cojemmo, voa

cojeste, issi còzzeno. p.p. coto”.

cojonà, v. tr. prendere in giro, deridere,

coglionare.

colecasse, v. rifl. coricarsi.

còlicu, agg. coricato, disteso, sdraiato.

Colle, s. m. il quartiere compreso tra

Porta S. Martino e piazza M. D’Azeglio.

La parte più antica del paese. I suoi abitanti

si chiamano collesi. In questa zona

attualmente (2006) si trovano l’ospedale,

l’ufficio postale, il laboratorio di analisi

con alcuni uffici della ASL, l’istituto

delle suore canossiane e l’ex scuola elementare

E. De Amicis, in via di trasformazione

in una struttura sanitaria.

Colle Barco, per gli zagarolesi lu


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Barcu”. A seguito del piano per l’edilizia

economica e popolare approvato dall’Amministrazione

comunale nell’anno 1984

Colle Barco, ormai totalmente urbanizzato,

è riuscito a saziare la fame di case dei

cittadini di Z. Espropriati 85 ettari, edificati

80. 000 mc con una densità di poco

più di 70 abitanti per kmq. La zona di

completamento che grava quasi tutta su

viale Ungheria brulicante di palazzine e

palazzoni ha contribuito a formare un

altro paese, un paese nuovo. Costruzioni

organizzate da privati, enti pubblici e

cooperative edilizie. Viale Ungheria ormai

si può considerare il cuore pulsante delle

attività economiche di Z. Supermercati,

negozi di ogni genere, locali di intrattenimento,

agenzie immobiliari, studi professionali,

una vera migrazione dal centro

storico. Su questo viale si scarica tutto il

traffico proveniente da Colle Barco con

gravi e pesanti problemi alla viabilità e

agli spostamenti della popolazione. Una

nota di colore: tutto il nuovo quartiere è un

inno al cinema. Viale del cinema è l’arteria

principale che costeggia la caserma dei

carabinieri e ad alcuni grandi registi del

cinema italiano (Fellini, Germi, Leone,

Pasolini, Rossellini, Visconti). sono intestate

le vie che attraversano l’abitato.

collèra, s. f. oìdio, malattia della vite

dovuta all’attacco di un fungo. Viene combattuta

con abbondanti irrorazioni di zolfo.

collese, agg. abitante del Colle.

Colonna, paese a pochi chilometri da

Zagarolo sulla via Casilina. Produzione di

uva da tavola. Prov.Colonna, non capisci

na madonna”.

colonnetta, s. f. comodino per camera da

letto.

colu, s. m. 1) filtro per il vino. 2) erba selvatica

non commestibile.

combinazione, s. f. sottoveste. Il nome

prende origine dal fatto che nel corredo di

una sposa la sottoveste era sempre in

combinazione con altri capi di biancheria.

comesisia, cong. in qualunque modo,

purchessia.

commannà, v. intr. 1) comandare, dare un

ordine qualsiasi. 2) avvertire le “socce

(v.) che il forno era pronto a ricevere il

pane appena impastato per la cottura.

commannezza, s. f. comando, autorità,

supremazia.

commannu, s. m. servizio, commissione,

incarico, comando.

commare, s. f. comare, madrina di battesimo

o di cresima.

commatte, v. intr. combattere, competere,

avere a che fare con qualcuno, provare

a fare qualcosa.

comm’è?, comunissimo interrogativo che

sta per “come va?”. La persona interrogata,

se vuol dire che non ci sono novità da

segnalare, risponde commera”.

commeddiante, s. m. f. attore, attrice.

còmmedu, s. m. recipiente necessario nel

tinello, attrezzo da lavoro. Es.quillu

tutti li commedi(quella persona ha tutto

l’occorrente).

Commercio (piazza del), l’attuale piazza

G. Marconi, la piazza del Comune.

companaio, s. m. companatico, contorno.

companià, v. intr. consumare con discrezione

e moderazione. Tipica la forma

imp. companìatelu(usalo con moderazione,

come si fa con il companatico).

compare, s. m. padrino di battesimo o

cresima. Fig. mestruazioni.

compru, agg. comprato nel senso di non

fatto in casa. Una cosa compraè stata

acquistata bell’e confezionata.

concallà, v. intr. andare a male, diventare

guasto.

concallatu, agg. andato a male, stantio,

ammuffito.

concià, v. tr. pulire il grano, il granturco, i

fagioli e simili liberandoli dalle impurità.

conciatura, s. f. residuo della pulitura del

grano o di altri cereali. La parte da buttare.

Concordia, s. f. cooperativa di consumo

istituita soprattutto per venire incontro


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alle necessità dei contadini. Era possibile

l’acquisto di generi alimentari e di prodotti

per l’agricoltura a prezzi agevolati e

a condizioni di favore. Ha cessato la sua

attività agli inizi degli anni Sessanta del

Novecento.

conicella, s. f. piccola nicchia.

conocchia, s. f. 1) rocca usata per filare.

2) sistema di legatura delle viti e di altre

piante, specie ortaggi, per cui un insieme

di piante assume la forma di una rocca per

la filatura. 3) canna schiacciata all’estremità.

Le punte disunite vengono a formare

come una cavità simile alla figura che

si ottiene volgendo verso l’alto il pollice,

l’indice e il medio. Usato per raccogliere

la frutta dai rami più alti.

Consorzio strade vicinali, associazione

costituita nel 1935 con lo scopo di provvedere

alla costruzione e alla manutenzione

di strade interpoderali. Ne erano

soci tutti i proprietari di terreni che, in

misura proporzionale alle superfici agrarie

possedute, contribuivano finanziariamente

alle spese sopportate dall’associazione.

Per la costruzione delle strade si

attingeva a fondi stanziati da Enti locali o

ministeriali. Grazie all’opera del

Consorzio il territorio di Z. fu ben presto

fornito di una rete di strade di primaria

importanza. Il Consorzio è stato sciolto.

consuprinu, s. m. cugino di secondo

grado.

contrafonnu, s. m. acquaténgulu”. (v.)

Convento Santa Maria delle Grazie,

risale agli ultimi anni del 1200 e venne

eretto per volere del cardinale Giovanni

Colonna. Al suo interno c’è una pregevole

immagine della Madonna che la leggenda

vuole donata alla chiesa da San

Francesco di Assisi di passaggio da Z. e

proveniente da un pellegrinaggio in Terra

Santa. Questa immagine detta Santa

Maria delle Grazie è oggetto di profonda

venerazione. Nella cripta sono sepolti

alcuni componenti della famiglia

Colonna e un pittore del 1700, Ludovico

Gemignani. La chiesa è affidata ai frati

minori francescani. Annesso alla chiesa

una pregevole costruzione utilizzata fino

agli anni Novanta per ospitare ragazzi

orfani assistiti dall’ENAOLI (Ente

Nazionale per l’Assistenza agli Orfani

dei Lavoratori Italiani). Ulteriori modifiche

sono state apportate recentemente

all’intera struttura che sta assumendo

sempre più i contorni di un vero albergo.

coppa, s. f. porzione di terreno equivalente

a 1000 mq.

coppietta, s. f. carne di asino o di cavallo

essiccata e condita con peperoncino,

pepe, pitàrtima (coriandolo) e sale. La

carne deve essere tagliata a striscioline

lunghe 10-15 cm.

còppula, s. f. 1) coppola, berretto rotondo

con visiera. 2) copertura con terra smossa

di un tratto di terreno non vangato. Durante

la vangatura di un terreno poteva capitare

che un vangatore, per alleggerire la fatica

di un lavoro davvero massacrante, o per

recuperare il suo ritardo su altri operai

“facea le còppule. L’azione consisteva

nel ricoprire con terra smossa un pezzetto

di terreno che, così ricoperto con terra fresca,

sembrava vangato senza esserlo.

corame, s. m. cuoio lavorato. In alcuni

paesi del nord-Italia è la striscia di cuoio

usata dai barbieri per affilarvi i rasoi. La

parola era usata anche per vantare la qualità

della tela usata per confezionare le

lenzuola del corredo e si dicevarinzola

de tela corame”.

corbu, s. m. colpo apoplettico, paralisi.

cordoju, s. m. cordoglio, preoccupazione,

sofferenza. Fr. id. “da’ lu cordoju

(procurare sofferenza a qualcuno, annoiare

qualcuno con la propria presenza o con

le proprie chiacchiere).

corìnula, s. f. matassa di lino.

cornetta (uva), s. f. pizzutello.

coroja, s. f. cèrcine, panno attorcigliato a

forma di ciambella che le donne ponevano


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sulla testa per portare più agevolmente

oggetti pesanti. A Roma le mamme lo

disponevano intorno alla testa dei bambini

che stavano imparando a camminare

per impedire che si facessero male.

corpettinu, s. m. gilet.

corpu, s. m. ventre.

Fr. id. corpu lisciu(gran mangiatore).

corrisposta, s. f. (v. risposta).

corrocciu, s. m. lutto.

corsè, s. m. corsetto, busto con stecche.

Evidente francesismo corselet, bustino

e anche armatura.

corte, s. f. corte. Zagarolo che ha conosciuto

famiglie e dinastie principesche,

Colonna, Pallavicini, Rospigliosi, conserva

nella denominazione dei luoghi del

paese il ricordo della corte dei signori che

la governarono per tanti anni e la centralissima

piazza Indipendenza viene comunemente

indicata comme piazz’e corte

(piazza della corte).

cortellu, s. m. coltello. Fr. id. mette li

sordi a cortellu: 1) sistemare le banconote

nel portafogli in ordine perfetto. 2)

mettere soldi da parte.

cortelluzzu, s. m. 1) temperino, piccolo

coltello. 2) una particolare forma di contratto

che regolava il rapporto tra il padrone

della vigna e il contadino che la lavorava.

Il contratto era definito mezzo a

mezzo e mezzo a cortelluzzu”. Una metà

del prodotto veniva divisa in parti uguali

tra il padrone e il lavorante (mezzo a

mezzo”). L’altra metà spettava al padrone

a fronte di una somma di denaro che quest’ultimo

doveva al contadino. La somma

concordata veniva corrisposta in tre rate

annuali (Pasqua - San Lorenzo e Natale).

A totale carico del padrone le spese

occorrenti all’acquisto dei prodotti necessari

alla coltivazione della vite come concimi,

anticrittogamici e altro. Il vignaiolo

aveva il diritto di conservare la sua parte

di vino nel tinello del padrone di cui

custodiva anche le chiavi. Se il contratto

veniva rescisso il vignaiolo doveva provvedere

a togliere la sua parte di vino dal

tinello e doveva farlo entro il 21 di marzo.

Entro la stessa data doveva essere riconsegnata

al padrone la chiave del tinello.

cortili, s. m. pl. con questo nome si intendeva

il cortile esterno di Palazzo

Rospigliosi (v.), una volta frequentatissimo

dai bambini.

corvatta, s. f. piccolo scialle. Contaminazione

da cravatta, per estensione indica

una sciarpa annodata.

cosindo, avv. così. (voce del tutto scomparsa).

Fr. id. “è cosindo, disse Argante

(lo si voglia o no, le cose stanno proprio

così).

costa, s. f. terreno in pendenza. fianco,

pendio.

costa d’asinu, s. f. pianta dalle larghe

foglie che si consumano crude. È il

Leontodon hispidusdella famiglia

delle Compositae, chiamato comunemente

dente di leone.

costa de Bizzochi, s. f. porzione di Colle

Giacinto.

costa de Ciogni, s. f. strada che da viale

Ungheria conduce ai quartieri nuovi di

colle Barco. Detta anche “la salita di

Villa Pierina”.

costa de lu sfrociatu, s. f. strada di collegamento

tra Casa romana e via Casilina,

ora territorio del comune di S. Cesareo.

Costarella, s. f. via Marzio Colonna.

cota, s. f. raccolta. Es. “‘na cota de

fogni(una raccolta di funghi).

co’ teco, con te. Forma pleonastica derivata

dal lat. tecum”.

coti, s. m. pl. appezzamenti di terreno

seminati a grano per due anni consecutivi.

còtica, s. f. cotenna di maiale.

Fr. id. “che te soditto cotica!” (non te la

prendere, ti ho mica offeso).

coticchia, s. f. cote, pietra abrasiva di

forma romboidale usata per affilare arnesi

taglienti come la falce e il coltello.

cottoncinu, s. m. cotone molto leggero di


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modesta consistenza. Si usava soprattutto

per ricavarci zinali(v.) da usare in cucina.

cozza, s. f. 1) zolla di terra. 2) ignorante,

incapace.

cozzumbrillu, s. m. fico acerbo.

C.P.R. Comitato Palazzo Rospigliosi,

organismo composto da 5 elementi di

nomina del sindaco con il compito di promuovere

iniziative culturali. Il Comitato ha

anche la funzione di coordinare l’attività

della Biblioteca comunale. Sorto con l’impegno

preciso di organizzare spettacoli culturali

e ricreativi durante l’estate, nacque

infatti l’Estate a Palazzo Rospigliosi, con il

tempo ha allargato la sua sfera di azione ed

è divenuto il vero motore di un’attività culturale

intensa e intelligente che prevede per

tutti i mesi dell’anno iniziative di varia

natura che vanno dal cinema al teatro, dall’allestimento

di mostre alle esibizioni dei

bambini e dei ragazzi delle scuole.

crapòla, s. f. scanalatura delle doghe

della botte in cui va ad incastrarsi il fondo

della botte stessa. Dall’it. capruggine.

Esiste il verbo caprugginare. Il caprugginatoio

è la speciale pialla usata per praticare

la scanalatura.

crascia, s. f. abbondanza, ricchezza, guadagno.

Prov. “o crascia o carestia, ’na

botticella a la ‘igna mea” (comunque

vada, avrò sempre a disposizione una botticella

di vino).

crastà, v. tr. 1) castrare. 2) praticare con

apposite forbici un’incisione a collare

sulla vite. Questa pratica favoriva l’attecchimento

dell’uva e ne limitava la cascola

frenando la crescita della pianta. Una

sorta di castrazione.

crastatellu, s. m. piccola lumaca che si

trova su terreni incolti. Buona da mangiare.

cràstica, s. f. 1) piccolo uccello, probabilmente

si tratta della capinera grigia.

Fr. id. “’mpostatu commena cràstica

(impettito, col busto eretto). 2) ferita,

ulcerazione. In dialetto romanesco si dice

castrica”. Nel passaggio al dialetto di Z.

si è verificata una metatesi.

credenzone, s. m. grosso armadio indispensabile

in una camera da letto. Fig.

credulone, sciocco, babbeo.

crespignu, s. m. crespigno, erba commestibile

che cresce spontanea. Se ne fa

un’insalata. Si tratta della Cicerbita del

genere Sonco (Sonchus asper). Prov.Li

crespigni de gennaru non so’ ‘occa de

illanu(nel mese di gennaio i crespigni

sono per il padrone, non per il villano).

Nel sonetto intitolato Li malincontri G.

Belli dice “m’aricordo quann’ero piccinino/

che Ttata me portava for de porta/a

rriccojje er grespigno…”

cria, avv. un po’, un pezzetto.

crià, v. tr. creare, produrre, rendere.

Prov. “Che pazzia a fa’ la ‘igna andò la

igna non cria(una vera pazzia impiantare

un vigneto in terreni improduttivi).

criellu, s. m. crivello, setaccio.

criellucciu, s. m. piccolo setaccio in dotazione

ad ogni tinello.

crinu, s. m. girello per avviare i bambini

ai primi passi. Crino è un reg. romano. In

Toscana chiamano crino il cesto di vimini

usato per trasportare pollame.

crocchià, 1) v. tr. picchiare, percuotere. 2)

v. intr. scricchiolare, cigolare, scrocchiare.

croscé, s. m. uncinetto. Dal fr. “crochet”.

crombà, v. tr. comprare.

crugnale, s. m. corniolo (Corpus mas).

Diffuso in tutta l’Europa centromeridionale,

su terreni calcarei. Ha una vistosa

fioritura di un giallo intenso. I frutti, le

corniole, sono commestibili e buoni, ma

devono essere molto maturi. Il legno è

duro e resistente. I ragazzi lo usavano per

costruirsi le mazzafionne(v.) Si può

dire anche grugnale.

crugnalinu, agg. duro, robusto, resistente.

Si dice anche del vino aspro, quasi

imbevibile.

cuccà, v. tr. 1) picchiare. 2) rubare, sottrarre

soldi a qualcuno. 3) v. intr. battere

contro qualcosa rumorosamente.


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cuccacardu, s. m. uccello di piccolissime

dimensioni. I cacciatori sconsigliano di

consumarne le carni poiché provocano

ritenzione di urina.

cucchi, s. m. pl. nel linguaggio dei bambini

pasta al sugo, maccheroni. Usato più

spesso al diminutivo cucchetti”.

cucchiara, s. f. cazzuola.

cucchiarella, s. f. 1) cucchiaio di legno

dal lungo manico usata in cucina. Spesso

le mamme usavano l’attrezzo per indurre

i bambini alla calma. 2) guscio vuoto

della castagna che di solito si trova in un

cardo contenente due frutti. Un modo di

dire suona così “Eravamo contenti di aver

trovato un cardo con due castagne e ci

siamo ritrovati con una cucchiarella

come a dire che di tanti grandi progetti

non è rimasto nulla.

cuccu, s. m. vecchio. Abbreviazione di

bacuccu(v.)

cucculizzu, s. m. vetta di una collina o di

una montagna. Posto rialzato. Da cocuzzolo.

Composizione di oggetti in forma

piramidale.

cucculu, s. m. cuculo.

cuccumettu, s. m. piccolo recipiente di

terracotta usato anticamente per preparare

il caffè. In it. cuccuma, bricco per contenere

il caffè.

cùccumu, s. m. caffettiera.

cuccunneu, s. m. arnese di legno usato a mo’

di martello per sistemare i cerchi della botte.

cucumà, v. intr. tramare, ordire un piano.

cuja, s. f. ernia.

culotta, s. f. mutanda arricciata all’estremità

inferiore a forma di pantaloncino. Fr.

culotte(mutandina).

culubiancu, s. m. culbianco (Oenanthe

oenanthe). Uccello con il groppone e i lati

della coda di un bianco molto evidenti.

Sempre in movimento vola con la coda

aperta a ventaglio. Vive nei pascoli o in

collina. Nidifica nei buchi dei muri e

nelle pietraie. (Peterson e altri op. cit.)

cunculina, s. f. bacinella, recipiente di

rame usato per lo più per deporvi panni.

Dim. di conca.

cùnnula, s. f. culla di legno. Dal lat.

cunulae-arum”, piccola culla. Il termine

si trova in Prudenzio, poeta latino cristiano

del IV secolo.

cunnulà, v. tr. cullare. In Trilussa si

legge: pefasse cunnalà come se sia/

dall’aria stessa che la porta via

(Trilussa, La bolla di sapone).

cuntu, s. m. conto. Fr. id. quasi un intercalare

“fatte cuntu(per esempio).

cupella, (de la senzarìa), s. f. recipiente di

legno a forma di fiasco che conteneva una

imprecisata quantità di vino (da 3 a 6 litri).

Quella detta “della senzariaera più

capace, conteneva fino a 15 litri. Era quella

che si offriva, naturalmente piena, al

sensale che aveva combinato la vendita

del vino. Dim. cupelletta”. In dialetto

romanesco la parola coppellaindica un

recipiente, una specie di barilotto. I venditori

di tali recipienti si trovavano un tempo

quasi tutti riuniti in via delle Coppelle via

esistente ancora oggi”. (F. Ravaro).

cupellu, s. m. arnia. Fr. id. “tené lu capu

comme ’n cupellu d’ape(comportarsi

come un pazzo). pe’ ’n’ape ammazzà

tuttu lu cupellu(non è giusto che la

colpa di uno solo ricada su tutti). Co’’na

goccia de mele acchiappi ’n cupellu

d’ape/ co’ ’n barile de fele n’acchiappi

gnente(conviene usare sempre la dolcezza

nei rapporti con gli altri, se ne ricavano

maggiori vantaggi).

cuppulinu, s. m. cupolino, piccola cupola.

curiolu, s. m. 1) laccio di cuoio per le

scarpe. 2) erba selvatica della famiglia

delle Poligonacee. Si tratta della

Centinodia” (Polygonum aviculare L.)

Se ne ricavava un decotto usato per frenare

le emorragie gastriche.

curre, v. intr. correre. p.p. curzo”.

curridore, s. m. 1) corridoio. 2) corridore.

cutulasse, v. rifl. pavoneggiarsi, darsi

troppe arie.


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Via Nazionale già via Maestra, poi via Costanzo Ciano

e infine via Antonio Fabrini. (foto del 1913).

 




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